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mercoledì 5 novembre 2008

YES, WE CAN... NOTHING IS IMPOSSIBLE


ROMA - Barack Obama e' divenuto questa notte il 44.o presidente degli Stati Uniti, e' il primo nero a conquistare la Casa Bianca: un risultato storico. L'affluenza record ha allungato le code ai seggi nell'Unione e ha reso piu' lento lo spoglio dei suffragi, ritardando l'annuncio della vittoria del candidato democratico. La certezza, non matematica, ma politica, e' stata acquisita quando il candidato democratico s'e' aggiudicato l'Ohio, uno Stato chiave, lo Stato che tutti i candidati repubblicani divenuti presidenti hanno vinto. L'America e' andata al voto nel pieno d'una crisi finanziaria che le toglie fiducia e che deve ancora fare sentire l'impatto sull'economia reale, mentre le difficolta' militari e politiche in Iraq e in Afghanistan incrinano le certezze e le sicurezze della Super-Potenza unica. In un momento difficile, con un esercizio di democrazia che la conferma fucina di coraggio per l'Occidente, l'America ha scelto e ha scelto il cambiamento: un presidente giovane, nero e relativamente inesperto, ma che e' un simbolo di speranza e che impersona il sogno americano. All'Est e al Sud, Obama s'e' imposto in alcuni Stati Chiave di questa competizione: ha fatto suo il New England, ed era scontato, i Grandi Laghi, ma soprattutto ha confermato il potere democratico in Pennsylvania e ha strappato ai repubblicani l'Ohio e lo Iowa, oltre ad altri Stati contesi. I risultati dell'Ohio e dello Iowa sono stati il segnale della disfatta per il candidato repubblicano John McCain, arrivato all'Election Day in forte ritardo in tutti i sondaggi. E che neppure i suoi sostenitori ci credessero lo diceva la differenza di immagini tra l'attesa della festa per Obama a Chicago, dove c'erano decine di migliaia di persone entusiaste, e l'attesa a Phoenix, dove i sostenitori di McCain erano pochi e disorientati. Per McCain, non e' stato un tracollo. Per Obama, non e' stata una vera e propria valanga, specie in termini di voto popolare - ma il computo esatto dei suffragi non e' ancora definitivo -. Ma dalle urne esce un'America nuova, che Barack Obama dovra' guidare dal 20 gennaio, quando s'insediera', fuori dalla crisi, ridandole fiducia in se stessa e restituendole la simpatia del Mondo.

NEW YORK - In America "nulla è impossibile" e chi ancora non è convinto, non ha che da guardare al nuovo presidente eletto degli Stati Uniti. Barack Obama ha debuttato così a Chicago, con un discorso della vittoria impregnato di 'sogno americano' e riferimenti alle divisioni che hanno segnato la storia degli Usa, e annunciando che il cambiamento "é arrivato". 'Yes we can', lo slogan che per quasi due anni ha accompagnato la sua campagna elettorale, è diventato anche l'inno con cui Obama ha celebrato quella che definito, rivolto alle decine di migliaia di sostenitori, "la vostra vittoria". "Siamo e saremo gli Stati Uniti d'America - ha detto Obama, citando Abramo Lincoln per respingere l'idea di un Paese diviso - e abbiamo dimostrato al mondo intero che non siamo semplicemente una collezione di individui di tutti i tipi". Una folla multirazziale ed entusiasta ha accolto Obama, sventolando bandiere a stelle e strisce, in un grande parco di Chicago, assediato all'esterno da un'altra folla che non è potuta entrare nello spazio da 70.000 posti preparato per l'evento. Accolto sulle note di 'Sweet Home Chicago', Obama ha debuttato ringraziando la città che lo ha adottato dagli anni Ottanta e si è poi lanciato in un primo discorso da presidente eletto che ha ricalcato i temi della sua campagna elettorale: la necessità di portare "il cambiamento" in America, la promessa di rispondere alla speranza di chi si sente abbandonato o ai margini della società, l'avvertimento "ai nostri nemici nel mondo" che l'America è forte, unita e pronta a rispondere a qualsiasi minaccia. L'onore delle armi è andato a John McCain e Sarah Palin, che Obama ha ringraziato e a cui ha chiesto, in una conversazione telefonica con il senatore dell'Arizona, di aiutarlo a guidare il Paese. Il vice Joe Biden, la moglie Michelle e le due famiglie hanno raggiunto alla fine Obama sul palco e il presidente eletto ha chiuso ricordando alle figlie Sasha e Malia che si sono "meritate il cucciolo" che aveva promesso loro all'inizio di un'estenuante campagna che ha coinvolto tutta la famiglia per quasi due anni.

CHICAGO - L'America di Jefferson e Lincoln, dei due Roosevelt e di Truman, di Kennedy e Reagan, è ora anche l'America di Barack Obama. A occupare il 44mo posto nella lista dei presidenti aperta da George Washington, padre della patria e padrone di schiavi, sarà il primo nero che gli americani hanno deciso di mandare alla Casa Bianca. A Chicago, al termine di una giornata elettorale segnata da affluenze da record, Obama ha concluso in trionfo un itinerario cominciato quasi due anni fa nel nome di Abraham Lincoln. E' l'epilogo di una campagna elettorale che farà epoca e che ha portato un senatore al primo mandato, sconosciuto ai più fino a quattro anni fa, direttamente dai banchi del Congresso allo Studio Ovale.La città che ha adottato Obama negli anni Ottanta si è stretta in un abbraccio al primo presidente proveniente da Chicago. Dopo la chiusura dei seggi, le proiezioni che indicavano la vittoria in Stati-chiave come la Pennsylvania, l'Ohio e l'Iowa hanno fatto capire nel giro di poche ore l'andamento della corsa ed è partita la festa in un parco cittadino preso d'assalto da migliaia di persone. Si chiude così una scalata alla presidenza che Obama aveva cominciato, tra lo scetticismo generale, il 10 febbraio 2007 di fronte al Capitol di Springfield. L'edificio dove un secolo e mezzo prima, nel 1858, Lincoln pronunciò il celebre discorso passato alla Storia come 'House Divided': il futuro presidente spiegò perché una casa divisa in due - qual era l'America del Nord e del Sud all'epoca - non poteva stare in piedi e lanciò con quel discorso l'attacco più potente e razionale contro la schiavitù, spiegando perché era una piaga che avrebbe distrutto la società americana, se non veniva cancellata. Sulla scia di quell'ispirazione, il grande esperimento storico di democrazia chiamato Stati Uniti d'America ha partorito ora un'altra sorprendente figura politica, nuova e ancora tutta da scoprire, in un momento in cui il paese è impegnato in due guerre e nel pieno della peggiore crisi economica dalla Grande Depressione degli anni '30. Obama eredita ora un' altra 'House Divided', un'America che resta divisa su una molteplicità di temi e che il nuovo presidente faticherà a rendere più unità. Che Obama fosse destinato a tentare la scalata alla presidenza lo pensarono in molti dopo il discorso che lo rese celebre alla Convention dei democratici del 2004. Ma che il suo anno fosse il 2008 lo credevano all'inizio in pochi, compresi i più stretti collaboratori del senatore eletto in Illinois nel novembre 2004. Una sera nel febbraio 2005, in un ufficio del Senato, il gruppo ristretto dei suoi consiglieri aveva dato vita a una riunione riservata insieme a Obama e per quattro ore aveva valutato le ipotesi per il futuro. Di fronte a scatole di pizza al salame fatta arrivare da un vicino pizzaiolo, Obama e i suoi strateghi avevano delineato un piano battezzato '2010-2012-2016'. Prevedeva di lanciare nel 2010 una candidatura a governatore dell'Illinois o, se le condizioni non fossero state favorevoli, a un secondo mandato in Senato, per poi tentare la Casa Bianca due o sei anni dopo. Nel 2006, però, Obama ha deciso di bruciare le tappe, respirando una voglia di cambiamento che, a suo avviso, non poteva venir soddisfatta da una figura come Hillary Clinton, la candidata che all'epoca pareva la scelta quasi scontata dei democratici per cercare di riprendersi la Casa Bianca dopo otto anni di amministrazione Bush. E' stato in Iowa, a gennaio, che Obama ed il suo staff, a partire dallo stratega David Axelrod, hanno cominciato a crederci. Vincendo i 'caucus' nel primo stato a pronunciarsi nelle primarie, il senatore dell'Illinois ha messo una prima ipoteca sulla nomination. Ma ci sono voluti sei mesi di dura battaglia, prima di convincere l'ex First Lady a desistere. Rafforzato dal trionfo contro la potente macchina politica dei Clinton, Obama si è lanciato verso le elezioni generali con il vento in poppa e le casse strapiene di soldi. E l'America lo ha seguito, affascinata dalla figura di un nero capace di incarnare il carisma di Kennedy e Reagan e di proporre un nuovo modo di coinvolgere gli elettori in ogni fase della campagna, facendoli sentire parte di un vero e proprio movimento. A vincere è anche Chicago, per la quale si apre un nuovo capitolo in una storia in cui la tradizione dei neri ha un ruolo da protagonista. Jean Baptiste Point du Sable, un figlio di schiavi africani cresciuto nei Caraibi, è ritenuto il fondatore della città per aver dato vita a un primo insediamento commerciale sul Lago Michigan nel 1779. Ma è stata soprattutto la grande e a tratti drammatica immigrazione a ondate dei neri dal Sud, nel XX secolo, a influenzare il carattere e la cultura di Chicago, facendone una città del blues, dei ghetti e ora del primo presidente afroamericano.

ROMA - Il sogno di Martin Luther King è diventato realtà: i cittadini americani hanno deciso che Barack Hussein Obama sarà il primo presidente nero degli Stati Uniti, il primo uomo di colore ad insediarsi alla Casa Bianca. E' un segnale indiscutibile di coraggio, di capacità di cambiare. E' un segnale che conferma che l'America sa sempre trovare dentro di sé - soprattutto quando tutto sembra andare per il verso sbagliato - la forza, la determinazione e le motivazioni per scegliere strade nuove, per avviarsi in sentieri inesplorati alla ricerca ancora di un' altra "nuova frontiera". Obama è figlio di un immigrato keniano e di una donna bianca del Kansas. Ha vissuto la sua infanzia tra le Hawaii, dove è nato, e l'Indonesia, ha combattuto per poter crescere in un'America che non gli mai ha regalato niente, ma che gli ha anche dato le possibilità di meritarsi una scalata sociale - dalla Columbia University alla Harvard Law School - che sarebbe molto difficile in qualunque Paese europeo. Il nuovo presidente Usa ha saputo incarnare l'anima profonda degli americani, quella che sa vivere di sogni e traguardi apparentemente irraggiungibili, di cambiamento e di nuove sfide. In lui, gli americani che oggi guardano con paura a un futuro dai contorni indefinibili e carico di presagi negativi, hanno visto un uomo capace di dare nuove speranze e, forse, di indicare una strada diversa da quella difficile e tortuosa che sono costretti a percorrere da qualche tempo. I paragoni, per ora sicuramente prematuri, fatti con John Fitzgerald Kennedy si giustificano, in parte, più dal lato emotivo che da quello concreto dei programmi e dei fatti, anche se Obama ha già indicato alcuni cambiamenti strutturali davvero significativi. Ma il punto fondamentale è che Obama ha saputo parlare al cuore dei suoi concittadini, dando loro la sensazione e, forse, la convinzione che un cambiamento non solo è necessario, ma anche possibile. Gli Stati Uniti oggi hanno dato una lezione importante anche alla Vecchia Europa. Nei momenti difficili gli americani sanno ritrovarsi come hanno fatto oggi nelle lunghe file, in tutti gli angoli del Paese, davanti ai seggi elettorali. Sanno decidere con coraggio senza guardarsi indietro, sanno scegliere senza paura di sbagliare, sanno osare e voltare pagina. In quale Paese europeo oggi sarebbe possibile immaginare un presidente di colore figlio di un immigrato?
(da ansa.it)

Il mondo e gli USA sono stati chiamati ad una svolta: Obama è stato scelto per renderla possibile. Ci auguriamo noi tutti che questo cambiamento sia davvero possibile, che sia volontà concreta del suo esecutivo. L'America ha aumentato la propria affluenza al voto, ha concesso milioni di preferenza al primo Presidente afro-americano della storia, sono dati da non sottovalutare che indicano un desiderio preciso di mutamento, che forse la lunga era Bush junior, era aggressiva di invasioni belliche, di recessione economica, di sanità in mano ai soli ricchi non è stato così postiva come i leader politici mondiali ci vogliono far credere. Sono convinto e certo che L'Italia rimarrà fedele all'alleanza storica con il paese a stelle e strisce ma che certamente il nostro premier avrebbe preferito il più conservatore e "militaresco" McCain... ma almeno una volta, la democrazia ha avuto la meglio.... che sia da esempio anche per noi tutti italiani quello che gli americani hanno fatto: il coraggio della scelta, la volontà di provare ancora a sognare, la speranza che un uomo ed i suoi pensieri possano modificare un modo di essere ed allo stesso tempo la consapevolezza di non caricare addosso al nuovo Presidente troppe aspettative, nessunom ha la bacchetta magica, la politca è una brutta bestia per tutti e la strada per la realizzazione di un sogno è sempre lunga, tortuosa ed infida. Ma da stanotte, col cuore in gola, possiamo affermare con Obama che:

YES, WE CAN AND NOTHING IS IMPOSSIBLE.

2 commenti:

Ale ha detto...

finalmente una grande notizia per il mondo..

Calogero Parlapiano ha detto...

condivido ale, speriamo che tutto l'Europa risenta dell'eco del cambiamento e possa comprenderne i reconditi significati. ciao.