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sabato 22 gennaio 2011

Processo Face Off: 5 condannati e 1 assolto

Cinque condanne per complessivi 76 anni di carcere. Si chiude così il processo seguito all’operazione antimafia Face Off. Il Pm Vella e l’eurodeputato Sonia Alfano dalla parte di Ignazio Cutrò: “il suo contributo è stato decisivo per le indagini”. Unico assolto Vincenzo Ferranti

“Con le condanne ai Panepinto, a Parisi e Favata, si ha conferma dell’enorme contributo dato dall’imprenditore antiracket Ignazio Cutrò nella lotta alla mafia e al malaffare. Adesso lo Stato prenda atto dell’impegno di Ignazio e tuteli lui e la sua famiglia in modo serio e concreto, anche in virtù delle intimidazioni subite di recente”.
Lo ha detto Sonia Alfano, europarlamentare e responsabile nazionale del Dipartimento Antimafia di Italia dei Valori, commentando la sentenza con cui sono stati condannati al processo “Face Off”, a Sciacca, i boss Luigi, Marcello e Maurizio Panepinto (rispettivamente a 13, 10 e 14 anni e 6 mesi), Giovanni Favata (13 anni e 3 mesi) e Domenico Parisi (15 anni e 9 mesi).
“Senza le testimonianze di Cutrò questi criminali sarebbero ancora liberi e continuerebbero a spadroneggiare sul territorio. Per questo motivo tutti dobbiamo riconoscere il coraggio e l’onestà di questo preziosissimo testimone di giustizia, e dobbiamo spenderci per la sua incolumità e perchè possa riprendere a lavorare serenamente”.
Le richieste dei Pm erano queste: 20 anni di reclusione per Luigi Panepinto, 19 anni per Maurizio Panepinto, 10 anni per Marcello Panepinto, 19 anni per Giovanni Favata, 20 anni per Domenico Parisi e 10 anni per Vincenzo Ferranti.
Ignazio Cutrò dunque ha vinto scrive ancora la Alfano. Certo, direte voi, ha vinto anche lo Stato, la Giustizia e noi tutti, è vero. Una vittoria però è tale quando il “concorrente” ha messo in gioco tutto ciò che aveva. Quando ha rischiato senza pensare alle conseguenze. Quando ha fatto tutto ciò che era nelle proprie possibilità. E quello che più di tutti ha rischiato, in questa battaglia, è stato lui, quell’imprenditore grande e grosso dal cuore altrettanto grande, capace di emozionare una platea di 400 persone incitandole a non abbassare la testa di fronte a cosa nostra. Grazie alle sue denunce e alla sua testimonianza nel processo “Face Off”, i suoi aguzzini sono stati condannati ad oltre 50 anni di carcere. La conferma che la cosca mafiosa della Bassa Quisquina era gestita dalla famiglia Panepinto, che da vittime di mafia si erano trasformati in mafiosi.
E’ stata la vittoria della pubblica accusa, portata avanti con coraggio da Giuseppe Fici e Salvatore Vella. E’ stata la vittoria di tutte quelle persone che in questi anni sono state accanto ad Ignazio e alla sua famiglia, a sua moglie Giusy, a sua figlia Veronica e a suo figlio Giuseppe, che mai come ora hanno bisogno del nostro affetto. Dovrei sentirmi anch’io vincitrice, ma non ci riesco. Perchè se guardo indietro, a quando ho incontrato un Ignazio disperato e demotivato, e solo molto lentamente siamo riusciti insieme a risalire e ad attirare l’attenzione dell’Italia, se volto la testa a quei giorni vedo troppo dolore e troppa vergogna: non è normale che un uomo giusto come Cutrò debba fare tutto ciò solo per avere giustizia. Quel giorno che Ignazio venne nel mio ufficio per la prima volta non posso dimenticarlo. Aveva le banche alle calcagna che minacciavano di prendersi anche la sua abitazione, gli enti riscossori che pretendevano decine di migliaia di euro da un’impresa vessata dalla mafia ignorando pure la sospensione prefettizia. Era davvero l’ombra del Cutrò che oggi conosciamo. Non avevo la bacchetta magica e ho fatto quello che potevo, sollecitando giorno dopo giorno ogni organo istituzionale affinchè affrontassero tutti il caso Cutrò, l’imprenditore antiracket che lo Stato non vuole con sè. Un’intera segreteria politica ha lavorato per mesi affinchè il “caso” Cutrò diventasse il caso di tutti gli italiani onesti. Poi c’è stato il gesto estremo di Roma, quando lui e Valeria Grasso, altra imprenditrice coraggio che ha spinto in carcere parte del clan Madonia, si sono incatenati ai cancelli del Viminale per protestare contro una situazione umiliante, sotto il profilo economico e della sicurezza personale: erano soli contro la mafia e nessuno voleva aiutarli. Quel giorno ero a Roma per altri impegni che ho subito abbandonato per raggiungere quelle due persone per bene costrette a legarsi come animali per attirare l’attenzione di un Ministero sonnecchiante. Siamo stati un’intera giornata sotto la pioggia cercando di convincere i poliziotti che volevano tagliare le catene con le cesoie che quelli “sbagliati” non erano loro, che non potevano eseguire ordini ciecamente senza sapere che quelli che stavano “sgombrando” erano due testimoni di giustizia, non due pentiti di mafia.
E poi gli infiniti incontri, i molteplici faccia a faccia e le interminabili telefonate per aggiustare una storia storta, figlia di un’Italia imbarazzante che come al solito abbandona il meglio per difendere l’”estremamente peggio”. Ora questa sentenza può rappresentare un punto importante conclude Sonia Alfano. Può dimostrare che senza Cutrò quel territorio sarebbe ancora in mano alla famiglia mafiosa dei Panepinto. Che senza Cutrò gli appalti pubblici avrebbero continuato ad essere pilotati. Che senza Cutrò oggi Bivona non avrebbe un’anima. Sabato scorso ho voluto che Ignazio fosse presente alla commemorazione di mio padre, il momento più importante per me da 18 anni a questa parte. Ho voluto che partecipasse assieme agli altri relatori. E il boato che ha accolto le sue parole, quella sala stracolma che lo ha invocato, è stato uno dei momenti più toccanti di tutta la giornata. Voleva dire che avevamo vinto davvero, che Ignazio era arrivato ai cuori di tutti.
E ora? Ora bisogna smetterla di festeggiare. Bisogna ancora una volta spronare lo Stato italiano affinchè rilanci l’attività imprenditoriale di Ignazio. Affinchè torni ad aggiudicarsi appalti pubblici. Affinchè torni la normalità. Cutrò non vuole vivere da eroe, ma da cittadino comune che sostiene la sua famiglia. Non ha mai voluto soldi, nè facilitazioni, ma solo che gli fosse riconosciuta la sua dignità e la bontà delle sue dichiarazioni. Una sentenza ora lo ha fatto, ma ad aspettarlo però non ci sono certo solo uomini e donne che lo ammirano, ma anche persone che lo odiano. E la sua sicurezza oggi è la nostra priorità.
Fino a quando Ignazio non tornerà a lavorare e a vivere sereno e protetto io non avrò vinto.”
La Sentenza è arrivata nel pomeriggio con le condanne per tutti gli imputati tranne Vincenzo Ferranti che è stato assolto.
Adesso ancora di più cresce l’urgenza di stare dalla parte di chi denuncia perchè bisogna far capire che l’unica strada da seguire è questa e che bisogna lottare per ristabilire la Verità.
Dura la sentenza dunque pronunciata dal collegio giudicante della sezione penale del tribunale di Sciacca relativa al processo “Face off”. E pensare che nel 1995, nell'ambito dell'operazione Vespri siciliani, l'impresa dei fratelli Panepinto, ritenuti vittime delle estorsioni, era stata messa sotto tutela, con la presenza di militari 24 ore su 24. Questo perché nel maggio del 1994 il padre dei tre fratelli, Ignazio Panepinto, era stato ucciso in un agguato di stampo mafioso, mentre nel settembre dello stesso anno, in un altro agguato fu ucciso un loro zio, Calogero, che però nulla aveva a che fare con l'impresa edile dei nipoti. In quell’agguato venne anche ferito Davide Panepinto, figlio di Calogero, e ucciso un operaio, Francesco Maniscalco, che in quel momento si trovava con loro.
Storie di sangue, storie che difficilmente emergono dall’entroterra siciliano.
Adesso invece i tre fratelli erano imputati nel processo "Face off". Da vittime a carnefici, stando a quando ha stabilito il tribunale. In questo processo è stato condannato anche Giovanni Favata, di Alessandria della Rocca e Domenico Parisi, di Bivona. Assoluzione per Vincenzo Ferranti, di 76 anni, di Santo Stefano di Quisquina. Il collegio giudicante era presieduto da Andrea Genna e a latere da Michele Guarnotta e Carmen Bifano. I giudici hanno quindi confermato l'ipotesi accusatoria relativa alla composizione da parte degli imputati di un sodalizio criminale che, utilizzando i modi tipici delle organizzazioni mafiose, avrebbe operato sul territorio della bassa Quisquina, imponendo estorsioni ai danni di imprenditori che operano nel campo degli inerti, delle forniture edili, dei conglomerati cementizi e nel movimento terra.
L’operazione antimafia denominata”Face Off” è stata condotta nel luglio del 2008 dai carabinieri della Compagnia di Cammarata. Tutti gli imputati sono imprenditori edili, che, sempre secondo l'accusa, avrebbero controllato in maniera capillare gli appalti pubblici della zona della Bassa Quisquina. Il Tribunale ha anche stabilito il risarcimento dei danni alle parti civili che si sono costituite nel processo: gli imprenditori Francesco Leto, Massimo Leto, Giovanni Bonanno, Ignazio Cutro', Salvatore Cammarata Spataro e Salvatore Palermo. Ecco il dettaglio dei risarcimenti: il tribunale, inoltre, ha condannato al risarcimento danni alle parti civili nel seguente modo: Maurizio Panepinto e Domenico Parisi a € 20.000 per Francesco Leto ed a € 4.050 alla Igm Srl; Maurizio Panepinto, Giovanni Favata e Domenico Parisi a € 20.000 a Giovanni Bonanno, a € 30.500 a Ignazio Cutrò; tutti a € 60.000 alla Federazione delle Associazioni Antiracket e Antiusura.
Il tribunale ha anche ordinato la confisca dell'azienda di calcestruzzi Beton e altri titoli. L'operazione "face off" venne eseguita dai Carabinieri della compagnia di Cammarata e dagli agenti della Squadra mobile di Agrigento. I provvedimenti furono firmati dal giudice delle indagini preliminari del Tribunale di Palermo Puleo su richiesta dei pubblici ministeri della Direzione distrettuale antimafia Scarfò e Fici.
Soddisfatto naturalmente il Pm Salvatore Vella che ha seguito tutta la vicenda passo dopo passo che ha riconosciuto l’importanza di Cutrò nel processo e il valore di tutte le indagini ed intercettazioni seguite alle denunce. La mafia non è sconfitta. Ma sicuramente la provincia di Agrigento è un po’ più pulita.

Calogero Parlapiano - tratto da "Controvoce"

giovedì 20 gennaio 2011

Processo Scacco Matto: chiesti 384 anni di carcere per i 20 imputati

Processo “Scacco Matto”: dure le richieste dei Pm. Hanno chiesto 384 anni di carcere per i 20 imputati. L’operazione Scacco Matto colpì duramente la mafia in provincia di Agrigento. Tra gli imputati l’ex capomafia Giuseppe Falsone, arrestato a Marsiglia, e il consigliere comunale saccense Domenico Sandullo, eletto nella lista “La Tua Sciacca”

La requisitoria è stata lunga. Anche il processo “Scacco Matto”, come quello “Face Off”, sta per volgere al termine. Entro fine gennaio dovremmo avere la sentenza dei giudici. Intanto dunque i pm della procura antimafia di Palermo, Rita Fulantelli e Emanuele Ravaglioli, hanno chiesto complessivamente 384 anni di reclusione per un totale di 20 condanne, ossia chieste condanne per tutti gli imputati.
Queste le richieste ufficiali dei pm (in ordine alfabetico): per Vito Bucceri, 39 anni, di Castelvetrano sono stati richiesti 20 anni di reclusione; per Rosario Cascio, 77 anni, di Santa Margherita Belice, 27 anni; per Vitino Cascio, 69 anni, di Santa Margherita Belice, 21 anni; per Giovanni Campo, 49 anni, di Menfi, 18 anni; per Filippo Campo, 43 anni, di Menfi, 18 anni; per Pasquale Ciaccio, 45 anni, di Santa Margherita Belice, 24 anni; per Giuseppe Clemente, 40 anni, di Sciacca, 12 anni; per Mario Davilla, 46 anni, di Burgio, 21 anni; per Giovanni Derelitto, 61 anni, di Burgio, 27 anni; per Michele Di Leo, 46 anni, di Sciacca, 21 anni; per Nicolò Di Martino, 74 anni, di Ribera, 10 anni; per Giuseppe Falsone, 41 anni, di Campobello di Licata, 21 anni; per Francesco Fontana, 74 anni, di Palermo, 21 anni; per Giuseppe La Rocca, 57 anni, di Caracas, 20 anni; per Antonino Maggio, 48 anni, di Santa Margherita Belice, 21 anni; per Tommaso Militello, 48 anni, di Palermo, 18 anni; per Giuseppe Monreale, 42 anni, di Sciacca, 21 anni; per Antonio Perticone, 57 anni, di Burgio, 24 anni; per Domenico Sandullo, 55 anni, di Sciacca, 4 anni; per Biagio Smeriglia, 48 anni, di Ribera, 18 anni.
Tra gli imputati, c’è dunque anche l’ex superlatitante Giuseppe Falsone, arrestato a Marsiglia la scorsa estate e ritenuto per lungo tempo il capo del mandamento mafioso provinciale. Si dice “fiducioso e sereno” il consigliere comunale Domenico Sandullo, eletto nella lista del sindaco Vito Bono “La Tua Sciacca”, il quale poi ha creato il gruppo consiliare dei “Leali per Sciacca”, insieme ai colleghi Patti e Gulotta.
Sandullo, come si legge nella requisitoria, è accusato di aver “agevolato l’attività dell’associazione mafiosa Cosa Nostra”, sentito come persona informata dei fatti avrebbe aiutato in particolare Rosario Cascio, Vitino Cascio e Antonino Maggio “omettendo di riferire circostanze a sua conoscenza e riferiva, altresì, circostanze non veritiere”.
Sandullo è processato in contumacia non essendo mai stato presente nelle udienze.
Come si ricorderà, l’altro troncone del processo, quello che si è celebrato a Palermo con il rito abbreviato, si è concluso già nel febbraio 2010, con le condanne di Gino Guzzo a 21 anni e 2 mesi, di Paolo Capizzi a 13 anni e 8 mesi, di Francesco Capizzi a 12 anni, di Accursio Dimino e Salvatore Imbornone a 11 anni e 4 mesi, di Antonino Pumilia e Gulotta Antonio a 10 anni, di Raffaele Sala a 9 anni 8 mesi, di Calogero Rizzuto, poi divenuto collaboratore di giustizia e teste chiave del processo, a 4 anni e 8 mesi, di Antonino Montalbano a 1 anno e 7 mesi.
Assolti invece: Giuseppe Barreca, Michele Barreca, Giuseppe Capizzi, Paolo Capizzi, Giacomo Corso, Pietro Derelitto, Michele Giambrone, Giuseppe Orlando e Leonardo Taormina.
Si tratta quindi di richieste per quasi 4 secoli di carcere in totale. A breve si conosceranno le decisioni dei giudici.

Calogero Parlapiano - tratto da "Controvoce"

sabato 15 gennaio 2011

2010, un anno di mafia. La relazione della DIA e gli arresti eccellenti

Si chiude un anno che ha registrato importanti successi nella lotta alla mafia con gli arresti di Falsone e Messina. La relazione della DIA però descrive una provincia di Agrigento ancora sotto scacco e con una minaccia in più: le pesanti infiltrazioni della mafia negli appalti pubblici. L’Operazione Family a Castrofilippo ne è stato soltanto un esempio

“Cosa nostra agrigentina, pur se duramente colpita, negli ultimi anni, da importanti operazioni di polizia scaturite anche dalle dichiarazioni di collaboratori di giustizia, è riuscita a mantenere una forte influenza sul territorio, confermando la dislocazione dei mandamenti mafiosi esistenti nella provincia di Agrigento, che risultano essere quelli di Porto Empedocle, di Casteltermini, della Quisquina, di Ravanusa, di Sambuca di Sicilia, di Sciacca e di Ribera.
Allo stato attuale, dalle varie risultanze investigative emerge che il rappresentante provinciale dell’organizzazione mafiosa riconducibile a cosa nostra, fino al momento del suo recentissimo arresto, è stato il latitante Giuseppe Falsone, succeduto a Maurizio Di Gati, in atto collaboratore di giustizia.
Con l’arresto di Falsone, avvenuto a Marsiglia il 25 giugno scorso, nell’ambito di una collaborazione tra la Polizia italiana e quella francese, il soggetto libero di maggiore caratura criminale, che, verosimilmente, poteva assumere la reggenza della provincia mafiosa, era il latitante Gerlandino Messina, ma anche lui è stato tratto in arresto lo scorso novembre a Favara, dopo una latitanza ultradecennale.
Appare significativa la cattura all’estero di un soggetto di elevata caratura mafiosa, quale il Falsone, poiché tale circostanza interrompe lo stereotipo comportamentale che sembrava “esigere” la presenza sul territorio siciliano dei capi latitanti che intendessero mantenere una reale leadership.
Sono stati conseguiti dunque importanti risultati anche nella cattura di altri soggetti latitanti, a seguito di indagini di ampio respiro sul tessuto mafioso, che hanno prodotto effetti di ancora più profonda disarticolazione dei sodalizi, come avvenuto il 26 marzo, allorquando i Carabinieri del Reparto Operativo del Comando Provinciale di Agrigento e del Nucleo Operativo del Ecologico di Palermo, hanno dato esecuzione ad un provvedimento cautelare nei confronti di Pino Gambino, ritenuto di essere il capo della famiglia mafiosa di Ravanusa e capo mandamento di Campobello di Licata.
Nello stesso contesto investigativo sono stati arrestati altri 7 soggetti, tutti presunti fedelissimi di Giuseppe Falsone.
L’operazione, denominata “Apocalisse”, che ha colpito l’organizzazione mafiosa operante nei territori di Campobello di Licata, Canicattì e Ravanusa, ha nuovamente evidenziato l’incontrastato ruolo verticistico nella provincia di Agrigento al tempo rivestito da Giuseppe Falsone.
I riscontri investigativi di questa operazione hanno dettagliato l’interesse di cosa nostra agrigentina verso i settori della grande distribuzione e dello smaltimento dei rifiuti e i rapporti di contiguità dell’esponente mafioso con noti imprenditori locali, realizzatisi attraverso la gestione di appalti riguardanti soprattutto la progettazione, la realizzazione e la gestione della discarica di Campobello di Licata, nonché la progettazione e la realizzazione del punto vendita Eurospin di quella località.
Si è assodato che il Falsone aveva avuto un ruolo fondamentale nella scelta del sito, nonché nella gestione operativa della citata discarica, traendo annualmente, con la connivenza di imprenditori e di pubblici amministratori, ingenti guadagni, anche a scapito della salvaguardia dell’ambiente e della salute dei cittadini, così come accertato nel corso delle attività investigative e degli accertamenti di caratteri ispettivo.
L’attiva compartecipazione di Giuseppe Falsone nella gestione della discarica di Campobello di Licata è stata confermata da una serie di approfondimenti su parte del materiale sequestrato in passato, in una abitazione dislocata nelle campagne fra Cianciana (AG) e Palazzo Adriano (PA) ed utilizzata come rifugio dal capomafia agrigentino prima del suo arresto. Infatti, tra le carte sequestrate, sono stati rinvenuti alcuni documenti contabili. riconducibili alla gestione finanziaria della discarica. Varie risultanze processuali hanno confermato, ancora una volta, che, tra le principali attività delle famiglie mafiose, occupa un posto di rilievo la riscossione del pizzo da imprenditori e commercianti.
Queste considerazioni illuminano uno spettro di delittuosità mafiosa assai vasto, che si muove dalle attività predatorie classiche, per giungere fino alla gestione diretta di attività commerciali, specie nei settori della grande distribuzione alimentare, dello smaltimento dei rifiuti, della costruzione di manufatti edilizi e della fornitura di calcestruzzo e di materiali inerti.
Per meglio comprendere la delittuosità complessiva dei soggetti mafiosi nella provincia, la D.I.A. ha elaborato le informazioni storiche SDI, sul conto di 48 soggetti segnalati dai locali uffici di polizia, nel periodo tra il 1° giugno 2009 e il 31 maggio 2010. Si percepisce così che i delitti-strumento riferibili alla storia criminale di tale popolazione attengono essenzialmente al circuito estorsivo, alle rapine, all’associazione a delinquere, ma anche, significativamente, alla turbata libertà degli incanti, al trasferimento fraudolento di valori ed ai reati in materia di stupefacenti. Nel contesto, sia pure in modo residuale, si affaccia all’usura.
A tutto ciò si connette l’interesse dell’organizzazione criminale verso gli appalti pubblici che, come noto, rappresentano un collaudato sistema di appropriazione indebita di risorse pubbliche, essendo stato riscontrato, da diverse attività d’indagine, che i sodalizi locali pretendono, a titolo estorsivo, il 2% dell’importo complessivo del valore della gara aggiudicata. L’organizzazione mafiosa agrigentina, a seguito dell’impatto di significative misure di prevenzione patrimoniali irrogate nei confronti dei suoi esponenti, sta attraversando un serio momento di difficoltà, poiché vengono attinte consistenze di rilievo, sopravvissute anche agli esiti di precedenti indagini giudiziarie.
Paradigmatica è la vicenda di due fratelli, imprenditori del settore oleario, originari di Racalmuto (AG), a cui carico, il 23 febbraio ed il 14 aprile, la D.I.A. esperiva un sequestro dei beni per un valore complessivo di circa 52 milioni di euro.
L’8 giugno scorso, sempre la D.I.A. nel prosieguo delle indagini, metteva a segno ulteriori operazioni di sequestro di altri beni riconducibili ai familiari dei propositi, che riguardava sette polizze vita per un valore complessivo di 230.000,00 euro.
I fratelli erano stati arrestati nel 2007, nell’ambito dell’operazione “Domino 2” , ed erano stati condannati alla pena dell’ergastolo nel 2009, dalla Corte d’Assise di Agrigento, per l’omicidio di Mariano Mancuso avvenuto ad Aragona (AG) nel 1992 (condanna poi confermata in appello).
In sede processuale, era stata dimostrata la valenza criminale dei fratelli, nonché i loro stretti rapporti con i capi mafia pro tempore della provincia agrigentina Salvatore Fragapane, Giuseppe Fanara e Maurizio Di Gati, ai quali i citati imprenditori si rivolgevano per dirimere le controversie susseguenti alla loro attività di usurai, fino a spingersi ad ottenere la soppressione violenta del Mancuso che si era rifiutato di restituire il denaro avuto in prestito. E’ stato acclarato che lo stesso Fragapane aveva investito denaro di cosa nostra nell’illecita attività posta in essere dai due proposti, che grazie all’appoggio incondizionato dell’organizzazione, erano così riusciti ad incrementare il patrimonio personale. Gli elementi di conoscenza ricavabili dalle fonti probatorie, relativamente alla frequenza ed intensità dei rapporti intercorrenti tra i due fratelli ed esponenti di spicco dell’associazione mafiosa, così come il loro attivismo nell’usura, hanno fatto ritenere che l’ingente patrimonio sequestrato sia il frutto del reimpiego dei capitali illeciti acquisiti nel corso degli anni da cosa nostra agrigentina in attività illecite od apparentemente lecite.
Nell’ambito della penetrazione mafiosa negli appalti pubblici la D.I.A., nel prosieguo dell’indagine “Minoa”, che aveva portato alla disarticolazione della famiglia mafiosa di Cattolica Eraclea e quella di Montallegro, ha concluso le operazioni di sequestro preventivo di quote societarie e beni aziendali di una società operante nel settore edile, riconducibile ad uno dei soggetti, arrestato nel mese di novembre del 2009 a seguito della citata operazione di polizia.
Per quanto attiene ai danneggiamenti, va sottolineato che continua a registrarsi la consumazione di atti intimidatori nei confronti della società “Dedalo Ambiente”, che si concretizzano con l’incendio dei cassonetti, con conseguente e considerevole danno economico. Analoghi danneggiamenti sono subiti anche da altre società che si interessano dello smaltimento dei rifiuti.
Il fenomeno usurario costituisce uno dei più recenti settori dell’economia criminale, che vede l’impiego di cosa nostra agrigentina.
La debolezza delle imprese agrigentine, incapaci di resistere alla crisi dei settori produttivi, lascia al tessuto mafioso la capacità di accreditarsi, di mettete in circolo il denaro frutto di attività illecite e, alla fine, di entrare in possesso delle aziende, una volta catturate all’interno dei percorsi usurari.
Infatti, il protrarsi della crisi economica ha accresciuto l’esposizione di piccole e medie imprese in crisi di liquidità a derive usuraie e predatorie, che vengono sempre più praticate dalla componente mafiosa.
L’aiuto dell’incidenza del fenomeno è significativo e si registrano, in particolare, casi nei comuni di Porto Empedocle, Agrigento e Canicattì.”
Tutto questo in attesa di capire quando e come possa essere assicurato alla giustizia Matteo Messina Denaro, l’ultimo superlatitante, consapevoli del fatto però che la criminalità organizzata, come un cancro, si è ramificata in diversi aspetti della vita pubblica isolana e nazionale ed estirparla non dipende dalla cattura o meno di un solo uomo ma da un’autentica rivoluzione culturale che possa permettere alla società di scrollarsi di dosso la mafia, anzi le mafie. Fino a quando ci saranno casi isolati di coraggio, di ribellione, di voglia di cambiare le cose e non una presa di coscienza generale, fino a quel momento rimarranno valide le parole del giornalista Pippo Fava ucciso dalla mafia il 5 gennaio del 1984 a Catania perché aveva scoperto e scritto troppo: “Qualche volta mi devi spiegare chi ce lo fa fare, perdìo. Tanto, lo sai come finisce. Una volta o l’altra: mezzo milione a un ragazzotto qualunque e quello ti aspetta sotto casa…”
Trovarono sia il mezzo milione che il ragazzotto qualunque.

Calogero Parlapiano - tratto da "Controvoce"

mercoledì 12 gennaio 2011

Conferenze stampa di fine anno: il 2010 di Marinello

Come di consueto sono tantissime le conferenze stampa di fine anno dove si traccia il bilancio dell’attività politica posta in essere. Vincenzo Marinello si dice soddisfatto del lavoro svolto ma “la gioia più grande è la nascita del mio primogenito Giovanni”.

Conferenza stampa di fine anno anche per il deputato del Partito Democratico all’Assemblea Regionale Siciliana Vincenzo Marinello che ha descritto la propria attività parlamentare portata avanti nel 2010, l’anno che si è appena concluso.
Cinquanta imprese di pesca siciliane possono accedere al finanziamento per la costruzione di nuove imbarcazioni grazie ad un emendamento di 640 mila euro per la marineria e per la pesca, inserito su iniziativa dell’Onorevole Vincenzo Marinello nella legge Finanziaria regionale 2010.
E’ questa una delle più importanti iniziative che l’Onorevole Vincenzo Marinello ha portato a termine nella sua attività parlamentare all’Ars del 2010 e che è stata descritta a lungo durante la conferenza stampa.
Nella stessa legge Finanziaria sono stati previsti finanziamenti anche per gli Lsu, spesso vera spada di Damocle per tutti gli enti pubblici siciliani. Lsu che da anni attendono la definitiva stabilizzazione. Oltre 1 milione di euro sono stati destinati ai precari per il periodo maggio-dicembre 2010 nell’ambito delle misure per l’occupazione.
Nel corso dell’anno che si è appena concluso, la Regione ha inoltre approvato tantissimi progetti per opere pubbliche. Nell’ambito delle risorse del PAR FAS Sicilia 2007-2013, al fine di promuovere lo sviluppo economico e sociale del territorio nonché per favorire gli interventi diretti a tutelare l’ambiente e i beni culturali, sono stati approvati e finanziati quattro progetti: due a Sciacca, uno a Lucca Sicula ed uno a Santa Margherita di Belice. Si tratta della la sistemazione del piazzale La Rosa (350 mila euro), dell'area verde attrezzata di contrada Isabella (150 mila euro), l'adeguamento dell'edificio polivalente socio culturale di Lucca Sicula (100 mila euro), il restauro e consolidamento del tempietto di Santa Margherita Belice (150 mila euro). Gli iter di questi progetti sono stati caldeggiati dall’onorevole Marinello che ci tiene a sottolinearne la paternità.
Ma il 2010 è stato anche l’anno della vera partenità, la nascita del primo figlio Giovanni che giustamente viene ricordato “come il successo più importante.”
"Al primo posto del mio 2010 ci sono due fatti molto personali, la nascita di mio figlio Giovanni e la definizione della vicenda giudiziaria riguardante i ricorsi contro la mia elezione all’Ars che mi ha permesso di lavorare con maggiore serenità - commenta l’Onorevole Marinello - ma anche le tante iniziative in favore del territorio che è possibile portare a termine solo con un impegno serio in un contesto, quello dell’attività parlamentare, che risulta complesso e che si compone di varie fasi, la più importante delle quali è quella della proposta a cui segue il consenso di una maggioranza di parlamentari”.
La conclusione della diatriba legale con Manzullo e quindi il mantenimento dello status di deputato sicuramente si attesta tra le notizie di rilievo, una vicenda che ha necessariamente distolto per mesi gli interessati dalla prosecuzione dell’attività politica reale.
Da segnalare, inoltre, la destinazione di risorse in favore della marineria (disegno di legge del giugno 2010 del Fep 2007/2013) che destina alla città di Sciacca 280 mila euro per lavori al porto, luoghi di sbarco e ripari di pesca, altri contributi per interventi a bordo dei pescherecci e la realizzazione del tratto terminale della banchina di riva nord, dei piazzali e opere di alaggio, grazie all'accordo di programma quadro (4.900.000 euro). E poi - ha continuato - lavori di consolidamento messa in sicurezza della banchina in radice del molo di levante (600 mila euro).
Nella legge sul nuovo ordinamento delle Camera di commercio, l’Onorevole Vincenzo Marinello ci tiene a sottolineare l’importanza che ha avuto, un ruolo determinante nell’inserimento di un articolo che prevede, anche in mancanza di elezione, la presenza nella giunta di un rappresentante del settore della pesca che abbia funzioni consultive sulle proprie materia, senza nessun onore per la Camera di commercio.
E’ stato primo firmatario, infine, di mozioni parlamentari riguardanti interventi contro il progetto di ricerca di idrocarburi al largo delle coste agrigentine e di opportune iniziative al fine di impedire il taglio di fondi alle emittenti locali radiotelevisive nel decreto nazionale “Mille proroghe”.
Nel primo caso soprattutto, la mozione regionale approvata contro le perforazioni petrolifere è stata presa in esame dalle stesse commissioni parlamentari nazionali allorquando hanno deciso di non concedere il nulla osta ad alcune società che intendevano effettuare gli scavi al largo di Gela.
“Per il 2011 mi prefiggo un’attività parlamentare ancora più consistente e un impegno continuo a tutelare le esigenze del nostro territorio”.
I propositi e i progetti già annunciati non mancano, progetti che anche l’amministrazione comunale guidata da Vito Bono non ha mancato di sottolineare con opportune conferenze stampa. Non resta che attendere l’inizio dei lavori e la collocazione della prima pietra cercando di accorciare, per quanto possibile, i tempi e le lungaggini burocratiche tra l’annuncio del finanziamento e la conclusione dei lavori, vero punto debole di qualsiasi amministrazione pubblica in Sicilia. Insomma: stop ai tempi biblici per definire un lavoro pubblico.

Calogero Parlapiano - tratto da "Controvoce"

lunedì 3 gennaio 2011

Nuovi "padrini", vecchi affari...

Dopo gli arresti di Falsone e Messina, il boss Messina Denaro conquista la provincia di Agrigento ed elegge nuovi fedelissimi a Sambuca e Sciacca. Intanto a Palermo con l’operazione “Addiopizzo 5” decine di imprenditori denunciano i propri aguzzini e fanno arrestare 63 persone. Perché le tasse si pagano allo Stato, e non alla mafia

Una nuova famiglia mafiosa, molto potente e vicina al superlatitante Matteo Messina Denaro.
Sarebbe questo l’identikit della famigghia indicata dallo stesso boss castelvetranese per mettere ordine all’interno del mandamento agrigentino, allo stato attuale decisamente allo sbando, dopo gli arresti degli ex capomafia Giuseppe Falsone e Gerlandino Messina.
Il superlatitante sta cercando di serrare le fila dei fedelissimi e, com’era ipotizzabile, ha preso il comando del territorio agrigentino, soprattutto della parte occidentale, quello per intenderci, compreso tra Sciacca, Sambuca e la bassa Quisquina.
La famiglia saccense indicata da Messina Denaro avrebbe accresciuto il proprio potere economico e non solo nel corso degli ultimi tempi, in un periodo relativamente recente e potrebbe riordinarsi attorno alla figura di un vecchio capomafia, attualmente in carcere.
Matteo Messina Denaro ha approfittato della debolezza dei clan della zona per imporre anche in provincia di Agrigento la propria egemonia ed estendere oltremodo la fitta rete di affari che lo coinvolge: edilizia, grossi appalti pubblici, centri commerciali, supermercati, pizzo, droga, business dei rifiuti e traffico di armi. Insomma dovunque ci sia la possibilità di far soldi.
Il nuovo capomafia della provincia indicato dal superlatitante invece sarebbe un boss sessantenne di Sambuca di Sicilia, il quale non vedrebbe di buon occhio i Capizzi di Ribera. Una precisa scelta strategica per spostare l’asse mafioso dalla parte orientale a quella occidentale della provincia, quella per intenderci più vicina a Castelvetrano.
Del resto, dopo la cattura di Gerlandino Messina, la zona tra Porto Empedocle e Favara è diventata un’autentica polveriera che nessuno al momento riesce a controllare.
Il rischio concreto è quello che scoppi una faida tra Messina Denaro e i Capizzi per il controllo di parte del territorio. In Sicilia però stanno per arrivare grossi finanziamenti e solo questo allo stato attuale sta evitando una guerra di mafia. Come era solito affermare Bernardo Provenzano nei vari summit tra le cosche mafiose, agli appalti pubblici si arriva con gli accordi, col silenzio, con la pace. Intanto non si fermano le indagini degli inquirenti, estese su tutto il territorio isolano. Obiettivo: scompaginare la rete tremendamente fitta del racket.
A Natale i pizzini di Salvatore e Sandro Lo Piccolo, già tratti in arresto da alcuni anni, portano in dono alla Sicilia onesta l’arresto di 63 fedelissimi del boss e di suo figlio. Sono finiti in carcere con accuse che vanno dall’associazione per delinquere di stampo mafioso, all’estorsione, all’associazione finalizzata al traffico di droga, detenzione di armi da fuoco e intestazione fittizia di beni. L’operazione ha interessato le famiglie palermitane di Tommaso Natale, Partanna Mondello, Carini, Cinisi e Terrasini. Insomma fiancheggiatori dei due boss che avevano continuato a restare tali, seguendo gli affari per la famiglia.
L’operazione della squadra mobile di Palermo è stata possibile grazie al lungo e mai interrotto lavoro di analisi effettuato sui pizzini ritrovati nel covo di Giardinello, dove il capomafia fu arrestato il 5 novembre 2007, che finora ha portato alla cattura complessiva di 184 persone, all'individuazione dei responsabili di 87 estorsioni e al sequestro di 15 società con fatturati milionari.
Dalla decifrazione dei pizzini, gli investigatori, con questo quinto e ultimo filone dell’inchiesta denominata “Addiopizzo”, sono riusciti a risalire ai responsabili delle estorsioni, del traffico di stupefacenti e a delineare lo scenario estorsivo palermitano. Sono stati così identificati i soggetti ritenuti responsabili di estorsioni o traffico di stupefacenti. La polizia scientifica è riuscita a ricostruire alcune trame mafiose dei Lo Piccolo estrapolando i dati contenuti nel nastro di una macchina per scrivere, reso apparentemente inservibile e buttato tra i rifiuti.
Secondo quanto è emerso dalle indagini a pagare il pizzo sono stati, tra gli altri, anche alcuni imprenditori che hanno eseguito i lavori di ristrutturazione dell’aeroporto “Falcone e Borsellino”, quelli che hanno realizzato una caserma militare e un asilo materno. La polizia ha fatto luce anche sul progetto dei Lo Piccolo di monopolizzare il mercato palermitano della droga, invadendolo con la cocaina proveniente dal Sud America attraverso i porti olandesi.
“Sul fronte del contrasto al racket del pizzo le operazioni “AddioPizzo” hanno avuto un ruolo strategico nel rompere il muro di omertà dei commercianti. Palermo costituisce l’avanguardia nella lotta al racket del pizzo nel territorio siciliano, rispetto ad alcune zone della provincia che sotto questo profilo restano ancora arretrate”. Dichiarazioni importanti quelle del pm Antonino Ingroia. Le vittime dunque hanno collaborato e denunciato. Un passo avanti per rendere questa terra più pulita e più libera dal malaffare. “La Sicilia - ha aggiunto - è cambiata rispetto ad anni fa. Gli imprenditori si mostrano sempre più collaborativi. E questo è un dato di primaria importanza per il nostro lavoro”.
L'inchiesta “Addiopizzo” si è dunque conclusa ed è tempo di primi bilanci. Il capo della Procura di Palermo Francesco Messineo ha usato molta prudenza. “Siamo di fronte ad una crepa nel muro di omertà dietro al quale si trincerano normalmente le vittime del racket”, ha detto. “Quando i commercianti potranno gestire le proprie attività, preoccupandosi solo del mercato e non vivendo il timore del racket – ha proseguito Messineo – Palermo e in generale la Sicilia saranno terre normali. Soprattutto adesso, in prossimità delle vacanze di Natale, l’appello che rinnovo ai commercianti vittime del racket è di trovare la forza di denunciare i propri estorsori”.
Il presidente di Confindustria Sicilia Ivan Lo Bello ha sottolineato l’importanza della collaborazione degli operatori economici vessati assistiti da Addiopizzo ma soprattutto ha sottolineato che “sono ancora tanti gli operatori economici che continuano a pagare il pizzo, non comprendendo il danno che arrecano al tessuto economico e civile e alla nuova stagione che è in corso nella nostra regione”.
A sottolineare l’importanza e la conclusione dell’operazione anche l’intervento espresso dal governatore Raffaele Lombardo. “L’odierna operazione di Polizia libera una vasta area della città di Palermo dai tentacoli del racket del pizzo, assestando un colpo decisivo a una delle cosche mafiose più pericolose. Esprimo il plauso e la gratitudine dell'intero governo della Regione alla magistratura e alla Squadra mobile della Polizia per l’ennesimo grande risultato nella lotta di liberazione della Sicilia dalla mafia. Da questa operazione emerge uno spaccato significativo di quello che è oggi la mafia, in Sicilia: un’organizzazione ancora pericolosamente capace di infiltrare e inquinare il sistema economico, ma contro la quale, finalmente, un numero sempre maggiore di imprenditori si ribella e denuncia, grazie anche al preziosissimo e coraggioso lavoro delle associazioni antiracket che operano nel territorio, realtà che, con l’impegno culturale e di denuncia civile, affiancano l’attività investigativa di forze dell’ordine e magistrati”.
Buoni auspici per il 2011: che sempre maggiori imprenditori e negozianti si coalizzino nella denuncia e nel rifiuto dell’assoggettamento al racket. Le tasse si pagano allo Stato e non alla mafia.

Calogero Parlapiano - tratto da "Controvoce"

sabato 1 gennaio 2011

Debiti su debiti (fuori bilancio) per il comune di Sciacca

Nessun acquirente per i beni messi in vendita dal comune e nuovi debiti fuori bilancio per un totale di quasi 300 mila euro. La situazione economica delle casse comunali si aggrava ogni giorno di più. Per dare ossigeno alle casse quando saranno recuperati i 4,5 milioni di euro che il comune attende da anni dall’EAS?

Il comune di Sciacca ci riprova. Sono stati stilati nuovi bandi per la vendita del baglio Maglienti e della pizzeria Bunker dopo che i precedenti si erano chiusi senza che nessuno avesse avanzato offerte per gli immobili comunali. Approvati intanto nuovi debiti fuori bilancio dopo l'esame del consiglio comunale.
Ci riprova subito dunque il comune di Sciacca. Scaduto il termine per la presentazione delle offerte e appurato che non c’e' stata alcuna manifestazione di interesse, è stata nuovamente avviata la procedura per la vendita del baglio Maglienti e della pizzeria Bunker, due beni appartenuti in passato alla Sitas e transitati al patrimonio del comune di Sciacca una volta che la società è stata dichiarata fallita.
Non si aspettava l’amministrazione che le gare andassero deserte. Colpa della crisi economica o è lo stato attuale dei due immobili ad aver scoraggiato gli eventuali acquirenti? Posto che, una volta venduta, questi beni abbisognano sicuramente di importanti ed efficaci opere di ristrutturazione e ripristino.
Il valore dei beni non è stato modificato, nonostante evidentemente non fosse appetibile. Rimane fissato in 443 mila euro per il baglio Maglienti e in 300 mila euro per la pizzeria.
A proposito di situazione economica del comune di Sciacca, il consiglio comunale, durante l’ultima seduta del 2010, è stato chiamato ad approvare altri 9 debiti fuori bilancio, dopo gli 8 esitati la scorsa settimana.
Oltre ai debiti fuori bilancio, all'ordine del giorno figuravano anche il progetto per la realizzazione della nuova chiesa in località Ferraro e la variante di destinazione d’uso dell’ex sala Bingo, dove si dovrebbe aprire un nuovo supermercato, stavolta a cura della catena tedesca Penny Market.
Il risarcimento a due tecnici comunali, fondi per una impresa incaricata dal comune e soldi per diversi cittadini che in passato hanno subito incidenti stradali a causa della vetustà delle strade comunali: hanno intentato e vinto le rispettive cause contro il comune.
Undici in totale gli ultimi debiti fuori bilancio approvati per la bellezza di 154 mila euro che vanno ad aggiungersi ai 140 mila euro riguardanti i 9 debiti già licenziati nella penultima seduta. Non proprio una bella notizia per le esangui casse comunali. Ma tant’è. I debiti si pagano, prima o poi.
L’assessore Leonte ha dichiarato che puntava proprio sulla vendita dei due beni ex Sitas per rimpolpare un po’ le casse ma i bandi si sono chiusi senza acquirenti e adesso si dovrà inventare qualcosa per recuperare un po’ di grana. Al momento non ci sono grosse alternative: se non si vendono questi beni, ai quali verranno aggiunti presto due vecchie scuole rurali, sarà complicato saldare i debiti. Critica l’opposizione, con Calogero Bono sugli scudi. “I debiti aumentano, per fronteggiare il fenomeno del randagismo siamo già fuori di 100 mila euro.”
Sia Pippo Turco che Simone Di Paola si sono chiesti com’è possibile che il Comune perda regolarmente tutte le cause che i cittadini intentano contro. Si è vociferato durante la seduta di creare una commissione d’indagine ad hoc ma al momento sembra prematuro parlarne. Critico con gli uffici il consigliere Fabrizio Di Paola.
“Il problema non è l’ufficio legale del comune – ha sentenziato Mandracchia del Pd – ma il fatto che le strade comunali dove sono avvenuti questi incidenti sono rimasti nelle stesse condizioni, con le stesse buche. Così facendo non risolveremo mai la questione dei debiti fuori bilancio”. In molti casi le situazioni di maggiore pericolo non sono nemmeno recitante né transennate.
Il consiglio comunale è stato aggiornato per gennaio del nuovo anno con un auspicio preciso: che le arterie stradali vengano meglio monitorate e, per quanto possibile, sistemate onde evitare nuovi spiacevoli incidenti e l’emorragia continua di fondi dalle casse verso privati cittadini. Staremo a vedere.

Calogero Parlapiano - tratto da "Controvoce"