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domenica 28 febbraio 2010

Vasco Rossi - Gabry

Buon ascolto...

"Domani è tardi per vivere la realtà, è meglio viverla..."


Ciao Nonna... ci mancherai... Riposa in Pace

sabato 27 febbraio 2010

Guerra in Afghanistan. Gino Strada: "Sono dei delinquenti"

di Daniele De Luca

Il Senato si appresta a votare il rifinanziamento della missione in Afghanistan. Cinquantuno milioni di euro al mese. Il fondatore di Emergency a CNRmedia: "Vivo questo voto con l'animo disgustato da questa classe di delinquenti politici. La stragrande maggioranza del parlamento vota contro la Costituzione, quindi il termine è appropriato".


Il Senato si appresta a votare il rifinanziamento della missione italiana in Afghanistan. Spenderemo 51 milioni di euro al mese. Da giugno la spesa sarà ancora maggiore, perchè arriveranno altri mille militari. L'anno scorso il costo era stato di 45 milioni di euro al mese. La missione, visto quello che succede in Afghanistan, sembra sempre più in contraddizione con l'articolo 11 della Costituzione: "L'Italia ripudia la guerra come strumento di risoluzione delle controversie internazionali".

Nei giorni scorsi l'onorevole Maurizio Turco (radicale eletto nelle liste del Pd), assieme ad altri cinque deputati radicali che, come lui, alla Camera non votato il rifinanziamento della missione, ha presentato un'interrogazione parlamentare alla Difesa sulla reale natura bellica della nostra missione militare in Afghanistan, denunciandone quindi l'incostituzionalità. Abbiamo raccolto l'opinione di Gino Strada.

Gino Strada, con che animo vive questo nuovo voto del Senato che rifinanzia la missione italiana in Afghanistan?

"Vivo questo voto con l'animo disgustato da questa classe politica, che definisco di delinquenti politici. Perché quando una classe politica, la stragrande maggioranza del parlamento, vota contro la Costituzione del proprio paese, delinque contro la propria Costituzione, quindi il termine è appropriato. Oltre questo c'è lo sdegno per chi non vuol vedere la strage di civili che sta avvenendo in questi giorni, proprio in queste ore, dove si stanno compiendo crimini di guerra inauditi. Non solo si massacrano civili ma si impedisce che i feriti vengano evacuati negli ospedali. Di questo, ovviamente, abbiamo numerose testimonianze, da parte dei pochi che sono riusciti a superare i cordoni che le forze di occupazione hanno disposto intorno ai luoghi dei bombardamenti. Chiediamo ancora, con forza, che si apra un corridoio umanitario per soccorrere la popolazione civile di Marjah".

Il Ministro La Russa ha detto che i nostri aerei non possono commetteri gli errori fatti dagli americani che hanno bombardato dei civili.

"Al ministro chiedo, e allora cosa sono i nostri, aerei da turismo? Cosa fanno, portano in giro i turisti a vedere i bombardamenti? Cosa ci fanno gli aerei militari in zone dove si sta bombardano? Sono affermazioni ridicole. Piuttosto, possiamo indicare alcuni dei pericolosi terroristi feriti dalle operazioni militari nella zona di Marjah. Feriti, perché i morti non li vediamo. Un ragazzo di 10 anni di nome Fasel, una bambina di 12 di nome Rojah che stava prendendo acqua al pozzo e si è presa una pallottola in un fianco, Said, di 7 anni, con una pallottola nel torace, un bambino di 9 anni di nome Akter che stava guardando dalla finestra quando gli hanno sparato in testa… questi sono i talebani".

Pensa che nel nostro paese ci sia una percezione reale di quello che succede in Afghanistan?

"I nostri politici non sanno niente dei talebani, non sanno di cosa parlano. Non saprebbero nemmeno indicare l'Afghanistan su una cartina muta. Purtroppo, questa è la gente che prende decisioni costano la vita a tanti afgani. E che costa una quantità di soldi impressionanti agli italiani. Siamo un paese dove si perdono centinaia di migliaia di posti di lavoro e si buttano via centinaia di milioni in una guerra per sostenere questo piuttosto che quel governo afghano. Mi piacerebbe avere un parlamento decente. Sull'Afghanistan continuano a dire agli italiani bugie clamorose, palle gigantesche. L'unica cosa da fare è smettere di sostenere questa classe politica. Io, personalmente, mi rifiuto di andare a votare. Lo farò quando ci saranno politici degni di questo nome".

22/02/10

http://www.cnrmedia.com/notizia/newsid/8423/afghanistan-italia-in-guerra-gino-strada-sono-dei-delinquenti-politici.aspx

venerdì 26 febbraio 2010

Quella carezza della sera...

Un tuffo nella (bella) musica di qualche decennio fa...
Buon ascolto

New Trolls

giovedì 25 febbraio 2010

Si alle Intercettazioni, No all'Illegalità

Federconsumatori. Le intercettazioni non si toccano

di Rosario Trefiletti

ROMA - Anche dopo i fatti venuti alla luce come quelli della “banda dei cognati” legati alla Protezione Civile e i recentissimi della banda dei “furbetti del telefonino” c’è ancora qualcuno che mette in discussione quella grandissima ed essenziale utilità delle intercettazioni telefoniche. Troviamo ciò francamente disdicevole, soprattutto se si utilizzano in maniera strumentale i legittimi diritti della privacy.


Queste prese di posizione e l’ostinazione nel mantenere propositi di legge che anziché essere abbandonati vengono di nuovo proposti al Parlamento, fa sospettare che quei propositi preferiscano le simpatie per chi è coinvolto in fatti malavitosi piuttosto per quelli meritori nei confronti della stragrande maggioranza dei cittadini onesti. Non ce ne meravigliamo più di tanto vedendo anche quanti sono coinvolti in quei fatti malavitosi e le cariche politiche ed istituzionali che ricoprono. Per noi di Federconsumatori- rimangono oramai insopportabili questi fatti che oltre ad essere gravi sul terreno dell’etica e della deontologia, comportano ricadute sociali ed economiche gravissimi sulle famiglie italiane oltretutto già alle prese con la drammatica situazione in cui versa il Paese. Sia comunque chiaro, che noi siamo determinati a qualsiasi iniziativa per contrastare tali intendimenti e non escludiamo nel caso, la raccolta di firme degli “onesti” per abrogare norme collusive con il malaffare e la corruzione

http://www.dazebao.org/news/index.php?option=com_content&view=article&id=8834:federconsumatori-le-intercettazioni-non-si-toccano-&catid=37:politica-interna&Itemid=154

mercoledì 24 febbraio 2010

In Consiglio

Ingegnere Fiorino lei è alla sua prima esperienza in politica. Come sono trascorsi questi primi mesi da consigliere comunale?
Sono stati dei mesi intensi di lavoro. Sono stato il primo eletto della mia lista, La Tua Sciacca, e questo mi ha riempito sia d’orgoglio che di responsabilità. E’ vero, sono alla mia prima esperienza politica ma sono felice di essere diventato, grazie agli elettori, consigliere comunale all’interno di una maggioranza solida e che sta cercando di portare avanti, tra mille difficoltà, soprattutto economiche, il programma elettorale proposto nello scorso giugno ai cittadini saccensi. Le cose da fare sono tante, sono dell’idea che la politica deve essere concepita come servizio ed essere al servizio della mia città è parecchio gratificante.
Lei è un esponente del Partito Democratico saccense. Vi attendete a breve l’ormai famoso rimpasto della Giunta Bono?
Il Partito Democratico a Sciacca vanta numeri invidiabili. Gli iscritti sono tantissimi ed altrettanti sono coloro che si sono recati alle urne per eleggere il nuovo segretario nazionale e regionale durante le Primarie dello scorso ottobre. Le liste civiche di area PD alle ultimi elezioni comunali hanno raggiunto ottimi livelli di quorum. All’interno del consiglio comunale abbiamo un gruppo unico e compatto di dieci consiglieri. Questi sono numeri e questi sono fatti. Finora il sindaco Vito Bono ha ritenuto opportuno mantenere l’attuale assetto amministrativo ma è chiaro che, prima o poi, dovrà fare i conti con la cosiddetta verifica politica di maggioranza. Il nostro appoggio non manca, la voglia di fare bene neanche ma forse è giunto il momento di sedersi attorno ad un tavolo per ragionare, con serenità e soprattutto con serietà. La gente di Sciacca si attende delle risposte concrete e noi dobbiamo dargliele. Io continuerò a spendermi per questo.
Quali sono le principali iniziative che ha portato avanti da consigliere a pochi mesi dalla sua elezione?
Mi sono occupato di diverse questioni, in particolar modo di alcune situazioni che hanno riguardato e riguardano tuttora la marineria. Dopo il mio intervento, ed in collaborazione con l’assessore alla pesca Ignazio Piazza, abbiamo provveduto a sistemare le caditoie del porto che ormai non presentavano più le grate metalliche mettendo a serio rischio l’incolumità degli utenti pedonali e veicolari dell’area. Così lo scorso novembre il genio civile opere marittime, dopo un iter burocratico abbastanza complesso che non ho mancato di seguire, ha ripristinato circa 40 caditoie del molo di levante. Mi sono interessato affinchè l’amministrazione stipulasse una convenzione con il genio civile opere marittime per la redazione del Piano Regolatore del Porto che è stata firmata ad ottobre: si prevedono la progettazione esecutiva di diversi interventi tra i quali opere marittime e portuali ma anche opere finalizzate alla messa in sicurezza e alla difesa della fascia costiera, interessata da un forte fenomeno erosivo. Mi sono occupato degli interventi di consolidamento e messa in sicurezza delle banchine operative del porto a servizio della flotta peschereccia portando all’attenzione dell’amministrazione tre proposte progettuali predisposte dal Provveditorato interregionale opere pubbliche collegate al Bando relativo a porti, luoghi di sbarco e ripari di pesca cercando di intercettare i fondi della Comunità Europea. Su mia proposta sono stati inseriti due emendamenti al Piano Triennale 2009-2011 approvato in Consiglio: uno che riguarda un progetto per la salvaguardia della costa in località San Giorgio ed un altro per realizzare un nuovo impianto di illuminazione presso la banchina dell’area portuale. Per entrambe le proposte ci auguriamo di poter attingere a fondi europei. Mi sono occupato anche di perdite idriche e viabilità, nel primo caso allor quando era presente quella copiosa perdita lungo la discesa San Paolo e nel secondo caso invece portando all’attenzione dell’amministrazione le condizioni disastrate in cui versano le strade in contrada Raganella. Infine ho cercato di attenzionare anche le situazioni dello Stazzone e della Perriera. Allo Stazzone segnalando le condizioni generiche in cui versa tutta l’area accendendo i riflettori soprattutto sul muro di contenimento che giunge fino all’ex casello ferroviario e che, a causa delle mareggiate e degli agenti atmosferici, risulta essere ormai antiquato. Alla Perriera invece, insieme al mio collega Ambrogio, mi sono mosso per intitolare una via ad Antonio Ritacco, indimenticato leader del locale quartiere, cosa per la quale dovrebbe mancare ormai poco, e di salvaguardare l’ordine, la pulizia, la scerbatura, la potatura, la segnaletica, insomma l’ordinaria amministrazione affinchè il quartiere possa essere pienamente vissuto e gradevole nel suo insieme. Attraverso una precisa istanza ho proposto all’ingegnere capo dell’ufficio del genio civile di Agrigento di aprire una sede distaccata dell’ufficio civile a Sciacca finalizzata allo svolgimento delle procedure di deposito e del conseguente rilascio delle attestazioni necessarie. Sarebbe un notevole aiuto per tutti i professionisti dell’hinterland. Mi sono occupato inoltre di predisporre una bozza di delibera avente per oggetto le procedure autorizzative per la realizzazione di opere costituenti pertinenza ad una unità abitativa quali per esempio tettoie, vetrate, pergolati e porre finalmente chiarezza su pratiche che, attualmente, sono parecchio confuse. Sempre in commissione urbanistica ho smosso le acque per il PUT (Piano Urbano del Traffico), giacente da anni presso gli uffici comunali, affinchè possa essere adeguato ed adottato. Insieme ai miei colleghi del PD ho presentato una mozione per chiedere all’Anas la realizzazione di uno svincolo idoneo per il collegamento alla Statale 115 della strada Cansalamone. Infine questa settimana ho presentato una mozione per cercare di riportare a Sciacca la preziosa statuetta fenicia del Melqart, attualmente conservata a Palermo.
Un’ultima battuta. Se avesse la possibilità di risolvere in un attimo un problema di questa città su quale si concentrerebbe?
E’ difficile a dirsi perché le situazioni da risolvere non mancano, penso alla viabilità ed alle condizioni delle nostre strade comunali e provinciali, penso alla marineria ed a tutte le sue esigenze, penso alla crisi del mondo agricolo, penso a determinate questioni che interessano alcuni quartieri di Sciacca, dallo Stazzone alla Perriera. Forse mi concentrerei soprattutto sull’occupazione. Viviamo in un territorio che ha tantissime qualità e prospettive turistiche. Dovremmo cercare di lavorare tutti insieme ed in sinergia di intenti, per sviluppare tutte le nostre potenzialità poiché ritengo che, sfruttando appieno le nostre risorse, possiamo favorire anche l’occupazione, il futuro delle attuali e delle prossime generazioni. I giovani dovrebbero avere la possibilità di crescere, studiare, vivere tranquillamente nel territorio di appartenenza che tra l’altro non ha nulla da invidiare a zone maggiormente rinomate e pubblicizzate. Per quanto mi riguarda continuerò ad impegnarmi senza lesinare forze affinchè possa dare il mio contributo, concreto e fattivo, a Sciacca, città in cui sono nato e che amo.

Calogero Parlapiano - tratto da "Controvoce"

martedì 23 febbraio 2010

Carnevale di Sciacca 2010: In attesa di Maggio...

Anche il mini carnevale di febbraio è passato. Di questa strana edizione invernale priva di sfilate di carri allegorici resteranno sicuramente le polemiche tra le diverse anime politiche e tra le diverse anime che compongono gli operatori del settore carnevale. Per qualsiasi giudizio finale e complessivo naturalmente si dovrà attendere il mese di maggio quando con tre giorni di sfilate e divertimento fuori stagione si completerà la travagliata edizione 2010 della festa.
Si può però già tracciare un piccolo bilancio di queste giornate vissute all’insegna dei revival. Su un dato credo saremo tutti d’accordo. Col maltempo che si è abbattuto a Sciacca e sulla Sicilia tutta in questi giorni qualsiasi festa, come noi tradizionalmente la intendiamo, sarebbe andata a male col ulteriore spreco di fondi pubblici. Il maltempo del resto è stato come da tradizione il vero protagonista di queste serate che tutto sommato sono trascorse all’insegna dell’allegria. Vuoi o non vuoi il clima carnascialesco a Sciacca giunge sempre, seppur raggelato dai venti siberiani che sono soffiati sull’isola nelle ultime settimane.
Sul palco di Piazza Angelo Scandaliato si sono alternati i gruppi musicali proposti da Accursio Scarpitta, da Nanà e da Pasquale Sabella dei Feeling. Il tutto condito da inni che hanno fatto la storia recente e passata del nostro carnevale, dalle esibizioni di qualche sporadico gruppo mascherato e dall’impegno di tutti coloro che, seppur con un badget non fantasmagorico, hanno messo in piedi una manifestazione carina e seguita da tanta gente, soprattutto giovanissimi, le nuove leve innamorate della festa.
Tra gli eventi non si può mancare di citare l’apertura della mostra presso il museo del carnevale collocato in via Salvador Allende. Come si ricorderà il museo era stato inaugurato a maggio 2009 dall’ex sindaco Mario Turturici ma soltanto adesso, quasi un anno dopo, ha preso finalmente vita. Al suo interno è possibile apprezzare circa 90 plastici di carri allegorici realizzati in ceramica dai maestri locali, alcuni elementi in cartapesta superstiti di qualche carro del recente passato, tantissime fotografie di Carnevale scattate e proposte dal gruppo fotografico L’AltraSciacca Foto, costola dell’associazione L’AltraSciacca. Il museo, a quanto pare, sarà aperto tutti i giorni durante il periodo estivo mentre, in attesa di maggio, sarà possibile trovarlo aperto soltanto a giorni alterni. Presso gli stessi locali verrà trasferito qualche ufficio comunale. Oltre all’unione carristi che si augura di poterne fare un fiore all’occhiello della città, anche l’associazione ceramisti si è impegnata per abbellire ed addobbare ancora di più questa struttura. Hanno presentato infatti un progetto per riqualificare anche il parco situato tutto intorno al museo e intendono realizzare alcune mattonelle in ceramica sulle quali apporre a chiare lettere il nome “Museo Del Carnevale”. Ci auguriamo che davvero questo spazio espositivo possa veicolare e migliorare ancora di più l’immagine di una festa secolare ed amata dalla maggior parte dei saccensi.
Detto questo, occorre anche puntare l’attenzione su due fatti negativi. Il primo dato sicuramente dallo spasmodico consumo di alcool da parte dei più giovani i quali evidentemente non si curano se vi siano o meno sfilate di carri. Basta accendere lo stereo e mettere qualche inno, e la bottiglia di vino è bella che pronta. Sono stati diversi i casi di malori e alcune risse hanno funestato il trascorrere sereno della festa realizzata a febbraio. Le stesse forze dell’ordine ammettono che, qualsiasi provvedimento si intenda adottare, è diventato difficilissimo contrastare questo fenomeno. Restrizioni, campagne di sensibilizzazione, educazione a casa, tutto sembra inutile. A carnevale si deve bere e si ci deve stare male, altrimenti non c’è piacere. Non è sicuramente questo il messaggio che gli organizzatori e gli stessi educatori devono lasciar passare. Si ci può divertire anche senza bottiglia in mano. Anzi senza nulla in mano si balla pure meglio!
Altra elemento negativo è la presenza di diversi pupi in cartapesta realizzati per il carnevale di Sciacca riadattati per le feste che si svolgono a Cento ed a Putignano. A quanto pare, non si tratta di una pratica illegale ed è una questione di cui purtroppo si parla ogni anno. Ma tutto questo deve far riflettere chi di competenza. Se la nostra festa fosse organizzata per bene, sicuramente gli operatori del settore non sentirebbero il bisogno di vendere le proprie opere altrove senza nemmeno godere del legittimo copyright. Così Cento fa festa, si pubblicizza, compare sulle reti nazionali, mette su lotterie e giochi a premi con i pupi di Sciacca, tutto questo senza citarci, tutto spacciato naturalmente per produzione artigianale ferrarese. Andiamo proprio bene…
Nelle ultime settimane si è parlato tanto, su proposta del presidente del consiglio comunale Filippo Bellanca, di mettere insieme un pool di esperti per ripensare la festa ed organizzarla con maggior criterio. Buona idea ma occorre fare in fretta. I circuiti turistici si stanno sempre di più allontanando dal nostro territorio per migrare, non verso posti migliori, ma verso luoghi semplicemente maggiormente organizzati e capaci di mettere su imponenti movimenti di marketing e di promozione.
Insomma c’è ancora tanto da fare per questa festa ed abbiamo ancora tanto da imparare. Nell’attesa ci auguriamo che l’edizione di maggio possa essere organizzata con criterio, coinvolgendo di più le maestranze e riportando al centro dell’attenzione il vero protagonista del carnevale: il carro allegorico.

Calogero Parlapiano - tratto da "Controvoce"

lunedì 22 febbraio 2010

Una Statua per il poeta saccense Vincenzo Licata

L’Associazione di promozione sociale L’AltraSciacca lo scorso anno ha indetto la prima edizione del Premio Nazionale di Letteratura e Poesia “Vincenzo Licata – Città di Sciacca”, che quest’anno verrà riproposto, con l’intento di diffondere su tutto il territorio nazionale il nome di Sciacca unitamente a quello del poeta Vincenzo Licata, che tanto l’ha amata, legandolo al mondo della cultura letteraria e poetica.
La riconoscenza che i saccensi hanno mostrato e mostrano concretamente nei confronti del poeta Licata è veramente tanta, adesso è arrivato il primo riconoscimento ufficiale da parte della città: l’inaugurazione della statua bronzea raffigurante il poeta.
Nel 2005 lo scultore saccense Filippo Prestia ha realizzato gratuitamente una statua del poeta Licata la cui fusione in bronzo, costata all’incirca novemila euro, e’ stata finanziata dal Comune grazie all’interessamento della precedente Amministrazione, in particolare da parte dell’ex sindaco Mario Turturici e dell’ex vicesindaco Giuseppe Segreto. Purtroppo però la statua era rimasta semiabbandonata presso la sala Blasco del Comune senza che alcuno si fosse veramente attivato per la sua collocazione negando così ai saccensi la possibilità di godere dell’elevato pregio artistico che la caratterizza.
L’anno scorso, contestualmente al Premio, era stato preso anche questo impegno. Mantenuto. Del resto era necessario perché la statua di Vincenzo Licata meritava di essere finalmente collocata in modo da ufficializzare il tributo di Sciacca nei suoi confronti. Grazie, è doveroso dirlo, all’impegno ed alla disponibilità dell’assessore alla pesca Ignazio Piazza, si è riusciti a mettere in contatto ed a mettere d’accordo tutte le persone interessate: lo scultore Filippo Prestia, cui va data particolare menzione per aver fatto dono della statua a Sciacca, gli eredi del poeta, primo fra tutti il figlio Antonello, che ha funto da catalizzatore perché tale evento si concretizzasse ed avesse come ulteriore finalità il prezioso arredamento di un angolo della nostra meravigliosa città, la Capitaneria di Porto e l’amministrazione in carico mentre, è giusto ricordarlo, il maestro Amato ha realizzato il basamento in pietra che sorregge l’opera.
L’azione dell’associazione L’AltraSciacca è stata importante per mantenere vivo l’interesse e coordinare lo sviluppo delle procedure burocratiche e si e’ aggiunta a quella preesistente esercitata da tutti gli estimatori del poeta saccense, con in prima linea il prof. Vincenzo Porrello.
La statua in tutta la sua bellezza verrà inaugurata domenica alle ore 11 presso la zona portuale, precisamente nei pressi della Rocca Regina, area che la giunta Bono vuole rivalutare, abbellire e rendere fruibile. In quella stessa zona sono state già situate delle panchine per godere dello splendido panorama, dei cestini dove gettare i rifiuti ed alcune piante che fanno da arredo urbano. Ma è chiaro che la vera perla è la statua che raffigura il poeta Vincenzo Licata intento a guardare il mare con al fianco un gabbiano, il volatile marino nel quale il poeta si riconosceva. Tra l’altro i genitori di Vincenzo Licata abitavano proprio in quella zona, ossia nei pressi dell’area chiamata “San Paolo”. Non ci poteva essere collocazione migliore. IN mezzo al porto, accanto alla marina tanto amata dai pescatori e dallo stesso poeta.
Interverranno gli esponenti dell’amministrazione comunale, gli eredi del poeta che si sono già detti emozionati e felici per questo evento che attendevano da quasi tre anni, ci saranno anche Pippo Graffeo, noto cultore delle poesie del Licata, che reciterà alcune liriche, i soci dell’associazione L’AltraSciacca ed il mondo culturale e letterario cittadino. Naturalmente tutti i cittadini sono chiamati a partecipare.
Su Vincenzo Licata si è detto e si è scritto tanto ma non tutto. Leggendo le sue opere, riscoprendo le sue liriche, recitando i suoi versi, vengono alla luce sfumature e dettagli sempre nuovi come sempre accade con i veri principi della poesia. Licata era così, immerso nel suo mondo ma aperto come il mare, burrascoso come le onde in tempesta ma leggiadro come un gabbiano che visita luoghi nuovi ed incantevoli.
Alla città di Sciacca ed ai suoi cittadini il compito di non dimenticare, di tutelare la figura del poeta e lo spazio che gli è stato dedicato nei pressi della Rocca Regina nella speranza che i suoi versi continuino a risuonare non solo tra gli amanti del genere ma presso tutte le scuole della città, alla ricerca dei nostri padri. Alla ricerca delle nostre radici.

Calogero Parlapiano - tratto da "Controvoce"

domenica 21 febbraio 2010

IL GATTOPARDO -Visconti 1963- La Sicilia non vuole cambiare...

Emozionanti scene del film di Luchino Visconti del 1963,con Burt Lancaster e Claudia Cardinale.Illustrazione del passaggio della Sicilia dai Borboni ai sabaudi e della conciliazione tra due mondi affinché "tutto cambi perché nulla cambi"


"Un sonno, un lungo sonno... questo è quello che i siciliani vogliono"

sabato 20 febbraio 2010

Aquilani in Piazza per il NO Bertolaso Day... lo avete visto in tv? No?

L'AQUILA (13 febbraio) - Si ritroveranno in piazza alle 14 in punto di domani, con cartelli e scritte, per dire ancora una volta «io alle 3.32 non ridevo», in segno di protesta alla luce delle intercettazioni divulgate negli ultimi giorni relative all'inchiesta fiorentina sugli appalti del G8. Un appuntamento per molti aquilani che si stanno organizzando sui social network, in un'iniziativa che - secondo le intenzione dei promotori - rinuncia ad essere una manifestazione vera e propria, ma rappresenta un momento di incontro.

A decine gli aquilani che, invece, parteciperanno alla manifestazione nazionale contro la Protezione civile Spa, in programma a Roma, in piazza Montecitorio, il 18 febbraio alle 10. Il coordinamento aquilano perla partecipazione a quello che è stato già ribattezzato «No Bertolaso Day» è stato promosso dal comitato spontaneo «3e32».

Confartigianato Abruzzo e dell'Aquila hanno scritto al presidenteAnce, Paolo Buzzetti, chiedendo, a nome anche dei loro iscritti, di radiare dall'associazione, «per comportamento ignominioso», gli imprenditori Francesco Maria De Vito Piscicelli e Gianfranco Gagliardi.

«Senza entrare nel merito della più ampia vicenda giudiziaria che li vede coinvolti - scrivono - vogliamo incentrare la nostra attenzione solo su un fatto inequivocabile e non smentibile: l'intercettazione telefonica nel corso della quale i due soggetti de quo si rallegravano tra loro del tremendo sisma e, forse, brindavano alla disgrazia, mentre noi cercavamo, tra le macerie, i cadaveri dei nostri morti, molti dei quali giovani e nel fiore degli anni, e cercavamo di lenire le ferite di oltre 1500 vittime».

«Dunque - concludono -, un' intera comunità umana e civile, prostrata fino all'inverosimile, ha costituito il banchetto nuziale di alcune imprese che hanno libato e lucrato su una tragedia che non ha avuto eguali nella nostra penisola negli ultimi 90 anni di storia».

venerdì 19 febbraio 2010

Genchi, l'IDV, i Complottisti, Tartaglia ed il Miracolato

Il 13 dicembre Massimo Tartaglia taglia come il burro la scorta di Berlusconi e riesce a colpirlo non con un fucile di precisione dalla cima di un palazzo, ma da mezzo metro con un souvenir che tiene in mano.
Prima reazione di Di Pietro: “Sono contro la violenza, ma Berlusconi con il suo comportamento e il suo menefreghismo istiga alla violenza”.
Prima reazione di Maroni, ministro dell’interno, condannato in via definitiva per aver tentato di mordere un polpaccio ad un agente durante la perquisizione alla sede della Lega: “L’episodio gravissimo di ieri trae le sue cause nel clima di contrapposizione violenta e nelle parole dettate dalla dialettica politica”. Sarà.
Primo bollettino medico: frattura del setto nasale e ferita lacero-contusa che ha richiesto punti di sutura al labbro inferiore. “E' molto scosso, abbattuto e dispiaciuto”, dice il primario. Prognosi: venti giorni.

IL MIRACOLO
Poi, d’improvviso, succede qualcosa. Berlusconi, riporta l’Ansa il 13 dicembre, confessa a Emilio Fede: “Sono miracolato, un centimetro in più e avrei perso l’occhio”.
E il viavai al capezzale riunisce tutte le forze politiche. Condanna al gesto di violenza, "senza se e senza ma", dichiara Bersani all'uscita dall'ospedale. Solidarietà, incontri, auguri. Tartaglia viene intanto descritto come un inventore pazzo orientato nel suo gesto dalle parole contro il premier di precisi mandanti morali: giornalisti (Marco Travaglio) e politici (Di Pietro).
Ed è un clamoroso crescere di eventi. Le condizioni di Berlusconi si fanno più serie. La prognosi, riportano le cronache, passa da 20 a 90 giorni. Una prognosi, per essere chiari, gravissima: come quella di un sudamericano cui avevano tagliato un braccio con un machete a Treviso (22/6/08), come l’operaio che si era fratturato addirittura una vertebra cadendo da tre metri in un cantiere (4/8/09), come il rumeno salvato da un carabiniere mentre bruciava vivo in un’auto a Verona (7/8/09), come l’uomo che perse un occhio nel verbano a capodanno del 2007, come il ragazzo di Oristano preso a roncolate dal fratello e finito in ospedale con ferite e fratture a rotula e femore (29/6/05), come il macedone preso a pistolettate nel torinese che rischiava la paralisi (28/05/01), come il superstite di 62 anni caduto nientemeno che da un ultraleggero a Ravenna (16/10/08), come infine la donna di 87 anni investita da un’auto a Bologna con lesioni a torace, vertebre e invalidità permanente (10/2/2003). Novanta giorni, pesantissimo. E allora, fine delle critiche. Tutti muti.
A Natale, Berlusconi, alle agenzie: “Dopo quanto accaduto in piazza del Duomo il clima politico sembra cambiato in meglio: si è certamente rasserenato”. Vero. E quando esce col cerottone ben visibile sul volto e quando poi lo toglie dopo un solo mese e non c’è alcun segno sul suo viso, di fronte a novanta giorni di prognosi su un uomo di 74 anni, è difficile non gridare al “miracolo”. E’ come se il tizio con la vertebra fratturata facesse capriole dopo un mese o se, sempre dopo un mese, l’uomo caduto dall’ultraleggero si mettesse a saltare da mattina a sera. Il professor Nicolò Scuderi, chirurgo plastico de L’Università La Sapienza di Roma, impiega mezza pagina per spiegare ai lettori stupefatti di Oggi che il tutto può essere spiegato con una “coincidenza di fattori fortuiti (nella fattispecie: sede e tipologia del trauma) e del ricorso a una serie di tecniche chirurgiche all’avanguardia. Anche il tipo di pelle, bisogna dire, ha contribuito al recupero ottimale”.
Sarà di sicuro così. Ma martedì arriva il responso della perizia medico legale chiesta dalla Procura: prognosi da venti a quaranta giorni. Non quaranta d’acchito. Da venti a quaranta. Nella migliore delle ipotesi, meno della metà del previsto. Nella peggiore, venti giorni, meno di un quarto.
E nemmeno si può ipotizzare un complotto dei medici rossi, novelli Che Guevara in mano alla Procura, perché la prognosi è addirittura più generosa della prima fatta al San Raffaele. L'aggressore è appena stato rinviato a giudizio.
E la vicenda comincia a ritornare in un alveo di normalità. Anche se una parte, quella dei “mandanti”, poteva pure essere risparmiata fin dall'inizio: bastava leggere bene il blog di Tartaglia, che pure è stato visto (www.myspace.com/elisirmusicpicture, tornato recentemente attivo) e guardare tra le sue amicizie, per accorgersi che non c’era alcun riferimento politico o giornalistico tra queste, ma quasi esclusivamente artisti o aspiranti tali. Per vedere che Tartaglia, per il quale la difesa ha chiesto l' infermità mentale, era tutt’altro che un inventore pazzo facilmente orientabile. Visto che aveva tra i suoi partners ingegneri elettronici (si veda il suo sito, musicpicture.it) e che il suo sistema opto-audio-elettronico è tuttora tra le 17 opere in vetrina sul “marketing delle tecnologie” (marketingdelletecnologie.it), iniziativa portata avanti nientemeno che dalla Fondazione del Politecnico di Milano.
Invece, è stato montato un enorme dibattito politico sul clima d’odio, diventato presto d’amore. E un dibattito sulla più suggestiva miracolosa guarigione, per un episodio imprevedibile ma capitato solo grazie al fatto che un uomo insospettabile era riuscito a fra breccia nella scorta. E qui, arriva Genchi.


DAL PALCO DELL’IDV
Quando arriva al congresso dell'Idv è un assalto di baci e abbracci. Sale sul palco. E racconta ciò che ha già detto su Telelombardia, in miriadi di interviste e di incontri pubblici, filmati e mandati su Youtube. Basta rivederli per capire a cosa si riferisca: sono tutti uguali. Esprime cioè tutti i suoi dubbi sull’anomalia del comportamento della scorta, che secondo qualsiasi protocollo di sicurezza, non dovrebbe mai aprirsi. Ricorda anche, come ha sempre fatto, che la scorta il premier se l’è scelta lui. E che in passato, avvalendosi di collaboratori poco validi, Berlusconi, già montò un caso clamoroso partendo da un altro fortuito episodio: il ritrovamento di una microspia nel suo studio.

Era l’11 ottobre 1996. Dall’Ansa:
''E' stata trovata durante una bonifica fatta fare a una ditta specializzata; mi hanno spiegato che era perfettamente funzionante e che poteva trasmettere fino a 300 metri di distanza''. La microspia e' stata trovata mercoledi' mattina, ma Berlusconi ha spiegato di aver preferito aspettare che i controlli confermassero che quell' oggetto fosse una microspia attualmente funzionante. ''Voglio anche denunciare alla pubblica opinione una violazione della mia persona, della mia funzione di parlamentare e di leader di Forza Italia. Dico questo anche per tutti i cittadini che si sentono minacciati ogni giorno nei loro diritti''.
Immediate le reazioni. I titoli: Casini: “Polo nel mirino”. Fini: “Servizi deviati ipotesi verosimile”. Mastella: “Clima che debilita la democrazia”. Taradash: “E’ stato potere occulto”. Dalla latitanza si fece vivo pure Bettino Craxi: “Cercare i golpisti”. Solidarietà, allarmismi e preoccupazione. Durò sette mesi. Poi il caso venne archiviato: la pericolosa microspia trovata dalla ditta specializzata nelle bonifiche e "perfettamente funzionante" era “inidonea all’ascolto”. Non andava. Nessuna spy story. La Procura indagò anzi proprio la ditta incaricata dallo staff di Berlusconi della bonifica. Ma poi, alle cronache, non è noto più nulla. Il circo mediatico aperto dal nulla si spense.


6 FEBBRAIO
E allora Genchi, dal palco, definisce, come sempre ha fatto, "pantomima", tutto ciò che accade dopo il colpo di Tartaglia: il premier lasciato ben visibile in mezzo alla folla dolorante col "fazzolettone", che poi è una busta, il premier messo in macchina ma poi lasciato uscire dalla scorta in una maschera di sangue, senza sapere in quel momento se ci fossero o meno altri attentatori. Lui che sale su e giù dall’auto davanti alle telecamere. E tutto ciò che accadrà anche in seguito: il cerottone e la nascita del “partito dell’amore” che, in maniera “provvidenziale” manda in secondo piano tutte le accuse cui è chiamato in questo periodo. In sala, ovazioni. Passa a parlare del suo lavoro nel processo sulle talpe nella DDA di Palermo, terminato in appello con la condanna di Cuffaro. E tutti, dirigenti dell'Idv sul palco compresi, si alzano in piedi. Oltre un minuto di applausi. Ma lascia il congresso con una frase maledettamente profetica sulle "cattiverie che vedrete anche nei prossimi giorni". Sbaglia solo i tempi. E' questione di ore.
Scende, e va a sedersi nel posto che gli hanno riservato in seconda fila. Di fronte ha due sedie vuote, con i cartelli indicanti due nomi che non gli tornano, due persone che arriveranno poco dopo: Bersani. E Latorre, lo stesso Nicola Latorre che appare plurime volte nel suo lungo racconto che mi ha fatto nel libro "Il caso Genchi."
Capisce che qualcosa non funziona. Gli sussurrano che al congresso avrebbero appoggiato la candidatura di De Luca in accordo col Pd. Lo stesso De Luca per il quale nel 2005 l'allora pm di Salerno Gabriella Nuzzi aveva chiesto l'autorizzazione a procedere. La Nuzzi defenestrata per il noto decreto di sequestro e perquisizione fatto a Catanzaro.
Si alza. Saluta. Piglia un taxi. E se ne va.

Alle 11, 01. L'Agi:
CONGRESSO IDV: GENCHI, MIRACOLO QUELLA MADONNINA PER BERLUSCONI. (AGI) - Roma, 6 feb. - "Provvidenziale, quella statuetta della Madonnina. Il cui principale miracolo pare sia stato quello di salvare dalle dimissioni Silvio Berlusconi per quello che stava emergendo, dalle dichiarazioni della moglie, da qualche microfono lasciato aperto mentre Fini diceva delle verita'". Gioacchino Genchi offre alla platea congressuale Idv la sua lettura di uno degli episodi che hanno segnato la cronaca politica recente. Genchi rilancia i dubbi sulla dinamica dell'aggressione di Tartaglia richiamandosi "a quei tanti giovani che su Youtube la stanno analizzando perche' non poteva essere vera". Genchi parla (raccogliera' una vera e propria standing ovation quando rivendica il proprio impegno antimafia) e "da poliziotto che ha diretto servizi di ordine pubblico" allinea dubbi su quella serata in piazza Duomo, non senza toni molto coloriti come quando osserva che "nella protezione delle personalita' c'e' sempre un anello di protezione, come un preservativo, che non puo' essere rotto, tranne per chi ama i rapporti a rischio e tra questi i rapporti non protetti". Il funzionario di polizia critica "quella scorta fatta in casa, scelta da chi aveva un capomafia, un assassino, un trafficante come Mangano a vigilare sulla propria famiglia. Un capomafia fatto passare come stalliere e poi promosso, di fronte alle proteste della mafia, addirittura al rango di 'eroe'". Ancora ironie sulle scene del ferimento di Berlusconi: "Qualunque scorta porta via la personalita' dal luogo dell'aggressione, per evitare che sia uccisa, insieme alla scorta stessa e ad altri inermi. Invece gli hanno fatto fare quello che voleva, e abbiamo visto spuntare quel fazzoletto, nero, enorme. Perche' al nostro premier piacciono accessori di dimensioni inversamente proporzionali alla sua statura. Un fazzolettone enorme, dal quale sembrava dovesse uscire fuori il coniglio di Silvan. Enorme come il cerottone e come la macrospia che tiro' fuori anni fa per accusare le Procure". Ancora pesanti ironie su "quei bollettini medici da Papa morente, dopo il quale lo abbiamo visto tornare meglio di prima, se meglio si puo' dire parlando di Silvio Berlusconi". (AGI)

Ore 11,10, L'Apcom:
Berlusconi/ Genchi: Qualcosa di strano nell'attentato del Duomo Berlusconi/ Genchi: Qualcosa di strano nell'attentato del Duomo Statuetta provvidenziale gli ha evitato dimissioni Roma, 6 feb. (Apcom) - La statuetta che ha colpito Silvio Berlusconi in piazza Duomo lo ha salvato dalle dimissioni: lo ha detto, in un applauditissimo intervento di fronte alla platea del congresso dell'Italia dei Valori in corso a Roma, Gioacchino Genchi, il poliziotto consulente delle procure coinvolto nelle polemiche legate alla inchiesta Why not che ha portato alle dimissioni dalla magistratura di Luigi de Magistris, oggi eurodeputato dell'Idv. Fu "provvidenziale quella statuetta - ha sostenuto - miracolosa, ha salvato Silvio Berlusconi dalle dimissioni forse imminenti". Secondo Genchi "qualcosa non poteva essere vero" nei fatti di piazza Duomo. Basandosi sulla sua esperienza di funzionario di polizia, ha spiegato che "ogni servizio d'ordine ha un anello come un preservativo a protezione delle personalità", e se con Berlusconi non ha funzionato è perché "ama i rapporti a rischio" e ha "la scorta fatta in casa". In particolare, inverosimile appare al vicequestore palermitano il fatto "che non sia stato portato via" dopo il lancio della statuetta, "come si fa in qualunque servizio di scorta per evitare rischi ulteriori per la personalità e la stessa scorta. Gli hanno consentito di fare quello che voleva. E allora abbiamo visto il fazzolettone, sembrava quello di Silvan, pareva dovesse uscire un coniglio, un colombo...". Un fazzolettone, "perché al premier piace scegliere accessori inversamente proporzionali alla sua persona, come quando ha esibito la macrospia trovata nel suo ufficio accusando le procure rosse, io ne ho viste di microspie e non sono fatte così, poi si è capito - ha detto ancora Genchi - che l'aveva messa qualcuno dei suoi...".

E fin qui le agenzie raccontano della dinamica.
Ma alle 11,10, l'Ansa va oltre:
IDV:CONGRESSO; GENCHI, FINTA AGGRESSIONE TARTAGLIA A PREMIER HA SALVATO PREMIER DA DIMISSIONI CHE SAREBBERO ARRIVATE (ANSA) - ROMA, 6 FEB - ''Nel lancio della statuetta del duomo di Milano a Berlusconi non c'e' nulla di vero''.Lo sostiene Gioacchino Genchi, consulente informatico per diverse procure, nel suo intervento al congresso dell'Idv a Roma. Secondo Genchi ''dopo l'outing della moglie di Berlusconi e il fuorionda'' di Gianfranco Fini a Pescara ''provvidenziale e' arrivata quella statuetta che miracolosamente ha salvato Berlusconi dalle dimissioni che sarebbero state imminenti''. Genchi per sostenere la sua tesi cita: ''la mia esperienza in polizia'' e i ''video che tanti giovani propongono su Youtube per capire che nel lancio non c'e' nulla di vero''. L'ex consulente dell'ex pm di Catanzaro Luigi De Magistris punta il dito contro la scorta che ''e' come un anello o un preservativo che non puo' essere rotto,, e contro lo stesso Berlusconi che ''e' uscito da quell'anello''. Per parla di una ''pantomima coronata da quell'uscita di quel fazzoletto nero ed enorme che sembrava quello di Silvan dal quale mancava solo che uscisse un coniglio'' e ricorda anche la vicenda di diversi anni fa quando Berlusconi, all' epoca all' opposizione, mostro' ''un 'cimicione' enorme che ritrovo' nel suo studio accusando le procure rosse e che era chiaramente falsa''. Genchi, nel suo intervento, difende poi Di Pietro ''dagli schizzi di fango che stanno arrivano''. ''Temo - sostiene - che sia solo l'inizio perche' Di Pietro proprio alcuni giorni fa con sofferenza ha deciso di non far mancare l'appoggio ad una alleanza di centrosinistra per un freno al governo Berlusconi''.

Non serve commentare. Ecco il video integrale: http://www.radioradicale.it/scheda/296772/lalternativa-per-una-nuova-italia-congresso-nazionale-de-litalia-dei-valori-seconda-giornata
Lo vedrete per tre settimane e conviene scaricarlo. Perché poi Radio Radicale lo toglie dalla Rete.

Ore 11,26. L'Apcom batte un'altra agenzia:

Mafia/Genchi: Non un caso arresto Graviano dopo 'discesa in campo' Mafia/Genchi:Non un caso arresto Graviano dopo 'discesa in campo' "Latitanti vengono catturati quando non servono più" Roma, 6 feb. (Apcom) - C'è un legame fra l'arresto dei fratelli mafiosi Graviano nel 1994 e la 'discesa in campo', ovvero l'autocandidatura di Silvio Berlusconi alla presidenza del Consiglio. Lo ha detto il vicequestore Gioacchino Genchi, l'ex consulente delle Procure coinvolto a suo tempo nelle polemiche sull'inchiesta Why not che hanno portato alle dimissioni dalla magistratura di Luigi de Magistris, oggi deputato europeo dell'Idv. Intervenendo al congresso nazionale dell'Idv, Genchi ha offerto una sua personale ricostruzione degli ultimi vent'anni della storia d'Italia e del rapporto fra mafia e politica, di quella "trattativa di cui oggi ci sono evidenze", ha affermato. "Non è un caso che i fratelli Graviano vengono arrestati a Milano il 7 febbraio del '94, dopo la dichiarazione di Silvio Berlusconi del 6 febbraio che si sarebbe presentato alle elezioni (in realtà Berlusconi parlò il 26 gennaio, l'arresto dei Graviano avvenne il 27 gennaio, ndr)". "Non è un caso che i latitanti mafiosi e assassini vengano arrestati quando non servono più, vengano usati per quelle catture televisive che servono alle carriere di certi poliziotti, di certi magistrati, di certi politici", ha detto ancora Genchi polemizzando con lo scrittore anticamorra Roberto Saviano: "Non è un caso che un anno dopo la copertina di Panorama dedicata a me come 'scandalo' abbia avuto la dedica della copertina dopo aver parlato di Maroni come miglior ministro dell'Interno".

E alle 11,49 cominciano gli attacchi. Casoli. Rotondi. Ronzulli: "diffidiamo delle analisi sull`aggressione a Berlusconi dello spione telefonico Genchi".
A loro piace attribuire reati mai provati, "spione". Agli altri naturalmente. Quelli già confermati in Cassazione per gli esponenti del loro partito, quello è il solito complotto.
E allora sono reazioni evidenti.
Alle 13,30 arrivano al congresso Bersani e Latorre.

Poi, alle ore 15,12, passate le ovazioni, cominciano le reazioni anche dall'Idv. La prima, è di de Magistris. Alle 15,12, Adnkronos:

BERLUSCONI: DE MAGISTRIS, MAGISTRATURA APPROFONDISCA SU AGGRESSIONE TARTAGLIA Roma, 6 feb. - (Adnkronos) - "Non ho ascoltato cio' che ha detto Genchi. La magistratura deve fare approfondimenti seri, come dissi subito ci sono aspetti che non mi convincono, ma non credo sia utile aprire una polemica politica".


Lui, non ha ascoltato. Chi invece lo ha fatto è sicuramente Massimo Donadi, balzato sul palco subito dopo l'intervento. E' stato l'ultimo ad abbracciarlo. E a baciarlo. Tanto che Genchi aveva avuto il suo bel daffare per alzarsi sulla punta di piedi e raggiungerne guance.
E infatti, alle 15,42, l'Apcom batte la sua nota. Ma non è quella che ci si aspetta: “È grave che Genchi abbia fatto certe affermazioni al congresso di Idv, noi rinnoviamo la nostra ferma condanna del gesto di Tartaglia. Queste tesi fantascientifiche non appartengono alla cultura della giustizia e della legalità di Idv”.

Genchi, ormai già in Sicilia, diretto a Caltanissetta, legge l'agenzia. Chiama l'ufficio stampa di Donadi e chiede conto della nota. Pensa di essere in un film. Spiega che Donadi lo sa che lui non ha mai detto che l'aggressione era una finta e non comprende perchè abbia dichiarato queste cose.
Ma l'ufficio stampa dell'Idv non chiarisce le frasi accusatorie di Donadi. No, manda un comunicato con le precisazioni di Genchi. Cioè l'ufficio stampa dell'Idv non manda una sua nota, ma, molto premurosamente, ne invia una di Genchi.
Che esce alle 18,10.
Passano venticinque minuti. Prima reazione di Di Pietro: “La teoria del finto attentato mi pare inimmaginabile e fantasiosa. Purtroppo la statuetta in faccia al presidente del Consiglio c'è stata ed è stato un atto grave ed inaccettabile.” Eppure, anche lui lo sa che Genchi non ha detto che l'attentato è falso.

Ma non serve altro. E' uno stupendo fiorire di durissime dichiarazioni, come ai tempi della microspia. Reagiscono tutti. Sulle agenzie c'è una sola clamorosa assenza. Hanno reagito quelli del Pdl, ovviamente. Ha reagito Casini per l'Udc, ma questo è ancora più ovvio, leggendo la storia di Genchi e le montagne di condanne portate con le sue consulenze a numerosi politici dell'Udc, compresa proprio quella in appello per Cuffaro, sulla quale le ovazioni al congresso si sono sprecate.
Ha reagito l'Idv, che pure era lì ad ascoltarlo e ad applaudirlo. Mancano però, per la verità, sulle agenzie, le prese di posizione di un grosso partito. Non ce n'è proprio traccia.
Manca infatti all'appello "una parola una" detta da un esponente del Pd. Curioso.

Il giorno dopo, sul Corriere della Sera, Pierluigi Battista: Finalmente, il popolo dei complottisti esce dalla riserva indiana e conquista il palco della politica. Il mondo parallelo degli adepti del cospirazionismo, dopo aver celebrato i suoi fasti nella saga di Dan Brown, dopo essersi globalizzato nell'immensa arena del web, prende il centro della scena in un congresso di partito. Il suo profeta si chiama Gioacchino Genchi, il re dei tabulati telefonici, l'archivio vivente di misteriose «tracce» che riguardano centinaia di migliaia di connazionali, che ha scatenato la standing ovation dell’Idv e ha identificato nel souvenir del Duomo l'arma letale del Grande Complotto. La fantasia al potere, anche se forse non è la stessa di quella sognata dai sessantottini.



LE FOTO DI DI PIETRO CON CONTRADA
Già. C’è naturalmente complottismo e complottismo. A Battista piace più guardare quelli, presunti, degli altri. Un vizio ormai di tanti, guardare altrove. Perché improvvisamente Battista dimentica che non un anno ma solo una settimana addietro, sullo stesso Corriere della Sera di cui lui è vicedirettore e non l’usciere, erano state pubblicate le foto di Di Pietro con Contrada del dicembre 1992, nove giorni prima dell’arresto del numero tre del Sisde. Ed era stato facile giocare su quelle pagine e su quelle foto, alla dietrologia.
Anche se qualcuno le ha tirate fuori 18 anni più tardi, e non quando, ad esempio, Di Pietro aveva nel Paese una popolarità dell’80%. Non quando quelle foto, se fossero andate in mano al sultanato della Prima Repubblica, il CAF, avrebbero potuto dare col clima avvelenato, sospettoso e giacobino che c’era, un freno al viavai di arresti di Tangentopoli che portarono alla fine dei vecchi partiti.
Così come più d'uno tentò di fare con le decine e decine di accuse portate a Brescia, dal pm Fabio Salamone, tutte rigorosamente archiviate.
Sarebbero state utili per un violentissimo attacco al simbolo del pool.
Invece quelle foto non uscirono mai per salvare la Prima Repubblica.
Anche perché, di fronte al drappo dei carabinieri e alla caserma che appaiono nelle foto, si pensò probabilmente a porre un freno all'immaginazione.
Diciotto anni più tardi, con Contrada passato ormai alla storia come il funzionario infedele, giocando sulla memoria corta, è allora molto più facile, con quelle foto in mano, giocare al complottismo per il Corriere e per tutti gli altri giornali, a ruota. Dura un po’. Poi, a spegnere le fiammate, ci pensa, manco a dirlo sullo stesso Corriere, il 4 febbraio 2010, un diplomatico editoriale di Sergio Romano alla vigilia del congresso dell’Idv, dal titolo emblematico “L’ossessione del complotto”: “E’ accaduto che la fotografia di un uomo politico, scattata negli anni in cui era magistrato e apparsa ora sul Corriere, abbia generato l’ultimo complotto italiano. Ed era accaduto anche giorni prima per le ricostruzioni sulle rivelazioni di una famosa escort, apparse anch’esse sul Corriere. Nulla di nuovo. La storia degli ultimi decenni, dalla caduta del fascismo a oggi, è una lunga lista di complotti. Non c’è avvenimento, piccolo o grande, dietro il quale non sia stata immaginata la mano di un regista occulto, di un burattinaio, di un «grande vecchio».
E sì che alla fine, in mano, il Corriere della Sera aveva solo foto scattate in una caserma dei carabinieri tra un magistrato e un poliziotto. Un pm e un tutore della legge in una struttura dello Stato.
Ma appunto c’è complottismo e complottismo. Uno vero, azionato dalle foto del Corriere della Sera di Battista. E uno di cui Battista accusa Genchi, azionato dalle parole non dette da Genchi al congresso.
Interessante.
Ma il migliore, in materia, si presentò però proprio per la vicenda della microspia trovata nello studio di Berlusconi. Mentre tutti solidarizzavano con l'attuale premier e lanciavano allarmi e suonavano sirene, il solito complottista l'11 ottobre 1996 dichiarò all'Ansa: “Le microspie vengono usate solo nei film di James Bond. Secondo me la microspia nello studio di Berlusconi è stata messa o da Berlusconi stesso o da qualcuno dei suoi per fargli fare la figura della vittima”. No, non era Genchi a parlare. Si chiama Roberto Maroni, sempre lui, quello del polpaccio e delle critiche al “clima di contrapposizione violenta”. Oggi fa il ministro dell’interno del Governo Berlusconi.
Questione di destino. Quello di Genchi invece lo profetizza ora Panorama, ottimamente informato, che anticipa la sua possibile destituzione dalla polizia. E questa volta non per aver risposto su Facebook, ma per l'intervento sulla "finta aggressione". Quell'intervento travisato da chi lo aveva abbracciato poco prima, Donadi e Di Pietro, incoronando, poco dopo, De Luca a simbolo della nuova alleanza col Pd.

Edoardo Montolli (13 febbraio 2010)

giovedì 18 febbraio 2010

Il successo in Italia del film VIDEOCRACY

Come incassare 850.000 euro in Italia e finire (con tutti gli onori) al Village.

di Giampaolo Scaglione

Credevate di sapere tutto su Videocracy, il docufilm distribuito nelle nostre sale a partire dallo scorso settembre. Forse non sapete che ha totalizzato poco più di 850.000 euro al box-office: nella classifica 2009 dei 100 film più visti in Italia si trova al numero 64. Un po' poco, insomma. Ma il lungometraggio è salito pochi giorni fa agli onori della cronaca americana grazie al New York Times, e non certo per le ormai ricorrenti turbolenze politico-giudiziarie in ambito governativo e paragovernativo. Non solo per quelle, almeno. È successo che in questo week-end Videocracy sarà proiettato in un entertainment space della Avenue of the Americas, terza Strada, Greenwich Village.

Leggereil pezzo di Manohla Dargis dedicato all'evento è istruttivo: aiuta a capire in che cosa consiste l'immagine del premier al di là dell'oceano. Dove ancora ci si stupisce su come un magnate dei media sia al suo terzo mandato da premier e si stigmatizzano le sue battute (Obama “abbronzato”, Mussolini dispensatore di “vacanze” ai suoi oppositori). Spazio agli ultimi eventi, quindi: a dicembre, Berlusconi a Milano da uno psicolabile e la magistratura - eccola! - chiede ai medici la cartella clinica dell'illustre ricoverato, dopo la sua pronta (per fortuna) guarigione. Pochi giorni fa scoppia il caso-Bertolaso: con molta eleganza, la giornalista del NYT sorvola sulle polemiche innescate dal capo della Protezione civile a Haiti, poche settimane fa, e osserva che il pupillo del premier è accusato di corruzione nel quadro di un'inchiesta che ha portato a quattro arresti.

Nulla di più, sul Guido nazionale. Ma ce n'è abbastanza, per la Dargis, per scoprire Videocracy e sottolineare che il suo regista, Erik Gandini, è un italiano che ha studiato cinema in Svezia; la tv svedese ha accettato di co-produrre il film, peraltro. Giusto per controbilanciare il beneficio ottenuto, il trailer di Videocracy è stato rifiutato sia dalla Rai che - si capisce - da Mediaset. Ma non importa: chi ha visto il film sa che le prime inquadrature si riferiscono all'archetipo di un genere tv che avrà la sua consacrazione solo negli anni Ottanta con Colpo grosso: parliamo di Spogliamoci insieme di Tele Torino International, emittente che il futuro premier comprò nel 1980. Di qui, la fulminante osservazione della giornalista del NYT, secondo la quale per Berlusconi “meno vestiti hanno addosso le donne, più è facile acquistare potere”. (Intendiamoci: la teoria ha anche i suoi padri nobili: Sciascia, in relazione ai suoi conterranei, parlava senza remora alcuna della loro autentica ossessione per il gentil sesso in celebre libro-intervista di Marcelle Padovani).

Fatto sta che Gandini indugia sulle donne che non si risparmiano nel loro “Meno male che Silvio c'è” - la Dargis traduce in maniera erronea in un “Thank God Silvio exists” senza sapere o forse sapendo della storiella non proprio edificante dell'Unto dal Signore?. E la tv? Ci sono le facce di Lele Mora e Fabrizio Corona - che passano alle cronache americane l'uno come ammiratore del Duce e l'altro come uno che si è fatto la galera per tentata estorsione - ma quelle sono solo facce, appunto: la tv è Berlusconi, scrive la Dargis citando il professor Ginsborg, perché è il medium che può tradurre in pratica le idee di Berlusconi nel minor tempo possibile. Videocracy getta nuova luce sul controverso rapporto confronto tra la politica e i media: l'acquisizione del consenso, nel caso del premier, è passata attraverso la ricerca della celebrità, elemento che non poteva essere ottenuto se non creando, comprando o mettendo sotto controllo tv, radio, giornali. L'ultima frontiera - vedi “decreto Romani” - adesso è Internet.

mercoledì 17 febbraio 2010

Lo scandalo della Maddalena. La caduta di Bertolaso è ormai inevitabile?

La caduta - ormai inevitabile - di Guido Bertolaso colpisce alla fondamenta il regime di Berlusconi. Non si tratta tanto delle sue responsabilità personali (che spetterà alla magistratura verificare, ma lo stesso Bertolaso ha già ammesso che c'è del marcio), ma della istituzione della Protezione Civile Spa.
Bertolaso, scriveva Gabriele Polo sul manifesto del 1 luglio del 2009, è «un uomo di tutte le emergenze, in un paese che d'emergenza vive» e aggiungeva, a proposito della Protezione civile, «uno stato nello stato cui compete qualunque evento - naturale o umano - che abbia bisogno di un intervento immediato. Con il potere di muoversi al di fuori di ogni controllo istituzione normale, se non quello della presidenza del Consiglio». La privatizzazione della Protezione civile come anticipazione della privatizzazione dello stato.
Guido Bertolaso, dopo Berlusconi, era l'uomo più potente d'Italia.
Proprio per questo Berlusconi ne inventerà una più di mille per impedirne la caduta. Vanamente - penso io - ma mettendo sempre più a rischio la già compromessa democrazia della nostra repubblica. Ripeto, la sostanza non sono le feste megagalattiche (che pure ci sono state), ma i poteri straordinari della Protezione civile e quindi dell'esecutivo. Non solo il Parlamento, ma anche i ministeri competenti sono espropriati di ogni potere di decisione. Tutto nella Protezione civile, dalle feste patronali ai terremoti, e tutto a Palazzo Grazioli (residenza privata dell'attuale governo italiano).
Per tutte queste ragioni le forze che sono fuori del governo (mi viene difficile dire di opposizione), ma anche la Lega e Fini dovrebbero capire qual è la portata della caduta di Bertolaso e, quindi, comprendere il colpo che si abbatte su Berlusconi. Non si tratta di una tempesta dalla quale si possa facilmente uscire, ma se si lascia a Berlusconi, che circoscrive il tutto ai vizi di Bertolaso, la possibilità di uscirne, sarà proprio un brutto affare per la democrazia italiana e per i cittadini degradati a sudditi. Sotto scacco non è Bertolaso ma Berlusconi.
Vigilanza, si diceva una volta.

http://comunistaquotidiano.blogspot.com/2010/02/si-scrive-bertolaso-si-legge-berlusconi.html

martedì 16 febbraio 2010

"Curriti Picciotti": lo scherzo 2010 del Carnevale di Sciacca

Il diktat del Comune di Sciacca per l’edizione di febbraio del Carnevale 2010 è stato chiaro: “Curriti picciotti”. Infatti rischia di trasformarsi in un esodo la 110° edizione della festa saccense con migliaia di giovani pronti a riversarsi sulle strade per raggiungere i carnevali di Realmonte, Montevago, Misterbianco, Acireale ed altri ancora. Fa specie vedere e sentire sulle emittenti locali e sulle radio gli spot di tutti i carnevali dell’hinterland meno quello di Sciacca. Forse, a ragione, per la pubblicità e per la promozione si punterà tutto sull’edizione di maggio, attualmente work in progress. Intanto per la classica settimana di febbraio sono stati previsti revival musicali di inni delle precedenti edizioni eseguiti dai Feelings e dal gruppo di Nanà, esposizioni e mostre fotografiche all’interno del redivivo Museo del Carnevale nonché la sfilata di qualche gruppo mascherato. Meglio di niente o meglio niente? Ai saccensi l’ardua risposta. Una cosa è certa. Si fa un gran parlare di questa festa, c’è chi la ama, chi la detesta, chi la vuole in estate e chi non la vuole per niente ma alla fine la maggior parte dei cittadini rimangono, ancora oggi, parecchio legati ad un evento che rappresenta uno dei pochi viatici per dare sfogo all’estrosità tutta saccense, all’ironia, alla satira, al bonario sberleffo, alla voglia di evadere dai soliti clichè e schemi che la vita di tutti i giorni ci impone.
La settimana di febbraio è stata tamponata alla bene meglio. Curriti picciotti, dicevamo. Curriti per andare dove?
Prendiamola con ironia, come carnevale impone. Il motivo del rinvio della festa è solamente uno. Tutti gli assessori della Giunta sono rimasti attaccati alle previsioni del tempo mandate in onda da Sky per mesi e mesi ed una volta accertato che dall’11 al 16 febbraio ci sarebbe stato un tempo da lupi, con freddo, gelo e pioggia, hanno convenuto che sarebbe stato meglio rinviare tutto a maggio, mese per il quale sono invece previsti 35 gradi all’ombra. Del resto sarebbe stato inutile e deleterio per le esigue casse comunali spendere troppo per l’ennesima festa bagnata e monca. Scelta azzeccata, non c’è che dire.
A proposito di casse comunali, a quanto pare mettere insieme gli spettacoli di febbraio ci è costato poco meno di ventimila euro, siae compresa. Nel paese dei Perollo e dei Luna qualcuno dirà che sono troppi per una festa priva di carri allegorici e sfilate mentre altri diranno che sono pochi, pochissimi. Ma tant’è.
Ai giovani saccensi che non vorranno “curriri” verso altri carnevali non resterà, oltre agli eventi in piazza Scandaliato, che affollare le diverse feste private organizzate presso alcuni locali della zona. Del resto tra AMK Eventi, Bella Vita, SciaccaHolidays, Ptp Events e tanti altri non mancano proprio gli “enti privati” che si daranno da fare per organizzare qualcosa di grazioso: feste in maschera, musica di carnevale o da discoteca, privè e bizzarrie varie. Tra l’altro quest’anno la domenica di carnevale, pazzie del calendario, coincide con la festa degli innamorati, il famigerato “San Valentino”, quindi nei locali di Sciacca si potrà gustare un bel mix di cuori e maschere, di coppie e coriandoli, di cene e Peppe Nnappa, il tutto per la modica cifra, si fa per dire, di venti-venticinque euro.
Tutti felici e contenti? Non proprio. Chi puntava sul Carnevale per compiere nuove prodezze sentimentali dovrà attendere maggio a meno che non vorrà lanciarsi in nuove avventure attraverso l’ormai famoso “Dottor Why” Special Carnival Edition, una specie di allegro “Chi vuol esser milionario”. Mentre si cercherà di rispondere a temibili domande, i ragazzi avranno l’opportunità, più unica che rara, di conquistare usando il cervello. Non è da tutti i giorni.
Nel frattempo si lavora senza sosta per il mega evento di maggio che non mancherà di attirare tutte le televisioni ed i cameramen piazzati al Verdura Golf Resort per l’arrivo della nazionale tedesca di calcio, pronta a sfidare gli azzurri ai mondiali sudafricani. Ballack, Klose e compagni, ringalluzziti dai caddozzi di sasizza di Peppe Nnappa, dalla granita del famosissimo Zio Aurelio, dalle soavi melodie dei nostri inni e allitrati dall’ottimo vino locale, daranno filo da torcere a tutti in Sudafrica, fino alla vittoria della Coppa del Mondo. A Marcello Lippi ed a tutti gli Azzurri non resterà che maledire Sciacca ed il Carnevale mentre i tedeschi, ogni anno, verranno in pellegrinaggio nella città termale camminando a piedi scalzi sulle ceneri del Peppe Nnappa bruciato alle 5 del mattino.
E allora che festa sia! Divertiamoci, giochiamo, cantiamo, balliamo, alla faccia di chi non vuole e di chi ci vuole male. Curriti picciotti poiché la festa è cominciata.
Del resto Carnevale quando arriva, arriva. Basta scegliere una data comoda per tutti!

Calogero Parlapiano - tratto da "Controvoce"

lunedì 15 febbraio 2010

Se questo non è razzismo...

Qualcuno pensa di gettare un velo sopra la Storia, di coprire con l’indifferenza, la minimizzazione o con qualche gesto “buonista” una delle vergogne più grandi dell’Italia Repubblicana. Rosarno non è il passato, non è un semplice fatto di cronaca svanito nell’intestino di una società che smaltisce tutto in fretta, non appena i mass media ufficiali spengono i riflettori. Rosarno è a un passo da noi, lo è da prima che scoppiasse la rivolta.

È il passo finale di un percorso lunghissimo che, negli ultimi anni, ha fatto vittime, oltraggiato dignità, violentato diritti. Un percorso visibile, percepibile, che può essere perfino toccato, sentito e che, invece, qualcuno ha cercato e ancora cerca di ignorare, respingere. In questi giorni, l’Italia è stata attraversata da un ritornello diffuso, rasserenante, accolto come una certezza, come un concetto ovvio: “Il razzismo non c’entra”. Lo abbiamo sentito dire a tanti, anche a persone che sembrano valide, che appaiono oneste intellettualmente, sensibili al fenomeno immigrazione. Tutti a dire che le cause sono altre, che la colpa è di uno Stato assente, di una Regione assente, che la gente è esasperata, che ha paura, che c’è la crisi, che è solo una guerra tra poveri, perfino che la reazione violenta della popolazione di Rosarno è dovuta alla paura della ‘ndrangheta e non all’odio razziale verso i migranti. Ed è un ritornello che non è nuovo, non riguarda solo gli ultimi fatti di Calabria, ma si pone in un continuum snervante che passa attraverso molti altri casi, fatti, eventi in cui uomini e donne dalla pelle scura sono stati vittime di insulti o aggressioni. In ogni ambito, perfino in quello sportivo.

Si parla molto di Balotelli, il calciatore italiano di origine africana, dei cori subiti a Verona e in quasi ogni stadio in cui si reca. Ogni volta, si parla di questo ragazzo, del suo brutto carattere, degli atteggiamenti, delle provocazioni, come a voler giustificare le volgari ingiurie razziali che subisce da gruppi di esaltati che si spacciano per tifosi, ma che poi passano le giornate tra svastiche e saluti romani. A Balotelli fanno il verso della scimmia, intonano “buuu” tanto stupidi quanto irritanti, urlano vigliaccamente di non volere “negri italiani”. Ma questo non è razzismo, è roba da tifosi, dicono tutti, o quasi tutti. Così come non è razzista deportare in poche ore da Rosarno più di mille lavoratori migranti per sottrarli alla rabbia violenta (anche questa, ovviamente, non razzista) di uomini armati di spranghe e odio. Il ministro Maroni si è difeso dicendo che non c’è stata nessuna deportazione, ma solo la necessità di mettere al riparo gli immigrati, annunciando poi che coloro che sono stati feriti avranno lo status di protezione umanitaria, mentre gli altri “clandestini” portati nei centri verranno espulsi, ma si farà attenzione all’eventuale diritto alla richiesta d’asilo. Ovviamente Maroni si è affrettato a dire che l’Italia non è razzista. Ma perché sprecare fiato per pronunciare una tale “ovvietà”?

Avrebbe potuto dire molte cose, avrebbe potuto spiegare che chi ha subito violenze e denuncia ha comunque diritto ad un permesso e non è una concessione “buonista”, oppure avrebbe dovuto spiegare perché un governo che si vanta ogni giorno di aver messo in ginocchio la criminalità organizzata decida di risolvere la questione Rosarno allontanando i migranti, cioè i bersagli della violenza armata delle “ronde cittadine”, e dandola vinta alle ‘ndrine, tronfie per aver dimostrato ancora una volta che il territorio è in mano loro e che alla fine sono loro a vincere. Il governo ha abdicato, si è arreso. Le forze dell’ordine qualche giorno dopo hanno arrestato alcuni esponenti dei clan di Rosarno: ci è voluta una protesta di poveri disperati che non hanno dimenticato di essere Uomini per convincere lo Stato a farsi sentire sul territorio. Proprio come era avvenuto a Castel Volturno, in Campania, nel 2008. Perché Maroni non ha spiegato questo? Perché non ha voluto dire cosa si è fatto in questi anni per fermare lo sfruttamento, per sottrarre uomini e donne ad una clandestinità che è una croce terribile, una condanna disumana e inspiegabile che pesa sulla schiena di esseri umani che hanno uguale diritto di vivere su questa Terra? Ha preferito sviare. Il ministro-sceriffo, che ha voluto una legge “fabbrica-clandestini”, ha preferito nascondersi dietro una frase finale su cui la maggioranza del Paese costruisce il tetto sicuro sotto il quale riparare la propria coscienza.

Una coscienza bugiarda, ipocrita, razzista. Già, perché come vogliamo chiamare i casi sconcertanti che si sono verificati in Italia in questi ultimi anni? L’elenco è lungo, anche se prendiamo a riferimento solo il biennio 2008-2009. Oltre ai respingimenti, con l’accompagnamento nei lager libici di uomini e donne, persino donne incinte, alcune delle quali sono morte sulla banchina bollente del porto di Tripoli, ci sono stati numerosi episodi di razzismo, in diverse parti d’Italia: Emmanuel Bonsu, il giovane pestato dai Vigili Urbani a Parma; Kante, la madre ivoriana ingiustamente e illegalmente denunciata dopo aver partorito il proprio bimbo; il giovane gabonese rapinato e pestato a sangue, a Torino, da tre ragazzi italiani spacciatisi per poliziotti; la donna nigeriana insultata e schiaffeggiata a Roma da due ragazzine solo perché, sull’autobus, aveva chiesto loro di non fumare; o ancora, il diciannovenne elettricista marocchino, con regolare permesso, a cui “sono precluse le offerte di lavoro pubblicate on-line dall’Atm”, l’azienda di trasporti milanese, che, sulla base di una legge arcaica, riserva i propri posti di lavoro solo a italiani o a cittadini dell’Ue. Per non parlare poi di quelle specie di “leggi razziali” che diversi comuni del nord Italia, molti dei quali in mano alla Lega, hanno adottato nei confronti dello straniero.

Dal “White Christmas”, che prevedeva una vera e propria attività di rastrellamento per “liberare” alcuni paesini dalla presenza di uomini dalla pelle nera, in modo da garantire ai cittadini autoctoni un Natale “bianco”, passando per le proteste dell’opposizione leghista nei confronti della giunta comunale di Cortenuova (Bg), rea di aver versato un contributo di 500 euro alla famiglia di un nigeriano che da anni viveva e lavorava nel paesino per il rimpatrio della salma del congiunto, fino a giungere ai bus-galera e alla proposta di carrozze metrò solo per italiani (a Milano), alla mensa negata ai bimbi immigrati i cui genitori non possono permettersi la retta, agli annunci di case in affitto solo per italiani, ai numeri per denunciare sospetti clandestini, ecc. L’elenco è immenso, nutrito anche dagli inviti alla delazione sperimentati in molti comuni a seguito dell’introduzione del reato di clandestinità e dal clima di odio nei confronti di ogni presunta diversità. Ci vorrebbero decine di pagine per raccontare tutti gli episodi di questo tipo degli ultimi due anni. Ogni luogo sperimenta trattamenti differenti, discriminatori nei confronti di immigrati o di cittadini dalla pelle scura, divenuti il capro espiatorio di una società che non vuole guardare avanti, ma che preferisce riproporre logiche ancestrali, violente, repressive nei confronti di uomini che chiedono solo di poter vivere, lavorare, trovare riparo dopo aver vissuto e lasciato l’inferno, il dolore, la paura.

Ma questa Italia non accoglie, non solidarizza, tutta arroccata dentro la “fortezza-benessere” le cui fondamenta si reggono grazie ad un impasto di sudore e sangue che ha origini straniere, africane, asiatiche, centro e sud americane, est europee. Un impasto multietnico e multicolore, un miscuglio di storie, di sofferenze, di scommesse su un futuro che si incrocia con la speranza di ribaltare il proprio destino. Storie umane, vite concrete che non conoscono pause, sempre in movimento, sempre in lotta per disegnare il proprio domani e quello dei propri figli, eventuali o già esistenti e magari distanti chilometri. Eroi silenziosi e osteggiati, combattuti, vilipesi, odiati senza una ragione, solo sulla base di logiche oscure amplificate dall’alto, da un potere rozzo e da mass media complici, allo scopo di renderli schiavi, clandestini e invisibili nella società, ma concreti e con braccia forti nei settori produttivi che li sfruttano. Un apartheid moderno, un sistema diffuso di esclusione basato su logiche razziali: questo oggi avviene nel nostro “civile” Paese. Ovvio che l’Italia non è tutta marcia, che c’è chi sostiene, rispetta, assiste i migranti, sarebbe ingiusto vedere tutto in negativo, ma altrettanto ingiusto è avere paura della propria coscienza, avere il timore di chiamare le cose con il loro nome.

Negare il razzismo che si diffonde in ampie fasce del Paese significa nascondere la testa sotto la sabbia, significa negare sé stessi, negare il proprio progresso culturale e morale ed incanalarlo nella direzione sbagliata. Una direzione alternativa e pericolosa, che rischia di giungere ad un punto di irrimediabilità. Il razzismo esiste, è tangibile. Non ci sono zone franche, geograficamente parlando, così come sono ignobili i tentativi di giustificazione, ancor più se guidati da logiche di autodifesa campanilistica. E se il campanilismo è ancora forte in Italia, se esso rimane uno dei segni distintivi della realtà italiana, bisogna davvero preoccuparsi, perché di fronte ad un futuro inevitabilmente globale, multicolore e interculturale, queste chiusure irrazionali, se persisteranno, dovranno prima o poi autodistruggersi, sgretolarsi, facendo i conti con le proprie resistenze, con i propri choc. Forse sarebbe più indicato cominciare ad intervenire adesso, aprendo una battaglia culturale pura, costante, capillare, che porti questo Paese e la sua rappresentanza politica a prendere coscienza della propria storia e del proprio domani. Ma quanto tempo ci vorrà? E quante vittime (non numeri, ma esseri umani in carne ed ossa) bisognerà ancora sacrificare?

* Direttore del Il Megafono


http://www.zeroviolenzadonne.it/index.php?option=com_content&view=article&type=news&id=6459

domenica 14 febbraio 2010

"Il Patto, da Ciancimino a Dell'Utri"

Nicola Biondo, giornalista freelance, racconta la storia del libro dal titolo IL PATTO da Ciancimino a Dell' Utri. La trattativa tra Stato e mafia Nel racconto inedito di un infiltrato. Scritto assieme a Sigfrido Ranucci Edizione chiarelettere Tutti video e i libri di beppegrillo.it sono disponibili su http://grillorama.beppegrillo.it/

sabato 13 febbraio 2010

Indovina chi viene a cena?

Il senatore Maurizio Gasparri è intervenuto col consueto acume sul presunto scandalo della foto che ritrae Antonio Di Pietro a cena con alcuni ufficiali dei carabinieri, con un detective dell'agenzia Kroll e soprattutto con l'allora dirigente del Sisde Bruno Contrada nove giorni prima del suo arresto per mafia, il 15 dicembre 1992: "Di Pietro non può non ricordare. Il vero ruolo che ebbe in Mani pulite potrebbe essere ben lontano da quello di personaggio irreprensibile che per anni si è cucito addosso. L'abbiamo sempre sospettato. Ora finalmente escono prove inquietanti. Chi e perché ha tenuto nascosta per tanti anni questa storia?". Esaminiamo il verbo gasparriano con lo scrupolo che l'autorevole autore merita.

1. "Di Pietro non può non ricordare". Infatti ha subito ricordato quella cena nella caserma del Comando legione dell'Arma a Roma, davanti a un'ottantina di reclute armate di macchina fotografica per immortalare l'uomo del momento.
2. "Chi e perché ha tenuto nascosta". Se di quella cena non s'è mai parlato è solo perché non aveva senso parlarne, essendo normale che un pm ex poliziotto frequenti questori, carabinieri e investigatori: solo un idiota potrebbe pensare di tenere nascosta una cena con 80 testimoni.
3. "Abbiamo sempre sospettato un ruolo in Mani Pulite ben lontano da quello di personaggio irreprensibile". Sempre sospettato? Durante Mani Pulite, Gasparri era un fan sfegatato, anzi innamorato di Tonino: "Di Pietro è meglio di Mussolini" (7-5-94), "Per noi Di Pietro è un mito" (23-7-94). E un anno dopo le dimissioni, mentre l'ex pm era indagato a Brescia, seguitava ad adorarlo: "Io spero nel miracolo: che Di Pietro venga con noi" (10-10-95).

Si dirà: ora si scopre che Di Pietro cenava con un tipo in odor di Cia. Ma Gasparri ha sempre difeso la Cia, anche per operazioni illegali come il sequestro Abu Omar: quando fu arrestato il numero tre del Sismi, Marco Mancini, si disse "assolutamente meravigliato". Dunque, anche se i servizi italiani e americani delinquono, Gasparri è con loro. Il problema è che Di Pietro cenò con dei carabinieri? Gasparri ha un fratello generale dell'Arma e ne difende gli ufficiali anche se imputati per favoreggiamento alla mafia.
Accadde a Mario Mori per la mancata perquisizione del covo di Riina: lui s'affrettò a telefonargli "piena fiducia e apprezzamento", accusò la Procura di Palermo di "devastare il Ros" e chiese al Csm di punire il gup che aveva osato rinviarlo a giudizio. Resta Contrada: che Gasparri lo ritenga colpevole? Nossignori: già nel 1996, quando Contrada fu condannato in primo grado, lo difese domandando "se la sentenza sia frutto di riscontri effettivi o di una teoria" e denunciando i "preoccupanti legami tra la sinistra e settori della magistratura". Chissà perché allora Gasparri parla di "prova inquietante", e di cosa. Forse del fatto che Di Pietro va a cena con persone incensurate. Gasparri invece le frequenta da imputate e le difende da condannate. (Marco Travaglio - VoglioScendere Il Cannocchiale)

venerdì 12 febbraio 2010

Dov'è finita Lea Garofalo?


Milano.


Sono 2 le perquisizioni in abitazioni nell'hinterland a nord di Milano e 4 le persone indagate nell'inchiesta milanese sul sequestro di Lea Garofalo...

...l'ex collaboratrice di giustizia scomparsa nel capoluogo lombardo lo scorso 24 novembre.

Le perquisizioni, eseguite dai carabinieri del Nucleo investigativo di Milano, e disposte dai pm Letizia Mannella e Sandro Raimondi hanno riguardato due appartamenti in cui vivono persone conosciute dalla donna e vicine al suo ex compagno Carlo Cosco. Massimo riserbo sul nome degli indagati che dovrebbero appartenere alla cerchia vicina all'ex convivente.

I controlli, pero', non avrebbero fornito elementi utili per rintracciare la donna, probabile vittima di un caso di 'lupara bianca'. La scorsa settimana per Cosco erano scattate le manette con l'accusa di essere il mandante del tentato sequestro della ex collaboratrice di giustizia avvenuto nel maggio scorso a Campobasso, dove la donna risiedeva.

Adnkronos

giovedì 11 febbraio 2010

“Forza Italia è il frutto della trattativa tra Stato e mafia“

Massimo Ciancimino continua la sua deposizione al processo Mori. Chiamando in causa ancora una volta il senatore Dell’Utri e i servizi segreti. E spunta una lettera inviata a dal padre a Berlusconi. Il senatore replica: “E’ un folle”

“Forza Italia è il frutto della trattativa tra Stato e mafia“: Massimo Ciancimino continua con le sue deposizioni fiume al processo Mori, chiamando in causa ancora una volta il partito del presidente del Consiglio Silvio Berlusconi e i presunti legami con Cosa Nostra di Marcello Dell’Utri.

STATO E MAFIA – Ciancimino ha parlato oggi continuando la sua deposizione al processo a carico del generale Mario Mori e del colonnello Mauro Obinu, accusati di favoreggiamento aggravato a Cosa nostra. A riferirlo a Ciancimino sarebbe stato il padre Vito Ciancimino, l’ex sindaco di Palermo, che secondo il figlio avrebbe avviato dopo il maggio del 1992 la trattativa con i Carabinieri da un lato e i boss mafiosi dall’altro. Ciancimino junior ha anche spiegato al pm Antonio Ingroia il contenuto di alcuni ‘pizzini’. L’argomento è stato affrontato dal teste nel corso della spiegazione di un pizzino, depositato agli atti del processo, e che a suo dire sarebbe stato indirizzato dal boss Bernardo Provenzano a Silvio Belusconi e Marcello Dell’Utri. Nel foglietto Provenzano avrebbe parlato di un presunto progetto intimidatorio ai danni del figlio di Berlusconi. “Intendo portare il mio contributo – si legge nel pizzino – che non sarà di poco conto perchè questo triste evento non si verifichi (si allude all’intimidazione ndr). Sono convinto che Berlusconi potrà mettere a disposizione le sue reti televisive”. «Mio padre - ha spiegato il testimone illustrando il biglietto – mi disse che questo documento, insieme all’immunità di cui aveva goduto Provenzano e alla mancata perquisizione del covo di Riina era il frutto di un’unica trattativa che andava avanti da anni. Con quel messaggio Provenzano voleva richiamare il partito di Forza Italia, nato grazie alla trattativa, a tornare sui suoi passi e a non scordarsi che lo stesso Berlusconi era frutto dell’accordo». Il testimone ha anche spiegato che la prima parte del pizzino, che lui custodiva, sarebbe sparita.

I SERVIZI LEGATI A COSA NOSTRA - Prima della deposizione, il figlio dell’ex sindaco di Palermo aveva depositato il passaporto rilasciato al figlio dieci giorni dopo la nascita. Secondo il teste il documento sarebbe stato ottenuto grazie all’intercezione del signor Franco, l’agente dei servizi segreti che per oltre 30 anni sarebbe stato protagonista, nell’ombra, della cosidetta trattativa tra mafia e Stato. Il rilascio del passaporto ad un bambino di soli 10 giorni, prassi insolita, ottenuto grazie allo 007, dimostrerebbe il legame tra il teste, suo padre e l’agente dei Servizi. Ciancimino ha poi consegnato al Tribunale altri documenti, fra cui uno su Ustica e il verbale di quando fu fermato e perquisito sul Monte Bianco nel maggio 2009. Tra il 2001 e il 2002 il capomafia Bernardo Provenzano «ha riparlato con Marcello dell’Utri. Me lo disse mio padre». In quell’occasione sarebbero state date «rassicurazioni» su provvedimenti a favore dei boss, come «l’aministia e l’indulto».Egli ha anche affermato di avere letto la lettera in carcere al padre Vito che, a sua volta, «voleva richiamare alla collaborazione il partito nato anche grazie alla trattativa». Secondo il figlio dell’ex sindaco, l’obiettivo della lettera sarebbe stato quello di invitare Berlusconi «come entità politica, non come individuo» a «tornare sui suoi passi» e rientrare nei ranghi. Vito Ciancimino, come spiegato dal figlio in aula, voleva una rete tv «per dire la sua». Tutto sarebbe nato da una intervista rilasciata dal premier a Repubblicà in cui avrebbe affermato che «se un suo amico fosse sceso in politica gli avrebbe messo a disposizione una rete tv», ha spiegato Ciancimino Junior.

IL SIGNOR FRANCO - Un agente dei Servizi segreti, chiamato il ’signor Franco’, avrebbe invitato caldamente Massimo Ciancimino a «tacere» e a «non parlare più di certe vicende perchè tanto non sarei mai stato coinvolto e non sarei mai stato chiamato a deporre. Cosa che avvenne - aggiunge Ciancimino junior – visto che fino al 2008, quando decisi di collaborare con i magistrati, nessuno mi interrogò mai». Il signor Franco, che secondo Ciancimino avrebbe avuto anche rapporti con il boss Bernardo Provenzano, gli avrebbe consigliatò di tacere dopo un’intervista pubblicata su Panorama da cui «emergeva in qualche modo un mio ruolo nell’arresto di Riina». È sempre Ciancimino a dire che il capitano Giuseppe De Donno, che lavorava con il generale Mori, in più occasioni, negli anni, lo avrebbe rassicurato che nessuno lo avrebbe sentito sulla vicenda relativa proprio all’arresto del boss Riina avvenuto il 15 gennaio del 1993 e su cui sarebbe stato persino apposto «il segreto di Stato».«Mentre mi trovavo agli arresti domiciliari nel 2006, una persona dei Servizi segreti mi disse di non parlare della trattativa e dei rapporti con Berlusconi». «Io dissi loro che c’erano dei documenti, insomma delle prove su tutte quelle vicende e che non avrei potuto sottrarmi, ma lui mi rassicurò che nessuno mi avrebbe chiesto niente». È sempre il figlio dell’ex sindaco a parlare di presunte «pressioni» che avrebbe ricevuto in quel periodo dall’allora vice procuratore nazionale antimafia Giusto Sciacchitano. Questi lo avrebbe invitato «a non coinvolgere la società Gas nell’indagine sul riciclaggio, perchè così ne avremmo tratto beneficio visto che lo stesso Sciacchitano era in buoni rapporti con la procura di Palermo che conduceva l’inchiesta».

IL PAPELLO - I carabinieri e i Servizi segreti sarebbero stati a conoscenza che Massimo Ciancimino teneva il papello in una cassaforte della sua abitazione all’Addaura. La cassaforte, però, non fu mai trovata nel corso delle perquisizioni che vennero effettuate quando Massimo Ciancimino fu arrestato per riciclaggio. Lo ha sostenuto il testimone a cui sono state mostrate delle foto della cassaforte realizzate a luglio scorso dalla Dia. Ciancimino le ha riconosciute, dopo un attimo di turbamento e commozione che ha causato l’interruzione dell’esame. Poi Ciancimino, a sorpresa, ha consegnato in aula una lettera scritta dal padre, l’ex sindaco mafioso di Palermo, indirizzata per conoscenza a Silvio Berlusconi. Il documento, di cui i pm e le difesa non avevano conoscenza , è stato ammesso dai giudici. Non se ne conosce ancora il contenuto.

http://www.giornalettismo.com/archives/50753/forza-italia-frutto-della-trattativa/

mercoledì 10 febbraio 2010

... E la scomparsa dei quotidiani

Il 1° febbraio 1975 usciva sul Corriere della Sera il famosissimo “articolo delle lucciole” (in realtà titolato Il vuoto di potere) di Pier Paolo Pasolini. Un lungo articolo, quasi un piccolo saggio, di analisi rigorosa sui cambiamenti avvenuti nella società italiana all’inizio degli anni ’60; Pasolini collega la scomparsa delle lucciole (sparite a causa dell’inquinamento atmosferico) e la nascita di un nuovo tipo di fascismo, completamento diverso da quello mussoliniano o da quello dei primi anni di governo degasperiano. Un fascismo sotterraneo, fatto di consumismo e di omologazione, dove i valori tradizionali cattolici della patria e della famiglia sono spariti; un nuovo potere nato e sviluppatosi senza che la classe dirigente democristiana se ne accorgesse. Spiegare interamente i vari aspetti di questa analisi è complicato e perciò vi rimando alla lettura dell’articolo (http://www.pasolini.net/saggistica_scritticorsari_lucciole.htm). Quello che invece mi interessa analizzare in questa sede è la situazione delle pagine culturali dei quotidiani italiani di oggi. Negli anni ’70 i giornali erano ricchi di interventi come questo, scritti da intellettuali di grande spessore che ponevano uno sguardo nuovo su alcuni aspetti dell’Italia. Erano anni di furibonde polemiche iniziate tra le colonne di un quotidiano e finito nelle pagine di saggi. Erano anni di grandi pensatori come Pasolini, Calvino, Fortini e Moravia, amici nella vita, ma convinti che il dibattito potesse arricchire il pensiero di un’intera nazione. Oggi invece cosa abbiamo? Alberoni che ogni lunedì sul Corriere ci spiega perché i fidanzati si lasciano oppure una lunga intervista al politico di turno che ha più il carattere di una velina fascista che di un pezzo giornalistico. Rimangono ancora dei buoni giornalisti con delle ottime rubriche (Buongiorno di Gramellini sulla Stampa o L’Amaca di Serra su Repubblica) ma non c’e più una radicale critica alla società italiana in un periodo come questo dove ce ne sarebbe estrema necessità.
Le cause sono parecchie e riguardano l’intero mondo della cultura. La fine dell’ideologie dopo l’89 ha portato ad un forte nomadismo intellettuale che ha prodotto solo confusione ed una mancanza di critica totale di un intero sistema di pensiero; la carenza di partiti portatori di un’ottica nuova e diversa, ma una grande classe politica senza vere distinzioni; la poca spendibilità della cultura in un mondo concorrenziale e crudele. La conseguenza diretta di tutti questi fattori è la decadenza del quotidiano italiano. Volendo inseguire il linguaggio televisivo si è persa la forza culturale della scrittura giornalistica: sempre meno battute e sempre più fotografie e grafici, un’agenda scelta guardando i telegiornali, interesse per il frivolo o per la cronaca patetico-sentimentale, ecc. In un contesto come questo la vera critica sociale non trova posto, perché troppo “intellettuale” (dandone una definizione negativa della parola) e non interessante per il lettore, e si preferisce lasciare la terza pagina al racconto della fiction andata in onda la sera prima. Un articolo come quello di Pasolini non so se sarebbe pubblicabile oggi: certamente non dai tre principali quotidiani nazionali (Corriere, Repubblica e Stampa). Se prima la funzione del giornale era quella di istruire il cittadini, di informarlo sui fatti e cercarlo di farlo crescere ideologicamente (con tutte le conseguenze che avuto negli anni del terrorismo) mettendosi al livello più alto di educatore, oggi si pone allo stesso livello del lettore per poter vendere qualche copia in più. Perciò vedo una sorta di catena che lega la crisi dell’intellettuale e quella del quotidiano; la causa dell’una è l’effetto dell’altra e viceversa. Un articolo di forte denuncia non sarebbe pubblicato, e allo stesso tempo il quotidiano non stimola il dibattito di una classe intellettuale che non esiste. Le conseguenze di questa scelta adottata negli anni ’80 sono state traumatiche per il dibattito politico contemporaneo e, cosa ancora più incredibile, anche per le vendite degli stessi quotidiani.

http://spiritiliberali.blogspot.com/2010/02/la-scomparsa-dei-quotidiani_04.html

martedì 9 febbraio 2010

Tutti al Lavoro

E’ inutile girarci attorno. Tra i saccensi, naturalmente non tutti, sta cominciando a circolare un po’ di malumore per le ultime scelte politiche dell’amministrazione Bono. Le note polemiche sul carnevale, sulla viabilità cittadina e sulle mozioni riguardanti la marineria e la protezione civile hanno acceso gli animi non soltanto tra maggioranza ed opposizione ma anche, se non soprattutto, tra i cittadini della città delle terme. Il tutto condito dall’ormai estenuante attesa del rimpasto di giunta che dovrebbe dare maggiore spazio agli uomini ed ai numeri del partito democratico.
Sciacca, da sempre, è la città dei grandi amori, fulminanti, passionali, rapidi. Spesso però così come nascono, muoiono. In un batter d’occhio. E’ già successo con Ignazio Cucchiara, Ignazio Messina e Mario Turturici. Sicuramente la Giunta Bono ancora gode di una buona dose di speranze, aspettative, nonché di tempo a disposizione. Ma alcune vicende andavano gestite meglio.
Si è parlato per settimane del piano viabilità che ha interessato il centro storico, la via Figuli ed il viale della Vittoria. Alla fine si è generato soltanto confusione. In un clima di tutti contro tutti e soprattutto di tutti contro Brunetto, l’assessore competente. Tra ordinanze e contrordinante, si è evinto che alla fine a spuntarla sono sempre i commercianti. E ciò denota almeno tre cose: manca l’autorità ed il decisionismo da parte di chi, a volte, forse a malincuore, dovrebbe semplicemente “comandare”; i commercianti, a dispetto delle divergenti opinioni, hanno ancora in mano un solido potere decisionale; a farne le spese sono quasi sempre gli ignari automobilisti, ignari nel senso che, se un giorno una strada è a senso unico e l’altro invece diventa a doppio senso, non si ci capisce davvero più nulla, si crea soltanto confusione e si finisce per scontentare tutti anche se si sperava di accontentare qualcuno.
Sulla questione marineria si è detto e scritto tanto ma mai, purtroppo, la parola fine su una vicenda che rischia di assumere connotati grotteschi. Di mercato ittico tutti parlano ma non si capisce perché nessuno compia passi concreti verso la sua apertura. Il piano regolatore del porto potrebbe dare un nuovo assetto all’area portuale di Sciacca ma ancora è troppo presto per valutarne gli eventuali risvolti positivi. Il tutto, spesso, collocato in un clima di degrado anche se, a dire il vero grazie all’attenzione dell’assessore alla pesca Ignazio Piazza, tante volte l’area portuale è stata debitamente ripulita. Si potrebbe parlare di senso civico e di aumentare l’attenzione per l’ambiente circostante da parte degli operatori del settore ma troppe volte questi appelli sono già caduti nel vuoto e rimasti sordi come un eco lontano. Quello che è sicuro è che la pesca, e di riflesso il mare, dovrebbe rappresentare il vero motore della nostra economia ma al momento non sembra che siano state messe in cantiere misure tali da risolvere la crisi del settore. Specie a livello locale. Si dovrebbe attingere a piene mani dai fondi che la comunità europea mette a disposizione presentando nuovi progetti inerenti alla nostra realtà, cosa che soltanto una pubblica amministrazione può fare.
Intanto però contravvenendo a tutte le ordinanze in merito, si continua a pescare beatamente, e nell’illegalità, la neonata. La pesca del novellame è regolata da precise leggi. A Sciacca si poteva cominciare a pescare a partire dal prossimo mese, eppure, come ha denunciato Nino Bentivegna, fiduciario della condotta saccense di Slow Food e noto ristoratore della città, qualcuno non solo pesca lo stesso la neonata ma lo fa in aree attigue alla fogna contravvenendo a tutte le disposizioni in materia di sicurezza igienico – sanitaria. Evidentemente si potrebbero intensificare i controlli da parte della Capitaneria di Porto ed invitare tutti al rispetto delle regole. “Evidentemente la distruzione del nostro mare è autorizzata” ha attaccato Nino Bentivegna. Insomma un altro caso da attenzionare e che non mancherà di avere notevoli conseguenze in ambito marinaro.
Di protezione civile invece si è cominciato a parlare in tempi relativamente brevi, ossia da quando c’è stata l’emergenza della frana di piazzetta Libertà e dopo il crollo della palazzina fatiscente di Favara. Sciacca poggia su un terreno friabile ed argilloso, un terreno iper abusato e violentato dall’uomo. I piani di pronto intervento dovrebbe venire costantemente oliati. Non solo in caso di tragica calamità ma come coscienza civica del problema. Sempre nell’ambito della protezione civile emergono temi caldi come quello della messa in sicurezza dei torrenti di cui la nostra città è piena, in contrada Foggia oppure il noto Cansalamone ed altri. Per non parlare dei piani d’emergenza che riguardano i possibili incendi.
A Sciacca come nel resto della Sicilia insomma c’è un po’ di allarme dopo quei noti fatti di cronaca e si ci chiede con sempre maggiore insistenza cosa si possa fare per il nostro locale dissesto idrogeologico.
Non ci sono dubbi che l’amministrazione Bono, in carica a partire da giugno, quindi da pochi mesi, ha dovuto fronteggiare parecchie emergenze, a partire da quelle economiche. Si attende con ansia che venga deliberato il nuovo bilancio comunale per capire se, dove e quando si potrà intervire sui diversi casi che attanagliano la nostra città.
Una cosa è certa però. La gente si attende fatti e soprattutto concretezza. Il tempo della pazienza e dell’attesa sembra essere giunto alle battute finali. Il sindaco Vito Bono e l’intera squadra assessoriale devono prendere in mano la situazione, decidere, muoversi, progettare, cercare finanziamenti andando a bussare presso tutte le porte e gli uffici esistenti sul Pianeta Terra e dare segnali di attivismo. Attivismo anche politico. Se ci sono da fare correzioni all’organico assessoriale, devono essere fatte al più presto per uscire dall’ambiguità e per cominciare un lavoro che, da qui ai prossimi quattro anni, si presenterà duro ed irto di salito.
Buon lavoro a tutti.


Calogero Parlapiano - tratto da "Controvoce"