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giovedì 28 ottobre 2010

Sciacca, lo Stazzone frana.. : responsabilità, frangliflutti, porticciolo, progetti, correnti. Il PRP risolverà il problema?

Sono passati più di 30 anni da quando allo Stazzone sono stati collocati frangiflutti e porticciolo. Sarà un caso ma è da allora che le frane si susseguono. Nostro reportage sugli ultimi decenni vissuti nella zona, sulle paure dei residenti ed una domanda: il porticciolo è abusivo o no? E dov’è andato a finire il progetto originario del 1975?


Lo Stazzone continua a franare. Questo è un dato di fatto. Quello che dovrebbe rappresentare il nostro fiore all’occhiello in realtà si presenta in pessimo stato: non si può circolare, né passeggiare, tra un po’ nemmeno risiedere. I lavori di rifacimento della rete fognaria, il cosiddetto Parf, sono tuttora in corso e senza l’allaccio non si potrà mettere la parola fine sulla storica fogna a cielo aperto che si riversa in mare e determina un fetore assurdo, specie durante i mesi della calda estate locale.
Ma torniamo alle frane. Non sembra esserci via d’uscita. Il muro di sostegno continua a cedere anche perché le onde del mare in pratica vanno a sbattere contro lo stesso. Al Comune ma anche in Procura si sarebbe fascicoli e carteggi di vario tipo pronti a testimoniare della situazione.
Per alcuni residenti la colpa delle frane sarebbe da ricercare nella costruzione del porticciolo e dei frangiflutti che hanno “ucciso” quella che una volta era la spiaggia più frequentata di Sciacca. Oggi invece l’arenile è quasi scomparso tanto che, come dicevamo, il mare colpisce direttamente il muro di sostegno.
Dal 1978, anno in cui vennero collocati e realizzati frangiflutti e porticello, ad oggi le frane sono state innumerevoli ed hanno colpito diversi punti e zone dell’area.
Intanto dopo appena due anni, ossia nel 1980, le correnti del mare deviate dalle barriere frangiflutti, fecero sparire la secca che era una barriera naturale di sabbia di circa 2000mq che proteggeva tutta la zona dallo scirocco. Del resto basta andare a consultare qualche foto o cartolina di quegli anni per poter “gustare” della differenza tra allora ed ora.
Nel 1982 il comune di Sciacca fece realizzare una passerella in cemento sulla spiaggia della lunghezza di circa 40 metri nei pressi del civico 93, per proteggere la strada che era già in pericolo frana.
Nel 1984 franò la piazza dove vi era il famoso ristorante “Il Corsaro” (qualcuno sicuramente se lo ricorderà) gestito dal signor Perrone. Una notte il gestore fu costretto a portare fuori l’intero arredo poiché il mare si era infiltrato circa sei metri sotto il ristorante stesso.
Facciamo un balzo al 1996 allor quando una paurosa frana investì l’area compresa tra i civici 50 e 75. Era settembre e crollò tutto il muro di protezione della strada. Fortunatamente nessuno subì conseguenze particolari.
Un anno dopo, 1997, a seguito dei macigni buttati davanti ai civici 50 e 75 per proteggere la strada che 4 mesi prima era crollata, la corrente del mare si spostò e nei pressi del civico 82 furono risucchiati altri 60-80 metri di spiaggia.
Nel 1998 un’altra spaventosa frana colpì lo Stazzone, davanti il ristorante “Il Porticello”. L’autorità giudiziaria a seguito di questo grave episodio fece recintare tutta la zona e la sottopose a sequestro.
Nel 2000, nel periodo delle festività di capodanno, si aprì un’altra frana sempre dinanzi il ristorante tuttora esistente, il mare sfondò la recinzione in lamiera collocata dall’autorità giudiziaria, con danni anche alla strada.
Nel 2002 l’ennesima mareggiata si portò via la scala in cemento posta nei pressi del civico 82 trascinandola su quello che rimaneva della spiaggia.
Nel gennaio 2003, causa sempre le mareggiate, crollò parte del muro di recinzione posto davanti il ristorante mentre a maggio, a circa 50 metri dall’ultima casa dello stazzone, in direzione lido salus, la corrente del mare risucchiò parte dell’arenile e crollò il muro di sostegno della ferrovia che, in parte, era già franato alcuni anni addietro.
Nel 2004, a novembre, franò la strada nei pressi del civico 83 portandosi dietro anche alcune aiuole che vi erano state piantate.
Così, di emergenza in emergenza, si giunge fino ai nostri giorni, a due settimane fa, allor quando l’ennesima frana ha coinvolto il mare di sostegno della strada. E’ stato recintato tutto ma, naturalmente, questo non risolve nessun problema.
Il 6 novembre del 2003 venne convocata una conferenza di servizi avente per oggetto proprio la situazione di pericolo frana presso il lungomare di Località Stazzone. Presenti: il neo assessore Michele Ferrara, allora assessore ai lavori pubblici, il comandante del circomare Fabio Rottino, il geometra Antonino La Porta, l’ingegnere Calogero Foti responsabile dell’ufficio regionale della protezione civile e l’architetto e dirigente del comune saccense Sebastiano Porretta. Venne fatto un sopralluogo, la zona venne interdetta al traffico pedonale e veicolare e si decise di collocare una scogliere per evitare che la zona erosa potesse estendersi ancora.
L’ingegnere Foti segnalò che la causa del fenomeno poteva essere addebitabile proprio al braccio del molo del porticciolo Stazzone realizzato alla fine degli anni ’70 poiché lo stesso impedisce il trasporto e il deposito del materiale solido in prossimità della zona danneggiata dalle frane e, pertanto, ne aveva auspicato la demolizione.
Antonino La Porta, ufficiale dei vigili del fuoco, invece si soffermò sulla precaria stabilità del parapetto antistante l’area ex mulino Cuore e invitò l’amministrazione del tempo a porre in essere tutte quelle misure atte alla salvaguardia e alla tutela dell’incolumità pubblica e privata.
Quanto appena riportato non è di poco conto, anzi. Proprio in quelle parole potrebbero risiedere le cause delle continue frane allo Stazzone.
Significativo per esempio quanto dichiarato anni fa, in aperto contrasto l’uno con l’altro, da una parte dall’ingegnere Giuseppe D’Addato e dall’altra dal geometra Lanza, entrambi erano esponenti del genio civile opere marittime di Palermo.
Secondo Lanza, dichiarazione del 2003, quando vennero fatti i lavori per la posa dei frangiflutti e la realizzazione del porticciolo (1979-1981) non venne eseguito alcuno studio sulle correnti marine. Secondo invece D’Addato, siamo nel 1996, quegli studi non solo vennero fatti ma ne occorrerebbero degli altri per capire meglio come e dove intervenire.
Esistono o no questi studi correntometrici? C’è qualcuno che ha mai acquisito e studiato tutti i progetti, relazioni, studi delle correnti, insomma tutta la documentazione relativa alla realizzazione di questi frangiflutti e del porticciolo?
Tenuto conto che il progetto risale al 1975 e che dunque ad oggi sono passati la “bellezza” di 35 anni, il Comune di Sciacca è o non è in possesso di una copia di questo progetto tale da poter chiarire se il porticciolo sia abusivo o meno?
Se dovesse essere abusivo, chi ha consentito la sua costruzione? E perché? E, nel caso in cui fosse davvero abusivo, non sarebbe il caso di demolirlo come regola imporrebbe?
E a prescindere dal fatto che sia abusivo o meno, è stato costruito tenendo conto di tutte le variabili marine o potrebbe davvero rappresentare la causa di tutte le innumerevoli frane che attanagliano l’area? Le autorità competenti non hanno in programma alcun intervento di verifica?
Anche in questo caso le opinioni sono discordanti: nel 1995 l’allora ingegnere del comune Giuseppe Di Giovanna dichiarò che il porticciolo era abusivo. Stessa opinione espresse, nel 1997, durante una seduta, Agostino Friscia, attuale consigliere comunale. Secondo invece l’ingegnere D’Addato prima, e l’ex vicesindaco Corallino poi il tutto è stato costruito e realizzato in modo regolare.
Basterebbe poco per fugare ogni dubbio ed uscire dalla cerchia delle mere opinioni: occorre recuperare il progetto e prenderne visione.
Come risolvere questo atavico problema? Sicuramente andrebbero fatte delle relazioni geologiche da parte di tecnici qualificati nel ramo onde evitare ulteriori danni ambientali e naturali alla zona e poi procedere a dei lavori di messa in sicurezza e ripristino del lungomare. L’impressione invece è che si continui a “giocare” con una questione che alla lunga potrebbe assumere anche contorni gravi e di rischio per l’incolumità di tutti.
Il fenomeno erosivo è un problema molto complesso e ad ampio raggio e non può essere risolto né con misure palliative né con interventi tampone poiché spesso, se non si effettuano gli opportuni studi, nel tentativo di salvare un tratto se ne danneggia un altro.
La corrente, come dice il nome stesso, corre, si sposta e si muove. Gli amministratori degli ultimi 35 anni invece sono rimasti fermi. Anzi, ancorati.

Calogero Parlapiano - tratto da "Controvoce"

martedì 26 ottobre 2010

Realtà a confronto: Valencia e Sciacca. Qual è il vero polo turistico?

Valencia e Sciacca: due città che si affacciano sul Mediterraneo, stesso clima, stessa cucina, stesso amore per la fiesta e la siesta. Eppure quante differenze: pulizia, ordine, servizi organizzati in ogni minimo dettaglio, aree verdi, nessun impatto edilizio e centro storico chiuso al traffico. Qual è il vero polo turistico?

Quando un saccense parla della propria città le opinioni sono sempre ondivaghe: è bellissima, si potrebbe fare di più, non c’è posto più bello, me ne andrei subito, insomma si dice tutto e il contrario di tutto. Forse, come in ogni campo della vita, quando non si è avuta mai la possibilità di guardare altro, si ritiene, a torto, che nulla possa cambiare e che niente possa migliorare. La pulizia per esempio. Come si fa a tenere pulita Sciacca? Le sue strade, i suoi vicoli? Come si fa a non ingolfare tutte le arterie di traffico? Ad evitare che le periferie siano infestate di discariche a cielo aperto di ogni genere e grado? Come si può tenere l’area portuale sistemata ed accogliente?
L’invito a visitare posti nuovi e diversi naturalmente non può essere rivolto soltanto ai cittadini ma anche, se non soprattutto agli amministratori e uomini politici locali e della provincia di Agrigento.
Qualche settimana fa ho fatto capolinea a Valencia, in Spagna. Si tratta della terza città per quantità di abitanti dopo Madrid e Barcellona. E’ una ridente città che si affaccia sul Mediterraneo, ad un’ora e mezzo di volo dalla Sicilia. Ha il porto, il mare, le spiagge e un centro storico, ciudad vella lo chiamano loro, che contiene ogni sorta di monumento e bene architettonico. Insomma un centro da visitare, aperto ai turisti di ogni età e provenienza.
La cosa che a primo impatto però fa più effetto è quella che Valencia non è una città Anche turistica ma che è costruita e realizzata su misura per il turismo, in ogni dettaglio. Aree verdi sterminate, giardini dove è possibile fare footing, pic nic, attrezzi comunali collocati lì per fare palestra all’aperto, 4 kilometri di spiaggia pulita anche ad ottobre, un lungomare pulito e sistemato in ogni aspetto, illuminato, con panchine, ogni sorta di ristorazione e gelateria, edifici, anche quelli privati, costruiti seguendo lo stile moderno e postmoderno dell’intera città, il porto turistico splendido con le barche a vela dell’America’s cup (Alinghi, Luna Rossa, New Zealand…), stand, fiere, l’edificio del circomare splendido, piscine, campi sportivi, fontanelle apposite per lavarsi i piedi dopo che si termina la giornata in spiaggia, piste ciclabili in perfetta sicurezza, impatto delle auto sulla città pari a zero e parcheggi per la maggior parte sotterranei. Verrebbe da chiedersi: ma dove sono andato a finire? Basti pensare al nostro Stazzone, abbandonato e franato in più punti oppure a contrada Muciare che potrebbe essere un punto di forza ed un fiore all’occhiello mentre è una distesa di pietre, erbacce, con una trazzera d’accesso che conduce ad un museo, quello del Mare, terminato ma chiuso. Che rabbia accorgersi di avere pure noi bellezze naturali, paesaggistiche e monumentali e non saperle sfruttare, non realizzandoci intorno servizi congrui ed adatti al turista.
Il porto di Valencia poi è organizzato in ogni punto, pulitissimo, così pulito che, soprattutto in estate, aprono diverse mega discoteche, centri di ritrovo per moltissimi giovani. Un’area curata e dove nulla viene lasciato al caso. Lo stupore, per noi che veniamo da Sciacca, aumenta addentrandosi nel cuore della città, il centro storico. Innanzitutto esso, nelle vie principali e centrali, è interdetto al traffico veicolare perennemente mentre in altri punti esistono delle fasce orarie entro le quali le auto possono o non possono circolare. Evidentemente a Valencia non esisteranno quei commercianti pronto a litigare, protestare per tutto e il contrario di tutto.
Pochissime, per non dire nessuna, le auto parcheggiate poiché esistono i parcheggi sotterranei oppure zone periferiche dove è possibile lasciare il proprio veicolo a motore senza il rischio, tra l’altro, di faticare nel camminare a piedi in quanto il loro servizio autobus è efficientissimo e conduce in ogni dove. Bus nuovissimi, con televisione, conducenti rilassati, posti a sedere a sufficienza, confort anche per i portatori d’handicap. Negli orari dove si prevede maggior affluenza di passeggeri, giungono al capolinea più autobus che conducono allo stesso posto senza alcun problema o lamentela da parte di nessuno.
Una città piena di indicazioni. Ogni via, incrocio, vicolo ha dei segnali ad hoc per il turista dove si indica come raggiungere facilmente la cattedrale, la chiesa, la torre, la determinata piazza, il mercato centrale, il pub, il quartiere. E’ pressoché impossibile perdersi.
I segnali a Sciacca si riducono ad indicare come raggiungere il commissariato di polizia o la caserma dei carabinieri. Occorrerebbe ripensare la nostra città anche in questo modo, rifacendo la cartellonistica stradale, indicando come raggiungere e da dove, chiese, basiliche, musei, castelli e le aree più disparate poiché il turista spesso vaga spaesata fidandosi soltanto del proprio intuito e sperando nell’incredibile fortuna di trovare l’ufficio turistico aperto.
E la pulizia? Valencia è una città splendente sotto ogni punto di vista. Tutte le vie del centro storico vengono lavate ogni notte, le strade e i marciapiedi brillano, le piazze sembrano essere state costruite da poco, nessun gomma da masticare ad imbrattare il marmo.
Gli operatori ecologici lavorano 7 giorni su 7, 24 ore su 24, sempre pronti a eliminare ogni minima imperfezione e sporcizia. Ogni netturbino ha il proprio territorio assegnato e se ne prende cura con fare maniacale. Niente di tutto questo a Sciacca, sporca e non solo nei weekend.
Differente anche la mentalità e la concezione culturale poiché a Valencia, né i residenti né i turisti, si sognano di buttare la benché minima cartaccia a terra, non è nemmeno concepito, l’idea non sfiora minimamente nessuno.
Addirittura gli operatori ecologici hanno delle piccole spazzatrici, che hanno appena il posto per un conducente, attraverso le quali si incuneano perfino nei vicoli del centro e lavano e spazzano tutto, a qualsiasi ora del giorno e della notte. Questa è la pulizia ordinaria. Ma esiste anche la pulizia straordinaria: dopo ogni evento, manifestazione, sfilata, gioco pirotecnico, la città si rimette immediatamente in modo per ripulire tutto. Non si tratta di eccezioni ma della normalità lavorativa e mentale del luogo.
Anni luce di differenza rispetto alla nostra città dove, purtroppo, per i primi i saccensi dovrebbero imparare a considerare casa propria anche il luogo pubblico e non solo l’interno delle mura della propria abitazione.
Queste differenze risaltano ancora più all’occhio perché non si tratta di due posti emisfericamente distanti e dalle culture totalmente opposte. Valencia è a due passi da noi, sul Mediterraneo, stessa cucina, stessa ospitalità, stessa voglia di divertirsi e di far baldoria. Bacino identico, servizi completamente differenti. Eppure a Sciacca non manca nulla dal punto di vista artistico, naturalistico e monumentale. Basterebbe organizzarsi e rubare, nel senso buono del termine, i trucchi di chi davvero riesce a fare e vivere di turismo. Perché oggi considerare Sciacca polo turistico è un’eresia, soprattutto se paragonata ai veri centri funzionali e costruiti ad hoc per il turista.
Consigliamo dunque ai nostri politici locali, a tutti i livelli, una visita nella vicina Valencia per capire meglio come si fa turismo e visitare un vero polo turistico. Al ritorno, così per come siamo organizzati adesso, avranno ancora il coraggio di parlare di turismo a Sciacca?
Buon viaggio dunque. Per andare a Valencia in fondo basta spendere pochi spiccioli grazie ai collegamenti da Trapani che garantisce la Ryanair.

Calogero Parlapiano - tratto da "Controvoce"

sabato 23 ottobre 2010

Mafia, Scacco Matto: sequestrati beni immobili per 1 milione di euro ad Accursio Dimino

Mafia: aggressione ai patrimoni mafiosi. La direzione investigativa antimafia sequestra il patrimonio di Accursio Dimino, saccense, 52enne, ritenuto elemento di spicco di cosa nostra agrigentina e affiliatore di nuove unità alla cosca. Le indagini intanto continuano. “Scacco Matto” potrebbe riservare ancora altre sorprese

La Direzione Investigativa Antimafia di Palermo, nell’ambito delle attività finalizzate all’aggressione dei patrimoni mafiosi, ha sequestrato, ai sensi della legislazione antimafia, beni mobili ed immobili per un valore di oltre 1.000.000 Euro ad Accursio Dimino, cinquantaduenne, insegnante di Sciacca, precisamente di educazione fisica, attualmente detenuto, nonché ad altri componenti del suo nucleo familiare.
Tra i beni oggetto del sequestro figurano 3 appartamenti (uno di 10 vani), ubicati in zona centrale a Sciacca, numerosi conti correnti bancari, libretti di deposito e titoli azionari, per un valore complessivo di oltre 60.000 Euro.
Il decreto è stato emesso dal Tribunale di Agrigento, su proposta avanzata dalla Procura della Repubblica di Palermo - Dipartimento di Criminalità Economica - sulla base di complesse indagini bancarie-patrimoniali esperite dalla D.I.A., diretta dal Generale dei Carabinieri Antonio Girone.
Il Tribunale, condividendo le investigazioni svolte dal Centro Operativo D.I.A. di Palermo, ha motivato il sequestro rilevando la mafiosità del soggetto proposto - accertata in molteplici atti processuali - e la sperequazione tra il valore dei beni posseduti e/o dei redditi dichiarati e l’attività svolta.
Dimino, negli anni, è stato ritenuto personaggio di spessore nel sodalizio mafioso del comprensorio saccense, stabilmente inserito all’interno dell’organizzazione criminale cosa nostra.
Il saccense, già nel 1996, era stato condannato per associazione a delinquere di stampo mafioso, detenzione illecita di armi e danneggiamento seguito da incendio dal Tribunale di Sciacca , nell’ambito del processo "Avana", ad una pena che la Corte di Appello di Palermo fissò in definitivi 10 anni e 6 mesi di reclusione.
Nell’ambito del suddetto procedimento penale era stato accertato che Dimino, fino all'ottobre 1993 (data del suo arresto in esecuzione di altra ordinanza di custodia cautelare) era stato uno dei personaggi di maggior rilievo della consorteria mafiosa di Sciacca, molto vicino a Salvatore Di Ganci, all’epoca, personaggio di vertice di cosa nostra agrigentina ed attualmente detenuto.
Accursio Dimino fino al 1993 svolgeva, insieme ai fratelli, un commercio di prodotti ittici e l'attività di docente di educazione fisica in diversi istituti scolastici statali.
Tra le attività illecite poste in essere dal condannato, nell'ambito del suo ruolo di associato alla famiglia mafiosa di Sciacca, è stato acclarato che vi era anche quello di "reclutamento di nuovi adepti", di individuazione, cioè, di soggetti da inserire in seno all'organizzazione criminale (Sentenza "Avana").
Scarcerato il 12 aprile 2004 e ritornato in Sciacca, Dimino si era immediatamente attivato per ricostituire il sodalizio mafioso operante nella medesima cittadina.
Il 4 luglio 2008, è stato arrestato, unitamente ad altri soggetti, in esecuzione del procedimento richiesto dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Palermo, nell’ambito dell’operazione “Scacco Matto”, in quanto ritenuto responsabile di associazione a delinquere di stampo mafioso, finalizzata ad acquisire la diretta gestione di attività economiche ed appalti di opere pubbliche nel settore edile e turistico-alberghiero, il controllo della fornitura di calcestruzzo, automezzi e manodopera specializzata. L’attività d’indagine aveva scompaginato le famiglie mafiose agrigentine di Sciacca, Menfi, Santa Margherita Belice, Montevago, Sambuca di Sicilia, Burgio, Lucca Sicula, Villafranca Sicula e del mandamento di Ribera.
A Dimino era stato contestato di aver fatto parte della famiglia mafiosa di Sciacca, con il ruolo di capo, svolgendo le attività di controllo illecito delle attività economiche mediante danneggiamenti a scopo intimidatorio ed estorsivo; in particolare, era stato accusato, anche, di essere l’ideatore e mandante dell’incendio dell'autovettura di un imprenditore per costringerlo alle volontà della cosca.
Nell’indagine erano emersi contatti (tramite “pizzini”) tra lo stesso Dimino e il latitante mafioso Matteo Messina Denaro di Castelvetrano, latitante tuttora ricercato, considerato l’erede di Bernardo Provenzano, ritenuto l’attuale capo della Provincia di Trapani, in ordine agli equilibri che intercorrevano tra il sodalizio mafioso di Sciacca e le altre "famiglie" di quel comprensorio.
Per tale procedimento, il 18 febbraio 2010 è stato condannato dal G.U.P. di Palermo, per associazione a delinquere di stampo mafioso, ad 11 anni e 8 mesi di reclusione.
La Procura della Repubblica di Palermo ed il Tribunale di Agrigento hanno rilevato che gli investimenti e gli acquisti operati dal Dimino non hanno trovato alcuna giustificazione nelle sue modeste disponibilità finanziarie, ritenendole, per la loro natura, frutto o reimpiego di attività illecite.
Adesso il sequestro di beni mentre lo scorso 6 aprile il ministro Alfano aveva firmato a carico del Dimino il provvedimento di carcere duro, il cosiddetto 41 bis. L’operazione Scacco Matto promette di riservare ancora sorprese posto che, naturalmente, la mafia non è scomparsa dall’agrigentino seppur ha subito gravi colpi grazie al lavoro costante ed incessante degli inquirenti, della Dia e della Dda.

Calogero Parlapiano - tratto da "Controvoce"

venerdì 22 ottobre 2010

Il rischio d'isolamento che corrono i Giusti

Ormai sono passati più di 18 anni dalla morte di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Quando si ricordano persone come loro, tutti si inchinano, si tolgono il cappello, bofonchiano parole di ammirazione e di dolore. “Sono stati ammazzati dalla mafia. Sono eroi“.

Improvvisamente, di fronte alla morte per mano della mafia, nessuno si azzarda più a criticare quei morti. Tutti eroi, tutti servitori dello Stato, tutti eccellenti lavoratori. Nessuna voce fuori dal coro. E ai giovani del presente e del futuro la storia sarà descritta così. Erano tutti al fianco e sostenitori di quegli eroi italiani.

Peccato che ci si dimentichi sempre di raccontare il resto, di completare la storia. Peccato che quegli eroi, fino al giorno prima di morire, non erano così tanto eroi. O meglio, lo erano agli occhi del popolo, della gente comune, ma per troppi uomini delle Istituzioni le cose stavano diversamente.
“Quando muoiono questi uomini diventano immortali, prima per molti erano soltanto delle carogne".

A pronunciare queste parole Antonino Palmeri, Presidente del Tribunale di Palermo, pochi giorni dopo la strage di via d’Amelio.
Perché in realtà questi “eroi” non erano poi così tanto amati da molti uomini al potere, che fossero politici, magistrati, Csm o chiunque altro. Falcone e Borsellino (come tanti altri eroi prima e dopo di loro) hanno impegnato gli ultimi anni della loro vita sempre su due fronti: da un lato la lotta alla criminalità organizzata e dall’altro la propria difesa contro le delegittimazioni provenienti sia dall’esterno che soprattutto dall’interno delle Istituzioni.
“Farabutti, me li stanno ammazzando tutti sotto gli occhi. E noi assistiamo impotenti. Stanno facendo fuori gli uomini del pool dopo averli delegittimati. Un massacro prima giuridico, poi formale e adesso anche fisico“, continuò il dottor Palmeri, rabbia e dolore a fargli pronunciare quelle parole da troppi suoi colleghi sentite fortemente.

Lo stesso Borsellino l’aveva capito e l’aveva esternato alla moglie Agnese: “Forse saranno mafiosi quelli che materialmente mi uccideranno, ma quelli che avranno voluto la mia morte saranno altri”. Tre settimane prima di morire Paolo ringraziò l’opinione pubblica per aver fatto “il miracolo”, ossia per aver fatto fare marcia indietro al Csm che nel 1988 voleva sbarazzarsi del pool antimafia e che invece, grazie alla spinta della società civile, rimase in piedi.

Lo sanno tutti, gli adulti, ma ai ragazzi si continua a dire delle mezze verità. Falcone e Borsellino non sono stati uccisi solo dalla Mafia. Sono stati uccisi anche dalla delegittimazione, dall’isolamento. Ai ragazzi vengono sempre ricordate le lacrime di dolore dopo la loro morte. Raramente si ricordano le lacrime di rabbia. Perché la rabbia ha sempre un destinatario.
Lo Stato ha “vanificato l’operato dei giudici“, ha “irresponsabilmente” delegato loro ogni forma di lotta alla criminalità mafiosa “senza dotarla di idonei strumenti legislativi e materiali“, fino all’ “ennesima strage mafiosa annunciata, espressione della completa disfatta dello Stato. Uno Stato che è in balia di gruppi di potere ispirati da logiche affaristico-clientelari, perennemente sordo alle ripetute e accorte invocazioni di risveglio e di concreto intervento“. Uno Stato che quindi non si può aspettare nulla “da una magistratura decimata nei suoi uomini migliori e avvilita in un clima di continua attesa mortale“.
Queste le parole contenute nel documento di protesta redatto dai magistrati a Palermo due giorni dopo l’uccisione di Paolo Borsellino.

Ed ora, dopo 18 anni e dopo il sacrificio dei tanti eroi morti, tutto sta tornando uguale. Non appena i ricordi della memoria iniziano ad offuscarsi, le serpi tornano a strisciare, gli eventi tornano a ripetersi. Oggi, a Palermo, al posto di Falcone e Borsellino ci troviamo Antonio Ingroia e Antonino Di Matteo. Il primo il pupillo di Paolo Borsellino, il secondo cresciuto nell’esempio di quei due magistrati, ai quali si è sempre ispirato.
Ricordatevi questi nomi, ragazzi. Perché sono i nomi di due dei pochi magistrati che ancora hanno impresso a fuoco nella loro mente l’articolo 3 della Costituzione Italiana, che ancora hanno la forza e il coraggio di sdegnarsi per il massacro che sta subendo la giustizia italiana. I nomi delle persone che quindi vanno delegittimate. Perché putroppo la storia, per chi dimentica, si ripete.

“Il ministero chiede accertamenti per le dichiarazioni del sostituto procuratore Nino Di Matteo”, titolava l’otto di ottobre l’Espresso. Dichiarazioni a quanto pare poco gradite al potere: “Continua la sistematica e violenta offensiva di denigrazione e isolamento di quei magistrati che credono ancora nel principio dell’uguaglianza di tutti davanti alla legge. Noi resisteremo perché crediamo nella Costituzione sulla quale abbiamo giurato. Con quale faccia si collabora con questo governo?”

In seguito all’assassinio di Borsellino il clima nelle stanze blindate della procura di Palermo era teso, pieno di rabbia, di sfiducia, di dolore. Si parlava di dimissioni di massa dei giudici, per dare un segnale forte.
Vittorio Teresi fu chiarissimo, allontanandosi dai giornalisti e preannunciando le sue dimissioni: “Volevo andar via, ma dopo Falcone sono rimasto, ho detto a Borsellino: metto la mia vita nelle tue mani, ma battiamo la mafia. Adesso basta, mi accorgo che non serve a nulla combattere. Qui si muore per nulla”.

Eppure, in mezzo a tutto quel dolore, rimaneva ancora un po’ di speranza, negli occhi lucidi del sostituto Antonio Ingroia che sussurrò al collega De Francisci: “non possiamo andar via proprio adesso, non possiamo”.
Bene, Antonio Ingroia è rimasto. Come Antonino Di Matteo. E come loro altri giudici con nomi forse meno ricorrenti nelle cronache giudiziarie ma ugualmente impegnati.

La delegittimazione non è pericolosa solamente per l’isolamento “istituzionale” che ne consegue. E’ pericolosa anche per l’isolamento “emotivo” che questi giudici sono condannati a subire. Quando Falcone e Borsellino avevano tutti contro, Mafia e pezzi delle Istituzioni, l’unica spinta che avevano, allo stremo delle forze fisiche e mentali, era la società civile. “La gente fa il tifo per noi”, diceva Falcone sorridendo.

Con le Agende Rosse stiamo preparando una giornata a sostegno di Antonino Di Matteo. Faremo in modo di farla al nord, al centro e al sud Italia contemporaneamente, proprio per dare la possibilità a tutti di partecipare. E saremo pronti a scendere davanti ciascun tribunale d’Italia ogni qual volta chi indegnamente occupa le Istituzioni si azzardi a delegittimare uno di questi giudici con un’azione così mirata.

Forse non possiamo proteggere questi magistrati dalla Mafia, forse non possiamo proteggerli da chi abusa per meschini interessi delle Istituzioni, ma sicuramente possiamo proteggerli dall’isolamento.
www.19luglio1992.com

mercoledì 20 ottobre 2010

Sicilia segreta: i sentieri dei pellegrini medievali



Un magico itinerario attraverso le antiche vie percorse dai pellegrini medievali alla scoperta di luoghi suggestivi che riportano indietro, al tempo dei cavalieri templari.

martedì 19 ottobre 2010

"Un Meraviglioso Continente, La Sicilia"

"Un' Isola un Continente".La straordinaria e bellissima varietà del territorio siciliano.


lunedì 18 ottobre 2010

Tutto in "Family". Operazione antimafia a Castrofilippo. Mafia-politica, una contiguità infinita?


L’operazione Family che ha portato all’arresto del sindaco di Castrofilippo e l’ex vicepresidente della Regione Michele Cimino ad essere indagato continua a riservare colpi di scena. I collaboratori di giustizia stanno tessendo la tela degli affari criminali di buona parte del territorio agrigentino. Occhi puntati su appalti, tangenti e compravendita di voti


“Un mafioso prima ancora che un politico. Un uomo scelto perché interno a Cosa Nostra”. Con queste parole il procuratore aggiunto alla Dda di Palermo Vittorio Teresi ha definito Salvatore Ippolito, il sindaco di Castrofilippo, finito in manette con l’accusa di associazione mafiosa inerente all’operazione denominata “Family”. Secondo gli inquirenti e le ricostruzioni dei pentiti, il primo cittadino, eletto nelle liste del Pdl nel 2006 si è incontrato in un’occasione, forse due, con il boss di Campobello di Licata, Giuseppe Falsone, poi arrestato a Marsiglia, e ha partecipato attivamente a diversi summit di mafia della cosca mafiosa di Castrofilippo.
A capo della famigghia locale c’era il vecchio patriarca Antonino Bartolotta, finito in manette insieme ad Angelo Alaimo, del ‘47, Angelo Alaimo, del ‘57, e Giuseppe Arnone, sempre del ‘57.
Secondo la procura di Palermo il sindaco era una figura chiave nell’assegnazione degli appalti che venivano affidati attraverso il sistema della trattativa privata o del cottimo fiduciario, ad imprese amiche vicine alla stessa organizzazione.
Tra le opere pubbliche finite nel mirino di Cosa Nostra c’erano soprattutto il Centro Commerciale “Le Vigne” di Castrofilippo per il quale Ippolito aveva offerto tutto il suo appoggio ed i capannoni del mercato ortofrutticolo di Castrofilippo. A seguito degli arresti, i consiglieri comunali di minoranza del comune di Castrofilippo, Cettina Asaro, Aldo Ciccarelli, Antonino Lo Brutto, Salvatore Piraneo e Calogero Sferruzza si sono dimessi. Il comune rischia lo scioglimento per infiltrazioni mafiose.
Durante la perquisizione in casa del sindaco gli investigatori avrebbero scoperto ''un vero e proprio ufficio comunale parallelo'' in cui veniva decisa la spartizione degli appalti. Fari puntati dunque come sempre sulla spartizione dei principali affari. Dei soldi. Per quanto riguarda la realizzazione dell’ipermercato “Le Vigne”, il progetto commerciale ha attirato gli appetiti di diversi esponenti di Cosa Nostra come Di Gati, Sardino e Falsone. I pezzi grossi della cupola agrigentina, oggi tutti arrestati.
Nell’affaire, secondo quanto ha dichiarato il pentito Maurizio Di Gati, erano stati coinvolti anche diversi politici per ottenere le concessioni edilizie che avrebbero permesso di dare il via ai lavori. Uno di questi è l’allora deputato dell’Udc Vincenzo Lo Giudice grazie al quale la mafia aveva ottenuto anche finanziamenti regionali. Sempre nel 2008 lo stesso Di Gati aveva tirato in ballo anche Salvatore Ippolito. Anche lui inserito perfettamente nel sistema.
Non solo dichiarazioni di pentiti ma anche intercettazioni ambientali e analisi di pile di documenti rivelatisi sporchi. Tra i politici tirati in ballo anche l'ex vicepresidente della Regione siciliana, Michele Cimino, indagato per concorso esterno in associazione mafiosa. Di Gati lo cita per quanto riguarda soprattutto la costruzione del mercato ortofrutticolo parlando di tangenti, mazzette, favori e compravendita di voti. A Cimino nei giorni scorsi infatti e' stato notificato un avviso di garanzia nell'ambito di questa inchiesta. Il leader politico del Pdl ha espresso le proprie sensazioni attraverso alcuni comunicati. "Sono molto dispiaciuto e amareggiato - ha detto Cimino al termine dell'interrogatorio - per questa disavventura giudiziaria. Sono certo che tutto potra' risolversi al piu' presto. Credo nella giustizia e sono pronto e disponibile per qualsiasi altro chiarimento". I magistrati contestano a Cimino di aver comprato, con denaro e assegnazioni di appalti pubblici, i voti di cosa nostra, in particolare delle cosche di Porto Empedocle e siciliana e l’interrogatorio si è protratto per più di tre ore. Naturalmente nelle ultime settimane si sono sprecati gli attestati di solidarietà politica ed umana da parte della classe dirigente regionale, provinciale e locale. “Conosciamo Michele Cimino e siamo certi della sua onesta'. Ha sempre dimostrato con i fatti di saper svolgere nel migliore dei modi, con competenza, rettitudine e responsabilita', i ruoli istituzionali che ha ricoperto. Non possiamo che attendere fiduciosi le decisioni della magistratura''. Hanno affermato i senatori del Pdl Mario Ferrara, Roberto Centaro, Salvo Fleres e Bruno Alicata. Da Sciacca solidarietà e vicinanza è stata espressa dal consigliere comunale Silvio Caracappa. L’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa è scaturita dalle testimonianze dell’ex capomafia agrigentino Maurizio Di Gati oggi pentito, insieme ad altri collaboratori di giustizia.
Cimino, in passato anche vice presidente della regione Sicilia e uomo vicino al sottosegretario al Governo nazionale Gianfranco Miccichè con il quale ha lasciato il Pdl per incongruenze con i vertici regionali di partito, dunque secondo l’accusa avrebbe favorito l’assegnazione di appalti pubblici ad alcune imprese collegate alla mafia di Agrigento. In cambio avrebbe ricevuto mazzette. E voti. Al momento non si sa nulla di più. Le indagini sono in itinere e, come sempre si dice in questi casi, la giustizia farà il proprio corso. Intanto l’8 ottobre sono cominciate le udienze al Tribunale del Riesame di Palermo nel corso delle quali sono stati trattati i ricorsi presentati dai legali di fiducia delle cinque persone arrestate nell’ambito dell’operazione antimafia denominata “Family” tra cui il sindaco del paese Salvatore Ippolito.Le udienze si concluderanno il 12 di questo mese mentre l’istanza di annullamento dell’ordinanza di custodia cautelare in carcere è stata presentata dai legali delle persone arrestate. La mafia dunque è entrata ed entra a piene mani nella spartizione della torta degli appalti. Tutti gli affari danarosi sono buoni: edilizia, supermercati e rifiuti. Il tutto contornato da una fitta rete di “soldati” sparsi nel territorio. “Soldati” che, secondo la DDA, spesso sono nascosti nei posti più impensabili.

Calogero Parlapiano - tratto da "Controvoce"

domenica 17 ottobre 2010

Sciacca, aspettando il rimpasto della Giunta...

Mettere ordine alla questione dei debiti fuori bilancio. Questo è l'obiettivo dell'amministrazione comunale di Sciacca. Di questo argomento si e' parlato nell’ultimo consiglio comunale, sempre in attesa che diventino ufficiali le scelte di Vito Bono sul rimpasto della giunta


Mettere ordine alla drammatica questione dei debiti fuori bilancio. Questo l'obiettivo dell'amministrazione Bono.
L'assessore agli affari legali Gianfranco Vecchio su questa vicenda vuole mantenere un taglio deciso e risolvere definitivamente la questione possibilmente senza instaurare polemiche politiche tra le parti. Di debiti fuori bilancio si è parlato nel corso della seduta del consiglio comunale, una seduta tutto sommato tranquilla, senza particolari squilli di tromba, in attesa che il sindaco Vito Bono ufficializzi scelte in merito al rimpasto che, secondo i più, sono state già prese. Note ormai le frizioni col Pd, con i Leali Per Sciacca e con l’Mpa. L’impressione è che, finalmente, tra pochi giorni sapremo anche se l’emergenza frane seguita alle prime piogge potrebbe fare slittare ulteriormente tutto. Del resto per i saccensi di certo sono più importanti le voragini da sistemare e le fogne a cielo aperto da chiudere rispetto alla spartizione della torta e delle poltrone della sala Falcone Borsellino. Tornando ai debiti fuori bilancio, ne è stato approvato uno che riguarda il risarcimento alla ditta Arpa Onlus che si è occupata dell'affidamento di bambino da parte del tribunale dei minori. La commissione bilancio e finanze presieduta da Michele Patti aveva espresso parere contrario, ritenendo incoerente la tempistica di presentazione in consiglio di questo debito da 28 mila euro, evidenziando che ce n'erano altri di più urgenti. Il punto è passato con l'astensione di cinque esponenti del Pdl.
Dunque nuovi criteri per i debiti fuori bilancio. Prima non c'era un indirizzo specifico da parte dell'amministrazione. Adesso quest'indirizzo c'è. Ieri il consiglio ha affrontato due ore di interrogazioni. Non sono state esaminate le mozioni. Il presidente del consiglio comunale Filippo Bellanca dovrà riconvocare i lavori. Insomma la seduta è filata via senza patemi d’animo particolari, è sembrato come se ormai ci si attende ben altro, qualcosa di più importante, magari il dibattito politico o l’ormai famoso rimpasto.
Ne sapremo di più nei prossimi giorni nella speranza che nel frattempo il maltempo dia tregua alla città, ad una città che dal punto di vista geologica sta letteralmente franando sotto i piedi dei cittadini che, con terrore ormai, guardano al sopraggiungere di ogni acquazzone.

Calogero Parlapiano - tratto da "Controvoce"

sabato 16 ottobre 2010

Sicilia, Lombardo: che "Casini"

Scelti i nuovi assessori del Lombardo IV. Nessuna sorpresa nell’attribuzione delle deleghe. Intanto la scissione tra Udc e Pid formato dai dissidenti siciliani sta determinando importanti effetto domino e nuovi scenari a Palermo e a Roma. Ogni giorno la conta se la nuova maggioranza ha i numeri per continuare a governare


Gian Maria Sparma assessore al Territorio e Ambiente, Gaetano Armao, confermato, all'Economia, Massimo Russo, confermato, resta alla Salute, Pier Carmelo Russo, confermato, alle Infrastrutture, Elio D’Antrassi all'Agricoltura, Sebastiano Missineo ai Beni Culturali, il prefettoGiosuè Marino all'Energia, Caterina Chinnici, confermata, agli Enti Locali, Andrea Piraino al Welfare, Marco Venturi, confermato alle Attività Produttive, Mario Centorrino, confermato, all'Istruzione e Daniele Tranchida al Turismo.
E’ dunque questo il team di dodici assessore tecnici scelti dal governatore Raffaele Lombardo per affrontare la quarta fase del proprio mandato. Già, team. Perché di team si tratta poiché non si registra la presenza di alcun politico seppure ogni tecnico sia stato indicato dai partiti che hanno deciso di comporre la nuova maggioranza di Lombardo.
Mpa, Pd, Udc di Casini, Fli e Api, queste le componenti politiche del Lombardo Quater. Non si può non sottolineare come i figiani di Futuro e Libertà per l’Italia, che hanno indicato il nome di due assessori, in Sicilia si alleino col Pd mentre a Roma hanno deciso di continuare ad appoggiare il premier Berlusconi. Stesso discorso per Casini. Le ripercussioni delle scelte regionali e nazionali sulla politica locale sono evidenti con intere componenti pronte a passare con nonchalance dalla maggioranza all’opposizione e viceversa. Una volta c’erano le bandiere si dice spesso nel calcio. Oggi si cambia bandiera, nello sport così come nella politica, senza problemi. Nuove casacche, nuove poltrone, nuove promesse. Il presidente Lombardo dal canto suo ha ringraziato "tutte quelle forze politiche che lo sosterranno nell'azione riformatrice", ma anche gli assessori che hanno fatto parte delle varie giunte che hanno scandito la legislatura. "Speriamo di ampliare le fette di consenso all'interno di questa assemblea", dice Lombardo ai parlamentari siciliani. E prosegue con parole precise e mai a caso. "L'azione di governo è sempre stata ispirata dal portare avanti un'azione di risanamento e innovazione. Dobbiamo fare pulizia nei conti della Regione. Se ci attarderemo in questa azione di quadratura, rischio che vedo grande, si rischia un federalismo a due velocità tra Nord e Sud. Il governo della Regione è composto da dodici tecnici che risponderanno del loro lavoro a tutta l'Assemblea e a tutti i siciliani". Necessario, per poter valutare con criterio, passare dalle parole ai fatti. Ma su una cosa sembrano esserci pochi dubbi. Questo governo tecnico difficilmente sarà l’ultimo della gestione Lombardo. E’ complicato pensare che si possa arrivare così al nastro di traguardo. Prima o poi le componenti politiche, nel vero senso della parola, torneranno a chiedere spazio in giunta. Si ritornerà a valutare la consistenza della maggioranza e si proseguirà con la rigida conta numerica del tipo “chi è con me” e “chi è contro di me”. La Sicilia rischia la paralisi in tutti i settori produttivi se non si da continuità ad un progetto. Mutare dirigenti e assessori ogni tot mesi non permette né la risoluzione delle varie problematiche né da il tempo necessario ai tecnici per occuparsi pienamente dei compiti loro affidati.
L’aspetto forse più interessante del Lombardo quater è la scissione che ha determinato in seno al partito dell’Udc. Casini, a Roma, si mantiene all’opposizione e ha chiesto la testa di Berlusconi. Gli onorevoli scudocrociati siciliani invece, Cuffaro, Mannino, Ruvolo e altri, in Sicilia avevano chiesto la testa di Lombardo. Risultato: gli ex Udc siciliani continueranno ad appoggiare Berlusconi ed hanno fondato la componente politica “Popolari per l’Italia di domani” (Pid), presente tanto a Roma quanto a Palermo. Casini con i suoi fedelissimi, a Palermo si allea con Lombardo mentre in senato rimane contro Berlusconi. Per la cronaca, a proposito di ripercussioni locali, al comune di Agrigento, l’Udc di Casini ha perso tutti i suoi rappresentanti che sono passati in toto al Pid manniniano. Saverio Romano, ex segretario dell’Udc in Sicilia, non esita a parlare di "scissione" all'interno dell'Udc ed è molto critico con il governo Lombardo e con quanto sta avvenendo in Sicilia. "Da ciò che è avvenuto in Sicilia - sottolinea Mannino - si capisce quali siano le vere intenzioni di Casini a livello nazionale". Vorremmo che Casini tornasse sui suoi passi - conclude Mannino - e che annunciasse la nascita di un vero terzo polo: un vero centro che dialoghi con il centrodestra. La tradizione Dc non può finire (così come avvenne 16 anni fa) all'interno della sinistra. Noi dobbiamo difendere quella tradizione e preservarla da qualsiasi cosa possa metterla a rischio". "Non c'era altro da fare che uscire dall'Udc e formare nuovi gruppi all'Assemblea regionale e alla Camera. Questo nella prospettiva della costituzione del partito dei Popolari per l'Italia di domani (PID)". Questo invece secondo Rudy Maira che ha ufficializzato l'uscita di alcuni deputati regionali dal gruppo dell'Udc. Oltre a Rudy Maira, ormai ex capogruppo Udc, sono presenti nel Pid i deputati regionali Totò Cordaro, Pippo Gianni, Marianna Caronia, Nino Dina, Fausto Fagone. Hanno aderito al nuovo gruppo anche Orazio Ragusa e Totò Cascio. Il gruppo di parlamentari fa riferimento all'ex segretario siciliano Saverio Romano, al senatore Totò Cuffaro, e agli onorevoli Giuseppe Drago e Calogero Mannino, tutti in rotta con la linea del leader Pier Ferdinando Casini.
Per il Pid non c’è spazio per alcun dialogo. Si deve tornare alle urne in Sicilia.
Nel gruppo dell'Udc all’ARS, che era composto da 11 deputati, rimangono solo tre parlamentari: Mario Parlavecchio, Giovanni Ardizzone e Marco Forzose. Loro appoggeranno Lombardo.
Una vera e propria rivoluzione dunque con effetti a cascata, o domino che dir si voglia, a tutti i livelli. Per precisione non è che il Pd siciliano o gli stessi rutelliani stiano meglio. Dentro il partito democratico ci sono alcuni deputati, una minoranza, che non hanno gradito l’ingresso in maggioranza e non si riconoscono nelle decisioni assunte dal segretario regionale Lupo e dal capogruppo del pd all’Ars Antonello Cracolici. I rutelliani invece a Roma hanno perso adepti, pronti anche loro a non tradire il premier.
Tornando all’Udc Casini sulla nascita del Pid ha detto "ognuno può scegliere di andare dove vuole, l'importante che non si inventi delle scuse, la nostra linea è chiarissima, quella di centro, che è rimasta coerente rispetto alle sirene di destra e sinistra. Si vede che non tutti sono immuni alle sirene...".
Le scelte di Lombardo hanno spaccato l’intera classe politica. Il Pdl a Palermo resta all’opposizione, dura e netta. Di conseguenza, l’Mpa a Roma sosterrà Berlusconi o gli farà pagare il conto? "Noi siamo assolutamente contrari a un'operazione politica che serve solo a Lombardo e non ai siciliani. Si e' sostituita una maggioranza con un'altra. Il Lombardo quater, lo dicono i dati di fatti, e' un ribaltone". Questo attacco al neo esecutivo regionale siciliano, targato Raffaele Lombardo, è arrivato non da un ferreo oppositore del governatore, ma da un suo ex assessore, Titti Bufardeci, a cui nel suo terzo governo il leader del Mpa aveva affidato una delega di peso come quella alle Risorse agricole. Ieri assessore, oggi oppositore. Caos totale. Laboratorio politico o ribaltone? Portare avanti le riforme o mancare di rispetto agli elettori?
Intanto l’ancora neonato Pdl Sicilia sembrerebbe già sul punto di naufragare poiché Miccichè, Cimino e lo stesso Bufardeci si sono fatti promotori del Partito del popolo siciliano, una specie di contraltare della Lega Nord. Ancora tutto da capire quanto questo nuovo sodalizio possa essere libero o meno da vincoli berlusconiani.
La situazione è tuttora in itinere e risulta complicato andare dietro alla ridda continua di voci, comunicati, conferenze stampa, attacchi mediateci e passaggi perpetui da una componente all’altra.
Questa è la “nuova” politica che parla, attacca, si difende, si allea, si spacca o si accorda.
Da una poltrona all’altra però non c’è traccia dei veri problemi che attanagliano la gente e i settori produttivi siciliani e nazionali. Per quelli nessun partito si spaccherà mai in alcun sottogruppo.

Calogero Parlapiano - tratto da "Controvoce"

venerdì 15 ottobre 2010

L’Afghanistan ci costa 51 milioni al mese, Strada: “E non sanno neppure dove si trova”

L’Afghanistan ci costerà 51 milioni al mese, quest’anno. A fronte dei 45 dell’anno scorso. In febbraio il Senato ha votato il rifinanziamento della missione, e da giugno la spesa sarà ancora più alta. La Russa l’ha detto: arriverà un altro migliaio di sodati. Eppure l’invio e la permanenza del nostro contingente, a fronte del “pantano” che la missione si sta dimostrando essere, sembra collimare sempre meno con l’articolo 11 della Costituzione, quel “L’Italia ripudia la guerra come strumento di risoluzione delle controversie internazionali” fin troppo ignorato.
Gino Strada, di Emergency, è del tutto contrario alla riconferma dell’invio di nostri soldati. ”Vivo questo voto con l’animo disgustato da questa classe politica, che definisco di delinquenti politici. Perché quando una classe politica, la stragrande maggioranza del parlamento, vota contro la Costituzione del proprio paese, delinque contro la propria Costituzione, quindi il termine è appropriato. Oltre questo – ha continuato Strada – c’è lo sdegno per chi non vuol vedere la strage di civili che sta avvenendo in questi giorni, proprio in queste ore, dove si stanno compiendo crimini di guerra inauditi. Non solo si massacrano civili ma si impedisce che i feriti vengano evacuati negli ospedali. Di questo, ovviamente, abbiamo numerose testimonianze, da parte dei pochi che sono riusciti a superare i cordoni che le forze di occupazione hanno disposto intorno ai luoghi dei bombardamenti. Chiediamo ancora, con forza, che si apra un corridoio umanitario per soccorrere la popolazione civile di Marjah“.
Il capo dell’associazione volontaria ha poi un appunto da fare sui mezzi del contingente italiano. Il ministro della Difesa aveva assicurato: i nostri velivoli non possono portare agli errori cui hanno condotto i militari americani. ”Al ministro chiedo, e allora cosa sono i nostri, aerei da turismo? – ha commentato, duro, il medico – Cosa fanno, portano in giro i turisti a vedere i bombardamenti? Cosa ci fanno gli aerei militari in zone dove si sta bombardano? Sono affermazioni ridicole. Piuttosto, possiamo indicare alcuni dei pericolosi terroristi feriti dalle operazioni militari nella zona di Marjah. Feriti, perché i morti non li vediamo. Un ragazzo di 10 anni di nome Fasel, una bambina di 12 di nome Rojah che stava prendendo acqua al pozzo e si è presa una pallottola in un fianco, Said, di 7 anni, con una pallottola nel torace, un bambino di 9 anni di nome Akter che stava guardando dalla finestra quando gli hanno sparato in testa… questi sono i talebani“.
“I nostri politici – ha detto Gino Strada – non sanno niente dei talebani, non sanno di cosa parlano. Non saprebbero nemmeno indicare l’Afghanistan su una cartina muta. Purtroppo, questa è la gente che prende decisioni costano la vita a tanti afgani. E che costa una quantità di soldi impressionanti agli italiani. Siamo un paese dove si perdono centinaia di migliaia di posti di lavoro e si buttano via centinaia di milioni in una guerra per sostenere questo piuttosto che quel governo afghano. Mi piacerebbe avere un parlamento decente. Sull’Afghanistan continuano a dire agli italiani bugie clamorose, palle gigantesche. L’unica cosa da fare è smettere di sostenere questa classe politica. Io, personalmente, mi rifiuto di andare a votare. Lo farò quando ci saranno politici degni di questo nome”.
Vincenzo Marino

http://www.newnotizie.it/2010/05/19/lafghanistan-ci-costa-51-milioni-al-mese-strada-e-non-sanno-neppure-dove-si-trova/

giovedì 14 ottobre 2010

Equilibri e bilanci di stagione a Sciacca

Approvata la scorsa settimana la delibera sugli equilibri di bilancio. Un atto che ha determinato un acceso dibattito. Prosegue lo scontro politico tra le parti mentre anche Coco (Pd) non le manda a dire a Vito Bono e apre il caso di Pandora sui conflitti interni al partito di Bersani. Intanto l’attuale Prg fa acqua da tutte le parti secondo l’ordine degli architetti di Sciacca


Mai si sarebbe pensato che l’approvazione della salvaguardia degli equilibri di bilancio, adempimento previsto dalla legge e che offre contestualmente anche l'occasione per una verifica dello stato di attuazione dei programmi, avrebbe determinato un vespaio di polemiche, scontri e seduta fiume in consiglio fino a tarda notte. Invece è stato così. Evidentemente la situazione politica in itinere determina anche queste conseguenze.
19 voti favorevoli, quelli della maggioranza e dei due consiglieri Udc. Si sono astenuti invece gli esponenti del centrodestra. Si è fatto notare come questo provvedimento sia stato sempre votato all’unanimità dall’intero consiglio, tranne quest’anno con l’astensione dell’opposizione.
Si è parlato a lungo della valenza di questa delibera, da una parte la maggioranza ha cercato di far prevalere l’aspetto tecnico della questione, dall’altra l’opposizione a rimarcarne l’importanza politica e a sottolineare, ancora una volta la negatività dell’esperienza Bono, bocciato su tutto il fronte amministrativo.
La manovra e' stata illustrata dall'assessore al ramo Giuseppe Montalbano, uno delle papabili “vittime” del rimpasto da tempo annunciato dal sindaco, che si e' soffermato in particolar modo sui debiti fuori bilancio che ammontano a un milione e 6oo mila euro, coperti per la maggior parte dalla vendita di alcuni beni del comune. Si tratta della pizzeria e del baglio Maglienti. Ma proprio sulle modalita' di inserimento dei debiti fuori bilancio nell'assestamento e sulla loro copertura finanziaria hanno mosso diversi rilievi critici i consiglieri Alonge (Forza Sciacca), Bono ed Emmi (Pdl).
Il Pdino Paolo Mandracchia ha cercato di smorzare i toni difendendo l’operatore degli uffici competenti e puntando il dito contro l’opposizione accusata di essere brava solo a fare polemiche e barricate.
Un altro momento di tensione si è vissuto allor quando il consigliere Fabrizio Di Paola, ex presidente del consiglio comunale, e' andato su tutte le furie quando il sindaco, a conclusione del dibattito, e' intervenuto leggendo una relazione, scritta, che da più parti era stata auspicata ma che, per il fatto che fosse evidentemente preparata prima, è sembrata non tenere conto del dibattito tenutosi nell’aula Falcone – Borsellino.
Diversi gli argomenti di scontro tra le due parti: dalla piazzetta liberta, alla scuola agazzi, alla costruzione dei nuvi loculi.
Pippo Turco ha chiesto le dimissioni del sindaco mentre Bivona e Cognata si sono soffermati su alcune delle mancanze dell’attuale amministrazione. Vito Bono, dal canto suo, ha parlato di offese sistematiche da parte dell’opposizione evidenziando come l'attività della giunta non abbia affatto risentito dei confronti politici all'interno della maggioranza, come qualche esponente dell'opposizione aveva sostenuto precedentemente.
Sia Paolo Mandracchia che Simone Di Paola hanno evidenziato come la salvaguardia degli equilibri di bilancio fosse un punto prettamente tecnico e perciò approvato in passato sempre all'unanimità. L'opposizione aveva lasciato intendere un voto contrario alla delibera, ma poi, dato che due emendamenti da loro proposti erano stati accolti, ha annunciato l'astensione in risposta al segnale di apertura ricevuto dalla maggioranza. Mimmo Sandullo invece, dopo questa apertura, si sarebbe aspettato un voto favorevole. L'Udc ha votato positivamente perché, a detta di Assenzo, la questione tecnica prevale su quella politica in questo caso.
Il consiglio comunale è stato riconvocato per il 7 ottobre. Ma non è tutto. Prima della chiusura dei lavori il segretario del partito democratico Giuseppe Coco ha rincarato la dose esponendosi pubblicamente e facendo capire a tutti come si aspetti a breve il rimpasto della giunta. Ha parlato del patto col sindaco Vito Bono ma anche del patto con gli elettori basato sul programma elettorale. Parole chiare e inequivocabili. Fare in fretta il messaggio. Il rischio è far rallentare la macchina amministrativa e mettere a repentaglio preziosi equilibri. Chiaro l’invito al rispetto degli accordi ma non solo. L’uscita, inattesa, se si considera la difesa ad oltranza dell’amministrazione effettuata da Simone Di Paola e da Paolo Mandracchia, potrebbe essere il sentore anche delle difficoltà interne al partito. Si vocifera di possibili beghe interne tra l’ala guidata da Cusumano e quella capitanata da Coco. Ultimamente le fazioni interne a tutti i partiti sembrano moltiplicarsi. Del resto non è invece notizia nuova il possibile, chiacchierato, probabile, approdo dell’ex senatore verso il partito scudocrociato. Questo non significherebbe uscire dalla maggioranza ma certamente sarebbe l’ennesimo mutamento che la politica adotta, a tutti i livelli, dopo che la gente vota precisi schieramenti. Il Pd saccense, alla vigilia del congresso locale, sembra soffrire di smanie da protagonismo: tutti a sgomitare per un posto al sole con l’unica conseguenza di determinare frizioni, particolarismi, conflitti più o meno palesi e una scarsa coesione che, naturalmente, va a tutto discapito, non solo del partito ma soprattutto della città posto che è proprio il Pd che attualmente sostiene la fetta più grossa della maggioranza politica.
Infine, ma non per ultimo, il problema riguardante il piano regolatore generale. Nei giorni scorsi è stato dato l’incarico di aggiornarlo per portarlo al passo con i tempi.
“No ad un piano regolatore già superato”. Questo è infatti il diktat dell’ordine degli architetti. E il Prg è stato uno dei cavalli di battaglia della campagna elettorale di Vito Bono che dunque ha la necessità di portarlo presto in aula.
Uno dei problemi del Prg riguarda l'adeguamento alle ultime novità urbanistiche. Basti pensare al resort di Rocco Forte.
Per l'ordine degli architetti il Prg così come è stato elaborato non tiene conto delle direttive del consiglio comunale del 1994. Si chiedeva una riqualificazione mirata del patrimonio edilizio nel centro storico e non la creazione di nuove zone d'espansione, sempre più sovradimensionate.
Tanti i settori attualmente non toccati dal piano: dalla mancanza di aree per i parcheggi all'edilizia economica e popolare, dall'edilizia scolastica alla realizzazione di un nuovo cimitero.
Perché poi prevedere una sovradimensionata urbanizzazione della maggior parte delle aree rurali del territorio?
Dall’ordine degli architetti dunque da un lato proposte migliorative e dall’altro la sostanziale bocciatura del Prg per come è stato pensato fino ad ora. Il Prg è da rivedere secondo gli architetti e da buttare secondo Pippo Turco.
In fondo sono passati soltanto 40 anni dall’ultimo. E serve pensare ancora.

Calogero Parlapiano - tratto da "Controvoce"

mercoledì 6 ottobre 2010

Chiamate le guardie... (o almeno l'ambulanza)

In certi bar di periferia c’è sempre un vecchietto che entra a una cert’ora e comincia a molestare i clienti millantando imprese amatorie immaginarie, infastidendo la cassiera con approcci sconci, raccontando barzellette che non fanno ridere intervallate ogni tanto da un bestemmione. A quel punto il titolare lo prende con le buone: “Senti, fenomeno, o te ne vai oppure chiamo le guardie”. Le quali, sottopostolo alla prova del palloncino e constatato che è ancora sobrio, lo avviano nel più vicino centro di igiene mentale per il Tso, il trattamento sanitario obbligatorio. Ecco, all’Italia manca un titolare che prenda l’iniziativa e faccia visitare il presidente del Consiglio da uno bravo: più che una commissione parlamentare, infatti, ci vorrebbe un consulto di psichiatri per esaminare le sue ultime parole ed escandescenze.

L’altro giorno è uscito da Palazzo Grazioli e ha incontrato un gruppetto di fans. All’improvviso, ne ha apostrofato uno: “Tu sei un giudice? No, sui giudici voglio dirvi una cosa perché abbiate la consapevolezza di quello che succede…”. Figurarsi la sorpresa del malcapitato. Ormai il pover’ometto vede giudici dappertutto, appena esce di casa. E, avendo mangiato pesante e dormito anche peggio, consegna al primo che passa di lì i suoi incubi più recenti: “Visto che il processo Mills sta arrivando alla prescrizione, il pm De Pasquale s’è inventato la seguente storia: il reato di corruzione c’è quando il corruttore dà i soldi al corrotto”. Capìta la bizzarria di questo pm? S’è fatto l’idea che la corruzione scatti quando il corruttore paga la mazzetta al corrotto. Pare addirittura che sia convinto, nella sua mente malata, che la rapina scatti quando uno entra in banca a mano armata e si fa aprire il caveau dal cassiere; e che lo scippo si configuri quando il ladro strappa la borsetta alla signora. Di questo passo, chissà dove andremo a finire. Ma “la cosa tragica” è che nel processo Mills “tre diversi collegi – primo, secondo grado, cioè l’appello e terzo, la Cassazione – hanno asseverato la tesi” del pm, “dimostrando che c’è un accordo fra i giudici di sinistra per sovvertire il risultato delle elezioni ed eliminare colui che è stato eletto dagli elettori”. Il poveretto ce l’ha con le sentenze a carico di Mills, ritenuto colpevole di corruzione giudiziaria in tutti e tre i gradi di giudizio, anche se in Cassazione la condanna a 4 anni e mezzo di primo e secondo grado è caduta in prescrizione.

Dunque la prova del complotto sta nel fatto che una sentenza viene confermata in tutti e tre i gradi di giudizio. Se ne desume che: se uno viene condannato in tribunale e poi assolto in appello, o condannato in appello e assolto in Cassazione, c’era un complotto dei pm ai suoi danni; se viceversa i giudici lo ritengono tutti colpevole, c’è un complotto ai suoi danni lo stesso. Ora, nelle carceri italiane ci sono oltre 45 mila detenuti (su 69 mila) che scontano una pena definitiva. E tutti hanno avuto la condanna confermata in tribunale, appello e Cassazione: dunque – secondo il teorema B. – sono tutte vittime innocenti di “un accordo fra i giudici di sinistra per sovvertire il risultato delle elezioni”. Ergo vanno liberati tutti con tante scuse. L’illustre infermo dà il meglio di sé a proposito del “famigerato” pm Fabio De Pasquale che, guarda caso, è il pm dei suoi tre processi congelati dal legittimo impedimento (Mediaset, Mediatrade e Mills). Sarebbe lui il colpevole del suicidio di Gabriele Cagliari, il presidente craxiano dell’Eni che prendeva mazzette a tutto spiano. Naturalmente, come hanno già appurato gl’ispettori ministeriali, il ministro Conso, il Pg della Cassazione, i pm e i giudici di Brescia, non è vero niente: Cagliari si tolse la vita per la vergogna di quel che aveva fatto. Ma il vecchietto, giù di memoria, insiste. Si è persino convinto che alla Consulta si annidino ben “11 giudici di sinistra” su 15 (in realtà quelli nominati dal centrosinistra sono due, gli altri sono di destra o apartitici e su ben 6 garantiva la P3). Chi può, per pietà, chiami le guardie. O almeno l’ambulanza.

Editoriale di Marco Travaglio

venerdì 1 ottobre 2010

Spot T.U.Onlus: conferenza di presentazione del 02-10-2010

Spot T.U.Onlus: conferenza di presentazione del 02-10-2010.
L'associazione TU Onlus si presenta e presenta a tutti il progetto "Avrai una casa", destinato alla gente del Burundi.
Interverranno le autorità cittadine, docenti universitari e i responsabili dell'associazione.
Vi aspettiamo sabato 2 ottobre alle ore 17,30 presso l'ex chiesa Santa Margherita. Non mancate, l'ingresso è gratuito.
Dopo la conferenza, rinfresco offerto dall'Istituto Alberghiero di Sciacca.
Montaggio e realizzazione dello spot a cura di Antonella Termine.