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mercoledì 30 giugno 2010

Terremoto: i cittadini aquilani lanciano pomodori a Minzolini

di Tommaso Caldarelli

Pioggia di verdura di varia natura in direzione della rai di viale Mazzini. “Non ci sentiamo più rappresentati da questa televisione pubblica”

Melanzane, pomodori, “verdura varia” lanciati contro il cavallo rampante: è la manifestazione di protesta messa in piedi da alcuni cittadini de l’Aquila, assembratisi davanti agli uffici della Rai per protestare contro il silenzio stampa dei TG pubblici riguardo alla ancora critica situazione della ricostruzione abruzzese, e in particolare sul blackout trasmissioni sulla manifestazione cittadina del 16 giugno scorso. La folla degli abruzzesi, scrive l’Ansa “ha animato il sit-in indirizzando principalmente urla di insulti al direttore del Tg1 Augusto Minzolini.”

MENZOGNINI – “Non ci sentiamo più rappresentati da questa cosiddetta televisione pubblica in cui noi dovremmo essere tutti editori” – ha spiegato Annalucia Bonanni, professoressa abruzzese, una delle animatrici del curioso flashmob. “ La televisione di stato, che per un anno ha fatto propaganda di ogni iniziativa del governo, adesso che le contraddizioni dell’intervento governativo vengono a galla, censura qualsiasi tipo di manifestazione di critica”. Gli aquilani presenti sul posto, al grido di “Menzognini dimettiti”, promettono che la lotta non finirà oggi: la loro è una semplice delegazione, spiegano, ma gli intervenuti alla prossima mobilitazione generale del 6 luglio “saranno molti di più”.

TG2 ALLA NUTELLA – Critiche anche al Tg2, reo, secondo i manifestanti, di aver mandato in onda, il giorno della manifestazione, un servizio sulle proprietà nutrizionali della cioccolata: per questo, è stata allestita una distribuzione gratuita di pane e Nutella. Immediata la replica del telegiornale diretto da Mario Orfeo, che precisa, in una seconda nota sempre diramata dall’Ansa, di aver dato rilevanza alla manifestazione aquilana con un servizio andato in onda nel Tg2 delle 13 e 30 del 17 giugno, riproponendolo poi addirittura nell’edizione di prima serata due giorni dopo, il 19.

MA VAI VIA! – Durante la manifestazione, si sarebbe affacciato a discorrere con gli abruzzesi Rodolfo De Laurentiis, consigliere d’amministrazione dell’azienda in quota UDC, abruzzese tanto quanto i lanciatori di pomodori, per proporre un incontro tra i vertici aziendali e gli abruzzesi manifestanti: è stato cacciato. “Vengono a chiedere a noi di entrare alla Rai e raccontare quello che succede ma sono loro che devono fare informazione, facessero il loro lavoro”, ha urlato la Bonanni al megafono. “Se hanno qualcosa da dire, che lo dicano al Tg1″. Nel mirino anche Bruno Vespa, aquilano d’origine: “togliamogli la cittadinanza”, hanno urlato i manifestanti.

http://www.giornalettismo.com/archives/69456/terremoto-cittadini-aquilani/

lunedì 28 giugno 2010

Le trivellazioni a Sciacca sul blog di Beppe Grillo

Il duo Scajola/Prestigiacomo ha concesso negli ultimi anni 95 nuovi permessi di trivellazione in Italia. 71 sulla terraferma e 24 nel Mediterraneo. La superficie interessata dalle trivellazioni nei nostri mari ha una superficie pari alla Regione Abruzzo, circa 11.000 metri quadrati. I petrolieri potranno bucare ovunque, dalle Tremiti alle coste della Sicilia, dalle coste marchigiane e pugliesi alle isole Egadi a Pantelleria, dallo Ionio alle acque intorno all'isola d'Elba a quelle sarde di Oristano. La corsa al petrolio italiano e alla distruzione dell'ambiente e del turismo è un richiamo irresistibile per i petrolieri di mezzo mondo, inclusi ovviamente quelli italiani. E' quasi uno stampede della corsa all'oro nero. Il presidente di Assomineraria Claudio Scalzi spiega che c'è "un certo disordine iniziale" compensato però dal "movimento che porta investimenti, royalties e vivacità". Mi risulta che in Italia non è prevista la responsabilità delle compagnie petrolifere in caso di incidente. Le bandiere blu delle nostre coste diventeranno nere come il petrolio e sono, in realtà, già sulla buona strada. L'italia ha il maggior numero di siti non balneabili d'Europa.


http://www.beppegrillo.it

sabato 26 giugno 2010

Sciacca, marineria in ginocchio?

“Ieri è stato il nostro ultimo giorno di lavoro” è questo il grido di allarme che i pescatori di Sciacca, seconda marineria siciliana e terza in Italia, hanno lanciato lo scorso 1 giugno all'amministrazione comunale. Obbiettivo sensibilizzare alla problematica i referenti politici regionali e nazionali e coordinare eventuali movimenti di protesta. Infatti dai primi di giugno è entrato in vigore il regolamento Mediterraneo 1967/2006 sulla pesca dettato dalla commissione europea che prevede non solo l’utilizzo di maglie più larghe nelle reti che renderanno impossibile la cattura di parecchie specie ittiche particolarmente diffuse nella marineria locale ma anche nuove distanze dalla costa che renderanno impossibile la pesca dei bivalvi sotto costa. Il nuovo regolamento, in nome della globalizzazione, non tiene conto evidentemente delle particolarità locali. Sciacca è una città marinara che, proprio in quel settore, rischia la smobilitazione. Le nuove maglie, da 40 a 52, stanno mettendo in difficoltà l’intero comparto marinaro saccense, già in crisi da tempo a causa della pessima convergenza economica del periodo.
Ma cosa recita di preciso questo regolamento Mediterraneo? Al Capo I “Ambito d’applicazione e definizioni” si afferma che il presente regolamento si applica: alla conservazione, alla gestione e allo sfruttamento delle risorse acquatiche vive quando tali attività sono condotte nelle acque marittime del Mediterraneo ad est della linea situata a 5°36' di longitudine ovest soggette alla sovranità o alla giurisdizione degli Stati membri, da pescherecci comunitari nel Mediterraneo, da cittadini di Stati membri, fatta salva la responsabilità primaria dello Stato di bandiera, nel Mediterraneo; alla commercializzazione dei prodotti della pesca catturati nel Mediterraneo. Il presente regolamento non si applica alle operazioni di pesca effettuate esclusivamente a fini di ricerche scientifiche condotte con il permesso e sotto l'egida dello Stato membro o degli Stati membri interessati.
Al Capo II “Specie e Habitat Protetti” all’Articolo 3 afferma: 1. Sono vietati la cattura, la detenzione a bordo, il trasbordo o lo sbarco intenzionali delle specie marine di cui all'allegato IV della direttiva 92/43/CEE, salvo in caso di deroga concessa in conformità dell'articolo 16 della direttiva 92/43/CEE. 2. In deroga al paragrafo 1, la detenzione a bordo, il trasbordo o lo sbarco di esemplari delle specie marine di cui allo stesso paragrafo 1, catturate accidentalmente, sono consentiti nella misura in cui si tratti di attività necessarie a favorire la ricostituzione dei singoli animali catturati e a condizione che le autorità nazionali competenti interessate ne siano state debitamente informate in precedenza.
Mentre all’Articolo 4:
1. È vietata la pesca con reti da traino, draghe, trappole, ciancioli, sciabiche da natante, sciabiche da spiaggia e reti analoghe in particolare sulle praterie di posidonie (Posidonia oceanica) o di altre fanerogame marine. In deroga al primo comma, l'uso di ciancioli, sciabiche da natante e reti analoghe la cui altezza totale e il cui comportamento nelle operazioni di pesca implicano che il cavo di chiusura, la lima da piombo o le corde da salpamento non tocchino le praterie può essere autorizzato nel quadro di piani di gestione di cui all'articolo 18 o all'articolo 19 del presente regolamento. 2. È vietata la pesca con reti da traino, draghe, sciabiche da spiaggia e reti analoghe su habitat coralligeni e letti di maerl. 3. È vietato l'uso di draghe trainate e di reti da traino per la pesca a profondità superiori a 1.000 m. 4. Il divieto di cui al paragrafo 1, primo comma, e al paragrafo 2 si applica dalla data di entrata in vigore del presente regolamento a tutte le zone Natura 2000, a tutte le zone particolarmente protette e a tutte le zone particolarmente protette di rilevanza mediterranea (ASPIM) designate ai fini della conservazione di tali habitat a norma della direttiva 92/43/CEE o della decisione 1999/800/CE.
5. In deroga al paragrafo 1, primo comma, la pesca esercitata da pescherecci di lunghezza fuori tutto inferiore o pari a 12 metri e potenza del motore inferiore o pari a 85 kW con reti trainate sul fondo tradizionalmente intrapresa sulle praterie di posidonie può essere autorizzata dalla Commissione secondo la procedura di cui all'articolo 30, paragrafo 2 del regolamento (CE) n. 2371/2002, a condizione che: i) le attività di pesca in questione siano regolamentate da un piano di gestione ai sensi dell'articolo 19 del presente regolamento; ii) le attività di pesca in questione riguardino non più del 33% della zona coperta da praterie di posidonia oceanica all'interno dell'area oggetto del piano di gestione; iii) le attività di pesca in questione riguardino non più del 10% delle praterie nelle acque territoriali dello Stato membro interessato. Le attività di pesca autorizzate a norma del presente paragrafo devono: a) soddisfare i requisiti di cui all'articolo 8, paragrafo 1, lettera h), all'articolo 9, paragrafo 3, punto 2, e all'articolo 23; b) essere regolamentate in modo da assicurare che le catture di specie menzionate nell'allegato III siano ridotte al minimo. Non si applica tuttavia l'articolo 9, paragrafo 3, punto 1.
Ogniqualvolta un peschereccio operante in base alle disposizioni del presente paragrafo è ritirato dalla flotta con fondi pubblici , la licenza di pesca speciale per l'esercizio di questa attività di pesca è ritirata e non viene riemessa. Gli Stati membri interessati stabiliscono un piano di controllo e riferiscono alla Commissione ogni tre anni a partire dalla data di entrata in vigore del presente regolamento in merito allo stato delle praterie di posidonia oceanica interessate dalle attività di pesca con reti trainate sul fondo e all'elenco dei pescherecci autorizzati. La prima relazione è trasmessa alla Commissione entro il 31 luglio 2009. 6. Gli Stati membri adottano le misure atte a garantire la raccolta di informazioni scientifiche per consentire l'identificazione e la mappatura degli habitat da proteggere ai fini del presente articolo.
La situazione ad oggi è ancora abbastanza intricata. Sono state diverse le riunioni tra il ministro leghista Galan ed i referenti delle marinerie di tutta Italia. Le proteste infatti non riguardano solamente il territorio siciliano ma buona parte dei porti dell’Adriatico. Si è già chiesto un ulteriore deroga alla Comunità Europea che comunque sembra non voler valutare questa ipotesi. Il regolamento Mediterraneo è stato approvato nel 2006 ma è entrato in vigore soltanto adesso nel 2010, è andato insomma di proroga in proroga. Battersi il petto dopo non è accettabile. Tutti sapevano che quel regolamento sarebbe divenuto operativo dal giugno di quest’anno. Prima non si è mai discusso di questa spada di damocle.
Adesso c’è chi protesta, chi si adegua, chi ha già deciso di mettere l’imbarcazione in disarmo e lasciare l’attività, chi è andato a consegnare la propria licenza presso le sedi delle due cooperative saccensi. Nelle prossime settimane si attendono delle novità. Anche i ristoratori del territorio protestano: molti turisti raggiungono le nostre terre anche per gustare i sapori del nostro mare. Un mare ed una marineria che rischiano di chiudere i battenti.

Calogero Parlapiano - tratto da "Controvoce"

venerdì 25 giugno 2010

Sciacca, precari e terme: le spade di Damocle

Sciacca è uno dei 266 comuni siciliani commissariati dalla regione siciliana perché non è stato approvato il conto consuntivo entro i termini prefissati. Tra gli operatori politici scoppia la bagarre. Tutti contro tutti, clima torrido e non solo per l’afa che da giorni attanaglia la città termale.
Il Pdl attacca l’amministrazione: “come sarà possibile approvare contestualmente conto consuntivo e bilancio di previsione?”
L’assessore Montalbano ribatte: “chi oggi evidenzia il commissariamento del Comune di Sciacca per l’approvazione del conto consuntivo 2009, quando la sua parte politica era alla guida del Comune fino al mese di giugno dello scorso anno non deve dimenticare che è stato regolarmente diffidato e commissariato per tutti gli anni di amministrazione. Corrisponde a falsità ed ha carattere solo strumentale e polemico l’affermazione secondo la quale ci sarà un accavallamento di adempimenti in Consiglio comunale. Vi sarà, infatti, circa un mese di distanza tra l’approvazione del bilancio di previsione 2010 (previsto per la prossima settimana) e quello di rendiconto di gestione (previsto, considerando i tempi tecnici, entro il mese di luglio)”. Sarà ma la macchina amministrativa sembra subire intoppi e ritardi. Si è chiuso il primo anno di amministrazione ma forse sarebbe opportuno procedere ad una bella oliata di meccanismi ed ingranaggi.
Intanto gli operatori politici sono impegnati con la spada di damocle dei precari e della manovra finanziaria firmata Tremonti che taglia, ancora una volta, risorse e fondi per gli enti locali. A farne le spese, non solo comuni e province, ma anche le stesse regioni. Da tempo si parla dell’abolizione delle province, una parte o tutte, ma evidentemente non si vuole procedere né passare dalle dichiarazioni elettorali ai fatti.
Da settimane si susseguono riunioni, a tutti i livelli, per trovare soluzioni congrue per i precari. All’ordine del giorno l’ormai famigerato Patto di Stabilità. A Sciacca ed in tutta la Sicilia i contrattisti sono già sul piede di guerra. Deroghe? Proroghe? Staremo a vedere.
Mentre il comparto pesca vive le sue ore di passione e più di un operatore chiede di avere un assessore al ramo che non sia il sindaco, impegnato in tantissime questioni, col quale potersi rapporto direttamente, il debito pubblico italiano arriva a toccare vette, si fa per dire, mai sfiorate prima e l’Unione Europea, ormai giornalmente, da un lato comincia a farci i conti in tasca e dall’altro guarda con preoccupazione alla possibile approvazione del decreto legge sulle intercettazioni. Mentre qualcuno si appresta a brindare per tale sempre più concreta ipotesi, i veri temi, dalla crisi dell’economia, ai debiti, alla pesca, all’agricoltura, al precariato, continuano a non essere prioritari nell’agenda delle attività politiche.
A Sciacca, una delle notizie più importanti della settimana è stata il salvataggio in extremis delle terme che rischiavano concretamente il fallimento, oltre al distacco dell’energia elettrica. 5,5 milioni di euro stanziati dalla regione serviranno ad evitare l’irreparabile.
Dopo alcuni giorni è durissimo il commento del governatore Lombardo sulla situazione che si è venuta a creare attorno alla vicenda delle terme saccensi: “Le Terme di Sciacca sono emblematiche di come sono stati governati gli enti e le partecipazioni regionali con uno spirito di saccheggio e di devastazione che mi auguro le autorità competenti vogliano sanzionare per come merita”.
Il dossier che Lombardo ha ricevuto dal commissario straordinario unico Turriciano per l’azienda regionale delle Terme e la società per azioni Terme di Sciacca è ricco di “schifezze, porcherie e latrocini incredibili“. Il governatore, infatti, ha raccontato che c’è stato un “Consiglio d’Amministrazione che non so quanto abbia percepito d’indennità; che ha affidato a soggetti vari l’incarico di promuovere il turismo (ma che non è stato promosso), a colpi di 75 – 80 mila euro a semestre; che ha affidato, forse all’interno del Cda, nonostante fossero degli incarichi di consiglieri retribuiti, il compito di redigere i bilanci delle Terme; che ha attribuito ad una cooperativa la gestione dell’albergo, che non è cominciata perché mancava il collegamento delle Terme con la fognatura“. E ancora: “questa cooperativa ha fatto causa per il mancato guadagno ed il debito delle Terme è passato da 200 mila a 1 milione di euro. Nel frattempo, la cooperativa è stata sciolta per infiltrazioni mafiose“. Di conseguenza, “la Regione ha nominato un commissario liquidatore che, senza l’autorizzazione della stessa Regione, ha fatto causa, chiedendo il fallimento delle Terme, indotto ad agire dai soci della cooperativa perché devono restituire una fideiussione all’Ircac”. Per Lombardo tutto ciò è “vergognoso“, ma oggi c’è un commissario che sta facendo il suo dovere, con cui si è interrotto un gioco al massacro che “ci avrebbe portato a spogliare il patrimonio delle Terme, a ridurlo a niente, a svenderlo possibilmente al peggiore offerente, perché il valore della società si sarebbe ridotto all’osso”. Attacco senza mezzi termini al vecchio Cda.
L’affaire Terme sicuramente è ancora ben lungi dall’aver trasmesso la sua ultima puntata.
In tutto questo quadro si inserisce la singolare protesta del sindaco di Campobello di Licata Michele Termini (Pdl) che ha deciso di prendersi una pausa di riflessione dal partito e soprattutto di chiudere il comune come segno di protesta per i continui tagli decisi dal governo centrale nazionale. “Vengano loro a parlare con i precari” ha avuto modo di dire.
A Sciacca, in attesa di avere novità sulle paventate trivellazioni petrolifere, invece il dibattito che tiene acceso lo spirito dei saccensi, soprattutto dei commercianti è il seguente: “la domenica i negozi devono rimanere aperti o chiusi?” Questioni di priorità.

Calogero Parlapiano - tratto da "Controvoce"

mercoledì 23 giugno 2010

Analisi editoriale: reato vs peccato....

Reati e peccati. L'editoriale di Marco Travaglio - Annozero puntata del 20/05/10 .


by Marco Travaglio. buon ascolto...

lunedì 21 giugno 2010

Satira: la differenza tra Reato e Peccato

Le vignette di Vauro chiudono la puntata numero 29 di Annozero - Puntata del 20/05/10


by VAURO

domenica 20 giugno 2010

Incantevole!

Subsonica - Incantevole

Un pò di musica...italiana!

FUORI E' UN MONDO FRAGILE MA TUTTO CADE...INCANTEVOLE, COME QUANDO RESTI CON ME...

venerdì 18 giugno 2010

Lettera a Napolitano. Salvaguardiamo la Costituzione

di Pietro Orsatti - 7 giugno 2010

''Migliaia di italiani saranno costretti a violare la legge per difendere la Costituzione''

Caro Presidente,

le scrivo come a un amico, l’amico che custodisce il bene più prezioso della nostra società. La Costituzione. Le scrivo con un misto di speranza e sconcerto. Perché ogni giorno che passa diventa sempre più difficile, e le assicuro non solo per me, capire cosa stia succedendo in questo nostro Paese.

Lei continua a mandare messaggi di ottimismo agli italiani ogni qual volta prende la parola pubblicamente, ma forse non sa che per la grande maggioranza di noi l’ottimismo è un lusso. Siamo tutti troppo impegnati a sopravvivere per essere ottimisti. Troppo confusi e spaventati per avere speranza. Vediamo giorno dopo giorno liquefarsi il patto sociale che ha tenuto in piedi questo Paese per 65 anni, quello sancito nell’articolo 1. Non è colpa sua, Presidente, ma ormai da anni, se non decenni, il lavoro è uscito dal racconto sociale. Il lavoro, paradigma centrale nel Novecento, da valore e fondamento del contratto democratico è diventato elemento accessorio. Un surplus. Sia sul piano culturale che su quello materiale. Quando la disoccupazione a livello generale supera il 10% e per i giovani il 30%, non è in pericolo solo la stabilità economica e sociale di una Paese, è in pericolo la democrazia.

Quando poi oltre a questo dato incontestabile si aggiungono altre pericolosissime e ormai quotidiane aggressioni a diritti fondamentali dei cittadini sanciti dalla Carta costituzionali, lo sconcerto si trasforma in allarme, tensione e purtroppo conflitto. Equità sociale, trasparenza assoluta della pubblica amministrazione, legge uguale per tutti, questione morale e lotta alla corruzione, diritto di espressione e diritto di essere informati, contrappesi fra i poteri dello Stato, indipendenza della magistratura: è evidente a tutti i cittadini che in questo Paese alcuni poteri intendono mettere pesantemente mano su questi nodi irrinunciabili del patto di cittadinanza. Come è sempre più evidente che parallelamente si sta procedendo, attraverso un numero spropositato di decreti e leggi ordinarie, alla riscrittura de facto della Costituzione andando perfino a toccare l’unità dello Stato.

Sono perfettamente consapevole che i suoi poteri sono molto limitati e di come sia difficile per lei, oggi, contrapporsi a questo attacco concentrico contro la Costituzione. Ma so anche che in politica la parola pesa, e che la sua potrebbe essere determinante a modificare un andamento che sembra voler archiviare la democrazia parlamentare nata dalla Resistenza e dalla Costituente del primo dopo guerra. La sua parola, il suo giudizio, suoi eventuali messaggi alle Camere, potrebbero avere un potere politico sostanziale ben più efficace di rimandare ogni tanto quei testi più grossolanamente anticostituzionali come le è capitato di fare in questi anni.

Lo so che per fare questo, per uscire allo scoperto oltre alla ritualità a cui, per legge, è vincolato, è necessario che ci sia un pericolo la democrazia e la tenuta dello Stato. Ma, caro Presidente, è proprio di questo di cui sto parlando. Ormai c’è un divario enorme fra legalità e giustizia, fra norma e democrazia. Ci sono interi settori del Paese che si troveranno costretti, per necessità e per scelta, a violare alcune delle leggi che sono nate ultimamente e stanno vedendo luce in queste settimane. Le faccio due esempi, quello dell’obbligo di denuncia da parte dei medici in caso si ritrovino a curare dei migranti clandestini e poi quello che spingerà molti di noi operatori dell’informazione a violare molti dei vincoli imposti alla stampa nel Ddl intercettazioni in discussione in queste ore. Caro Presidente, ci saranno persone che violeranno e in parte già violano norme approvate dall’attuale coalizione di maggioranza. Se questo non è un allarme per la tenuta della nostra democrazia, cos’altro è? Quando le leggi contrastano così palesemente con il patto costituzionale e i diritti fondamentali sanciti da ogni democrazia matura – come dovrebbe ed è stata finora la nostra – il pericolo è davvero troppo. Centinaia di migliaia di giovani, ricercatori, scienziati e professionisti hanno già preso la via dell’emigrazione verso altri Paesi. Una migrazione di massa della parte più importante della nostra società. Altre migliaia di persone civilmente violeranno sistematicamente le leggi più inique approvate nella nostra storia repubblicana. Violare le leggi per garantire la giustizia, per difendere il Paese e la sua democrazia costituzionale: è questo il paradosso a cui stiamo per assistere.

Per questo la invito a dare un segnale autorevole e inequivocabile in difesa di questo Paese e di questa democrazia. Finché si è ancora in tempo, prima che di questa nostra Italia non rimangano solo macerie. Facendo tutto quello che può grazie alla sua esperienza e all’autorevole ruolo che ricopre grazie alla sua carica. Parli a questo Paese ed eserciti il suo diritto di critica.

Un caro saluto

Pietro Orsatti
www.orsatti.info

giovedì 17 giugno 2010

Apriamo la bocca ai bloggers. Rete Libera

Intervista a Claudio Messora (Byoblu) sulla mancanza di informazione libera, il digital divide in Italia e lo scandalo del terremoto in Abruzzo

martedì 15 giugno 2010

I giornalisti "Impiegati" e i giornalisti "Giornalisti" firmato Marco Risi

Tratto da "Fortapàsc" di Marco Risi. Sasà spiega a Giancarlo Siani la differenza tra chi scrive soltanto per danaro e chi invece scrive per raccontare la verità.

lunedì 14 giugno 2010

In piazza contro i tagli alla cultura e i bavagli alla libertà di stampa

di Luca del Fra

Doveva essere la manifestazione dei lavoratori delle fondazioni lirico-sinfoniche contro il decreto Bondi ma l’iniziativa si è gonfiata fino a esondare trascinando con sé il mondo della cultura e dell’informazione. Oggi alle 15 a Piazza Navona, oltre ai lavoratori dei teatri d’opera ci saranno anche quelli di cinema, teatro di prosa, musica e danza in generale, insieme agli autori, gli istituti culturali, la Federazione nazionale stampa italiana, Articolo 21 e Usigrai. Lo slogan quindi si è ampliato «contro i tagli e contro i bavagli», e sempre oggi il Pd lancia una giornata di sensibilizzazione sui temi della cultura e dell’informazione in una decina di città italiane. Anche se le due iniziative sono diverse, che ci fanno teatranti, cinematografari, giornalisti, archeologi, musici, scrittori tutti assieme?



«Bisogna dire che purtroppo il governo ci ha dato una mano scoprendo le carte –spiega Silvano Conti della Slc-Cgil–: il disegno è scardinare tutta la cultura pubblica in Italia. Si colpiscono i teatri lirici, si chiudono o definanziano gli istituti di cultura, quelli di ricerca, i musei e nello stesso momento si tenta di oscurare i mezzi di informazione e si taglia scuola, università, ricerca». La Slc-Cgil, con gli altri sindacati di categoria, era stata tra le promotrici di questa manifestazione contro il decreto Bondi, che sta seguendo l’iter di conversione in legge e che vuole trasformare i grandi teatri lirici, come la Scala, il Maggio Fiorentino, il San Carlo di Napoli in teatri di provincia. Il decreto che dava la colpa dei deficit dei nostri teatri lirici ai lavoratori, paradossalmente ha evidenziato come a mettere in ginocchio non solo la lirica ma tutto il settore cultura siano proprio i tagli ai finanziamenti dello stato alle attività culturali, tra i più magri d’Europa: per il 2011 per tutto lo spettacolo, compresi circhi, spettacoli viaggianti, teatro, musica danza e cinema sono previsti 311 milioni, la Francia solo per l’Opéra de Paris stanzia oltre 100 milioni di euro. Tuttavia la primavera è stata teatro di una offensiva governativa a tutto campo: pochi giorni dopo il decreto sulle fondazioni è arrivata la legge sulle intercettazioni telefoniche, che colpisce sia la libertà di stampa che quella di indagine. Infine con la manovra firmata dal ministro Giulio Tremonti la scure è calata sugli istituti di cultura, da quelli intitolati a Gramsci e De Gasperi fino a quello intitolato a Craxi, per non parlare della Stazione biologica di Napoli, l’Eti o la Quadriennale di Arte Contemporanea di Roma il cui presidente Gino Agnese, intellettuale di destra, ha chiesto le dimissioni del ministro Bondi.

I tagli alle attività culturali sono mascherati dietro l’emergenza della crisi, ma in realtà fin dalla prima vittoria elettorale del 1994, i governi di Berlusconi hanno sempre e incondizionatamente fatto tagli al settore di cultura, scuola, università e ricerca. E lo hanno fatto al di là della congiuntura economica. «C’è un filo nero che collega questi tagli e decreti contro la cultura alla legge sulle intercettazioni –spiega Giuseppe Giulietti portavoce di Articolo 21 del gruppo misto della Camera–: è il tentativo di oscurare la coscienza e la conoscenza. Un oscuramento etico e culturale prelude alla vera macelleria sociale. Domani la Fnsi ha indetto una manifestazione davanti a Montecitorio con i comitati di redazione di tutte le testate italiane. A questa reazione degli oscurati, siano giornalisti o esponenti della cultura, deve seguire il coinvolgimento degli oscurandi, cioè di tutti i cittadini». Nasce così la proposta di una manifestazione nazionale lanciata ieri dallo stesso Giulietti e da Vincenzo Vita del Pd.

07 giugno 2010
http://www.unita.it/news/italia/99677/in_piazza_contro_i_tagli_alla_cultura_e_i_bavagli_alla_libert_di_stampa

sabato 12 giugno 2010

Ddl Intercettazioni. Roberto Saviano: "Io disobbedirò"

Io disobbedirò. Roberto Saviano non ha dubbi: "Cercherò di continuare a lavorare come se questa legge non ci fosse". Perché il testo sulle intercettazioni approvato in commissione Giustizia "è una castrazione reale del lavoro di inchiesta" e soprattutto un regalo alle mafie "che potranno comunicare con facilità e nascondere i meccanismi del loro potere".

A quattro anni dall'uscita di "Gomorra", lo scrittore non vede diminuire la forza della criminalità organizzata mentre sente "crescere la fragilità della magistratura". E percepisce un clima molto simile a quello che ha preceduto le stragi del 1992, quegli attentati spettacolari contro obiettivi simbolici, uomini e monumenti, che hanno cambiato la storia d'Italia: "Anche oggi se i boss decidessero di alzare il tiro potrebbero dare una spallata al Paese e scegliere come ridisegnarlo. Penso alle parole di Francesco "Sandokan" Schiavone che ha evocato "una valanga"". In un terrazzo romano Saviano si gode la luce del tramonto spuntata dopo l'ennesimo temporale di questa primavera buia, gli occhi scuri vagano curiosi inseguendo qualunque movimento ma è tutt'altro che distratto: cerca sempre di guardare oltre e interpretare l'evoluzione della crisi morale ed economica. Sul tavolo i pupazzi playmobil che gli ha regalato un piccolo fan: un bandito armato fino ai denti e un poliziotto con solo il manganello, quasi una metafora della situazione italiana.

Se il testo della legge sulle intercettazioni non verrà modificato, le mafie saranno più avvantaggiate dai limiti agli ascolti o dal divieto di pubblicazione?
"Il vantaggio maggiore sarà la facilità di comunicazione. Oggi, con gran parte dei capi detenuti, per loro è sempre più difficile trasmettere ordini e quindi gestire le organizzazioni. Prendiamo i colloqui in carcere con i familiari, il sistema più antico usato per continuare a comandare. Il boss Bidognetti negli incontri con la compagna Anna Carrino si toccava continuamente il viso come se si stesse lisciando la barba. Voleva dirle: "Fai riferimento a Sandokan". Quando la donna ha cominciato a collaborare, ha spiegato ai magistrati che c'è voluta una decina di colloqui per comprendere quale fosse il significato di quel gesto. Se passa la legge, non avranno più di questi problemi".

Allo stesso modo le mafie sanno comunicare anche nel silenzio, con i segnali ostentati sul territorio.
"E questo rende ancora più importanti le intercettazioni. La cosa che più mi ha impressionato è che a volte ci sono esecuzioni che non hanno bisogno di un ordine: avvengono come se fosse una regola che sta nelle cose. Ricordo l'omicidio del sindacalista Federico Del Prete nel 2002 a Casal di Principe: non ci fu bisogno di una riunione tra capi ma solo un tacito assenso; nel momento in cui la dirigenza fece sapere che era mal sopportato chi lo andò ad ammazzare non è che si prese la briga di chiedere l'autorizzazione a Sandokan e a Bidognetti. E diventa fondamentale contare sull'ascolto con intercettazioni e microspie: ti permette di capire il contesto da cui poi certe azioni scattano in automatico".

Queste dinamiche sono descritte in "Gomorra" e in tanti altri libri. Come fanno i parlamentari di una commissione che si occupa di giustizia a ignorarle? Fino a che punto c'è malafede nel concedere un vantaggio simile ai padrini?
"C'è un segmento dove incompetenza e malafede possono coincidere. L'incompetenza c'è: vogliono creare una regola per ottenere certi vantaggi ignorando gli effetti nella lotta alla mafia. Ma non è una malafede diretta ad aiutare le organizzazioni criminali. Anche perché si sta declinando il contrasto ai clan come "manu militari": conta solo sbatterli dentro e sequestrare i beni più vistosi. Questa azione è importante: ma così si tagliano le braccia, senza colpire la testa e senza sradicare il corpo. E proprio l'alibi del contrasto militare permette a malafede e incompetenza di sovrapporsi".

Quindi pur di tutelare politici e altri colletti bianchi, garantendone la privacy a tutti i costi, si concede un assist alle mafie?
"Ma la questione della privacy non va sottovalutata. Io sono convinto che sul tema delle intercettazioni le cose oggi non vadano bene: sento che c'è la necessità di trovare delle regole nuove, che però non possono essere imposte dall'alto e uso ancora una volta l'espressione manu militari. Una democrazia ha bisogno di regole condivise: magistrati, giornalisti, avvocati e legislatori dovrebbero sedersi intorno a un tavolo ed elaborare proposte efficaci. Perché anche quando si evoca la protezione della vita privata bisogna fare dei distinguo: una cosa sono i commenti veramente personali, altra è la telefonata del costruttore che nella notte del terremoto abruzzese dice "sto ridendo". Quella deve entrare negli atti e deve essere divulgata: mostra il contesto da cui nasce il crimine. Questo per dire che il confine della privacy è labile e sta soprattutto nel buonsenso, cosa che spesso molte redazioni dei giornali non sembrano avere. E questo crea diffidenza nel lettore".

Se la legge dovesse venire approvata, in molte redazioni si comincia a invocare la disobbedienza civile. Lei cosa ne pensa?
"Non so consigliare però io so quello che farò. Io disobbedirò, cercherò di continuare a lavorare come se questa legge non ci fosse, dispiacendomi per l'occasione persa di creare nuove regole condivise. Perché la lezione del giornalismo americano insegna che è la capacità di darsi delle regole, evitando i facili colpi del gossip e le scorciatoie delle foto ad effetto, che rende forti le inchieste. Credo però che la legge come sta venendo formulata sia una castrazione reale del lavoro di inchiesta: disobbedire sarà la mia risposta. E spero che questa mia disobbedienza sia sostenuta dagli inquirenti, dalle forze di polizia, da tutti questi organi con cui convivo da quattro anni: spero che questa mia "famiglia allargata" possa aiutarmi a disobbedire".

Giornalisti e scrittori possono disobbedire e sfidare l'arresto. Ma la legge introduce multe pesantissime per gli editori, creando un deterrente alla pubblicazione. In queste condizioni il Web può diventare un'isola di libertà?
"Il Web è libertà. Io su Facebook ho una vita nuova: la mia pagina ha più di mezzo milione di sostenitori, quello che scrivo lì arriva a più lettori che un quotidiano nazionale. La Rete è potente come strumento per diffondere una verità ma manca di autorevolezza. Il Web è strumento di comunicazione mentre i giornali sono strumento di democrazia: creano dibattito, hanno una redazione, contano sulla fedeltà del lettore. Tra 50 anni lo sarà anche il Web ma oggi non è strumento maturo. Per questo imbavagliare tg e quotidiani significa imbavagliare le fonti più autorevoli".

Lei ormai è una personalità, un vip: sente il peso delle attenzioni sulla sua vita privata?
"Io ci sono abituato: ho sette persone della scorta che osservano quello che faccio 24 ore al giorno. Ma per motivi di sicurezza devo tenere nascosta la vita della mia famiglia. In questo senso capisco quando si invoca il diritto alla privacy perché con me coincide con il diritto alla vita".

Nel mercato delle notizie oggi vale di più parlare bene o parlare male di Saviano?
"Quando si satura il mercato del parlare bene conviene parlare male, ma non di Saviano, di chiunque. Non voglio avventurarmi in paragoni di cui mi sento inferiore, da Diego Armando Maradona, mito della mia gioventù, e persino a Barack Obama: quando se ne è parlato troppo in positivo, conviene cambiare ed attaccarlo. Fa parte del gioco, ma nella mia situazione quello che mi dispiace è che io non sono un uomo politico, io non rappresento i miei elettori. Io sono uno scrittore e mi sento rappresentante della mia parola e basta".

Ma quando nello scorso autunno lei è salito sul palco di piazza del Popolo in difesa della libertà di stampa, ha assunto una posizione politica.
"Sì, ma nel senso platonico del termine: la politica come arte pubblica, non come purtroppo la considerano gli italiani ossia la spartizione della torta. Non sono salito sul palco con la bandiera di un partito e ho sempre chiesto la condivisione delle mie posizioni anche all'elettorato di centrodestra. Il presidente Gianfranco Fini quando mi ha difeso dalle contestazioni di Emilio Fede ha detto che lo faceva in nome dei molti miei lettori del Pdl".

Quindi lei intende avere una posizione "politica" solo su alcuni temi?
"Sì, in questo senso io faccio politica, nel senso della battaglia delle idee. Mi sento fortunato e privilegiato: ho uno spazio autonomo per farlo. In genere chi cerca la battaglia delle idee deve scontare il dazio se non la gogna della militanza in un partito, il che comporta doversi scontrare con minuzie amministrative, liste e grane organizzative. Mi viene in mente un passo dei "Promessi sposi" in cui padre Cristoforo deve affrontare problemi di peste e guai quotidiani mentre Carlo Borromeo può ragionare sul bene e sul male. In questo momento la battaglia delle idee è lo spazio in cui mi sento libero".

Si sente più libero senza un "partito di Saviano" ma si sente anche più forte? Dopo piazza del Popolo non si sono ridotti gli spazi per comunicare le sue idee?
"Si sono ridotti perché sono diventato antipatico a certe parti politiche. Però continuo a parlare al loro elettorato e sono convinto che questo è l'elemento che più li infastidisce. Mi ricordo quando sono andato all'Università Roma Tre: fuori c'erano manifesti neri con la scritta bianca "Saviano eroe" e la "O" trasformata in croce celtica, sia manifesti rossi con su scritto "Saviano amico mio". Fu veramente divertente: perché non ero io ad avere permesso questa unione. Sembra retorico ma a volte la verità è retorica: è stata la legalità, l'idea che almeno su una cosa - il contrasto alle mafie - si possa non essere divisi".

Condivide le parole di Elio Germano che dal palco di Cannes ha dedicato il premio all'Italia "nonostante la sua classe dirigente"?
"Una dedica assolutamente giusta. È importante fare riferimento a quella parte del Paese che ha voglia di fare e di fare bene. Ed è giusto sottolineare che i limiti sono di tutta la classe dirigente: politici, ma anche imprenditori e uomini di cultura".

A quattro anni esatti dalla pubblicazione di "Gomorra", le mafie sono più o meno potenti?
"Ci sono stati assottigliamenti dei comparti militari delle associazioni criminali; sul piano economico non c'è stato grande contrasto perché non c'è stato un contrasto europeo. No, non mi sento di dire che oggi siano meno forti".

E la magistratura è più o meno forte?
"Ho la sensazione da studioso che la magistratura sia più debole perché le campagne mediatiche contro giudici e pm gli abbiano fatto perdere autorevolezza: il clima nei loro confronti non è dei migliori. E d'altro canto le battaglie interne tra correnti della magistratura fanno perdere il timone: intere procure spaccate per questi motivi non lavorano bene. La fragilità della magistratura la sento tantissimo: rispetto a quando ho scritto "Gomorra" avverto una crisi di operatività e di tranquillità".

L'Italia è la patria dei corsi e ricorsi storici. Quale fase del nostro passato le ricorda la crisi che stiamo vivendo?
"Ci sono due momenti storici che mi aiutano nel tentativo di capire il presente. Il primo lo percepisco su piano epidermico, non l'ho vissuto in prima persona. È quello che ha preceduto le stragi del 1992. Quando parlo con magistrati e investigatori sento la stessa paura, il timore che i boss possano dare una spallata al Paese, alzando il tiro e determinando le condizioni per il futuro prossimo. Penso a quelle frasi scritte in carcere da Francesco "Sandokan" Schiavone che metteva in guardia i familiari da una "valanga": come a dire in questo momento di crisi, qualunque cosa noi facciamo le conseguenze sarebbero enormi e siamo noi a fermarle e a ridisegnare così il destino".

E il secondo riferimento?
"Il clima postunitario di 150 anni fa. Il ministro degli Interni Giovanni Nicotera da ex garibaldino si poneva il problema del Sud: il Sud era occupato non unificato. Io oggi sento tantissimo la voglia di una parte di Europa, ancora prima che della Lega, di liberarsi del Sud d'Italia e vedo una classe dirigente meridionale, tranne poche eccezioni, disorientata se non corrotta. Il Sud sembra diviso tra conniventi e rassegnati, chi ci sta dentro e chi è onesto ma ha perso la speranza".

(L'Espresso/ Gianluca Di Feo)

giovedì 10 giugno 2010

"Ministro Tremonti, lei mi obbliga a violare la legge..."


"Ministro Tremonti,
lei mi obbliga a violare la legge. Mi piacerebbe incontrarla per dirglielo guardandola negli occhi. Lei sta obbligando la maggioranza dei docenti italiani a violare la legge. E’ esattamente quello che accade in moltissime scuole italiane. Cosa significa infatti ammassare più alunni di quanti un ‘ aula può contenerne, se non violare la legge? Sono ben tre le norme violate: la normativa antincendio, quella per la sicurezza negli edifici scolastici e quella igienico sanitaria. Molti sanno che lei ha tolto ben 8 miliardi all’istruzione pubblica. “C’erano tanti sprechi e siamo in tempi di crisi, bisogna razionalizzare”, saggia e incontrovertibile affermazione. Così ha giustificato la cosa. Di contro, però, le spese militari ricevono 25 miliardi di euro e leggo in questi giorni di un bonus di 19 mila euro a classe per le scuole private e leggo anche di un aumento di circa 200 euro mensili per i colelghi di religione, buon per loro, non sia mai, ma allora non bloccassero i nostri per i prossimi secoli.Mettiamoci d’accordo. C’è la crisi o no? Un giorno c’è, un giorno non c’è, un giorno è un “anatema psicologico delle sinistre” e l’altro giorno “dobbiamo fare sacrifici”. Ma non tutti, attenzione: gli statali. Io mi sono arrovellata nel tentativo di capire dove fossero quegli sprechi quando, nell’agosto 2008, ho saputo degli 8 miliardi da togliere alla scuola pubblica. Ma lei ha fugato i miei dubbi: lo spreco era studiare l’italiano, e quindi via due ore. Lo spreco era studiare la tecnologia moderna e quindi via un’ora. Questo alle medie. Escano prima i ragazzi: così hanno tempo per riflettere. Lo ha detto il ministro Gelmini. Lo spreco era recuperare i bambini con difficoltà (cosa frequentissima nei contesti dove vivo e ho scelto di insegnare io, e cioè nelle periferie), e quindi via le compresenze in talune ore di due maestri nelle elementari: a questo servivano, caro ministro. IL tutto eseguito con la furia di un boscaiolo cieco che ha distrutto chiome sane, piante rigogliose e qualche ramo secco, ma troppo pochi, in cambio della distruzione della nostra foresta amazzonica: il polmone del nostro futuro. Quelle due ore d’italiano e le compresenze servivano anche a coprire le assenze dei colleghi senza ricorrere a supplenze esterne. Inoltre : aumentiamo i ragazzi per classe: fino a 30, 33..ma sì. Realizziamo un bel parcheggio per ragazzi, non una scuola certamente. Del resto sono altre le fonti vere della formazione: la vita, la strada, la televisione, il computer. Per chi vuole studiare veramente ci sono le scuole private. Studiare cosa e come poi è da vedere. C’è un piccolo particolare: tutto ciò è anticostituzionale. La Costituzione riconosce alla scuola pubblica, statale, italiana il compito di formare e istruire gli italiani. Le private? Una scelta possibile, non obbligata. Non era un paradiso la scuola pubblica, prima di Tremonti, ma i problemi erano altri, non certo questi. Torniamo alle sue motivazioni: la gestione dei singoli istituti, troppi soldi, troppi. E quindi tagli anche a quella. “Facessero una colletta i genitori, e che sarà mai qualche centinaio di euro”. Alla voce vedi sopra. “Qualche centinaio di euro è nulla”, ma non c’era la crisi? Nella mia regione, in Sicilia, quel centinaio di euro serve per andare avanti. E dunque i tagli: nella scuola dove insegno io, una normale scuola media della periferia palermitana, ma potremmo generalizzare a tutte le scuole medie d’Italia, siamo quasi alla paralisi. Avete compiuto il miracolo: unire di colpo nord e sud nella omologazione verso il peggio. Dico quasi, perché poi, incredibilmente, docenti e dirigenti sono diventati bravi a fare i salti mortali e le capriole all’indietro. E forse questo lei lo sapeva: qual è l’unica classe di lavoratori in Italia che, nonostante tutto, continua a lavorare? La nostra. Nel senso che lei aveva ragione e che quindi, nonostante i tagli , riusciamo ad andare avanti? No: nel senso che per noi quelli che non devono subire le ricadute gravissime della sua scelta scellerata, ripeto, scellerata, non devono essere i ragazzi: e dunque si alza la saracinesca comunque e si fa l’appello tutte le mattine. Però sa cosa c’è? C’è che abbiamo anche sopportato e stiamo sopportando molto, ma l’illegalità di stato dentro una scuola no. Io non la sopporto e la denuncio. Tagliare completamente i fondi di gestione delle scuole ha comportato l’impossibilità di chiamare supplenti per coprire le assenze, adesso che non ci sono più quelle due ore che servivano a coprirle. E dunque le classi si dividono in altre classi. Giornalmente. I ragazzini si prendono la loro sedia e vagano nei corridoi in cerca di spazio. Perdendo ore di lezione. E allora: posso sopportare di lavorare meno, posso sopportare di farlo in una scuola ammuffita, con l’acqua che filtra, senza vetri (lei mi dirà : si rivolga all’amministrazione comunale), posso sopportare di non avere carta igienica per i ragazzi, sapone nei bagni, riscaldamenti a singhiozzo. In una mia classe di prima media ho 23 bambini, 4 di loro con gravissimi disagi sociali e disturbi comportamentali (sono figli di carcerati) , due con problemi di apprendimento e uno disabile grave. Io insegno arte: nelle mie ore non ho insegnante di sostegno, perché sono state tagliate le ore del sostegno, come tanti sanno. E allora mi dica lei quel ‘è il diritto all’istruzione negata del mio alunno disabile? Qual è il diritto all’attenzione precipua negata ai 4 bimbi con problemi sociali? E ai due che non riescono a leggere senza distrarsi? E ‘ una scuola di periferia, se non li aiuto io chi li aiuta? E il resto dei compagni? Non hanno diritto alla “normalità”? E poi viene la ministra Gelmini a parlar male dei docenti del sud, di come i nostri alunni sono in fondo alle classifiche delle prove di merito: ma in queste condizioni cosa vi aspettate? E’ già un mircolo se abbiamo le sedie nella mia scuola. L’inverno lo abbiamo trascorso con mussa e infissi rotti. “Si rivolga al Comun” dirà lei. Il suo sindaco di centrodestra ha tagliato anche lui tutti i finanziamenti alle scuole: sia per il funzionamento ordinario, sia per le manutenzioni. Non ci resta che Santa Rosalia. E in effetti ..manco la chiesa ci appoggia, noi sciagurati delle periferie, intenta com’è a salvaguardare le scuole private. Lei lo chiama razionamento e si riempe la bocca di frasi assurde sul come l’Italia stia reggendo la crisi. Mi scusi: ma che cavolo sta dicendo? Lo deve dire lei, una statistica o io? Ho 253 alunni, 253 famiglie cioè: un bel campione di famiglie di periferia, come ce ne sono a migliaia nella corona delle città. Forse ne so parlare meglio di lei degli effetti della crisi, sig. Ministro: niente fumo negli occhi ahimè. Perché nemmeno il contributo di 15 euro annui riescono più a pagare. Lo stato vissuto nelle classi italiane è disastroso. Io la chiamo illegalità. Io non posso adeguarmi. Non per me stessa, che alla fine noi docenti ci abituiamo a tutto, ma per loro. Non posso più tollerare che quei ragazzi siano il bersaglio vero delle nostre scelte. E’ questa l’illegalità Egregio ministro. L’’illegalità e il non rispetto della legge no. A Palermo no. Non in quel quartiere: la scuola non può tollerarlo perché è l’unico baluardo dello Stato. Porti solo la sua firma questo scempio: io non voglio rendermene complice. E non mi dica che sto facendo politica e un insegnante non può farla. Io ne ho più diritto di lei, che sia chiaro: io formo i cittadini di domani. Non lei. Lei passerà, per fortuna, ma i docenti italiani ci saranno sempre a insegnare cosa voglia dire rispettare le regole, rispettare la legge, cosa significhino parole come “comunità”, come “solidarietà”, come “eguaglianza”, come “fraternità”. Questa è politica, caro Tremonti, ed è il senso del mio mestiere. Glielo insegno di più io, non di certo tu che gli togli maestri, risorse e ruolo sociale. Da qualche mese mi rifiuto di accogliere ragazzi provenienti da classi divise oltre il numero consentito. E lo farò anche a fronte di ordini di servizio scritti. Venga qualcuno a obbligarmi. Venga pure. Io mi rifiuto. IL mio Dirigente mi dirà: dove li metto allora? Io la rivolgo a Lei questa domanda: dove li mettiamo? La rivolgo ai suoi elettori, che sono anche genitori: dove volete che li mettiamo i vostri figli? Di quei 25 miliardi alle spese militari destini nuovamente alla scuola pubblica gli 8 miliardi tolti. Oppure assegni i proventi del lotto per un anno alla messa in sicurezza degli edifici scolastici: sono questi per me i monumenti culturali dell’Italia che amo. La smetta di giocare con la vita e con l’istruzione dei nostri figli. Anzi, le dico di più, se posso: se ne vergogni. Mila Spicola Professoressa."

Grazie Mila.

http://metilparaben.blogspot.com/2010/06/lettera-tremonti-di-uninsegnante-di.html

mercoledì 9 giugno 2010

Italia: "Ogni individuo tende a salire nella scala gerarchica fino al massimo livello di incompetenza"

Il principio di Peter spiega che: "Ogni individuo tende a salire nella scala gerarchica fino al massimo livello di incompetenza". In Italia questo principio è così solare, sotto gli occhi di tutti, che non ha bisogno di essere provato. Burocrati, ministri, direttori di giornali, amministratori delegati, segretari di partito sono testimoni viventi del massimo livello di incompetenza. Gli italiani hanno però capacità insospettabili come dimostra la loro storia millenaria che avrebbe stroncato qualunque altra stirpe. E sono andati oltre il principio di Peter con il principio del Paraculo.


www.beppegrillo.it

martedì 8 giugno 2010

"Indignatevi e ribellatevi ai tagli" firmato Mario Monicelli


Mario Monicelli è un barricadero di 95 anni che non accetta i tagli alla cultura decisi dal governo. Così ieri ha arringato gli studenti dell’Istituto di Stato per la cinematografia e la televisione «Rossellini» di Roma, invitandoli a ribellarsi. «Spingere con la forza e non tacere. Dovete usare la vostra forza per sovvertire, protestare. Fatelo voi che siete giovani. Io non ho più l’età», ha detto, suscitando l’ovatione della sala dell’Istituto dove si svolgeva la proiezione della Nuova armata Brancaleone, «film» dello stesso Monicelli, scritto insieme a Mimmo Calopresti.

In realtà, il Brancaleone-bis non è un film ma uno scherzo provocatorio composto solo di qualche sequenza con tanto di titoli di testa e coda. Un pretesto per far scorrere, durante la breve proiezione, i titoli programmatici che indicano appunto come non sarà più possibile fare cinema dopo i tagli. «Succederà che questo schermo rimarrà nero, senza immagini, senza parole. Succederà che i lavoratori di domani di cinema e televisione non avranno un futuro. Perché - recitano le didascalie - si sta tagliando il loro presente. Perché si stanno negando i loro diritti di studenti». E ancora: «Succederà che l’unica scuola di cinema e televisione pubblica in Italia perderà materie fondamentali. E succederà anche che non sarà l’unica. Ragionieri, geometri, agrari, educatori, ricercatori tutti nella stessa barca, anzi, tutti parte di una nuova armata Brancaleone».

Durante l’incontro, Monicelli ha poi detto che «l’Italia è conosciuta all’estero solo per la sua cultura. Non siamo un Paese che ha avuto grandi generali, grandi personaggi storici, ma solo una forte collocazione culturale. Ed è proprio questa, l’unica cosa che ci viene da tutti riconosciuta all’estero, che si vuole oggi combattere. Il cinema vuol dire tutto. Per il resto c’è la cultura dell’arraffare, di arricchirsi».

La sparata di Monicelli non è piaciuta al ministro dei Beni culturali, Sandro Bondi. In serata è arrivata la sua replica: «Intellettuali come Monicelli non si rendono conto della gravità e delle conseguenze delle loro parole». Bondi avverte: «Non dovremmo sottovalutare il monito di Giampaolo Pansa quando avverte il montare nuovamente di un clima di odio che in Italia ha già prodotto una lunga stagione di violenza politica».

http://www.lastampa.it/redazione/cmsSezioni/spettacoli/201006articoli/55629girata.asp

martedì 1 giugno 2010