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martedì 30 marzo 2010

V. Marinello (Pd) resta all'ARS

Se non fosse per le alte quantità numeriche, potremmo scrivere: 5395 contro 5392. E’ finita. Vince Vincenzo Marinello. Eppure non si tratta di calcio ma di elezioni. Quelle regionali di due anni fa. L’ormai lontano 2008. Una sfida infinita, all’ultimo voto, all’ultimo riconteggio e che, alla fine, tra Manzullo e Marinello, ha visto prevalere quest’ultimo. Dopo l’ennesimo ricorso di Manzullo infatti, anche il Consiglio di Giustizia Amministrativa ha confermato la permanenza del deputato saccense del Partito Democratico all’Assemblea Regionale Siciliana. Il ricorso del riberese Giovanni Manzullo è stato respinto e la battaglia è stata vinta ufficialmente per tre voti. Il risultato del resto era già stato confermato anche dal Tar ma adesso sembra essere giunti all’epilogo ed ai titoli di coda. Dopo due anni di battaglia legale e carte bollate Marinello ha avuto la conferma dell’ultimo seggio che era stato assegnato al Partito Democratico in provincia di Agrigento.
Come si ricorderà il Tar aveva disposto attività istruttoria, l’acquisizione delle schede e la loro verifica, soprattutto quelle relative alla sezione 9 di Ribera, alla sezione 7 di Palma di Montechiaro ed alla sezione 11 di Ravanusa. L’obbiettivo era quello di accertare a Ribera l’attribuzione a Marinello di tre voti in più rispetto a quelli riportati mentre a Palma di Montechiaro e Ravanusa la mancata attribuzione sempre di tre voti.
Alla resa dei conti è questo quello che è successo. Marinello ha perso tre voti a Ribera mentre gli sono stati attribuiti a Ravanusa e Palma di Montechiaro. Il deputato saccense era assistito dagli avvocati Stafano Polizzotto, Antonietta Sartorio e Giovanni Pitruzzella mentre Manzullo era assistito dagli avvocati Girolamo Rubino e Serafino Mazzotta. Inoltre il politico riberese è stato condannato a pagare le spese processuali per un totale di ben 4000 euro. Subito dopo le elezioni regionali Manzullo aveva presentato una denuncia alla Procura di Agrigento dalla quale sono poi scaturiti i sequestri degli atti relativi alle operazioni di voto, poi verificate e controllate.
La notizia della conferma del dato elettorale è arrivata a Marinello il 19 marzo, due giorni prima del suo compleanno, quindi sicuramente è stato un buon modo per festeggiare e per prepararsi ad una nuova fase politica, maggiormente concentrato su alcuni obbiettivi da raggiungere.
“C’è soddisfazione, ha dichiarato Vincenzo Marinello, non potrebbe essere altrimenti. Finalmente si chiude una fase lunga e stancante che mi ha visto, mio malgrado, impegnato come difensore di me stesso e un po’ distolto dalla politica attiva. Ciò nonostante già in questi due anni all’Ars sono riuscito a portare avanti ed ottenere importanti risultati per il territorio agrigentino, saccense e siciliano. La mia attività politica da adesso in avanti potrà proseguire in maniera molto più serena e senza altre distrazioni. L’importante è aver visto finalmente legittimato in modo definitivo il grande successo elettorale del 2008.
Quello che mi rimane di questa lunga storia è sicuramente una grande amarezza. Amarezza perché tutto poteva benissimo essere concluso prima, senza ulteriori problemi. Ma tant’è. L’importante è che tutto, e non avevo dubbi, sia andato bene e che sia avvenuta la conferma del dato elettorale.
All’Ars il lavoro non manca. Le iniziative in cantiere sono molteplici e non mancano di interesse diversi settori primari e fondamentali della vita sociale e pubblica siciliana, penso all’agricoltura che da tempo galleggia in uno stato preoccupante di crisi, penso alla zootecnia, penso alla marineria per la quale tanto ancora si può fare.
Per esempio, abbiamo finalmente dato il giusto rilievo ad uno dei settori trainanti dell’economia soprattutto nelle zone rivierasche della nostra isola attraverso l’approvazione da parte dell’aula dell’emendamento a mia firma che consente ai rappresentanti del settore pesca di poter essere inseriti negli organi direttivi delle Camere di Commercio.
Sempre per quanto riguarda il settore della pesca, aggiunge Marinello, all’interno della finanziaria regionale, sono stati recuperati circa 33 milioni di euro da rinvestire in un comparto che sta soffrendo una grave crisi economica dovuta anche alle conseguenze, non sempre positive, della globalizzazione. Per l’agricoltura invece ho proposto la riduzione e l’esenzione dell’imposta che grava sul gasolio, oppure l’esenzione totale dell’Iva per quanto riguarda l’acquisto dei prodotti agricoli. In merito invece alla stabilizzazione degli LSU quello che si è potuto fare a livello regionale consiste in un supporto economico di tre mesi per quei comuni, tra i quali anche Sciacca, che hanno a proprio carico dei lavoratori socialmente utili. Questo sempre grazie a dei precisi emendamenti supportati dalle commissioni, in particolare quella lavoro e grazie al cosiddetto fondo per l’occupazione. Si può fare, anzi si deve fare. Da adesso in poi proseguirò nel mio lavoro con rinnovata lena ed entusiasmo, dopo la chiusura di una vicenda che sembrava infinita.”

Calogero Parlapiano - tratto da "Controvoce"

martedì 23 marzo 2010

"Vito Bono non è indipendente". Intervista al consigliere comunale Gianluca Guardino

Quali sono le principali differenze tra ricoprire il ruolo di assessore ed essere consigliere di opposizione?
Le differenze ci sono e sono sostanziali. Le differenze non solo sono legate alla diversità del ruolo ma sono legate al contempo a quanto dispone la legge, si deve operare e deliberare su competenze specifiche e portare a termine precisi atti d’indirizzo. Mentre dal punto di vista del rapporto con la città non penso vi siano differenze, in quanto ero e mi sento a tutt’oggi portavoce degli interessi collettivi, lo spirito comune deve essere quello di operare nell’interesse della città a prescindere dai ruoli e dagli schieramenti. Dal punto di vista politico invece una differenza c’è, ossia se si fa parte di una maggioranza che sostiene un sindaco in teoria si dovrebbe appoggiare e noi questa cosa non la riscontriamo. Penso al caso Pippo Turco o all’intervista rilasciata da Simone Di Paola: loro si sono resi attori di quanto noi sosteniamo fin dall’inizio.
Pensa che si manchi in coerenza?
Si, penso manchi la coerenza ma soprattutto il rispetto, in particolare su alcune posizioni. Per esempio, mi chiedo cosa ha spinto Simone Di Paola a fare quelle dichiarazioni forti? O si è carne o si è pesce. Come si può da un giorno all’altro criticare la propria maggioranza e successivamente presentare, a quanto pare, una lettera di scuse? Poi registro in merito ai due casi, risposte e metri diversi. Turco è stato espulso dall’Mpa mentre Di Paola invece è stato premiato. Perché? Forse Di Paola ha fatto da pungolo? Ritengo infine che le provocazioni hanno un valore pari a zero, la politica o la si fa o no.
Come pensa che è stata gestita dall’amministrazione la vicenda Piazza e la questione del rimpasto chiesto dal PD?
La vicenda Piazza non è stata gestita bene. Non c’è dubbio che vi fosse una questione politica ma vi invito tutti a leggere la determina sindacale attraverso la quale il sindaco ha inserito nella giunta Fazio in luogo di Piazza: è piena di contraddizioni. Nella determina il sindaco fa espresso riferimento alle vicende politiche che hanno determinato questo avvicendamento, parla del concetto politico e di conseguenza poltroni stico. Vito Bono quindi non è indipendente dalla politica, è schiacciato dalla politica, oppure ha un concetto di “indipendenza” parecchio astratto. Io ho rispetto per tutti gli amministratori e si deve tenere alta la china. Ho tanti amici all’interno della maggioranza ma politica e aspetti personali sono due cose molto diverse: l’amicizia non può bloccare l’attività politica. Non sta a me giudicare se l’ex assessore Piazza abbia più o meno operato bene. Anche io ho ricoperto la delega alla pesca e mi ricordo di aver sistemato l’illuminazione presso il modo di levante del porto di Sciacca. Poi, in ambito pesca, ci sono fattori sui quali il comune non sempre ha le competenze.
L’ex sindaco Mario Turturici dice di aver lasciato i conti in ordine, l’attuale sindaco Vito Bono afferma da tempo che mancano al Comune le risorse finanziarie. Dove sta la verità?
Nel momento in cui Vito Bono ha deciso di candidarsi a sindaco conosceva bene la situazione delle casse del comune di Sciacca. Non è che nelle casse del comune i soldi mancano dal gennaio 2010. E’chiaro che, col tempo, le risorse economiche a favore dell’ente Comune sono diminuite, penso per esempio alla questione ICI. Ma avete mai sentito in precedenza Mario Turturici nascondersi dietro la frase che soldi non ce ne sono? Ci vuole programmazione, le somme vanno ricercate presso i ministeri, come è successo per esempio in passato allor quando si dovevano cercare dei fondi per la contribuzione a sostegno degli LSU. Se c’è la programmazione, possono essere espletate tutte le esigenze. Perché in passato si poteva fare mentre adesso no? Penso al contributo carburante per le famiglie che accompagnano figli disabili presso strutture situate fuori Sciacca: come mai fino al 2009 questi contributi venivano riconosciuti mentre nel trimestre finale del 2009 sono stati abbattuti di un quinto? Perché nel primo trimestre del 2010 questi stessi contributi sono completamente scomparsi? E ancora, penso alla scerba tura. L’ultimo intervento straordinario di scerbatura risale al maggio del 2009. La città non è normale, non sono questi i presupposti della normalità. Per il mercato ortofrutticolo non è stato ancora fatto nulla, eppure io avevo lasciato tutto pronto: il box, i soldi per comprare gli arredi. Si doveva approntare il piano di viabilità interno al mercato: che cosa hanno fatto? Sul mercato del contadino infine i fondi per realizzarlo li ho portati io: cosa hanno fatto con quei soldi? A cosa sono stati destinati? Perché non si muove nulla? Sono tutte domande che io mi pongo. Vorrei tanto esprimere un giudizio positivo sulla giunta e sugli assessori ma non posso poiché i dati sono inequivocabili.
Perché, a suo parere, l’Mpa ha deciso di non appoggiare la candidatura dell’ex sindaco Mario Turturici alle ultime elezioni comunali?
Noi del Pdl avevamo fatto sforzi enormi per fare eleggere Lombardo a Presidente della Regione e D’Orsi a Presidente della Provincia e ci eravamo riusciti. Ci saremmo aspettati che l’Mpa avesse fatto la sua parte durante le comunali ed invece ci siamo ritrovati Lombardo a Sciacca sul palco insieme a Vito Bono. Secondo me chi fa politica lo deve fare con trasporto, con passione, io sono molto attratto dalla politica per la quale rubo tempo al mio lavoro ed alla mia famiglia. Evidentemente l’atteggiamento dell’Mpa è stato caratterizzato da logiche spartitorie. Ma questa è solo una mia opinione, magari mi sbaglio. Certo è che il loro mancato appoggio è stato decisivo se pensiamo al fatto che Vito Bono è stato eletto al primo turno grazie ad uno scarto di 300 voti soltanto e tenendo conto che noi eravamo soli contro tutti. La sconfitta elettorale ha lasciato dell’amaro in bocca ma Mario Turturici è già rimpianto dai cittadini. Poi è chiaro che le elezioni sono come una competizione ed occorre avere la consapevolezza che si può vincere o perdere.
Ma, a suo giudizio, per la vittoria elettorale di Vito Bono, sono state più decisive le probabili fratture interne al Pdl oppure il fatto che, si diceva, Mario Turturici non salutasse la gente per strada?
Questo non lo so. Sicuramente la campagna elettorale di Vito Bono secondo me è stata denigratoria, è stato sempre a parlare anche nei manifesti elettorali dell’auto blu e della presunta antipatia di Turturici. Non so e non credo che la mancata rielezione dell’ex sindaco è riconducibile al fatto che si dicesse fosse antipatico oppure che non era mai in giro. Il rapporto con la città si deve avere ma ci sono aspetti che vanno oltre e la gente dovrebbe saper valutare tutto, se una persona ha capacità politiche, personali, se ha le competenze e le conoscenze. E Mario Turturici le aveva, contrariamente a Vito Bono.

Calogero Parlapiano - tratto da "Controvoce"

lunedì 22 marzo 2010

Col fiato sul collo. A pochi passi da Matteo Messina Denaro

''Quello inferto alla mafia siciliana e' un colpo durissimo, non tanto e non solo per i numerosi arresti e perquisizioni in diverse citta' italiane; ma, soprattutto, perche' e' stata smantellata buona parte della rete di complici e favoreggiatori messa in piedi dal boss Matteo Messina Denaro per favorire la propria latitanza e, al contempo, per comunicare ordini e disposizioni agli affiliati all'organizzazione criminale''.
''Ai magistrati della procura distrettuale antimafia palermitana, agli uomini del Servizio Centrale Operativo della Polizia di Stato e delle Squadre Mobili di Trapani e Palermo - conclude il guardasigilli - esprimo la mia gratitudine per questo straordinario successo, frutto di un impegno investigativo incessante, importante tappa per assicurare al piu' presto alla giustizia il boss Matteo Messina Denaro, attuale capo di cosa nostra''.
Il commento del ministro della giustizia Angelino Alfano non poteva che essere positivo in merito all’operazione Golem 2 che ha fatto terra bruciata attorno al superlatitante Messina Denaro, ricercato dal 1993 allor quando si era dato alla macchia insieme al padre, Don Ciccio, morto da latitante.
Sono in tutto 19 gli arrestati dalla squadra mobile di Trapani in collaborazione con quella di Palermo. Su ordinanza della Dda di Palermo, gli indagati, che dovranno rispondere a vario titolo di associazione mafiosa, sono tutti fedelissimi al super latitante e, tra gli arrestati figurano anche il fratello e due cugini del superboss, considerato il nuovo capo mafia dopo gli arresti di Riina, Provenzano e dei Lo Piccolo.
Ecco i nomi degli arrestati: Salvatore Messina Denaro, Maurizio Arimondi, Calogero Cangemi, Fortunato e Lorenzo Catalanotto, Tonino Catania, Andrea Craparotta, Giovanni Filardo, Leonardo Ippolito, Antonino Marotta, Marco Manzo, Nicolò Nicolosi, Vincenzo Panicola, Giovanni Perrone, Carlo Piazza, Giovanni Risalvato, Paolo Salvo, Salvatore Sciacca e Vincenzo Scirè.
Messina Denaro curava ogni dettaglio. Era rimasto scottato dall’esperienza avuta con Bernardo Provenzano il quale aveva conservato alcuni dei pizzini, recuperati poi dagli inquirenti al momento della sua cattura. Il boss di Castelvetrano usava mille accorgimenti, cercava di utilizzare meno postini ed intermediari possibili, cercava di comunicare tanto ma col minor numero di pizzini e soprattutto invitava il ricevente a distruggere qualsiasi pizzino una volta letto il contenuto del messaggio. Inoltre il boss non è solito scrivere i messaggi di proprio pugno ma si serve di un’altra mano. Sempre la stessa ma non la sua. A questa conclusione, importante, sono giunte le forze dell’ordine che operano nel territorio agrigentino e trapanese. Insomma la prima regola è non lasciare tracce. Mai. Per nessun motivo al mondo.
Ma chi è Matteo Messina Denaro e, soprattutto, dove si nasconde? Il soprannome se l'é scelto da sé: Diabolik, come il ladro gentiluomo protagonista del noto fumetto. Quarantotto anni, è, per così dire, "figlio d'arte" in quanto il padre, don Ciccio, è stato lo storico capomafia di Castelvetrano. La primula rossa di Cosa nostra è un enfant prodige del crimine: a soli 14 anni impara a sparare. E non smette più. Ma è al potere che mira il nuovo padrino ed a quello che permette di fare. Infatti è amante del lusso, degli abiti griffati e delle auto sportive, grande collezionista di Rolex. Lontano anni luce dall'immagine del padrino che trascorre la latitanza in isolate masserie di campagna, mangiando ricotta e cicoria, continua, però, a gestire i tradizionali affari di Cosa nostra: come la droga - ha stretto importanti accordi con i cartelli sudamericani - e le estorsioni. Ma non disdegna il traffico di armi, la macellazione clandestina e, grazie a imprenditori prestanomi, gli investimenti nella grande distribuzione alimentare. E’ stato legato a Maria Mesi (condannata il 28 marzo 2001 per favoreggiamento), ma ha avuto anche una figlia da una precedente relazione. Recentemente avrebbe tentato di ampliare il suo raggio d'affari in Austria, Svizzera, Grecia, Spagna e Tunisia. Le vicissitudini giudiziarie di Matteo Messina Denaro iniziano nel 1989, quando viene denunciato per associazione mafiosa. Dal 1993 è costretto alla latitanza. Ritenuto vicino all'ala sanguinaria di Cosa nostra di Totò Riina e Leoluca Bagarella, sarebbe stato tra i promotori delle stragi del '93 a Firenze, Milano e Roma per cui e' stato condannato all'ergastolo con sentenza definitiva. Nel 1994, secondo quanto raccontano i pentiti, a causa della grave forma di strabismo di cui soffre sarebbe andato a farsi visitare in Spagna, in una nota clinica di Barcellona. L'importanza del ruolo ricoperto da Messina Denaro in Cosa nostra viene confermata quando, dopo la cattura del boss Bernardo Provenzano, gli inquirenti scoprono il fitto carteggio tra i due capimafia. Nelle lettere, che sembrano escludere l'esistenza tra i due di presunti contrasti di cui avevano parlato alcuni collaboratori di giustizia, il giovane rampollo trapanese si rivolge con rispetto, ma da pari a pari, all'anziano padrino.
Non solo. Gianni Pompeo, attuale sindaco di Castelvetrano, per aver auspicato pubblicamente la cattura del boss Matteo Messina Denaro, avrebbe suscitato una dura reazione tra i fiancheggiatori del capomafia latitante.
Andrea Craparotta, uno dei fermati nell'operazione antimafia Golem 2, in una conversazione con la moglie intercettata il 7 maggio 2008, accomuna addirittura Pompeo al suo predecessore Tonino Vaccarino, l'ex sindaco che sarebbe stato assoldato dal Sisde nel tentativo di catturare la primula rossa. "Quello (ossia Vaccarino) va in giro e non si capisce, comunque è un morto che cammina..... un morto che cammina, ne sono convinto, lui e Gianni (Pompeo) pure adesso...". Riferendosi alle esternazioni del sindaco Pompeo su Matteo Messina Denaro, Craparotta aggiunge che riferirà tutto al fratello del boss latitante, Salvatore: "Minchia cosa diceva di Matteo, accapponava la pelle, ma io domani a Salvatore glielo faccio vedere...". Conversando sempre con la moglie, Craparotta ammette tuttavia che la pressione degli investigatori impegnati nella caccia al latitante si sta facendo asfissiante: "é meglio che si costituisce perché, per ora Castelvetrano soffre di questa cosa, che lui è rimasto il numero uno... Io lo conoscevo da ragazzo, lui e tutti i suoi amici fidati, ed abbiamo visto la fine che hanno fatto: quello si è impiccato, quello ha l'ergastolo. Tutti amici fidati che gironzolavano paese paese..."
Il cerchio insomma si stringe. Il superlatitante sarà nascosto da qualche parte tra Castelvetrano e Trapani, i suoi territori principali da dove gestisce buona parte dei traffici criminosi della famigghia mafiosa. E prima o poi farà uno sbaglio o arriveranno le forze dell’ordine a scovarlo. Magari alla vigilia delle prossime elezioni.

(nella foto Salvatore Messina Denaro, fratello di Matteo)

Calogero Parlapiano - tratto da "Controvoce"

domenica 21 marzo 2010

Niente Paura...

Buona musica e buona domenica a tutti!!!


Ci pensa la vita, mi han detto così...

sabato 20 marzo 2010

Spot della seconda edizione del Premio Letterario "Vincenzo Licata"

Torna il Premio Nazionale di letteratura e poesia "Vincenzo Licata - Città di Sciacca", organizzato dall'associazione di promozione sociale L'AltraSciacca.
Per partecipare consulta il bando sul sito www.vincenzolicata.it .
Scadenza 10 luglio 2010.

venerdì 19 marzo 2010

PREMIO NAZIONALE DI LETTERATURA E POESIA "V.LICATA - CITTA' DI SCIACCA" 2010, II EDIZIONE: IL BANDO. Partecipate Numerosi

Organizzato dall’Associazione di promozione sociale “L’AltraSciacca”

Bando di partecipazione all’Edizione 2010

Scadenza: 10 Luglio 2010

SEZIONI DEL PREMIO:

Sezione A – Poesia a tema libero e senza limiti di lunghezza in lingua italiana.
Sezione B – Poesia a tema libero dialettale e senza limiti di lunghezza, corredata da una traduzione chiara e leggibile in lingua italiana.
Sezione C – Poesia in lingua italiana senza limiti di lunghezza, avente come tema “Il Padre” inteso come figura paterna o come figura religiosa, a discrezione dell’autore.
Sezione D – Racconto a tema libero, ma non superiori alle 9000 battute.

TESTI - I testi possono essere editi o inediti. Non sono ammessi testi che siano già stati premiati ai primi tre posti in altri concorsi o premi letterari.

NUMERO COPIE E DOCUMENTAZIONE – I concorrenti devono inviare, a mezzo posta prioritaria o a mezzo raccomandata, la documentazione seguente:

scheda di partecipazione al Premio debitamente compilata, scaricabile dal sito www.vincenzolicata.it;
n. 2 copie cartacee degli elaborati di cui una sola con nome e cognome, indirizzo, numero di telefono ed e-mail;
facoltativamente n. 1 copia degli elaborati in formato elettronico su supporto ottico (CD);
la dichiarazione che l’opera è frutto del proprio ingegno;
l’autorizzazione al trattamento dei dati personali.
QUOTA DI PARTECIPAZIONE – La quota di partecipazione è di 10,00€ (dieci euro), per ogni sezione nella quale si intende concorrere. Allegare agli elaborati la quota di partecipazione a mezzo contanti.

SPEDIZIONE - Spedire gli elaborati a:
«PREMIO NAZIONALE “VINCENZO LICATA – CITTA’ DI SCIACCA”
ASSOCIAZIONE L’ALTRASCIACCA
CASELLA POSTALE 7 – 92019 SCIACCA (AG)».

La spedizione deve avvenire entro il 10 Luglio 2010, farà fede il timbro postale.

PREMI

Per ogni sezione saranno assegnati i seguenti premi:

Al 1° classificato ->
Coppa personalizzata e Attestato di merito.
Pubblicazione della poesia sul sito del Premio www.vincenzolicata.it.
Al 2° classificato ->
Targa personalizzata e Attestato di merito.
Pubblicazione della poesia sul sito del Premio www.vincenzolicata.it.
Al 3° classificato ->
Medaglia e Attestato di merito.
Pubblicazione della poesia sul sito del Premio www.vincenzolicata.it.
Ai restanti classificati finalisti entro i primi dieci posti ->
Piccolo souvenir di ceramica di Sciacca e Attestato di merito.
Pubblicazione della poesia sul sito del Premio www.vincenzolicata.it.
A tutti gli iscritti al Premio ->
Attestato di partecipazione.
Premio speciale “Vincenzo Licata”

E’ un premio speciale riservato alla produzione, tra quelle pervenute in tutte e quattro le sezioni, che più di ogni altra interpreta lo spirito delle opere del poeta Vincenzo Licata mettendo in rilievo la genuinità dei sentimenti dell’autore, l’immenso amore che egli prova per la sua gente e la sua città, la venerazione che nutre per i luoghi in cui vive e una profonda coscienza civica. Il premio consiste in una preziosa lavorazione artigianale in corallo sotto campana di vetro realizzato e gentilmente offerto da NOCITO GIOIELLI in Sciacca.

GIURIA - La Giuria, il cui giudizio è insindacabile e i cui nominativi saranno resi noti in seguito, è composta da esponenti del mondo culturale, artistico e scolastico.

DIRITTI D’AUTORE – Gli autori, per il fatto stesso di partecipare al Premio, cedono il diritto di pubblicazione all’interno del sito Internet dell’Associazione e/o su eventuale Antologia del premio senza aver nulla a pretendere come diritto d’autore. I diritti rimangono comunque di proprietà dei singoli Autori.

IMPORTANTE – I concorrenti devono allegare agli elaborati la dichiarazione che l’opera è frutto del proprio ingegno e l’autorizzazione al trattamento dei dati personali. E’ sufficiente scrivere in calce al foglio: “Dichiaro che l’opera presentata è frutto del mio ingegno” e “Il/La sottoscritto/a, acquisite le informazioni dal titolare del trattamento ai sensi dell’articolo 13 del D.Lgs. n. 196/2003, presta il suo consenso al trattamento dei propri dati personali da parte de L’Associazione L’AltraSciacca ai fini inerenti il Premio cui partecipo.”, firmando in maniera chiaramente leggibile. Si consiglia di utilizzare la scheda di iscrizione stampabile che si trova nella sezione Download del sito del Premio www.vincenzolicata.it.

PREMIAZIONE - La premiazione avverrà a Sciacca (AG) entro la prima decade del mese di agosto 2010. Le modalità della Premiazione saranno rese note al termine della scadenza del bando sul sito del Premio www.vincenzolicata.it. Tutti i partecipanti ed i finalisti sono invitati a prendervi parte sin d’ora. Chi non potrà intervenire riceverà i premi e/o gli attestati tramite spedizione postale.

INFORMAZIONI - Rivolgersi a Calogero Parlapiano, segretario del Premio;
tel. 340 08 81 756; e-mail: premio@vincenzolicata.it;
siti web: www.vincenzolicata.it; www.laltrasciacca.it.

RISULTATI - Tutti i partecipanti riceveranno tramite e-mail una copia dei risultati del Premio. I risultati verranno anche pubblicati sul sito Web: www.vincenzolicata.it.

NOTE

Il materiale inviato non verrà restituito.
E’ possibile partecipare a più sezioni del Premio purché si corrisponda per ognuna il versamento di 10,00€ (dieci euro).
In alternativa al supporto ottico e sempre in modo facoltativo, la copia in formato elettronico degli elaborati può essere inviata alla casella di posta elettronica premio@vincenzolicata.it; il possesso di tali copie agevolerà il lavoro di pubblicazione delle opere finaliste sul sito del Premio.
Il Premio non ha scopi di lucro. Le quote di iscrizione saranno utilizzate per coprire i costi complessivi dell’organizzazione dell’evento, quali ad esempio le spese di segreteria, le spese postali, l’acquisto dei premi, la cerimonia di premiazione, e quant’altro risulterà necessario.
INFORMATIVA - In relazione agli artt. 13 e 23 del D.Lg n. 196/2003 recanti disposizioni a tutela delle persone ed altri soggetti rispetto al trattamento dei dati personali, Vi informiamo che i Vs. dati anagrafici, personali ed identificativi saranno inseriti e registrati nell’archivio dell’Associazione L’AltraSciacca ed utilizzati esclusivamente ai fini inerenti gli scopi istituzionali del Premio cui in epigrafe. I dati dei partecipanti non verranno comunicati o diffusi a terzi. L’interessato potrà esercitare tutti i diritti di cui all’art. 7 del D.lgs 196/2003 e potrà richiederne gratuitamente la cancellazione o la modifica scrivendo al «Responsabile del trattamento dei dati personali de L’Associazione L’AltraSciacca, Calogero Parlapiano – Casella Postale 7 – 92019 Sciacca (AG)».

giovedì 18 marzo 2010

"Il caso Genchi" a Sciacca

La storia di Gioacchino Genchi, consulente informatico, esperto di tecnologie e collaboratore della maggior parte delle Procure e dei migliori magistrati italiani ha dell’incredibile. Lui stesso ne è perfettamente consapevole. Una storia che da mesi ormai porta in giro in tutta Italia, dentro le scuole, dentro le università, dentro i circoli: dovunque qualcuno lo chiami. Il suo calendario di impegni ed incontri era ed è lunghissimo, tutti lo vogliono conoscere, tutti vogliono sapere cosa si cela dietro il suo illuminante libro: “Il caso Genchi. Storia di un uomo in balia dello Stato”, Aliberti Editore. Un tomo impressionante. Non tanto per le sue 983 pagine ma per il proprio contenuto. Qualsiasi lettore, dopo essersi addentrato nel volume, ne esce smarrito, quasi sconfitto, senza punti di riferimento, amareggiato dal fatto che tutto in Italia, politica, imprenditoria, servizi segreti, procure, Vaticano, sembra essere colluso con il malaffare, con la mafia, con la criminalità, in un vorticoso walzer di affari, cemento, tangenti ed indagini. Tutti contro tutti e tutti con tutti.
Il libro è stato scritto dal giallista Edoardo Montolli che ha raccolto le rivelazioni di Gioacchino Genchi, nato a Castelbuono, in provincia di Palermo. Non lontano da Sciacca. Genchi è stato ospite della nostra città termale la scorsa domenica, 7 marzo, in un evento organizzato e voluto dall’associazione L’AltraSciacca. Tantissime sono state le persone presenti ad un appuntamento per il quale, evidentemente, c’era molta attesa e nonostante il fatto che Genchi fosse stato già a Sciacca nello scorso dicembre, ospite al liceo classico “Tommaso Fazello” insieme a Salvatore Borsellino, fratello di Paolo, il giudice assassinato dalla mafia a Palermo, nella strage di via D’Amelio. Ed è proprio dalle stragi di via D’Amelio e di Capaci che Genchi sembra riannodare le fila di un sistema corrotto ed i cui principali protagonisti sembrano travalicare spesso anche i confini della moralità. Genchi ha collaborato pure con Luigi De Magistris per l’inchiesta Why Not, prima che le note polemiche e vicende nazionali facessero saltare l’indagine. Il resto è storia. De Magistris ha abbandonato (o gli hanno fatto abbandonare) le procure ed oggi è europarlamentare, eletto da indipendente nella lista dell’Italia dei Valori.
“In Why Not avevo trovato le stesse persone sule quali indagavo per le strage di via D’Amelio. L’unica altra indagine della mia vita che non fu possibile finire”. Inizia proprio così il dialogo tra Genchi e lo scrittore Montolli. Due indagini, lo stesso destino: a Genchi non è stato concesso di portarle a termine. Perché? Cosa si nasconde dietro quelle vicende?
Perché pochi anni fa, da Olbia, l’attuale Premier Silvio Berlusconi ebbe a definire Genchi e l’allora libro non ancora pubblicato: “Sta per uscire uno scandalo che forse sarà il più grande della storia della Repubblica. Un signore (Genchi) ha messo sotto controllo trentacinquemila persone”.
Poco importa, come spiega Marco Travaglio che ha curato la prefazione di questo libro, se Genchi non ha mai intercettato nessuno in vita sua: basta ripetere a reti unificate che intercetta tutti, che scheda milioni di persone, ovviamente a scopo ricattatorio, e il gioco è fatto. Tutti finiranno col crederci. Il libro contiene materiale inedito su diverse inchieste degli ultimi vent’anni. Tra queste, le stragi del 1992-1993, l’asta Umts, le scalate bancarie, il crac Cirio, lo spionaggio di Telecom e Why Not ed è basato sulle memorie difensive di Gioacchino Genchi.
“Il più grande scandalo della Repubblica”, Berlusconi dixit, ossia il cosiddetto “Archivio Genchi” viene a galla con nomi e cognomi, con del materiale così scottante da poter riscrivere nuovamente e completamente gli ultimi vent’anni della storia d’Italia. Il tutto condito non da teoremi e teorie, ma costituito da dati e fatti, indagini ed amicizie impensabili.
Il libro è “la storia sconvolgente che spiega perché tanti potenti hanno paura del contenuto dell’archivio Genchi” ha scritto sempre Marco Travaglio. E Genchi, durante le tre ore di convegno tenutesi presso l’ex chiesa Santa Margherita, non si risparmia ed incolla alla sedia i tantissimi presenti. Non parla solamente del libro ma amplia il proprio discorso analizzando gli ultimi fatti di cronaca politica e giudiziaria nonché dicendo la propria sulle note polemiche che si sono avute a Sciacca dopo l’interrogazione presentata dall’onorevole Giuseppe Marinello (Pdl) al ministero della Pubblica istruzione. Come si ricorderà, il nodo del discorso era quello di garantire la par condicio anche durante gli incontri antimafia, specie se vengono svolti all’interno di aule scolastiche, come era accaduto col liceo classico di Sciacca. “Si tratta di intimidazioni perpetrata da una classe politica che non trova di meglio che attaccare le istituzioni scolastiche”, questa l’opinione di Genchi.
Tra gli spettatori molti si alzano e pongono domande all’ospite: “In che cosa dobbiamo credere?”, chiede qualcuno. “Dove sono i buoni in questo libro?”, chiede qualcun altro. Tutti sembrano disorientati, soprattutto perché di queste vicende narrate nel libro, poco e male viene trattato da telegiornali e quotidiani. E quando manca il quadro complessivo della storia è molto difficile digerire verità che vengono presentate tout court, senza filtri, in modo quasi brusco. Così per come sono.
“C’era un detto una volta che diceva: - afferma Genchi durante l’incontro. Viviamo in un tempo oggi invece per il quale prima si fanno gli inganni e poi si costruiscono le leggi, ad hoc, per non farci intuire di essere stati ingannati o per legalizzare gli inganni”. E tutti a chiedersi come da una persona così importante, a modo, così pacata, possa fuoriuscire una tanto elevata verve e capacità di spiegare i fatti con parole semplici e senza inutili virtuosismi linguistici.
In tutti la stessa curiosità di leggere il libro, di conoscere, di apprendere: ma, avverte Genchi, “dopo averlo letto niente vi sembrerà più come prima”.

Calogero Parlapiano - tratto da "Controvoce"

mercoledì 17 marzo 2010

"Quanto è difficile amministrare". Intervista al consigliere comunale Calogero Bono (Pdl)

Lei è alla prima esperienza da consigliere comunale. Com’è stato l’inserimento nella macchina consiliare?
Si, è la mia prima esperienza ma non sono un neofita. Nel senso che sono salito su una macchina in corsa ma conosco il suo funzionamento in quanto nel ’99 ho ricoperto per 6 mesi il ruolo di dirigente del dipartimento ragioneria e finanza mentre per 6 anni ho svolto la valutazione dei dirigenti. Quindi conoscevo già i ruoli, le competenze, le persone e la macchina comunale. Il ruolo poi del consigliere comunale di opposizione è quello di vagliare tutti gli atti che vengono portati in consiglio, è un ruolo di controllo, soprattutto dei bilanci.
Di quale commissione lei è componente e quali sono le principali attività che avete portato avanti?
Io faccio parte della seconda commissione Bilancio e Finanze presieduta dal collega Patti. Tra i componenti c’è un buon clima di cooperazione, abbiamo dato degli importanti pareri sul bilancio di previsione, sulla valorizzazione dei beni immobili comunali e sui debiti fuori bilancio che rappresentano un po’ la vera spada di Damocle per tutte le amministrazioni comunali in quanto spesso si ci ritrova ad amministrare un bilancio senza sapere dei debiti, i quali sono spesso degli imprevisti oppure sono debiti di lunga scadenza. Per esempio recentemente ne è stato portato all’attenzione uno di 2 milioni di euro che risale agli anni ’80 e che riguarda l’esproprio di un terreno privato sul quale successivamente è stata costruita una scuola pubblica. I fondi che ai Comuni arrivano da Stato e Regione sono sempre più pochi, vero è che la situazione finanziaria comunale è preoccupante ma i debiti ormai ce li hanno tutti i Comuni, non si può sempre gridare “al lupo, al lupo”, la crisi economica non deve diventare un pretesto ma, dopo aver preso visione in pochi mesi della situazione, ci si deve cominciare a muovere. Del resto le stesse cose le ha detto poco tempo fa anche il consigliere Simone Di Paola.
Qual è la sua opinione in merito alla gestione delle risorse idriche?
Quello dell’acqua è un tema scottante. L’acqua è un bene pubblico, un bene che va tutelato da tutti gli enti preposti. La mia opinione personale è che una buona gestione delle risorse idriche può essere sia pubblica che privata. Non si può scegliere sempre a prescindere. Però il controllo che il pubblico deve fare sul privato deve essere totale, pieno di paletti e con la possibilità di rescindere, nel caso di mala gestione ed inadempienze, subito il contratto. Fino a pochi anni fa a Sciacca la gestione dell’acqua era in mano all’EAS mentre a Menfi, per esempio, la gestione era in proprio, comunale. Nemmeno l’EAS forniva un buon servizio tanto che il comune era costretto a svolgere la manutenzione della rete idrica al loro posto, questo ha determinato poi l’accreditamento dei costi ed il famoso debito EAS che le casse comunali ancora vantano. In uno degli ultimi consigli abbiamo votato e deliberato per la ripubblicizzazione dell’acqua grazie al grande senso di responsabilità dell’opposizione poiché la maggioranza non aveva i numeri e quello era l’ultimo giorno utile per poter deliberare in materia. Non abbiamo fatto strumentalizzazioni. Detto che per me la gestione pubblica sarebbe quella ottimale.
C’è tra le sue interrogazioni presentate, un problema per il quale vorrebbe che si potesse trovare veloce risoluzione?
Io ricordo con amarezza la mozione che avevo presentato sulla crisi della marineria, quella la ritengo una delle pagine più brutte dell’attività consiliare. La mozione nello specifico riguardava il mercato ittico, i fondi POR comunitari ed il piano regolatore del porto. Ritenevo che fossero indirizzi condivisibili su questioni che interessano molto la città. Invece, in quella sede, la maggioranza si è chiusa a riccio e la mozione non è stata votata. Qualche consigliere di maggioranza aveva anche detto che loro “hanno mostrato i muscoli”. Quell’episodio sicuramente mi ha amareggiato molto.
La scorsa settimana dalle pagine del nostro settimanale il consigliere Grisafi ha lanciato all’opposizione un appello: “Lavoriamo Insieme”. Qual è la sua opinione in merito?
Mi sembra la stessa cosa di quando il sindaco si presentò in televisione affermando: “c’è un chiaro intendimento da parte dell’opposizione di non farmi lavorare”. Mi chiedo quando questo sia successo e soprattutto in questi mesi noi abbiamo già lavorato insieme. Grazie al ruolo determinante dell’opposizione e al lavoro del sottoscritto abbiamo consentito di anticipare la votazione di bilancio, l’11 agosto invece che il 17 agosto, cosa che ha permesso di poter realizzare un minimo di estate saccense, abbiamo votato il bilancio di previsione ed il piano triennale delle opere pubbliche, abbiamo votato la salvaguardia degli equilibri di bilancio, abbiamo votato il bilancio consuntivo, i piani di lottizzazione, i lotti minimi, la ripubblicizzazione dell’acqua, il documento sui parchi eolici, la mozione sul carnevale, festa per il quale entro un breve termine ci aspettiamo risposte in merito al progetto di realizzazione dei capannoni. Non abbiamo votato solamente il piano di valori e dismissione degli immobili comunali, che poi è stato ritirato in quanto mancavano alcuni documenti come il parere dei revisori e la possibile variazione di destinazione urbanistica, e la variazione dell’assestamento di bilancio del 30 novembre. Alla luce di questi fatti quando è che non abbiamo lavorato insieme? Cosa dovevamo fare di più? Quindi l’invito di lavorare insieme lo rispedisco al mittente in quanto lo abbiamo già fatto, con grande senso di responsabilità. Adesso spetta all’amministrazione muoversi.
Lei è stato eletto all’interno della lista del Pdl. Ma qual è la sua storia politica? Quali i politici di riferimento?
La mia storia politica attuale è legata, lo sanno tutti, all’amicizia con Giuseppe Marinello. Durante i periodi universitari ero vicino ambienti cattolici popolari mentre ho apprezzato tanto le vicende politiche e la storia di Moro, De Gasperi e Sturzo. Nel mio recente passato sono stato vicino al mondo del centro sinistra. Per esempio alle elezioni politiche nazionali del 2006 ho votato Romano Prodi. L’attuale evoluzione è stata recente ma frutto di un preciso convincimento. Mi sono avvicinato al centro destra dopo la caduta di Prodi, ho provato un senso di disaffezione verso il centro del centro sinistra. Sono convinto poi che è bene spendersi per il territorio nel quale si vive ed al quale siamo legati, secondo me è un dovere impegnarsi in prima persona attraverso ruoli pubblici. Ed invito tutti quelli che criticano, ad impegnarsi anche loro in prima persona per capire le tante e diverse difficoltà che si incontrano nello gestire la cosa pubblica. Capisco quindi Vito Bono, non è facile amministrare ma occorre essere consapevoli fin dal momento in cui si ci vuole candidare delle difficoltà a cui si andrà incontro. Amministrare è come essere catapultati quasi in un girone infernale dantesco, si è in continua emergenza e non si riesce quasi a fare programmazione. Per quanto mi riguarda invece sono molto contento di questa mia esperienza, anche perché mi ha permesso di conoscere meglio e confrontarmi con persone sia che fanno parte del mio stesso gruppo di opposizione che della maggioranza, in un continuo scambio di idee, non solo politiche.

Calogero Parlapiano - tratto da "Controvoce"

martedì 16 marzo 2010

Via del Campo...F. De Andrè

lunedì 15 marzo 2010

La nuova invincibile mafia...

di Roberto Saviano

Il potere della 'ndrangheta calabrese cresce. Il pm Gratteri lo analizza e offre soluzioni per combatterlo. Mentre il governo non ha una strategia. E studia leggi a vantaggio dei padrini Un posto di blocco a San Luca, in Calabria'Le mafie sono presenti dove c'è da gestire denaro e potere'. Con queste poche e semplici parole Nicola Gratteri ricorda che nessuno, in nessun angolo del mondo, può sentirsi al riparo dal problema mafia.

'La malapianta' è una conversazione fra due calabresi in prima linea contro le 'ndrine. Nicola Gratteri, procuratore aggiunto della Dda di Reggio Calabria, e Antonio Nicaso che vive in Canada - dove l'ho conosciuto - a oltre 12 ore di volo da chi non gli ha perdonato le sue parole di denuncia. Gratteri e Nicaso, separati da un oceano, uniti dalla conoscenza del fenomeno che li ha divisi, rispondono alle domande più frequenti poste a chi si occupa di criminalità organizzata. Come mai della 'ndrangheta si sa così poco? Com'è possibile che un'organizzazione che ha le sue radici nel cuore di pietra dell'Aspromonte abbia un fatturato annuo così alto? Com'è possibile che la politica abbia fatto e continui a fare così poco per porre argine alla piaga della criminalità in Calabria? E come mai quando si parla di infiltrazioni mafiose nelle regioni del Nord, invece di affrontare il problema, la politica si indigna per negare o minimizzare?

La malapianta ha una forma strana, paradossale. I suoi rami arrivano ovunque, ma sono più invisibili delle radici. È un'organizzazione radicata nella parte più povera d'Italia e al tempo stesso una holding che tratta direttamente con i cartelli colombiani: gestisce l'importazione di cocaina praticamente in tutta Europa, con aperture anche nei mercati asiatici e africani. Eppure in Calabria la 'ndrangheta, pur muovendo ingenti capitali, non ha quasi mai fatto investimenti o li ha fatti dove non vanno a beneficio dei suoi compaesani.

La malapianta è un organismo anomalo che non arricchisce e non porta ossigeno. Desertifica, anzi, la terra in cui è conficcata. Perché ogni euro regalato al territorio è avvertito come denaro perso, come obolo dato in beneficenza. Denaro che non frutta. Così la pensa chi domina la propria terra, sia in Calabria che in Campania.



E il dolo è evidente, ma tanto antico da sembrare legge di natura. Già dalla fine dell'Ottocento - precisamente dal 1869, quando le amministrative a Reggio Calabria furono completamente falsate dall'uso della violenza da parte di un'organizzazione criminale che muoveva i suoi primi passi spavaldi - era chiaro che in Calabria ci fosse un potere enorme, illegale e incontrollabile. Ma nell'ultimo secolo e mezzo, la 'ndrangheta è cresciuta a livelli esponenziali, passando dai capitali accumulati con i sequestri di persona alla presenza dei propri broker in Colombia. È divenuta intermediaria privilegiata fra i maggiori produttori di coca e le mafie più longeve, partner di massima fiducia dei narcos.

Questo è il reale, enorme potere della criminalità calabrese che del suo mostrarsi povera e arretrata ha fatto un punto di forza. La 'ndrangheta ha goduto per decenni di un silenzio quasi totale perché percepita come la sorella stracciona di mafia e camorra, priva di alcun fascino per cinema e letteratura. In questo modo le vicende che l'hanno riguardata sono sempre state riportate a margine della cronaca locale, persino più di quanto sia accaduto con la camorra. E se non fosse stato per la strage di Duisburg, nell'estate del 2007, quelle storie sarebbero rimaste appannaggio dei pochi in grado di recepirle e interpretarle. La malapianta sarebbe rimasta invisibile al resto d'Italia e del mondo. Del resto, il suo massimo interesse non è mai stato quello di condizionare palesemente la politica e l'economia nazionale, ma operare in maniera sotterranea, senza far rumore, e così gestire appalti e subappalti. Con gli ingenti capitali di cui dispone, infiltrarsi e corrompere è diventato facilissimo. Al punto che per la 'ndrangheta il problema principale, adesso, non è accumulare denaro, quanto piuttosto trovare nuovi modi per giustificare e reinvestire la propria ricchezza. E se un tempo gli affiliati erano considerati uomini rozzi, abitanti di paesi dimenticati, oggi sono laureati, occupano posizioni di potere e gestiscono la cosa pubblica. Gli anni '70 hanno costituito un punto di svolta in questa evoluzione. Allora venne creata 'la Santa' i cui componenti sono 'ndranghetisti e massoni deviati, col risultato che allo stesso tavolo ora siedono criminali, professionisti, imprenditori e dirigenti. Ma la conversazione tra Gratteri e Nicaso non si limita a compilare una storia puntuale della 'ndrangheta, propone piuttosto soluzioni e strategie che i governi dovrebbero adottare per contrastare o cercare di arginare i danni prodotti dall'espansione dei gruppi calabresi.

Quel che emerge con chiarezza da questo libro è soprattutto ciò che manca: la volontà programmatica, coordinata a livello centrale, di debellare le 'ndrine. Del resto, con i suoi 44 miliardi di euro di fatturato annuo, la 'ndrangheta - come le altre organizzazioni criminali - è una delle aziende più floride d'Italia. Tagliarle le gambe, almeno in una prima fase, equivarrebbe a interferire capillarmente sul già debole assetto economico dell'intero paese.

E ai provvedimenti che rappresentano passi in avanti per contrastare la criminalità, - come l'abolizione del patteggiamento in appello, il sequestro e la confisca dei beni appartenenti agli affiliati - se ne affiancano altri che sono altrettanti passi indietro. Le proposte di legge sulle intercettazioni e sul processo breve renderebbero più oneroso e quasi impossibile procedere contro le mafie in maniera sistematica. Di un disegno che vada oltre, che miri a sradicare la malapianta proliferante sul terreno dell'economia e innestata nella politica, ancora non c'è traccia. Nemmeno l'ombra di modifiche normative che facciano diventare sconveniente aderire alle organizzazioni criminali. E nel caso delle 'ndrine, questa è un'impresa particolarmente difficile, perché essere 'ndranghetista, ancor più che camorrista o mafioso, significa abbracciare una sorta di credo religioso. Alla convenienza economica si aggiunge, quindi, il plusvalore mistico. Su chi decide di intraprendere la carriera criminale in Calabria, secondo Nicola Gratteri, non possono aver presa discorsi etici e morali. Solo la prova tangibile del detto sempre smentito che 'il crimine non paga', potrebbe contribuire a smontare il mito: certezza della pena, confisca dei beni e congelamento dei capitali. Quando la linfa è sangue e il raccolto è denaro, non basta tagliuzzare qualche ramoscello per avere la meglio sulla malapianta. Si rischia, anzi, che quell'azione somigli a una potatura che la fa crescere con ancora più vigore.

http://espresso.repubblica.it/dettaglio/saviano-la-nuova-mafia-invincibile/2122765&ref=hpsp

domenica 14 marzo 2010

Chiuderli tutti...per chiuderne uno...

L’indagine di Trani coinvolge il premier, Innocenzi (Agcom) e il direttore del Tg1. Santoro nel mirino: “Chiudere tutto”

Silvio Berlusconi voleva "chiudere" Annozero. Un membro dell'Agcom – dopo aver parlato con il premier - sollecitava esposti contro Michele Santoro. Il direttore del Tg1 Augusto Minzolini – al telefono con il capo del governo – annunciava d'aver preparato speciali da mandare in onda sui giudici politicizzati. E le loro telefonate sono finite in un fascicolo esplosivo. Berlusconi, Minzolini e il commissario dell'Agcom Giancarlo Innocenzi: sono stati intercettati per settimane dalla Guardia di Finanza di Bari, mentre discutevano della tv pubblica delle sue trasmissioni. E nel procedimento aperto dalla procura di Trani - per quanto risulta a Il Fatto Quotidiano – risulterebbero ora indagati. Lo scenario da “mani sulla Rai” vien fuori da un'inchiesta partita da lontano. L'indagine .- condotta dal pm Michele Ruggiero – in origine riguardava alcune carte di credito della American Express. È stata una “banale” inchiesta sui tassi d'usura, partita oltre un anno fa, ad alzare il velo sui reali rapporti tra Berlusconi, il direttore generale della Rai Mauro Masi (che non risulta tra gli indagati), il direttore del Tg1 e l'Agcom. Quelle carte di credito, in gergo, le chiamavano “revolving card”. Sono marchiate American Express e, secondo l'ipotesi accusatoria, praticano tassi usurai sui debiti in mora. In altre parole: il cliente, che non restituisce il debito nei tempi previsti, rischia di pagare cifre altissime d'interessi. E così Ruggiero indaga. Per mesi e mesi. Sin dagli inizi del 2009.

Fino a quando una traccia lo porta su un'altra pista. Il pm e la polizia giudiziaria scoprono che qualcuno – probabilmente millantando – è certo di poter circoscrivere la portata dello scandalo: qualcuno avrebbe le conoscenze giuste, all'interno dell'Agcom, che è Garante anche per i consumatori. Qualcuno vanta – sempre millantando – di avere le chiavi giuste persino al Tg1: è convinto di poter bloccare i servizi giornalistici sull'argomento, intervendo sul suo direttore, Augusto Minzolini. Le telefonate s'intrecciano. I sospetti crescono. L'inchiesta fa un salto. E la sorte è bizzarra: Minzolini, il servizio sulle carte di credito revolving, lo manderà in onda. Ma nel frattempo, la Guardia di Finanza scopre la rete di rapporti che gravano sull'Agcom e sulla Rai. Telefonata dopo telefonata si percepisce il peso di Berlusconi sulle loro condotte. Gli investigatori si accorgono che il presidente del Consiglio è ciclicamente in contatto con il direttore del Tg1. La procura ascolta in diretta le pressioni del premier sull'Agcom. Registra la fibrillazione per ogni puntata di Annozero. Sente in diretta le lamentele del premier: il cavaliere non ne può più. Vuole che Annozero e altri “pollai” - come pubblicamente li chiama lui - siano chiusi. E l'Agcom deve fare qualcosa. Berlusconi al telefono è esplicito: quando compulsa Innocenzi - che dovrebbe garantire lo Stato, in tema di comunicazione - parla di chiusura. E Innocenzi non soltanto lo asseconda. Ma cerca di trovare un modo: per sanzionare Santoro e la sua redazione servono degli esposti. E quindi: si cerca qualcuno che li firmi.

I ruoli si capovolgono: è l'Agcom che cerca qualcuno disposto a firmare l'esposto contro Santoro. Innocenzi è persino disposto, in un caso, a fornire, all'avvocato di un politico, la consulenza dei propri funzionari. La catena si rovescia: un membro dell'Agcom (che svolge un ruolo pubblico), intende offrire le competenze dei propri funzionari (pagati con soldi pubblici), a vantaggio di un politico, per poter poi sanzionare Santoro (giornalista del servizio pubblico). In qualche caso si cerca persino di compulsare, perchè presenti un esposto, un generale dei Carabinieri. L’immagine di Berlusconi che emerge dall’indagine è quella di un capo di governo allergico a ogni forma di critica e libertà d’opinione. Si lamenta persino della presenza del direttore di Repubblica, Ezio Mauro, a Parla con me: Serena Dandini, peraltro, è recidiva. Ha da poco invitato, come sottolinea il premier, anche il fondatore di Repubblica, Eugenio Scalfari. Il premier si scompone: nello studio della Dandini, due giornalisti (del calibro di Mauro e Scalfari), l'hanno attaccato. Chiede se - e come - l'Agcom possa intervenire. Innocenzi ci ragiona. Sopporta telefonate quotidiane. Berlusconi incalza Innocenzi, ripetutamente, fino al punto di dirgli che l'intera Agcom, visto che non riesce a fermare Santoro, dovrebbe dimettersi.

Il premier intercettato dimostra di non distinguere tra il ruolo dell'Agcom e il suo ruolo di capo del Governo. Pare che l'Autorità garante debba agire a sua personale garanzia. Gli sfugge anche che, l'Agcom, può intervenire soltanto dopo, la trasmissione di Annozero. Non prima. E infatti – dopo aver raccolto lo sfogo telefonico di Innocenzi sulle lamentele di Berlusconi – un giorno, il dg della Rai Mauro Masi, è costretto ad ammettere: certe pressioni non si ascoltano neanche nello Zimbabwe.

Il parossismo, però, si raggiunge a fine anno. Quando Santoro manda in onda due puntate che faranno audience da record e toccano da vicino il premier. La prima: quella sul processo all'avvocato inglese Mills, all'epoca indagato per corruzione, reato oggi prescritto. La seconda: quella sulla trattativa tra Stato e Cosa Nostra, dove Santoro si soffermerà sulle deposizioni di Spatuzza, in merito ai rapporti tra la mafia e la nascita di Forza Italia. Non si devono fare, in tv, i processi che si svolgono nelle aule dei tribunali, tuona Berlusconi con il solito Innocenzi. Secondo il premier – si sfoga Innocenzi con Masi – si potrebbe dire a Santoro che non può parlare del processo Mills in tv. Non è così che funziona, ribadice Masi. Non funziona così neanche nello Zimbabwe. Comunque Masi non risparmia le diffide.

Per il presidente della Rai non mancano le occasioni di minacciare la sospensione di Santoro e della sua trasmissione. A ridosso della trasmissione su Spatuzza, al telefono di Innocenzi, si presenta anche Marcello Dell'Utri. Tutt'altra musica, invece, quando il premier parla con Minzolini, che Berlusconi chiama direttorissimo. Sulle vicende palermitane, Minzolini fa sapere di essere pronto a intervenire, se altri dovessero giocare brutti scherzi. E il giorno dopo, puntuale, arriva il suo editoriale sul Tg1: Spatuzza dice “balle”. Tutte queste telefonate, confluite ora in un autonomo fascicolo, rispetto a quello di partenza, dovranno essere valutate sotto il profilo giudizario. Se esistono dei reati, dovranno essere vagliati, e se costituiscono delle prove, avranno un peso nel procedimento. È tutto da vedersi e da verificare, ovviamente, ma è un fatto che queste telefonate sono “prove” di regime. Dimostrano la impercettibile differenza tra i ruoli del controllato e del controllore, del pubblico e del privato.

Le parole di Berlusconi che, mentre è capo del Governo e capo di Mediaset, parla da capo anche a chi non dovrebbe, Giancarlo Innocenzi, dimostrano che viene meno la separazione tra i due poteri. Altrettanto si può dire delle parole deferenti di Innocenzi che anziché declinare gli inviti esibisce telefonicamente la propria obbedienza e rassicura Berlusconi: presto sarà aperto lo scontro con Santoro. Dietro le affermazioni sembra delinearsi un piano. È soltanto un'impressione. Ma il premier sostiene che queste trasmissioni debbano essere chiuse, sì, su stimolo dell'Agcom, ma su azione della Rai. Tre mesi dopo questi dialoghi, assistiamo alla sospensione di Annozero, Ballarò, Porta a porta e Ultima parola proprio per mano della par condicio Rai, nell'intero ultimo mese di campagna elettorale. E quindi: la notizia di cronaca giudiziaria è che Berlusconi, Innocenzi e Minzolini, sono coinvolti in un'indagine.

La notizia più interessante, però, è un'altra: il “regime” è stato trascritto. In migliaia di pagine. Trasuda dai brogliacci delle intercettazioni telefoniche. Parla le parole del “presidente”. Il territorio di conquista è la Rai: il conflitto d'interesse del premier Silvio Berlusconi – grazie a questi atti d'indagine - è oggi un fatto “provato”. Non è più discutibile.

Da il Fatto Quotidiano del 12 marzo

sabato 13 marzo 2010

Inchiesta a Trani, telefonate per bloccare Annozero "Berlusconi fece pressioni su Tg1 e Agcom"


BARI - Silvio Berlusconi, il membro dell'Agcom Giancarlo Innocenzi e il direttore del Tg1 Augusto Minzolini sono indagati per concussione dalla procura di Trani, l'inchiesta è nelle mani del sostituto procuratore Michele Ruggiero. Le indagini sono state condotte dalla Guardia di Finanza. I magistrati della Procura non hanno voluto commentare la notizia: "Oggi e domani non diciamo nulla, è inutile fare domande".

Il retroscena. Il premier voleva mettere il bavaglio ad Annozero. Lo scrive oggi in prima pagina il Fatto quotidiano, citando l'inchiesta, durante la quale - in maniera del tutto casuale - sarebbero state intercettate le telefonate che dimostrerebbero le pressioni e gli interventi di Berlusconi contro la trasmissione di Santoro.

Nelle intercettazioni che risalirebbero a circa tre mesi fa, legate a un'inchiesta su carte di credito e tassi di usura, si leggono, a margine del fascicolo, i nomi di Berlusconi, Giancarlo Innocenzi (membro dell'Agcom) e del direttore del Tg1 Augusto Minzolini. Tutti, secondo il Fatto, discutono della tv pubblica e dei suoi talk show. "La procura - scrive il giornale - ascolta in diretta le pressioni e le lamentele del premier per Annozero. Rivolte al membro dell'Agcom Giancarlo Innocenzi". Con inviti molto espliciti a chiudere il programma. In un'altra di queste telefonate il presidente del Consiglio si lamenta della presenza del direttore di Repubblica Ezio Mauro e di Eugenio Scalfari in un'altra trasmissione da lui odiata, Parla con me, condotta da Serena Dandini.

Innocenzi avrebbe rassicurato il premier sulla "soluzione" del problema. E visto che per agire contro
Annozero l'Agcom deve ricevere degli esposti, lo stesso Innocenzi si sarebbe detto disponibile a mobilitare alcuni suoi funzionari come consulenti sulla materia. Altrettanto clamorose le telefonate di Innocenzi al dg della Rai, Mauro Masi, in cui lamenta le continue pressioni del premier: "Nemmeno nello Zimbabwe", è il commento del direttore generale.

Disponibilissimo a venire incontro alle esigenze del capo del governo, sulla base delle rivelazioni del Fatto, è il direttore del Tg1 Augusto Minzolini, che Berlusconi chiama "direttorissimo", e che si sarebbe detto pronto a intervenire, ad esempio, sul caso Spatuzza: e infatti il giorno dopo in tv arriva il suo editoriale, in cui definisce "bugie" le parole del pentito di mafia.

Le reazioni. "L'Agcom è un'autorità indipendente e autonoma che non ha mai esercitato censura preventiva - dichiara il presidente Corrado Calabrò - Noi parliamo attraverso i propri atti e questi atti dimostrano inequivocabilmente la sua indipendenza e autonomia di giudizio".

Si chiama fuori anche Minzolini: "Non so di cosa si parla, non ho ricevuto nesssun avviso di garanzia e quale è il reato? Berlusconi mi avrà telefonato due o tre volte, non di più e comunque quanto Casini e gli altri. Siamo alla follia, credo di essere la persona più cristallina del mondo, quello che penso lo dico in tv". "Tutto questo è demenziale, insulso, è un'intimidazione, ma non funziona assolutamente. Di fronte a una cosa del genere io vado ancora più dritto - continua il direttore del Tg1 Augusto Minzolini - Poi io con Santoro non c'entro nulla, faccio un'altra cosa, sono da un'altra parte".

Si difende con veemenza anche Giancarlo Innocenzi che annuncia querele e contesta "le illazioni" sottolineando "l'assoluta inconsistenza delle intercettazioni e l'illiceità della loro pubblicazione". (La Repubblica)

venerdì 12 marzo 2010

In arrivo la GIORNATA MONDIALE DELL'ACQUA


Dal 15 al 31 marzo 2010 un SMS solidale al 45593 per portare l’acqua a 400.000 bambini e famiglie di Africa, America latina e Asia. In occasione della Giornata Mondiale dell’Acqua dell’Onu che si celebra il 22 marzo, dal 15 al 31 marzo 2010 portiamo l’acqua a 400 mila bambini e famiglie attraverso 11 progetti della Campagna “LIBERA L’ACQUA”.

Inviando un SMS solidale al numero 45593 dona 1 euro dal tuo cellulare personale TIM, Vodafone, Wind e 3 oppure dona 2 euro chiamando allo stesso numero da rete fissa Telecom Italia, sarà possibile contribuire e garantire il diritto concreto all’acqua potabile, portandola nelle scuole, nei centri di salute, nei villaggi, con particolare attenzione alla protezione delle risorse idriche e alla formazione, in riferimento agli aspetti sanitari, igienici, ambientali e di depurazione delle acque. I fondi raccolti saranno destinati alla realizzazione degli 11 progetti della Campagna “LIBERA L’ACQUA”, promossa dalle 45 associazioni di Solidarietà e Cooperazione – Cipsi.
Il cantante Ron ha aderito come testimonial alla raccolta fondi della Campagna “LIBERA L’ACQUA”: a lui appartiene la voce e le musiche dello spot televisivo e radiofonico in onda in questo periodo sulle principali emittenti italiane (http://www.youtube.com/watch?v=R4hkJctDf5Y).
In occasione della Giornata Mondiale dell’Acqua, le 45 associazioni di Solidarietà e Cooperazione – Cipsi saranno presenti nelle piazze italiane con dibattiti, stand, mostre, convegni sul diritto all’acqua. Seguirà nei prossimi giorni l’elenco dettagliato delle iniziative.
Un miliardo e seicento milioni di persone ancora oggi non hanno accesso all’acqua potabile, due miliardi e seicento milioni non beneficiano di alcun servizio sanitario, un milione e ottocentomila bambini muoiono ogni anno per malattie connesse alla mancanza di risorse idriche.
libera-lacqua-web-big.gif I fondi raccolti serviranno a finanziare 11 progetti di “LIBERA L’ACQUA” che prevedono: la realizzazione di cisterne d’acqua (Brasile), il sostegno alle iniziative dei popoli indigeni del rio San Francisco contro la costruzione di dighe (Brasile), la costruzione e il potenziamento di pozzi d’acqua (Argentina, Camerun, Repubblica Democratica del Congo, Senegal, Uganda), la riabilitazione e l’ampliamento alla rete idrica del villaggio di Wallaccia (Etiopia), l’allacciamento all’acquedotto rurale Mutitu (Kenya), il miglioramento dell’utilizzo delle risorse idriche e la sensibilizzazione sul tema dell’acqua nelle scuole (Palestina), il miglioramento della sicurezza nell'approvvigionamento idrico attraverso la raccolta domestica di acqua piovana (Sri Lanka). Per consultare in dettaglio gli 11 progetti da finanziare ed, eventualmente, anche i 7 progetti già conclusi e finanziati che fanno parte di “LIBERA L’ACQUA”, è possibile visitare il sito: www.liberalacqua.it
Riconosci un diritto. Portalo a chi non ce l'ha. L'acqua è di tutti. Impegniamoci, insieme, perché lo sia davvero, soprattutto per le popolazioni dei paesi impoveriti del sud del mondo… Insieme ce la possiamo fare.
Per maggiori informazioni: numero verde gratuito: 800.341595, e-mail: promozione@cipsi.itIndirizzo e-mail protetto dal bots spam , deve abilitare Javascript per vederlo

Solidarietà e Cooperazione - Cipsi è nato nel 1985 e coordina 45 Organizzazioni Non Governative e associazioni che operano nel settore della solidarietà e della cooperazione internazionale mediante il finanziamento di progetti di sviluppo in Africa, Asia e America latina, e realizzazione di iniziative di educazione allo sviluppo in Italia. Solidarietà e Cooperazione - Cipsi attualmente, tramite le proprie associate, coinvolge 200.000 sostenitori in Italia, con 200 gruppi d'appoggio: lavora in 70 nazioni di Africa, Asia, America latina e Europa dell’Est, con 200 progetti all’estero, 185 associazioni locali partner, 6 milioni di beneficiari. (www.cipsi.it)

VISITA IL SITO: liberalacqua.it

giovedì 11 marzo 2010

Il legittimo impedimento è anticostituzionale?

Il "legittimo impedimento" è legge. Stabilisce che i processi in cui B. e i suoi ministri sono imputati vanno rinviati fino a un massimo di 18 mesi se la presidenza del Consiglio dei ministri (cioè B. e i suoi ministri) dichiara che B. e i suoi ministri (cioè gli imputati) hanno un impedimento continuativo correlato allo svolgimento delle loro funzioni. Mi rendo conto che la sintassi è un po’ contorta. Proviamo così: la legge dice che B. e i suoi ministri decidono se i processi in cui sono imputati si possono fare o no. Ecco, in questo modo è più chiaro. Si può convenire sul fatto che talvolta i giudici possono sottovalutare gli impegni istituzionali di queste personalità e non rendersi conto di quanto siano rilevanti funzioni di governo quali l’inaugurazione della mostra della barbabietola di Poggiobelsito; e potrebbero quindi, in un caso come questo, rifiutarsi di rinviare un processo per corruzione e frode fiscale per svariati milioni di euro, magari prossimo alla prescrizione. Così una legge che prevede l’elenco tassativo dei compiti di governo è proprio una buona cosa: certi impegni costituiscono legittimo impedimento a comparire in udienza; e il giudice deve rinviare il processo senza che gli sia consentito di discettare sulla prevalenza della giurisdizione rispetto all’inaugurazione della ferrovia che finalmente unisce Piancavallo di Sotto a Piancavallo di Sopra.

In effetti l’art. 1 della legge proprio questo fa: elenca le norme che prevedono i compiti del presidente del Consiglio e dei Ministri (vedi la Scheda di lettura allegata al testo della legge approvata dal Senato, pag. 18 -22). E stabilisce che in tutti questi casi il giudice deve riconoscere il legittimo impedimento. Niente da dire, è proprio giusto.Solo che le mostre, i convegni, le gallerie a un certo punto finiscono; e così, sempre l’art. 1 prevede che il legittimo impedimento può anche essere costituito da "ogni attività comunque coessenziale (?) alle funzioni di governo". La sussistenza di queste attività è attestata dagli stessi che vogliono avvalersene; il tutto senza bisogno di specificare in cosa consistano. Messa così, somiglia tanto a una prerogativa personale, un déjà vu: un’immunità già bocciata dalla Corte Costituzionale (Lodo Schifani e Lodo Alfano), oggi addirittura estesa a un paio di decine di persone. Il presidente della Repubblica se ne renderà conto? Lo capirà che si tratta dell’ennesima legge incostituzionale che serve solo a evitare una sentenza che dica che B. ha corrotto l’avv. Mills?

Per la verità la cosa dovrebbe riuscirgli facile perché quale sia il vero scopo della legge lo dichiarano apertamente proprio B&C. Sempre l’art. 1 dice che il legittimo impedimento vale per le udienze penali in cui presidente del Consiglio e ministri sono imputati. Quindi non vale quando siano chiamati a testimoniare. Domanda: se il problema consiste nel fatto che la presenza alle udienze penali è incompatibile con le "attività coessenziali alle funzioni di governo", com’è che questa incompatibilità non è stata prevista quando si tratta di testimoniare? In questi casi inaugurare gallerie e presenziare a mostre non è più "coessenziale"? Serve altro per dimostrare che si tratta dell’ennesima immunità personale già dichiarata incostituzionale? Magari sì, serve altro. E allora si veda l’art. 2: la legge ha validità "fino alla data di entrata in vigore della legge costituzionale recante la disciplina organica delle prerogative del presidente del Consiglio dei ministri e dei ministri", cioè fino all’agognato Lodo Alfano costituzionale (che sarà incostituzionale pure lui, ma ancora non se ne sono accorti).

Dunque è evidente che il legittimo impedimento non serve a dirimere il contrasto tra gli impegni "coessenziali" di B&C e le necessità della giurisdizione, poiché questo eventuale contrasto non cesserà di esistere trascorsi 18 mesi. Ecco, lo dicono loro, B&C, il legittimo impedimento significa immunità; solo che è provvisoria, deve durare fino al Lodo Alfano costituzionale. Ma, provvisoria o definitiva che sia, resta incostituzionale. Serve altro? Magari sì. Sempre l’art. 2 afferma che è necessario “consentire al presidente del Consiglio dei ministri e ai ministri il sereno svolgimento delle funzioni loro attribuite dalla Costituzione e dalla legge”. Il sereno svolgimento? E che c’entra con il legittimo impedimento che garantisce le “funzioni coessenziali all’attività di governo”? Se sussistono, nessun giudice le potrà ignorare, anche perché l’art. 1 ne ha previsto un elenco tassativo; se non sussistono, non c’è motivo di rinviare i processi.

Sicché è evidente che la legge non serve a regolamentare i rapporti tra le "funzioni coessenziali di governo" e la giurisdizione; ma a tutelare la psiche di B&C, provata dal concreto rischio di finire in galera. E di nuovo questa è immunità personale, già giudicata incostituzionale etc etc. Serve altro? Sì, magari. La Scheda illustrativa allegata al testo della legge approvata dal Senato contiene frasi significative.
Tra queste: vi è la "necessità di tenere al riparo cariche elettive e, in particolare, cariche esecutive dall’esercizio strumentale dell’azione giudiziaria da parte della magistratura". Eccolo l’effettivo scopo della legge, un’immunità già due volte ritenuta incostituzionale. Per di più giustificata dal fatto che la magistratura, com’è noto a tutti, commette abitualmente reati quali la calunnia, l’abuso d’ufficio, il falso in atto pubblico (trattasi di elenco non esaustivo).

Non male come tecnica legislativa. Il presidente della Repubblica ha già detto (in occasione dello scudo fiscale) che è inutile non firmare una legge, per quanto abominevole essa sia; tanto, ha detto, se gliela presentano una seconda volta, è obbligato a firmarla. È già stato osservato che questo non è vero; che c’è sempre un momento in cui ci si deve dissociare dalla prepotenza e dall’abuso; che esiste la strada delle dimissioni; che qualcuno dovrà pur dire ai cittadini che un governo spregiudicato e arrogante e un Parlamento asservito emanano leggi illegali (perché funzionali a interessi privati) e, naturalmente, incostituzionali. Qualcuno deve dirlo. E avrà pure un senso che il presidente della Repubblica abbia prestato giuramento di osservanza della Costituzione (art. 91). Si osserva la Costituzione promulgando leggi del genere?

da il Fatto Quotidiano dell'11 marzo

mercoledì 10 marzo 2010

"Lavoriamo Insieme?" Intervista al consigliere comunale Maurizio Grisafi

Avvocato Grisafi la sua attività da consigliare comunale continua. Qual è la sua formazione politica?
Io sono alla mia seconda esperienza da consigliere comunale. Un’attività gratificante perché lo faccio per pura passione politica e perché da sempre mi sento vicino alle problematiche della mia città. La mia formazione politica deriva anche dai periodi formativi della mia esistenza, penso soprattutto al periodo universitario durante il quale, frequento l’università cattolica del Sacro Cuore, ho avuto come amico e collega anche l’attuale ministro Alfano. In più a casa mia la politica si è sempre respirata, mio zio è stato assessore allo sport e diverse volte consigliere e la mia famiglia è vicina e amica della famiglia Mannino e Cusumano. Per formazione quindi sono un moderato che si trova nel Partito Democratico, con dei forti e precisi valori cattolici che cerco di portare anche in politica, una politica che deve porre al centro di tutto l’individuo. Forse la mia area di riferimento è più quella di Casini che di Franceschini ma il PD è un partito giovane con dei processi ancora in pieno svolgimento.
Data la sua professione di avvocato e la sua amicizia col ministro Alfano, qual è la sua opinione della giustizia in Italia?
Il problema vero è che non c’è stata mai una riforma organica della giustizia, le famose leggi ad personam sono il riflesso delle vicende personali del premier Berlusconi e dell’ormai evidente conflitto di interessi. Per quanto mi riguarda ritengo il ministro Alfano persona brillante, pulita ed intellettualmente onesta che, per forza di cose, nel suo lavoro subisce il clima venutosi a creare da 15 anni a questa parte.
Lei ha avuto la possibilità di essere tanto consigliere di opposizione nella passata amministrazione quanto di maggioranza in quella attuale. Quali sono le principali differenze?
Quando si è all’opposizione si esercita una doverosa forma di controllo di tutto quello che viene portato avanti, per fare questo gli strumenti principali sono le interrogazioni, le mozioni, le interpellanze. Ricordo diverse battaglie quando ero all’opposizione in merito per esempio ai bilanci oppure ai conti consuntivi. Sicuramente è meglio essere consigliere di maggioranza. Io nel dettaglio presiedo la IV Commissione, quella sulla pubblica istruzione, sport, spettacoli e polizia urbana. Volevo cogliere l’occasione per ringraziare tutti i componenti di questa commissione per il clima di partecipazione e di cooperazione, importante a prescindere dalle appartenenze politiche. In commissione ci siamo occupati delle tematiche finanziarie in merito al trasporto dei disabili presso gli edifici scolastici ma anche della qualità delle mense scolastiche. Abbiamo portato avanti queste esigenze cercando, quando possibile, di rimpinguare le casse con appositi capitoli di spesa, appunto per garantire questi importanti servizi. Abbiamo visitato gli istituti scolastici di competenza comunale, visite che proseguiranno anche nelle prossime settimane e che si concluderanno con un documento che possa riassumere tutte le sollecitazioni pervenuteci dai vari dirigenti scolastici. Come commissione poi ci sentiamo molto vicini alle iniziative ed, in generale, al mondo dei ceramisti saccensi e degli artigiani. Cercheremo di fare delle cose anche per quanto riguarda questo settore. Sullo stadio comunale abbiamo più volte sollecitato gli interventi atti alla totale o parziale riapertura dell’impianto sportivo. Si deve adeguare e mettere a norma l’impianto elettrico mentre il comune ha già provveduto a versare le somme dovute, circa 13mila euro. Oltre l’impianto elettrico per il quale si attende l’intervento dell’Enel, rimangono da sistemare i bagni per il settore ospite ed il piazzale antistante.
Qual è la sua valutazione su questi primi mesi di amministrazione Bono?
Il dato elettorale, ben il 52% dei votanti hanno decretato la vittoria al primo turno di Vito Bono, ha trasmesso onori ed oneri nonché legittime aspettative da parte di tutti. Dopo una necessaria prima fase di ambientamento, adesso ci si augura un maggiore impulso nell’attività amministrativa. Il sindaco giustamente tiene aperte le porte dei suoi uffici ed accoglie tutte le istanze presentate dai cittadini ma è bene non pensare soltanto all’ordinaria amministrazione ma aggredire alcuni grandi temi come per esempio il PRG, il PUT ed adeguare la città con dei servizi che la possano fare finalmente chiamare a vocazione turistica.
Il PD è soddisfatto dell’avvenuto rimpasto o chiede qualcos’altro?
Sicuramente, è bene sottolinearlo, non è un problema di poltrone ma di dare un maggiore e più delineato indirizzo politico all’attività amministrativa dando legittimazione del resto al risultato elettorale. E’ vero che il PD non ha presentato il simbolo ufficiale ma le tre liste civiche erano di ispirazione PD ed erano state concertate proprio dai vertici del partito. Il riequilibrio politico era doveroso e saluto positivamente le nuove deleghe assegnate che sicuramente daranno un preciso indirizzo politico. Deve esserci una svolta in merito alle attività produttive, ai bandi, alla ricerca di finanziamenti e di denaro.
In merito invece alla delega alla pesca di cui tanto si parla qual è la sua opinione?
Penso che la delega alla pesca così come quella all’agricoltura non necessariamente devono avere come assessore una persona di riferimento di quel settore o appartenente ad esso. Ignazio Piazza è stato un buon assessore, sempre presente nelle varie commissioni, persona garbata, attenta e competente. Mi auguro e sono sicuro che Fazio prosegua il lavoro fin qui fatto da Piazza. Volevo lanciare invece in conclusione un invito all’attuale opposizione: lavoriamo tutti insieme, collaboriamo per la crescita della nostra città. Ricordo che l’ex assessore Guardino è stato uno di quelli che più si è impegnato durante l’amministrazione Turturici, è stato uno dei più attivi e lo stimo. L’opposizione giustamente esercita il proprio ruolo, alcune volte però qualcuno si lascia sopraffare forse dall’astio verso coloro che hanno vinto legittimamente. Lavoriamo invece insieme sui grandi temi che riguardano Sciacca, puntiamo al salto di qualità, col dialogo, con la cooperazione, mettendo insieme le intelligenze presenti nell’uno e nell’altro schieramento. Solamente in questo modo Sciacca potrà voltare pagina e dotarsi di tutte quelle cose di cui ha bisogno, per il bene di tutti i cittadini.

Calogero Parlapiano - tratto da "Controvoce"

martedì 9 marzo 2010

Gli italiani non si scandalizzano più di niente... (purtroppo)

di Paolo Collo

Corruzione, mafie, falsi in bilancio, appalti truccati, vallettopoli, tangentopoli: non distinguono tra corrotti e corruttori per non mettere in dubbio l’immagine di B.

Sicuramente anche voi avrete o avete a che fare con persone che, nonostante l’evidenza dei fatti, continuano a non vedere – a non voler vedere – quanto sta accadendo in Italia e con chi abbiamo a che fare. Non sono persone ”schierate” che leggono “Libero” o “Il Giornale” o fogliacci simili, che tengono la fotografia di Feltri o di Cicchitto sopra il letto o che hanno il fazzolettino verde che spunta dal taschino. Sono persone “normali”, tendenzialmente democratiche, istruite, perbene. Che, ad esempio, comprano un quotidiano non particolarmente di parte come “La Stampa” di Torino.

Ma pur leggendo gli articoli di Gramellini, della Spinelli, di Luca Ricolfi, di Carlo Federico Grosso o del direttore Mario Calabresi (tutti articolisti spesso critici nei confronti del presidente del consiglio e del suo branco di cagnolini scodinzolanti), i quali spesso e volentieri mettono il dito sulle tante piaghe di questo governo e di questi governanti, “non vedono”, sono ciechi, sordi e conseguentemente muti di fronte allo strapotere del Sultano.

In questo modo riescono poi a indignarsi o a protestare – con amici o parenti o colleghi – riguardo la corruzione, le tasse, la disoccupazione dilagante, le piccole o grandi opere non fatte, il falso in bilancio, le seicentomila auto blu, le violentissime critiche della stampa estera, e poi le varie vallettopoli, tangentopoli e via ravanando nel pattume quotidiano, senza collegare colpe e colpevoli, senza distinguere tra corrotti e corruttori, e soprattutto senza mettere in dubbio l’immagine di B. Anzi, perdonandogli quasi tutto. “Tanto sono poi tutti uguali”, dicono. E’ forse su questo che bisognerebbe ragionare. Chi deve fare veramente paura non sono gli imbecilli con le teste rasate o le patetiche ronde della lega. Chi “mi” fa paura è ancora una volta la cosiddetta “gente normale”.

http://domani.arcoiris.tv/?p=4370

lunedì 8 marzo 2010

E vissero tutti.. Prescritti e Contenti...

di Norberto Lenzi

Immaginiamo una fiction che racconti un delitto. Un uomo penetra in una casa, uccide il padrone, fruga nei cassetti, si guarda attorno, arriva lo spot. Aspettiamo che il film riprenda, invece è finito. La pubblicità-prescrizione ha salvato il colpevole

E così la Cassazione ha deciso. Berlusconi dovrà riconoscere che esistono anche giudici antropologicamente uguali. Si impongono però alcune riflessioni.

Un patto oggettivamente e soggettivamente omertoso tra gran parte della politica e buona parte della informazione ha condotto ad una sostanziale equiparazione mediatica tra prescrizione ed assoluzione.

“Assolto, Presidente, assolto!” giubilava al telefono l’avvocato Giulia Bongiorno quando la Corte d’Appello di Palermo aveva appena accertato l’appoggio di Andreotti alla mafia. Assolto, e presentato come caso emblematico di persecuzione politica e di sperpero di denaro pubblico da parte della magistratura, anche quando la sentenza venne resa definitiva dalla Cassazione.

Sempre assolto anche Berlusconi, altro storico perseguitato, sebbene a volte prescritto per le attenuanti generiche (beneficio non previsto per gli innocenti, per i quali è prevista la assoluzione).

Questa fuorviante assimilazione, incuneata con malizia e perseveranza nella opinione pubblica per fini che attenevano ad una ristretta categoria di individui, non ha provocato soltanto una erronea percezione del reale, ma ha trascinato effetti devastanti nel sistema giustizia, rendendo il percorso del processo sempre più accidentato e il tempo della prescrizione sempre più breve, per consentire il raggiungimento di questo ambiguo status di semivergini che spetta ai prescritti.

E non ci si è preoccupati della vastità del danno, perché si doveva sapere che se un pescecane riesce a rompere la rete, uno sciame di pesciolini (senza meriti e senza colpe) lo segue verso la libertà.

È per questo che ormai la metà dei processi si conclude con una frustrante prescrizione.

Ed è strano che in questo mondo mediatizzato la gente accetti senza protestare questo black out improvviso della trama.

Immaginiamo una fiction che racconti un caso di omicidio. Un uomo penetra furtivamente in un appartamento, pugnala un signore che stava leggendo il giornale, fruga nei cassetti in cerca di refurtiva. Lo vediamo bene in volto, proviamo profonda repulsione per quello che sta facendo, partecipiamo emotivamente sperando che non la faccia franca e ci crediamo perché nei film arrivano sempre i nostri. Quando, improvvisamente, mentre l’assassino si sta guardando intorno con occhio torvo, ecco la dissolvenza, seguita dalla pubblicità. Aspettiamo con ansia che il film riprenda. Invece no, è finito. Scendiamo per prendere una boccata d’aria e troviamo l’assassino, elegante ed azzimato, che sorseggia un aperitivo al bar.

Così è stato (e così sarà) di molti imputati, eccellenti e no, nei confronti dei quali sono state trovate le prove sufficienti per la condanna ma vi è stata la dissolvenza.

Per la fiction o per il film lo spettatore, che ha pagato il canone o il biglietto, non accetterebbe mai di essere trattato in questo modo. I cittadini invece, che pure pagano le tasse e prestano i servizi che lo Stato richiede, si stringono nelle spalle, quando non se la prendono con i magistrati.

Nessuno pensa che in certi casi dovrebbe essere possibile pretendere di conoscere come finisce il film. Perché se è comprensibile che un ladro o un rapinatore si ritenga appagato dalla prescrizione, questo dovrebbe essere considerato inaccettabile per chi ricopre incarichi pubblici.

La prescrizione non è un traguardo da raggiungere ansimando e alzando le braccia in segno di vittoria. È una soluzione opaca che dà adito a sospetti e interrogativi, è il contrario di quella trasparenza che dovrebbe caratterizzare l’uomo pubblico, un velo oscuro sulla mitizzata casa di vetro.

Forse l’Italia poteva fare a meno di sapere se un avvocato londinese è corrotto, ma ha diritto di sapere se il suo Presidente del Consiglio è un corruttore.

Tutti i cittadini a questo punto dovrebbero chiedere a Berlusconi di rinunciare alla prescrizione per poter plaudire ad una chiara assoluzione nel merito.

http://domani.arcoiris.tv/?p=4391

domenica 7 marzo 2010

Il silenzio dei media sulla Palestina che muore

di Paolo Maccioni

Dai blog d’Oltreoceano si apprende una notizia ripresa pure dai più attenti blogger nostrani e quasi per niente dai media a grande diffusione.

Martin Kramer, membro di un centro studi dell’Università di Harvard, oltre che dell’influente Winep, Istituto per le politiche del vicino Oriente, alla conferenza Herzliya in Israele ha teorizzato misure per limitare le nascite del popolo palestinese.

Kramer ha pure auspicato che l’Occidente smetta di fornire aiuti che possono incoraggiare i palestinesi a riprodursi e dar vita così a «giovani maschi superflui» (parole sue).

Insomma: se patisce d’inedia, la popolazione palestinese invecchia e diminuisce di numero, così il problema del terrorismo è risolto. Ovvero: incitamento al genocidio, secondo il diritto internazionale.

Alcuni intellettuali condannano l’esecranda posizione di Kramer, come M.J. Rosenberg e Richard Silverstein che l’hanno definito rispettivamente “genocida” e “razzista anti-musulmano”, o come Stephen Walt che lamenta la pilatesca indolenza di Harvard rispetto alle richieste di allontanamento o di sanzione.

Quando ci si chiede: ma com’è potuto accadere che quando settant’anni fa alcuni intellettuali redassero il manifesto della razza la gente non si oppose e non s’indignò abbastanza?

Ecco, si può rispondere: è possibile esattamente come oggi sono in pochi a indignarsi per questa idea. Intanto perché sono in pochi a conoscerla. L’eco data dai blog alla sconcertante notizia contrasta con l’assurdo, complice silenzio dei media ufficiali.

Da «E Polis» (3 marzo 2010)
La foto in apertura è tratta da http://www.nowpublic.com/world/gaza-holocaust-4.

http://www.megachipdue.info/component/content/article/42-in-evidenza/3017-idee-genocide-antipalestinesi-e-silenzio-dei-media.html

sabato 6 marzo 2010

Quanto ci costano gli enti Provincia???

Per mantenerle 160 euro a carico di ciascun italiano

di CARMELO LOPAPA

ROMA - L'ultima occasione per nuove infornate milionarie l'ha fornita il decreto sulla Protezione civile appena approvato dal Parlamento. Alle Province colpite da calamità naturali e dichiarate in stato di calamità (ed è noto con quale frequenza accada in Italia) è assegnata in via straordinaria "una somma pari a euro 1,5 per ogni residente". Col decreto enti locali votato ieri con la fiducia alla Camera, arriva il taglio progettato dal ministro della Semplificazione Calderoli, ma il 20 per cento dei consiglieri in meno scatterà solo a cominciare da quelli che verranno eletti in futuro.

Dovevano essere soppresse, stando ai proclami del premier Berlusconi in campagna elettorale. Di quei proclami, due anni dopo, non si ha più traccia. E qualsiasi progetto di riforma fa ormai fatica a scalfire quei 110 centri di potere che sono le Province italiane. In compenso, com'è noto, di province ne sono nate di nuove anche negli ultimi anni: sette. Costano allo Stato 14 miliardi di euro l'anno. Danno lavoro a 61 mila persona.
Ma a chi fa gioco la loro sopravvivenza, dipendenti a parte? Quali interessi girano dietro questo giro vorticoso di finanziamenti e poltrone? Perché i politici di destra e sinistra sono tornati sui loro passi e ora difendono a spada tratta enti fino a poco tempo fa giudicati "inutili"?

GLI SPERPERI
Enti e poltrone da moltiplicare, nuove funzioni e fiumi di risorse in arrivo. La grande attesa adesso è tutta per i decreti attuativi del federalismo fiscale. Che delegherà agli enti intermedi tra Regioni e Comuni una buona fetta di competenze. Alle quali - mettono avanti le mani gli amministratori provinciali - dovranno corrispondere risorse adeguate. Gli enti gestiscono strade e immobili scolastici, promuovo i prodotti del territorio, certo. Garantiscono servizi che i cittadini nemmeno immaginano vengano forniti dalle Province. Queste sconosciute e comunque benemerite, per certi versi. Per altri, tuttavia, un po' meno. Su come vengano utilizzati i fondi a loro disposizione la pubblicistica è vastissima e si aggiorna ormai di settimana in settimana. Un mese fa, l'opposizione alla giunta provinciale di Venezia ha denunciato i 9.240 euro spesi per il lampadario in vetro di Murano del Palazzo (sede dell'ente) di Cà Corner, che ora fa bella mostra tra il quarto e il quinto piano vicino la sala di rappresentanza. Ma anche i 28mila euro spesi per le trasferte della sola giunta guidata dalla leghista Francesca Zaccariotto in novembre. Con la presidentessa, fresca di elezione nel giugno scorso, che sull'elegante pezzo d'arredamento si è giustificata: "Non ci trovo nulla di scandaloso. C'era bisogno di un lampadario, mica potevamo mettere un neon a Cà Corner" (Corriere veneto, 27 gennaio).

Proprio sotto la voce Province, si scopre che in tema di spese il virtuoso Nordest non ha nulla da invidiare alle bistrattate giunte meridionali, se è vero che a Trento ancora si chiacchiera del finanziamento da 300 mila euro erogato dalla Provincia autonoma a beneficio della fondazione universitaria dei Focolarini di Firenze, "Sophia". Oppure dei 439 mila euro stanziati dalla medesima giunta, guidata dal rutelliano Lorenzo Dellai, per la ristrutturazione della sala stampa dell'ente (48.592 solo per l'incarico all'architetto). Neanche fosse destinato alle conferenze stampa del prossimo G20. Il 22 febbraio, il capogruppo Pd alla Provincia di Napoli, Pino Capasso, attacca: "L'amministrazione Cesaro (centrodestra, ndr) ha promesso agli elettori sobrietà nelle spese, ma ha portato l'importo per contributi ad associazioni amiche fino 3 milioni e 144.414 euro. Tra le iniziative ritenute fondamentali, "Cogli l'attimo", euro 9.800, "C'è di più per te" o "Sognando di diventare campioni tirando la fune" euro 5.000. E Sant'Antimo, città di origine del presidente Cesaro, batte tutti con aiuti per euro 125.832".

LE MISSIONI D'ORO
Ma è storia di questi giorni anche la "generosa" spedizione di presidenti di province e assessori siciliani alla Bit di Milano. Roba che ha fatto gridare allo scandalo consiglieri regionali del Pdl. Alla prestigiosa Borsa del turismo si sono presentati, al seguito del governatore Raffaele Lombardo, e tre suoi assessori, tra gli altri i presidenti delle Province di Palermo (Giovanni Avanti), di Trapani (Girolamo Turano) e Ragusa (Francesco Antoci), tutti di centrodestra. "Di quante persone era composta la comitiva della Regione, a quale titolo erano presenti i partecipanti e poi, risponde al vero che la spesa sostenuta dalle casse regionali si è aggirata intorno al milione di euro" incalza un'interrogazione di queste ore del Pdl. Va detto che gli enti intermedi esistono in tutta Europa, anche il Pd si guarda bene dal proporne la soppressione delle Province.
Ma c'era davvero bisogno di nuovi enti? Di nuove amministrazioni locali, coi loro uffici, i loro consigli-mangiatoia dei partiti, con le nuove inevitabili poltrone? E che senso hanno le mini province, alcune delle quali nate di recente?

Se ne contano 19 con meno di 200 mila abitanti, sono il 17 per cento del totale. Isernia di abitanti ne conta addirittura 89 mila. Ma il record è della Sardegna. Non solo per averne 8 per un territorio da 1 milione 600 mila abitanti (andranno tutte a rinnovo a maggio). Ma anche perché in ultimo ne ha viste proliferare altre quattro. Tutte in versione short. Sono le province più piccole d'Italia: Medio Campidano (105.400 abitanti), Carbonia Iglesias (131.890 abitanti), Olbia Tempio (138.334 abitanti) e quella di Ogliastra (solo 58.389 abitanti). Le prime tre nate nel territorio della provincia di Cagliari, l'ultima in quello della provincia di Nuoro. Ognuna coi suoi consiglieri, i suoi assessori, i suoi presidenti. E i suoi dipendenti, almeno quelli, distaccati.

I TAGLI, DIMENTICATI
La verità è che sulle Province non c'è giro di vite che tenga. Il decreto taglia-poltrone del ministro Roberto Calderoli ha dovuto fare i conti col muro di gomma della lobby degli amministratori (di destra e sinistra, senza distinzioni). Difficile incidere sul costo pro capite dell'ente Provincia su ciascun cittadino, stimato di recente in 160 euro l'anno (con picchi nell'Italia centrale: 178 euro, al Nord è 164, al Sud 143 euro). In Basilicata, si legge nella relazione al ddl di soppressione delle Province presentato dal dipietrista Massimo Donadi, la spesa pro capite - non si sa perché - sarebbe di oltre 240 euro. "Il nostro candidato sa bene che lavorerà per un ente che presto aboliremo" annunciava il 3 aprile 2008 Silvio Berlusconi al fianco del candidato Pdl alla presidenza della Provincia di Roma. E rincarava: "Dal momento della fondazione delle Regioni, tutti si aspettavano l'abolizione delle Province. Abbiamo calcolato che se ne ricaverebbe un risparmio di dodici miliardi di euro". Considerazioni che erano state prese sul serio da tutta la stampa di destra. "Appello a Berlusconi: elimina le Province", titola il 29 novembre 2008 Libero nel giorno in cui lancia la campagna conclusa con l'inutile raccolta di migliaia di firme ("Silvio batti un colpo, ricorda le tue promesse"). Di quella campagna, di quelle promesse, a inizio 2010 non vi è più traccia, anche se la spesa è cresciuta a 14 miliardi e le province sono diventate 110. Da dicembre, l'Unione delle province italiane è guidata dal presidente di quella di Catania, l'ex eurodeputato Giuseppe Castiglione, pidiellino. Detentore di uno dei pacchetti di voti più consistenti che Silvio Berlusconi possa contare nel granaio elettorale siciliano. "Non intendiamo fare una battaglia corporativa. Siamo anche disponibili al taglio delle poltrone, io stesso ho ridotto da 15 a 9 gli assessorati in Provincia di Catania, quasi azzerato le consulenze rispetto al mio predecessore Lombardo" racconta nello studio della sede Upi di Palazzo Cardelli nell'omonima piazza del centro storico di Roma. Edificio di prestigio che fino all'81 fungeva da ufficio della potente corrente dorotea Bisaglia-Rumor e che dall'87 l'Upi affitta, con i suoi 500 metri quadri, per un canone di 7 mila euro al mese. "Siamo disponibili anche a discutere di accorpamenti di Province - riprende Castiglione - quel che chiediamo è che col federalismo fiscale ci vengano garantite risorse adeguate alle nuove competenze, che si apra la strada per una nostra autonomia finanziaria. Forniamo servizi ai cittadini, è giusto poterlo fare al meglio". Rivendicazioni che il presidente Upi ha già avanzato negli incontri del 10 febbraio con i presidenti di Camera e Senato, Fini e Schifani. "Il problema non è la soppressione delle Province, soluzione semplicistica e improponibile - spiega Walter Vitali, senatore Pd, ex sindaco di Bologna, una vita spesa sulle politiche degli enti locali del suo partito - Sono enti intermedi che esistono in tutta Europa. Quel che noi proporremo con un ddl, in una chiave di riforma costituzionale, sarà l'introduzione del modello spagnolo. Mantenerle come istituzioni, ma eliminando il ceto politico provinciale: con consigli composti solo dai rappresentanti dei comuni e non da politici da eleggere". Il presidente Upi Castiglione alza già barricate: "Siamo pronti a discutere anche della revisione dei confini delle Province. Ma non a trattare sul tema della legge elettorale".

Come sopravvivono oggi le Province? Da dove provengono i 14 miliardi necessari a mantenerne strutture e dipendenti? Come si provvede alle indennità di giunte e consiglieri?
Oggi, le entrate tributarie incassate direttamente dalle Province ammontano a poco meno di 4 miliardi di euro (3 miliardi 748 milioni, a fine 2009), derivanti per lo più da Rc auto (1,5 miliardi), imposta di trascrizione (881 milioni) e addizionale energetica (682 milioni di euro). Per coprire il fabbisogno però ne occorro-no altri otto, di miliardi, stando al più recente report sullo stato della burocrazia e delle finanze delle Province, predisposto dall'Upi. Servono per le funzioni topiche di questi enti, ovvero la viabilità (3 miliardi), la tutela ambientale (900 milioni), l'edilizia scolastica (1,6 miliardi), lo sviluppo economico (1,2 miliardi). Ma anche tanto altro.

I CORSI DI FORMAZIONE
Ad esempio, pochi sanno che le Province ancora organizzano e gestiscono i corsi di formazione professionale per una spesa di 800 milioni di euro, sovrintendono ai Centri per l'impiego, per 500 milioni, gestiscono il trasporto pubblico extra urbano per 1,3 miliardi, si occupano di promozione turistica e sportiva dei loro territori per 550 milioni. E poi c'è il capitolo personale. I 61.000 dipendenti (il 23% laureato) assorbono 2 miliardi 450 milioni di euro del budget, pari al 25 per cento. E poi ci sarebbe l'altro capitolo, quello più dibattuto, i compensi dei 4.207 amministratori: ovvero i 107 presidenti, i 107 vice, gli 863 assessori, i 107 presidenti dei Consigli, i 3.023 consiglieri. Sono i "politici" provinciali, ai quali sono desinati 119 milioni di euro l'anno. Di questi, poco più della metà (53 milioni) assorbita dalle indennità di presidenti, vice, assessori e presidenti dei consigli. Il resto (65 milioni) a beneficio dei consiglieri e dei loro gettoni. Oggi, il presidente di una piccola provincia (sotto i 250 mila abitanti) gode di un'indennità di 4.130 euro lordi mensili, quello di una grande provincia (oltre il milione di abitanti) un'indennità da quasi 7 mila euro.

Oltre alle quattro miniprovince sarde, le ultime nate, com'è noto, sono quelle di Fermo (nelle Marche), di Barletta-Andria-Trani (in Puglia) e di Monza e Brianza. Solo per mettere in piedi quest'ultima sono stati necessari 47 milioni di euro. "Sprechi? Guardino altrove, le Province sono fondamentali" sbotta nel giugno scorso il sindaco leghista di Monza, Marco Mariani, entusiasta per la nascita del nuovo ente brianzolo. Le richieste ancora in piedi per istituire nuove province sono 21. Come dire: ventuno nuovi consigli provinciali (con relativi gettoni di presenza), ventuno nuovi presidenti di provincia, giunte provinciali, altrettanti nuovi prefetti e i loro dipendenti. Si spazia dalla provincia di Sibartide-Pollino a quella del Canadese e delle Valli di Lanzo. Da Lanciano-Vasto-Ortona a Frentania (una provincia con quattro capoluoghi). Qualche tempo addietro l'attuale ministro Gianfranco Rotondi ne ha presentate otto: Sulmona, Bassano del Grappa, Marsi, Sibartide-Pollino, Melfi, Aversa, Venezia Orientale e Avezzano.

http://www.repubblica.it/politica/2010/03/05/news/inchiesta_province-2512492/