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domenica 31 gennaio 2010

Si è spento il sole

Buon ascolto

Capossela - Si è spento il sole

sabato 30 gennaio 2010

Il nuovo teorema di SB: "Meno immagrati significa meno criminali"

Il premier chiude il Cdm eccezionalmente svoltosi a Reggio Calabria contro la mafia, associando la presenza degli extracomunitari all'aumento della criminalità: un'equazione discutibile specie a pochi giorni dai fatti di Rosarno

«Riduzione degli extracomunitari in Italia significa meno forze che vanno a ingrossare le schiere dei criminali». Un’equazione discutibile che però rende felice il premier che così chiude la conferenza stampa dopo il Consiglio dei ministri tenuto a Reggio Calabria. Silvio Berlusconi dimostra in questo modo tutta la sua soddisfazione per l’azione del governo di contrasto alle mafie. Quindi immigrazione clandestina e criminalità viaggiano appaiate.

«I risultati dei nostri sforzi sono molto positivi», ha proseguito il presidente del Consiglio, ribadendo la connessione tra la presenza di immigrati in Italia e il livello criminalità presente in Italia. Il governo, ha detto il premier, metterà in atto «un’azione molto forte sull’Unione europea che deve farsi carico dei costi della vigilanza che i paesi sopportano».

Annunciando il piano straordinario antimafia Berlusconi ha precisato che si tratta «di un piano in dieci punti», che contiene anche «un codice delle leggi antimafia».

http://www.blitzquotidiano.it/politica-italiana/berlusconi-meno-immigrazione-significa-meno-criminalita-222074/

venerdì 29 gennaio 2010

A.Alfano contro l'ANM... e viceversa...

Il ministro della Giustizia ha commentato duramente la decisione del sindacato delle "toghe", che ha deciso di disertare la cerimonia dell'inaugurazione dell'Anno Giudiziario - Secondo Alfano l'associazione in questo modo macchia una giornata "per il diritto di giustizia" dei cittadini

Pronta risposta di Alfano ai giudici dell’Anm che hanno deciso di disertare l’aula durante l’inaugurazione dell’Anno Giudiziario: «L’Associazione nazionale magistrati ha scelto di macchiare una giornata che è per i cittadini e per il loro diritto di avere giustizia».

Il Guardasigilli poi rincara la dose: «L’immagine che l’Anm offre di sé non coincide con l’immagine e con il senso etico delle migliaia di magistrati che ogni mattina servono l’Italia e le istituzioni che rappresentano».

«Sono il ministro della Giustizia, servo il mio Paese e ho giurato sulla Costituzione – spiega Alfano – A differenza di coloro che seguiranno le improvvide indicazioni dell’Anm, parteciperò all’inaugurazione dell’anno giudiziario presso la Suprema Corte di Cassazione alla presenza del Presidente della Repubblica».

«Allo stesso modo – continua il Guardasigilli – andrò l’indomani presso la Corte d’Appello de L’Aquila, laddove il servizio giustizia ha ricominciato a funzionare brillantemente dopo il terremoto, grazie all’impegno delle istituzioni e di tanti servitori dello Stato».

http://www.blitzquotidiano.it/politica-italiana/giustizia-alfano-magistrati-anm-221164/

giovedì 28 gennaio 2010

La protesta degli Immigrati "italiani"

Immigrati, si allarga la protesta: «Niente spesa e bambini a casa»

Lo sciopero dei consumi è slittato al prossimo 27 febbraio. E il primo marzo fiaccolata e astensione dal lavoro


VICENZA – Rimandato di un mese, e alla fine confermato. Lo «sciopero della spesa», annunciato poco prima di Natale per metà gennaio, è stato programmato per i residenti extracomunitari di Montecchio Maggiore per sabato 27 febbraio. E’ stato deciso domenica. «Un solo giorno, all’inizio, per non colpire i commercianti – spiega Ousname Condè, presidente dell'Unione Immigrati – però se la delibera sugli spazi abitativi non verrà ritirata diventerà sciopero ad oltranza». Ma l’iniziativa trova la contrarietà di parte del sindacato. «E’ sbagliato mettere stranieri contro italiani – dichiara Giancarlo Pederzolli, Cisl – comunque il ricorso contro l’ordinanza partirà a giorni: ci sono dei casi agghiaccianti, famiglie tagliate a metà da quella delibera». E il primo marzo Condè annuncia una veglia con le candele davanti al municipio di Montecchio: «Parteciperemo così alla protesta nazionale degli stranieri».





Consumi stop Lo «sciopero della spesa» era stato annunciato già a dicembre scorso dall’Unione Immigrati, contro la revisione dell’ordinamento sugli spazi minimi abitativi promulgata a luglio 2009 dalla giunta guidata dal sindaco Milena Cecchetto. Secondo l’Unione Immigrati, i sindacati Cgil, Cisl e Uil e altre associazioni castellane, la delibera limitando gli spazi minimi abitativi rende più difficile e in più casi impossibile rinnovare i permessi di soggiorno ad alcuni residenti stranieri (il 70 per cento di quelli castellani, per Ousmane Condè). Le diverse organizzazioni intendono partecipare alla manifestazione promossa a livello internazionale per i residenti stranieri d’Europa: l’iniziativa, in programma per lunedì 1 marzo, vuole sensibilizzare l’opinione pubblica internazionale sugli episodi di sopraffazione e violenza contro le comunità di stranieri.

Niente lezioni «Inviteremo anche i nostri affiliati a tenere i figli a casa da scuola e a non andare al lavoro – spiega Condè – inoltre, noi a Montecchio Maggiore faremo una marcia silenziosa con le candele fino al Comune: invitiamo a partecipare anche tutti gli italiani che ci sono amici. E poi, il 27 di febbraio faremo lo sciopero della spesa: un solo giorno, per non colpire gravemente i commercianti. Poi, se la giunta non cambia la delibera lo faremo a tempo indeterminato. Contiamo sul buon senso dei commercianti, che vivono e pagano le tasse qua, perché incidano sulle politiche amministrative: ci sono famiglie divise in due per questo provvedimento, per questo scioperiamo».

La Cgil dice «sì» La Cgil di Vicenza, pur non partecipando, non è contraria alla manifestazione. «Per noi lo sciopero della spesa non è un problema, è un atto simbolico – spiega Fabiola Carletto, della segreteria – con gli immigrati comunque stiamo preparando altre iniziative, in particolare una causa civile di alcune famiglie straniere colpite dalla delibera, contro l'amministrazione di M o n t e c - chio». L’azione legale verrà promossa assieme ai sindacati Uil e Cisl. Quest’ultima organizz a z i o n e è contraria all’astensione dal consumo. «Lo sciopero della spesa è sbagliato, l’abbiamo detto fin da subito – commenta Giancarlo Pederzolli, della segreteria vicentina – piuttosto, stiamo organizzando un’altra mobilitazione di protesta proprio per quei giorni, una manifestazione che unirà italiani e stranieri al posto di dividerli. Va avanti anche la procedura per il ricorso: lo presenteremo per cinque, sei famiglie al massimo, i casi più gravi. Ci sono situazioni vergognose: l’altro giorno ho visto una coppia con quattro figli, uno di 4 mesi, con una casa enorme e tre stanze da letto. Con le nuove regole è omologata solo per quattro persone, non sanno cosa fare».

http://corrieredelveneto.corriere.it/veneto/notizie/cronaca/2010/26-gennaio-2010/immigrati-si-allarga-protesta-niente-spesa-bambini-casa-1602351565027.shtml

mercoledì 27 gennaio 2010

La Maddalena: dal G8 alle Incompiute

LA MADDALENA - C'era una volta l'isola che doveva essere e non è più. C'è ora la Maddalena usa e getta. Prima tirata a lucido in abito da festa e poi, dopo il G8 fantasma traslocato all'Aquila, lasciata sola con il suo sogno infranto e i suoi cocci da raccogliere. Trecentotrenta milioni investiti - presi in larga parte dal bilancio e dai contributi per la Regione Sardegna - e neanche un posto di lavoro. A casa, da tre giorni, anche i 23 guardiani maddalenini che sorvegliavano le belle e incompiute cattedrali sul mare. Dove adesso regnano l'abbandono, l'incuria e il degrado. Di chi è la colpa del flop?

LE GRANDI INCOMPIUTE
Sono le due mega-opere costruite nell'ex Arsenale e nell'ex ospedale militare: una, la grande area dove si sarebbe dovuto svolgere il vertice dei grandi del mondo - andata in gestione per 40 anni a prezzo di saldo alla Mita Resort di Emma Marcegaglia, l'unica che da questa storia ci ha davvero guadagnato e guadagnerà - ; l'altra, l'hotel cinque stelle plus, costato, solo quello, 75 milioni, 742 mila euro a stanza e però nessun imprenditore ne vuole sapere. Uno scenario desolante che Repubblica ha documentato con un video esclusivo e con una serie di immagini. Un viaggio dentro una delle più grosse "incompiute" nella storia delle opere pubbliche (progettata, appaltata, eseguita e consegnata in poco più di un anno). E sulla quale sono aperte due indagini. Cosa ha lasciato in eredità alla Maddalena il G8 mancato? Quanto è costato? Chi ci ha speculato trasformando quello che doveva essere un volano per la stagnante economia dell'isola - già penalizzata da mezzo secolo di monocultura militare - in un affare per pochi? Quale futuro avranno le strutture tirate su in fretta e furia che ora languono nel silenzio generale e nell'imbarazzo di molti?


DOPO LA BEFFA I DANNI
Ci sono fantasmi che producono fantasmi. E i fantasmi costano. Anche solo per tenerli in vita. Era il 23 aprile 2009 quando Berlusconi annunciò lo spostamento del G8 nell'Abruzzo colpito dal terremoto. Nove mesi e 327 milioni dopo (tanto sono costati, stando ai dati della Protezione civile, i lavori alla Maddalena) la scena sull'isola "scippata" - come ripetono i 12mila abitanti e il sindaco Pd Angelo Comiti - è desolante. Il problema non sono i cantieri ancora aperti (sul lato est dell'ex Arsenale) e le ruspe che lavorano per ampliare un'area che Berlusconi aveva candidato ad ospitare una decina di incontri internazionali (finora ci hanno fatto solo il vertice italo-spagnolo). E nemmeno la nuova corsa contro il tempo per la Louis Vuitton Cup, a maggio, che tutti aspettano come un cerotto per curare le ferite. Il problema è che le strutture che dovevano accogliere Obama e gli altri sette capi di Stato versano, oggi, in condizioni penose. "Dopo il danno la beffa, e ora i danni", chiosa l'assessore provinciale all'ambiente Pierfranco Zanchetta.

TUTTO IN MALORA
Entri nella hall dell'albergo 2, quello che avrebbe ospitato Barack Obama e la delegazione americana. Cammini sul pavimento di marmo bianco intarsiato che i potenti della terra non hanno mai calpestato. Piove dentro. L'acqua scende dal tetto dove hanno costruito la piscina. Il vento e le infiltrazioni hanno provocato danni: parti di soffitti crollati, tubi e cavi a vista perché i pannelli che li contenevano sono venuti giù. Dei tappeti disegnati da Antonio Marras - lo stilista sardo che ha curato tutti gli interni delle aree ospitalità dell'ex Arsenale militare - tra un po' si avrà traccia solo sull'ambizioso catalogo delle opere della struttura della missione G8 (affidata all'ingegner Mauro della Giovampaola). Lo stesso vale per i quadri fotografici "navali" di Luca Cittadini. Pareti scrostate per l'umidità, calcinacci, attrezzi lasciati lì in attesa che qualcuno li riprenda in mano: così appare oggi la hall dell'hotel con vista sulla darsena che può ospitare 700 barche. "Lo stato di queste strutture è una delle tante vergogne e ora qualcuno dovrà risponderne" dice Pio Palazzolo, memoria storica dell'isola e già componente del Comitato paritetico per le servitù militari in Sardegna.

L'ARCHISTAR DELUSO
Accanto alla hall c'è un edificio che doveva essere un teatro. Le porte sono scardinate, così come quelle della "Casa sull'acqua" - o sala conferenze - la strabiliante scatola di vetro posata sul mare progettata dall'architetto Stefano Boeri. Il vero gioiello dell'ex Arsenale, costo, comprensivo dell'area delegati, 52 milioni e 100. "Gli edifici vanno usati, altrimenti deperiscono", ragiona Boeri. Dice di aver lavorato - assieme a 1600 operai impiegati giorno e notte - "per garantire una doppia vita a queste strutture: per il G8 e per il dopo G8. Ma io non ci vado da un mese... Com'è la situazione adesso?". Magari quello che chiamano hotel Obama, al centro dell'Arsenale, in futuro ospiterà flussi ininterrotti di convegnisti e di ricconi che approderanno qui coi loro megayacht. Ora però ha un aspetto desolante. Comunque lontano dall'aggettivo "affascinante" usato da Vasco De Cet, dirigente della Mita Resort. A piano terra la zona spa è completamente abbandonata: tutto, gli hammam, le saune, la grande vasca idromassaggio al centro della sala, parquet e vista mozzafiato sul mare, i lettini per i messaggi, quelli della zona relax, i bagni, gli spogliatoi, tutto è in balia del freddo e dell'umidità. Poi c'è la "stecca", un edificio basso e lungo e stretto, tipo striscia. Dovevano essere piccoli appartamenti. Ma i pavimenti non ci sono ancora, un colpo di maestrale ha scoperchiato una parte del tetto e chissà con l'aria che tira che fine faranno gli intarsi in finto marmo - in realtà polistirolo - che decorano gli angoli delle pareti esterne.

CATTEDRALE NEL DESERTO
A che cosa servirà questo paradiso di cemento, pietra e vetro costruito alla velocità della luce? Centocinquantamila metri quadrati e un futuro incerto: la Louis Vuitton Cup a primavera, e poi? "Io spero che diventi un polo nautico e multifunzionale, così com'era stato pensato", dice ancora Boeri, "ottimista" ma forse non fino in fondo. Il vero problema, però, l'opera che davvero preoccupa di più, è l'ex ospedale militare. Sedicimila e 800 metri quadri trasformati in un hotel di lusso. Facciata bianca che corre lungo la strada, con il mare di fronte ma non accessibile perché nessuno ha pensato di fare un accesso all'acqua cristallina, una banchina, una spiaggia. Un'opera da 75 milioni, 101 camere costate ognuna 742 mila euro. Spettrale. Una scatola vuota - questa sì riscaldata tutto il giorno e illuminata di notte con livide luci violette che sbattono sulla facciata. Nessuno lo vuole l'hotel. Il bando di gara, il 23 settembre 2009, è andato deserto. "A quale imprenditore conviene prendersi una struttura così, con questi costi e con tutte le pecche che presenta? Bertolaso promise che sarebbe stata fatta una nuova gara - stringe le spalle l'assessore Zanchetta - e che c'era una catena alberghiera interessata. Ma, ad oggi, tutto tace". Intanto è cresciuta l'erba davanti alla facciata che a prima vista ricorda un po' la Casa bianca. C'è un guardiano. Potrebbe restare lì a lungo. Se e fino a quando qualcosa si muoverà. Chi ha il dovere politico di prendere in mano il "pacco" dell'hotel e levare le castagne dal fuoco? "La proprietà è ancora della Marina militare (a differenza dell'ex Arsenale già ceduto alla Regione) - informa il sindaco Comiti - Potrebbero anche decidere di riprendersela loro e farci qualcosa. A meno che a breve diventi anche questo della Regione".

CONTI ALLE STELLE
I costi. Tutto iniziò il 28 maggio 2008 e tutto finì, con la bella favola spezzata, il 31 maggio 2009. "Volevamo rilanciare quest'isola, farla decollare come una Davos mediterranea - dice l'ex presidente della Regione Renato Soru - e invece, se va bene, ci ritroveremo con un grande villaggio turistico avulso dalla città". E se invece andasse male, visto che l'aria non sembra delle più elettrizzanti? "Non ci voglio nemmeno pensare. Siamo sardi e non permetteremo che queste opere, costate uno sproposito, molte anche inutili, rimangano lì a marcire dopo che il governo ha avuto la non brillante idea di dirci che eravamo su Scherzi a parte". Il non-G8 alla Maddalena è costato 327 milioni (il conto finale era 377 ma 50 sono stati risparmiati dopo il trasferimento all'Aquila). 209 milioni sono stati spesi per demolire, bonificare (era pieno d'amianto, 22 milioni solo per questo) e ristrutturare l'Arsenale. Dice Soru: "Il colmo è che sono costruzioni compiute e inutilizzate. Nella fretta è stato speso più del necessario, e nella fretta è stato svenduto - praticamente regalandolo alla Mita Resort - l'Arsenale. La Regione, proprietaria della struttura, è stata tagliata fuori, e oggi è totalmente immobile".

CHI CI HA GUADAGNATO
La Mita Resort, dunque. Alla società di Emma Marcegaglia è andata di lusso. La base di gara per l'assegnazione della gestione dell'Arsenale prevedeva una quota minima una tantum di 40 milioni (da versare sul conto del soggetto attuatore, responsabile per conto di Bertolaso per contratti e pagamento dei lavori) e la proposta di un canone annuale di concessione destinato alla Regione Sardegna. Si è presentata solo la Mita Resort: 41 milioni una tantum e canone da 600 mila euro l'anno alla Regione spalmato su 40 anni (50 mila euro al mese). In tutto 68 milioni. Niente male come affitto per 30 anni più 10 (indennizzo post-trasferimento all'Aquila). Che cosa ci faranno ancora all'Arsenale non è dato sapere (a parte la Louis Vuitton). "Questa struttura a regime potrà ospitare più di 5mila persone, sarà uno snodo cruciale per la nautica da diporto", promette il manager Vasco De Cet.

DUBBI DA CHIARIRE
C'è ancora molto da capire qui alla Maddalena. Come è andata davvero l'assegnazione degli appalti? Il carabinieri del Ros, su ordine della procura di Firenze, hanno avviato un'indagine ancora aperta. Un altro problema sono i soldi stanziati per lavori che non sono stati ancora eseguiti. Sugli isolotti di Razzoli e Santa Maria, che fanno parte dell'arcipelago-parco naturale, ci sono due fari della prima metà dell'800 che dovevano essere recuperati. Novecentomila euro di spesa ma i fari sono ancora lì come prima. Una storia su cui sta indagando la Guardia di Finanza di Olbia-Tempio Pausania.

ACCAMPATI IN TENDA
Chiarissima è invece la situazione per i maddalenini che speravano, con le opere del G8, di trovare un lavoro. A fronte del maxi-investimento, oggi, non c'è nemmeno un assunto. Gli unici che avevano avuto uno stipendio (molto precario) erano i 23 guardiani della Nautilus, una subappaltata per la sorveglianza dell'Arsenale. Domenica notte sono stati liquidati con una stretta di mano da De Cet della Mita Resort. Che faranno, adesso? Sono ancora accampati fuori dai cancelli, al freddo e con le tende sollevate dalle raffiche di vento. Dicono che non se ne andranno. Ma il piatto resterà vuoto. "Con opere da 330 milioni, in proporzione, si dovevano creare almeno 500 posti di lavoro. E invece niente". Luigi Plastina, guardiano licenziato, dorme da una settimana in tenda con la moglie, un forno da campeggio e l'acqua sotto i piedi. "Questo è il mio G8".

(28 gennaio 2010)

http://www.repubblica.it/politica/2010/01/28/news/g8-maddalena-2101455/

martedì 26 gennaio 2010

Craxi? Il primo berlusconiano

Con le grandi celebrazioni per Craxi, dieci anni dopo la sua morte in contumacia ad Hammamet, la destra berlusconiana ha rivendicato la sua vera ascendenza, dissipando gli equivoci che potevano essere stati ingenerati da precedenti annunci, o meglio da precedenti vanterie. I veri precursori di Berlusconi non sono né Sturzo – anche lui andato in esilio ma non come latitante – né De Gasperi – anche lui processato e condannato ma da un tribunale fascista – e tanto meno Aldo Moro che vittima sacrificale e martire della politica lo è stato davvero; il vero iniziatore dell’era berlusconiana è stato Bettino Craxi.

Lo è stato in un senso materiale, perché senza il decreto con cui il presidente socialista dette il potere televisivo alla Fininvest, Berlusconi non avrebbe potuto avere la fama ed i soldi per intraprendere la sua avventura politica; e lo è stato in senso politico, perché senza la demolizione dei grandi partiti di massa, la DC e il PCI, tenacemente perseguita da Craxi (che amava invece Proudhon), senza la decisiva sconfitta inflitta ai lavoratori con l’abolizione della scala mobile, senza la riforma in senso decisionista dei regolamenti parlamentari, e senza il precedente di un partito-spettacolo, con la sua corte, come ironizzava Formica, in cui c’erano meno politici che ballerine, un fenomeno come Forza Italia e un governo come quello che abbiamo non sarebbero stati possibili.

È chiaro che il movente della glorificazione postuma di Craxi (i discorsi, le strade, le celebrazioni TV) è stato tutto e immediatamente politico: si trattava di fare dell’esule di Hammamet la prima vittima ingiustificata caduta sotto i colpi di una magistratura uscita dalla soggezione al potere politico; si trattava di reclamare l’immunità del potere, esattamente come Craxi aveva fatto con due discorsi alla Camera, in cui non aveva negato i reati, ma li aveva trasformati in problemi politici; si trattava di rivendicare il diritto per i politici in carriera di sottrarsi in ogni modo – con la latitanza, con il legittimo impedimento, con i processi brevi o addirittura non celebrati – al giudizio di magistrati interpreti della legge ma non eletti dal popolo.

Per fare questa operazione era necessario montare la novità mediatica di un Craxi ingiustamente perseguitato, sorvolare sulle condanne da lui subite in regolari processi, e ignorare che i fatti a lui imputati non erano stati solo quelli del finanziamento illecito dei partiti, ma anche la corruzione e il lucro privato. Non c’era dunque da fare alcuna apologia; sicché anche la consolazione offerta da Napolitano nella sua lettera alla vedova di Craxi, secondo cui il peso della responsabilità per i fenomeni degenerativi del sistema politico era caduto su di lui “con durezza senza eguali”, è sembrata eccessiva.

Si è sostenuto però che, a parte la questione giudiziaria e il triste epilogo, Craxi deve essere ricordato per la sua opera di statista. Certo che in questa ci sono state, come pure è stato detto, luci ed ombre. Luce fu la difesa della sovranità nazionale che egli fece contro gli americani a Sigonella, ma notte fonda fu la sua caparbia decisione di fare installare i missili nucleari a Comiso. Con quell’atto l’Italia si sposava al demone nucleare, e diventava potenzialmente genocida (l’obiettivo assegnatole, se ci fosse stata la guerra, era l’Ungheria).

Si è lodata quella sua scelta; senza di lui i missili in Sicilia non ci sarebbero stati, e senza i missili a Comiso non ci sarebbero stati neanche i Pershing 2 in Germania perché, come poi si è saputo, la Germania, se fosse stata sola, non li avrebbe accolti. Può darsi, come molti dicono, che se quei missili non fossero stati messi, l’economia sovietica non sarebbe stata travolta dal dissesto per le spese della corsa agli armamenti, l’URSS non sarebbe crollata, e la guerra fredda non sarebbe finita.

Ma era davvero questo l’unico modo in cui la guerra fredda doveva finire? Non si erano avviati, proprio in quegli anni, diversi e più civili modi per uscire dalla contrapposizione dei blocchi?
Non si era avvistata, come possibile, la pace “in un mondo senza armi nucleari e non violento”, come diceva Gorbaciov?
E il mondo che è succeduto a quello che allora finì, questo mondo attuale senza guerra fredda ma con vere guerre perpetue e infinite, un mondo senza Marx ma anche senza Proudhon, è davvero un mondo migliore?

(25 gennaio 2010)

http://temi.repubblica.it/micromega-online/craxi-il-primo-berlusconiano/

domenica 24 gennaio 2010

Accoglienza. Non respingimenti


Io dell’anno nuovo sono rimasto profondamente deluso. Da bambino nella mia povera famiglia era gioiosa l’attesa per l’arrivo dei Re Magi. Nella festività dell’Epifania non mi è pervenuto nessun autentico dono. Né dallo Stato, né dalla mia Chiesa che amo. Nulla dalle Istituzioni. Niente dai partiti, niente dal Governo né dall’opposizione.
Tempeste, gelo, freddo, per le strade e nei nostri cuori.

Mi son chiesto amaramente come mai? Mi ha informato tempestivamente l’arcivescovo di Agrigento, Monsignor Francesco Montenegro, che ha posto una scritta nel presepio della sua cattedrale di San Gerlando: “Si avvisa che quest’anno Gesù Bambino resterà senza regali: Magi non arriveranno perchè sono stati respinti alla frontiera insieme agli altri immigrati“.
Si tratta della Diocesi in cui rientra anche Lampedusa, pertanto di fermi alla frontiera se ne intendono.

Le leggi del respingimento sono di quanto più antievangelico possa esistere. Accogliere è l’unico verbo che i Cristiani possono coniugare davanti alla persona che bussa alla porta. Circa cento volte la Bibbia sottolinea la tutela dello straniero.
Oggi avvertiamo solamente la paura dell’emigrazione che diventa un sentimento politico che si può cavalcare e produce maggioranze.

Nessuno ammette il razzismo e, come la mafia, non esiste. Invece è strisciante, imbarazzato ma efficace lo stesso.
È perlomeno sorprendente la nascita del “partito dell’amore” che taccia altri come seminatori di odio. “Chi è senza peccato scagli la prima pietra” mi viene da esclamare! Confessiamo onestamente i nostri tanti episodi di xenofobia, omofobia, razzismo. Quale campagna ci aspetta per le prossime elezioni regionali?

Scoppia la guerriglia a Rosarno in Calabria, dove i caporali passano la mattina per portare i “negri” negli aranceti per lavorare a 20-25 euro al giorno, dall’alba al tramonto. Nessuna giustificazione per gli episodi di violenza di questi lavoratori stranieri accampati in condizione disumane in alcune strutture in disuso in periferia.

In questo contesto, chi ha seminato da tempo la zizzania dell’odio? Quando un gruppo grida Barabba c'è sempre qualche fariseo, ipocrita che nell’ombra sobilla.Sono gli impresari della paura. Si ritrovano ovunque. Continuano a gridare. Si fanno scudo della legalità e della sicurezza. E i rapporti umani? La relazione?

Per le donne e gli uomini di buona volontà occorre programmare decisamente il sentimento della Fraternità. Può unire tutti: credenti e non credenti, agnostici e atei. Non si può rispondere alla migrazione che nè sbarramenti, nè espulsioni, nè naufragi fermeranno con misure inutili, solamente repressive, disumane, con ostilità e indifferenza.
Creiamo ponti, dialogo, ascolto e accoglienza.

Nessuno si illuda. Occorre tanta fatica, disponibilità, condivisione. Tutta l’Europa è chiamata a rispondere onestamente.
Ritroveremo la spinta decisiva per affrontare nel rispetto di tutte le leggi, con la bussola della Costituzione repubblicana, i problemi di tutti: doveri, diritti, lavoro, casa, salute, scuola, pensioni… Difesa dell’ambiente.

Accogliere, anche perché non è vero che la nostra coscienza personale e di gruppo si afferma proteggendola da ogni innesto. Al contrario scopriamo che “siamo” solo grazie al confronto con chi è diverso da noi, perchè lì sperimentiamo la nostra identità”, la liberiamo, la ritroviamo rafforzata da una consapevolezza nuova.

Accogliere, allora. Perché accogliere vuol dire ascoltare la vita, qualunque linguaggio essa parli.
Meno esternazioni, comitati per e non contro. Per condividere le speranze e le gioie dei drammi e delle sofferenze delle donne, dei bambini e degli uomini del nostro tempo.
“Dimmi che escludi e ti dirò chi sei!”.

http://temi.repubblica.it/micromega-online/don-gallo-accoglienza-non-respingimenti-ponti-non-razzismo/
(Don Andrea Gallo)

venerdì 22 gennaio 2010

Alcuni dei processi del Presidente...

Quando il processo sta per diventare "breve" è bene avere memoria lunga. «Aggressione giudiziaria» la chiama da sempre il presidente del Consiglio sedicente “vittima” di un pericoloso manipolo di presunte “toghe rosse”. Unica arma di difesa diventano, allora, le cosiddette leggi ad personam, gli scudi giudiziari che via via, negli anni, il premier si è cucito addosso a proprio uso e consumo. Le cose non stanno esattamente così. «La verità è che se Berlusconi non fosse entrato in politica, se non avesse fondato Forza Italia, noi oggi saremmo sotto un ponte o in galera con l’accusa di mafia. Col cavolo che portavamo a casa il proscioglimento nel lodo Mondatori»: il virgolettato non è del solito “comunista” bensì di Fedele Confalonieri, il fido nostromo di capitan Silvio, mediatore di tutte le sue fortune dai tempi del liceo oltre che presidente di Mediaset. La verità è anche che nel 1994, mentre le inchieste di Tangentopoli riscrivevano la classe politica italiana, prima che a palazzo Chigi arrivasse il re del mattone e delle tivù, del Milan e delle grande distribuzione con tutto quello che ci può stare nel mezzo, Francesco Saverio Borrelli, procuratore di Milano e capo del pool Mani Pulite, ebbe modo di avvisare chi si apprestava a candidarsi al Parlamento che l’elezione non l’avrebbe messo al riparo da inchieste e indagini: «Il voto non ci può fermare, la giustizia è un juke box, se il gettone è buono la canzone va suonata» disse il 12 febbraio. Non un giorno qualsiasi, visto che in agenda c’era la presentazione delle liste del Polo delle Libertà. La procura di Milano indagava da un pezzo sugli affari del Presidente, il juke box suonava senza interrompersi mai, tanti erano i gettoni da inserire.

Il concetto di «aggressione giudiziaria» va quindi corretto, ribaltato: nel 1994 Berlusconi è un privato imprenditore che sente sul collo - come molti altri, del resto - il fiato del pool milanese. S’inventa politico per fermare la macchina giudiziaria ed evitare processi e inchieste e per salvare il proprio regno: Fininvest ha debiti per circa 5 mila miliardi di lire. Se lo dice Confalonieri...

Se si ha chiara questa prospettiva, diventa più facile la lettura degli ultimi sedici anni di vita del paese e di quell’unico ossessivo leit motiv che è il nodo politica-giustizia. I processi innanzitutto. Berlusconi novella numeri da tregenda per dare corpo alla persecuzione: 102 processi che hanno visto decine e decine di giudici occuparsi di lui; centinaia di perquisizioni subìte negli anni dalle sue aziende; 200 milioni di euro di parcelle per gli avvocati. Spesso il numero 102 lievita a 106, perfino a 109. Bene, i processi sono 24 di cui 16 arrivati a dibattimento (12 conclusi e 4 ancora aperti) e otto conclusi in fase di indagine preliminare tra cui le inchieste di mafia a Firenze e Palermo. Il premier è cittadino incensurato ma le sentenze di assoluzione sono solo tre, di cui una con formula piena e due con formula dubitativa, la vecchia insufficienza di prove. Due volte è stato assolto perchè aveva provveduto, nel frattempo, a modificare il reato a lui contestato. Due sono state le amnistie. Per cinque volte si è salvato con le attenuanti generiche.

La contabilità processuale del premier in questi sedici anni di governi Berlusconi fraseggia e interloquisce, contestazione dopo contestazione, con ben 18 leggi ad personam, venti se contiamo le due in discussione alle Camere. Otto tutelano gli affari di famiglia - scudi, sanatorie, segreti di stato -, dodici intervengono sui reati e sulla procedura. Soprassediamo su alcune che hanno scritto pagine indimenticabili di cronaca parlamentare. Citiamo, in quanto memorabile, quella sugli aracnidi, ragni, scorpioni, vedove nere e dintorni. Era il 28 luglio 2003 quando il presidente della Camera Pierferdinando Casini aprì la seduta scandalizzato dal fatto che tra le tante leggi ad personam il Parlamento dovesse perdere tempo anche con il divieto di commercio e detenzione di aracnidi solo perchè, l'aveva scritto l'allora inviato de La Stampa Augusto Minzolini oggi direttore del Tg1, il vicino di casa del Cavaliere ad Arcore era un appassionato delle singolari bestiole.

«Tutti i processi del Presidente» racconta di questo: di come ad ogni coinvolgimento giudiziario il tycoon premier ha risposto non sottostando alla legge che dovrebbe essere uguale per tutti. Forse perchè, come avrebbe detto Orwell e hanno confermato i suoi legali ai giudici costituzionali chiamati a discutere il Lodo Alfano, Berlusconi è «più uguale».

19 gennaio 2010 (L'Unità)

giovedì 21 gennaio 2010

Craxi e Mangano non sono i miei eroi.. semmai i loro...


Con la lettera del presidente Napolitano alla famiglia Craxi, indirizzata dal Quirinale alla villa di Hammamet, appena lasciata da tre ministri aviotrasportati del governo in carica, si chiude degnamente il triduo di celebrazioni per l’anniversario della scomparsa del grande statista corrotto, pregiudicato e latitante: 10 anni, tanti quanti ne aveva totalizzati in Cassazione.

Oggi completeranno l’opera in Senato altri luminosi statisti come l’ex autista Renato Schifani e il pluriprescritto Silvio Berlusconi, già noto per aver definito "eroe" il mafioso pluriomicida Vittorio Mangano.

Intanto fervono i preparativi per festeggiare i 150 anni dell’Italia unita e il Pantheon dei padri della Patria è un porto di mare. Gente che va, gente che viene. Soprattutto gentaglia.

Nel felpato linguaggio del capo dello Stato, la latitanza di Craxi viene tradotta testualmente così: "Craxi decise di lasciare il Paese mentre erano ancora in pieno svolgimento i procedimenti giudiziari nei suoi confronti". Anche perché, aggiunge Napolitano in perfetto napolitanese, le indagini sulla corruzione (non la corruzione) avevano determinato "un brusco spostamento degli equilibri nel rapporto tra politica e giustizia".

E il sant’uomo fu trattato “con una durezza senza eguali" mentre, com’è noto, la legge impone di processare i politici che rubano senza eguali con una morbidezza senza eguali. E le mazzette miliardarie, e gli appalti truccati, e i soldi rovesciati sul letto, e i 50 miliardi su tre conti personali in Svizzera?

Non sono reati comuni: il napolitanese li trasforma soavemente in "fenomeni degenerativi ammessi e denunciati" (come se rubare e poi, una volta scoperti, andare in Parlamento a dire "qui rubano tutti" rendesse meno gravi i furti).
Il presidente ricorda che "la Corte dei diritti dell’uomo di Strasburgo ritenne violato il ‘diritto ad un processo equo’ per uno degli aspetti indicati dalla Convenzione europea". Ma non spiega che Craxi fu processato in base al Codice di procedura che lui stesso aveva voluto e votato, il Pisapia-Vassalli del 1989 che – modificato da due sentenze della Consulta – consentì fino al 1999 di usare i verbali delle chiamate in correità dei coimputati anche se questi non si presentavano a ripeterle nei processi altrui.

Se i processi a Craxi non furono “equi”, non lo furono tutti quelli celebrati in Italia dal 1946 al 1999. Su un punto Napolitano ha ragione: Craxi lasciò "un’impronta incancellabile": digitale, ovviamente. Quel che sta accadendo è fin troppo chiaro: si riabilita il corrotto morto per beatificare il corruttore vivo. Si rimuovono le tangenti della Prima Repubblica per legittimare quelle della Seconda. Si sorvola sulla latitanza di Craxi per apparecchiare nuove leggi vergogna che risparmino la latitanza a Berlusconi.

L’ha ammesso, in un lampo di lucidità, Stefania Craxi: "Gli italiani non credettero a Bettino, ma oggi credono a Berlusconi". Ma perché credano a Berlusconi su Craxi, ne devono ancora passare di acqua sotto i ponti e di balle in televisione. Stando a tutti i sondaggi, la stragrande maggioranza degli italiani di destra, di centro e di sinistra è contraria a celebrare Craxi, come è contraria all’immunità parlamentare e alle leggi ad personam prossime venture. Forse gli italiani sono ancora migliori di chi dice di rappresentarli.

E allora, tanto peggio tanto meglio. Si dedichino pure a Craxi monumenti equestri, targhe votive, busti bronzei, strade, piazze, vicoli, parchi e soprattutto tangenziali. Dopodiché si passi a Mangano (sono ancora in tempo: anche lui scomparve prematuramente nel 2000). Così sarà chiaro a tutti chi sono i "loro" eroi.Noi ci terremo i nostri e da domani chiameremo i lettori a sceglierli. A Mangano preferiamo ancora Falcone e Borsellino. A Craxi e a Berlusconi, politici diversi ma limpidi come De Gasperi e Berlinguer. Ieri, poi, ci è venuta un’inestinguibile nostalgia per Luigi Einaudi e Sandro Pertini.
(Il Fatto Quotidiano, 19-01-2010)

mercoledì 20 gennaio 2010

Sotto scacco della mafia

Calogero Rizzuto, 49 anni, boss della famiglia mafiosa di Sambuca di Sicilia, arrestato durante l’operazione Scacco Matto l’8 luglio 2008, ora collaboratore di giustizia, continua a svelare i segreti delle estorsioni di Cosa Nostra gravanti sulle imprese della provincia di Agrigento. Chiarisce, poi, particolari relativi al rito della cosiddetta “punciuta” e, ancora, mandanti, autori e moventi di alcuni omicidi.
Stando alle sue deposizioni, alla rete del pizzo in provincia di Agrigento non sarebbe sfuggito proprio nessuno. Avrebbero pagato tutti, anche sir Rocco Forte, gli imprenditori della Sigenco che si stanno occupando della realizzazione delle bretelle stradali lungo la strada statale 115, la Fauci Laterizi e la ditta che sta realizzando l’acquedotto Favara di Burgio.
In particolare durante i lavori di realizzazione della struttura alberghiera costruita in contrada Verdura dal magnate inglese, gli uomini della mafia avrebbe imposto anche mezzi e uomini appartenenti o comunque assai vicini alle cosche.
Rizzuto, come sempre, è molto preciso, dettagliato e specifico durante le proprie dichiarazioni. Durante un interrogatorio ha rivelato che la riscossione del pizzo sul territorio di Sciacca sarebbe avvenuta nel bagno di uno dei bar collocati lungo la statale 115.
Uno dei giorni nei quali Rizzuto avrebbe dichiarato aspetti maggiormente interessanti sulle dinamiche delle cosche agrigentino è quello del 7 novembre 2009, quando ha deposto a Roma presso l’aula bunker del carcere di Rebibbia. Da lavoratore socialmente utile, Rizzuto era diventato il boss di Sambuca di Sicilia e intratteneva rapporti con il capo assoluto di Cosa Nostra agrigentina, Giuseppe Falsone, latitante dal 1999 e ricercato per omicidi, traffico di stupefacenti ed associazione mafiosa.
La storia mafiosa di Rizzuto viene alla luce pochi anni fa. Prima dell’arresto nessuno sospettava di lui. Una vita apparentemente tranquilla, un uomo che non dava nell’occhio. Il suo “carisma” da mafioso, dedito a controllare appalti e a pianificare estorsioni, lo aveva portato a diventare il numero due del mandamento del Belice, territorio comprendente anche grossi centri come Sciacca, Menfi, Montevago e Santa Margherita di Belice, capeggiato dall’agronomo Gino Guzzo.
Grazie alle intercettazioni ambientali fornite da alcune microspie, installate all’interno del garage di Antonino Gulotta, meccanico appartenente alla famiglia di Montevago, dove erano soliti riunirsi i componenti dell’organizzazione malavitosa, i carabinieri del comando provinciale di Agrigento, su richiesta della Dda di Palermo, avevano arrestato trentatrè tra presunti boss e affiliati a Cosa Nostra agrigentina, tra i quali Calogero Rizzuto. Questa operazione era stata denominata “scacco matto” ed era stata condotta con bravura dal magistrato mazarese Vella che, notizia di questi giorni, dopo un periodo di un anno e mezzo durante il quale ha lavorato a Palermo, è stato nuovamente assegnato alla Procura di Sciacca, anche per portare innanzi un lavoro che lo vede protagonista in prima persona.
Il sambucese nell’agosto del 2009 ha rivelato ai magistrati le intenzioni del clan riberese dei Capizzi e dello stesso boss latitante, Giuseppe Falsone, di sopprimerlo a causa di alcune iniziative personali di estorsione che Rizzuto aveva portato avanti. Fu proprio la crescente paura per la sua vita che, il 18 settembre 2009, lo portò a collaborare con la giustizia. La stessa notte la famiglia lasciò Sambuca e venne inserita nel programma di protezione, portata in una località lontana e segreta.
Il pentito ha spiegato, inoltre, come è entrato a far parte di Cosa Nostra, ossia tramite la cosiddetta “punciuta”, il rito della santina bruciata e il giuramento su un vero e proprio regolamento al quale gli appartenenti dell’organizzazione devono attenersi fino alla morte ma, in realtà, almeno nel suo caso, si tratta di un puro atto formale, per quanto simbolico, una designazione vera e propria di uomo d’onore poiché già da tempo il Rizzuto “lavorava” e si comportava da boss.
Il superlatitante Matteo Messina Denaro, secondo quanto dichiarato da Rizzuto, aveva deciso anche l’uccisione degli stessi uomini del clan Capizzi, a sua volta molto scissi al proprio interno, in quanto questi non avevano manifestato comportamenti consoni alle indicazioni degli esponenti di spicco di Cosa Nostra. Il pentito ha successivamente spiegato agli inquirenti le dinamiche di due omicidi, compiuti nel 2003 e nel 1996, a opera della mafia di Burgio e Lucca Sicula: quello di Filippo Riggio, noto mafioso locale, e quello del giovane Pinelli, freddato in auto e poi abbandonato nelle campagne di Villafranca Sicula, due omicidi per i quali i brancolava ancora nel buio nonostante fossero passati ormai un bel po’ di anni.
Rizzuto ha svelato movente, autori e mandanti degli omicidi persistendo su una linea di rivelazioni, grazie alla quale sta facendo piazza pulita dei suoi ex capi ed ex gregari. Ancora una volta vicende di mafia, sangue ed estorsioni scrivono la triste storia della provincia di Agrigento.
Tra le novità, non ultima la dichiarazione di Rizzuto secondo la quale la mafia a Sciacca si sarebbe organizzata attorno alla figura ed al nome di un nuovo boss sul quale naturalmente gli inquirenti stanno valutando e svolgendo tutte le opportune verifiche.
Questi movimenti dettati dall’illegalità assumono un quadro ancor più scoraggiante allor quando, secondo indagini e verifiche giudiziarie e sociologiche, emergono dati secondo i quali al sud un comune su tre (per la precisione il 37,9%) è permeato dalla presenza mafiosa. Su 1.068 Comuni, infatti, 610 hanno un clan o almeno un bene confiscato o, ancora, sono stati sciolti negli ultimi tre anni.
Il record negativo spetta, e non avevamo dubbi in proposito, alla provincia di Agrigento, dove 37 comuni, pari all'86% del totale, evidenziano almeno un elemento di criticità tra i tre presi in considerazione dal Censis (il Centro studi investimenti sociali) che ha consegnato nelle settimane scorse nelle mani del presidente della Commissione antimafia, Giuseppe Pisanu, il rapporto sul condizionamento delle mafie al Sud.
Proprio nella nostra provincia non si è ancora spenta l'eco per i "fraterni" saluti e la “solidarietà” spediti dal presidente dell'Akragas calcio, Gioacchino Sferrazza, al presunto boss Nicola Ribisi arrestato pochi giorni prima.
Tra le regioni è la Sicilia ad avere la maggior quota di comuni coinvolti (195, pari al 50% del totale); seguita dalla Puglia, dove 97 comuni, pari al 37,6% del totale registra la presenza di organizzazioni criminali, dalla Campania (203 comuni, pari al 36,8%) e dalla Calabria (115 comuni, pari al 28,1%).
Non solo numeri ed ipotesi. Fatti. Quasi venti gli uomini, sottoposti a Rizzuto, sarebbero stati pronti a sparare e spalmati tra Menfi, Montevago, Santa Margherita di Belice e Sciacca. Tre le persone invece che ufficialmente sarebbero state affiliate a Cosa Nostra direttamente dal boss sambucese, sempre con la presenza di Guzzo che conosceva i dettagli del rito della punciutina. Diverse le ditte che si rivolgevano al Rizzuto preventivamente, ossia solo per non avere problemi e sentirsi tranquilli e protetti. Soldi su soldi suddivisi tra le varie cosche e che spesso creavano dissidi tra i diversi uomini d’onore.
Tutto questo intorno a noi, in mezzo a noi, tante volte sopra di noi. In provincia di Agrigento dove, si diceva, che la mafia non esistesse.

Calogero Parlapiano - tratto da "ControVoce"

martedì 19 gennaio 2010

"La situazione dei bambini ad Haiti è disperata"

Terremoto Haiti: Save the Children, la situazione dei bambini ad Haiti è disperata. Pianificata la distribuzione degli aiuti ai piccoli e alle loro famiglie.

Nonostante le continue scosse di assestamento e la ricerca di 23 membri dello staff che non si riescono ancora a contattare, gli operatori di Save the Children ad Haiti stanno lavorando per cercare di rispondere ai bisogni dei bambini e delle loro famiglie, dopo il devastante terremoto che martedì ha colpito Port-au-Prince.

Gli operatori hanno potuto muoversi solo a piedi o in moto poichè gran parte delle strade della capitale sono impraticabili, le macerie e gli edifici crollati ingombrano le strade e, in alcuni quartieri, metà delle case sono completamente distrutte.

“Ovunque c’è solo distruzione e in questo momento è difficile anche raggiungere molte delle persone ferite. Non si contano i bambini e le famiglie che hanno bisogno di un posto sicuro dove ripararsi così come di ogni bene di prima necessità”, ha dichiarato Ian Rodgers, esperto di emergenze di Save the Children, da Haiti. “Questo è un disastro di proporzioni tali da richiedere una risposta intensiva e di lungo termine”.

L’organizzazione sta lavorando alacremente per distribuire aiuti alle famiglie: kit igienici, che contengono spazzolini da denti, asciugamani e sapone, coperte, zanzariere e taniche per l’acqua. Non appena la gente potrà avere dei rifugi, Save the Children creerà delle aree sicure a misura di bambino, dove i bambini potranno giocare insieme, affrontare il trauma subito a causa del terremoto e sentirsi nuovamente al sicuro, grazie all’ausilio di personale specializzato, e nello stesso tempo essere protetti dal rischio di sfruttamento e abuso, che può essere maggiore in situazioni di emergenza.

Save the Children, impegnata a rispondere ai bisogni immediati e di lungo termine dei bambini e delle loro famiglie in seguito al sisma, lavora nel paese da dal 1985 e ha supportato i bambini haitiani e le loro famiglie anche in recenti catastrofi naturali, come uragani e inondazioni.

Per ulteriori informazioni:
Ufficio stampa Save the Children Italia
tel. 06 48070071 – 23
press@savethechildren.it
www.savethechildren.it

Save the Children aderisce ad AGIRE, il coordinamento di alcune tra le più importanti Ong italiane, che ha lanciato un appello congiunto di raccolta fondi per garantire i necessari soccorsi alle popolazioni colpite. Dona 2 euro con un sms al 48541 dal cellulare personale TIM e VODAFONE o chiamando da rete fissa TELECOM ITALIA.

lunedì 18 gennaio 2010

"Nel covo (mai perquisito) di Riina, carte che avrebbero fatto crollare l'Italia"

PALERMO - Il covo di Totò Riina non l'hanno mai perquisito "per non far trovare carte che avrebbero fatto crollare l'Italia". E la cattura del capo dei capi è stata voluta da Bernardo Provenzano dentro quella trattativa che, fra le uccisioni di Falcone e di Borsellino, la mafia portò avanti con servizi segreti e ufficiali dei reparti speciali dei carabinieri. É la "cantata" di Massimo Ciancimino, quinto e ultimo figlio dell'ex sindaco di Palermo, sui misteri siciliani. Ventitré verbali desecretati - milleduecento pagine - e depositati al processo contro il generale Mario Mori, accusato di avere favorito la lunga latitanza di Provenzano dopo quell'arresto "concordato".

Ma se sulla cattura di Totò Riina esistono già atti ufficiali d'indagine che smontano la versione dei carabinieri, le altre rivelazioni del rampollo di don Vito svelano tanto altro di Palermo. Dalla fine degli anni '70 sino all'estate del '92. É la sua verità, ereditata per bocca del padre. La storia di alcuni delitti eccellenti, il sequestro di Aldo Moro, la strage di Ustica, i rapporti di Vito Ciancimino con l'Alto Commissario antimafia Emanuele De Francesco e il suo successore Domenico Sica. É l'impasto fra Stato e mafia che ha governato per vent'anni la Sicilia.

Il covo del capo dei capi. Massimo Ciancimino conferma il patto fra Bernardo Provenzano e i carabinieri del Ros, mediato da don Vito, per la cattura di Riina: "Una delle garanzie che mio padre chiese ai carabinieri, e che loro diedero a mio padre, era che nel momento in cui si arrestava Riina bisognava mettere al sicuro un patrimonio di documentazione che il boss custodiva nella sua villa". E ha aggiunto: "Provenzano riferì a mio padre che Totò Riina conservava carte e documenti di proposito con un obiettivo: se l'avessero arrestato avrebbero trovato tante di quelle cose, di quelle carte, che avrebbero fatto crollare l'Italia. Mio padre commentò con me il fatto dicendo che quello era un atteggiamento tipico di Riina. Secondo lui, conoscendo bene molti di questi documenti, sarebbero stati conservati apposta dal Riina con il solo fine di rovinare tante persone in caso di un suo arresto, visto che solo una spiata poteva far finire la sua latitanza".

La trattativa fra le stragi del 1992. Il negoziato con Cosa Nostra iniziò dopo l'uccisione di Falcone. Da una parte Totò Riina. Dall'altra il vice comandante dei Ros Mario Mori, il capitano Giuseppe De Donno e "il signor Franco", un agente dei servizi segreti legato all'Alto commissariato antimafia. E in mezzo Vito Ciancimino. Se in un primo momento Totò Riina è stato un terminale della trattativa per fermare le bombe, dopo la strage Borsellino "è diventato l'obiettivo della trattativa". Racconta ancora il figlio dell'ex sindaco: "Della trattativa erano informati i ministri Virginio Rognoni e Nicola Mancino, questo a mio padre l'ha detto il signor Franco e gliel'hanno confermato il colonnello Mori e il capitano De Donno".

La trattativa dopo le stragi. Nel 1993, un anno dopo Capaci e via D'Amelio, la trattativa mafiosa è andata avanti. E al posto di Vito Ciancimino ormai in carcere, sarebbe stato Marcello Dell'Utri a sostituirlo nel ruolo di mediatore: "Mio padre sosteneva che era l'unico a poter gestire una situazione simile... ha gestito soldi che appartenevano a Stefano Bontate e a persone a lui legate".
L'omicidio Mattarella. Il Presidente della Regione siciliana, ucciso il 6 gennaio del 1980, per Vito Ciancimino fu "un omicidio anomalo". Spiega suo figlio: "Dopo il delitto, mio padre chiese spiegazioni ai servizi segreti... un poliziotto poi gli disse che c'era la mano dei servizi nella morte di Mattarella. Ci fu uno scambio di favori su quell'omicidio.. ".

Il sequestro Moro. Il figlio di don Vito dice che suo padre è sempre stato legato all'intelligence fin dal sequestro di Moro. "La prima volta che mio padre mi ha raccontato di contatti di Cosa Nostra con apparati dello Stato risale al sequestro. E mi ha detto che era stato pregato, e per ben due volte, di non dare seguito alle richieste per fare pressioni su Provenzano perché si attivasse per aiutare lo Stato nelle ricerche del rifugio di Aldo Moro".

Don Vito e Gladio. "Mio padre faceva parte di Gladio", ha rivelato Massimo. E ha spiegato: "Mi disse che all'origine c'era mio nonno Giovanni che, all'epoca dello sbarco degli Alleati in Sicilia, era stato assoldato come interprete". Il figlio di don Vito ricorda poi che il padre aveva costituito le prime società di import export "insieme a un colonnello americano" e che ha partecipato "a diversi incontri" organizzati dalla struttura militare segreta.

L'uccisione del prefetto dalla Chiesa. É la parte più "omissata" dei verbali di Ciancimino. Suo padre gli aveva parlato dell'uccisione di Carlo Alberto dalla Chiesa e dell'omicidio del giornalista Mino Pecorelli "che sono legate", poi il verbale è ancora tutto coperto dal segreto.

La strage di Ustica. Nei racconti del figlio dell'ex sindaco c'è il ricordo dell'aereo precipitato in mare il 27 giugno del 1980: "Quella notte mio padre fu chiamato dal ministro della Difesa Attilio Ruffini che gli disse che era successo un casino: fece chiamare anche l'onorevole Lima. Si seppe subito che era stato un aereo francese che aveva abbattuto per sbaglio il Dc 9, ma bisognava attivare un'operazione di copertura perché questa informazione non venisse fuori".

Gli autisti senatori. Massimo Ciancimino, ricordando di un "pizzino" inviato da Provenzano a suo padre dove si faceva riferimento "a un amico senatore e al nuovo Presidente per l'amnistia", ha confermato che i due erano Marcello Dell'Utri e Totò Cuffaro. Poi ha spiegato dove ha conosciuto l'ex governatore: "L'ho incontrato nel 2001 a una festa dell'ex ministro Aristide Gunnella, credevo di non averlo mai visto prima. Si è presentato e mi ha baciato. Poi, l'ho raccontato a mio padre che mi ha detto: 'Ma come, non te lo ricordi, che faceva l'autista al ministro Mannino? Anche lui aspettava in macchina, fuori, come te che accompagnavi me ... Poi ho collegato... perché quando accompagnavo mio padre dall'onorevole Lima fuori dalla macchina aspettava pure, con me, Cuffaro e anche Renato Schifani che faceva l'autista al senatore La Loggia. Diciamo, che i tre autisti eravamo questi... andavamo a prendere cose al bar per passare tempo.. Ovviamente, loro due, Cuffaro e Schifani, hanno fatto altre carriere: c'è chi è più fortunato nella vita e chi meno... ma tutti e tre una volta eravamo autisti".

(13 gennaio 2010)
repubblica.it

domenica 17 gennaio 2010

Gli italiani la coerenza ed il razzismo visti da Crozza

Buona visione e buone (amare) risate...

sabato 16 gennaio 2010

AIUTARE HAITI!!!

Fondazione Rava - La Fondazione Francesca Rava è un'organizzazione umanitaria internazionale presente in Haiti da 22 anni con progetti in aiuto all’infanzia. Gestisce l’ospedale pediatrico Saint Damien, l’unico dell’isola e il più grande dei Caraibi, gravemente danneggiato dal sisma. Per sostenere i soccorsi medici d’emergenza, organizzare gli scavi delle macerie per salvare i dispersi, ricostruzione dell’ospedale è sufficiente: bollettino postale su C/C postale 17775230; bonifico su C/C bancario BANCA MEDIOLANUM SpA, Ag. 1 di Basiglio (MI) IT 39 G 03062 34210 000000760000 causale: terremoto Haiti, carta di credito online su www.nphitalia.org o chiamando lo 02 5412 2917 .

Corriere e Agire - Un aiuto subito per Haiti. Per aderire alla raccolta fondi organizzata dal Corriere e Agire (l’Agenzia italiana per la Risposta alle Emergenze che coordina molte ONG italiane tra cui Amref e Save the children) è sufficiente inviare un sms al n. 48541 (donazione di 2 euro) da cellulari Tim, Vodafone o da rete fissa Telecom Italia o su c.c. postale intestato ad Agire, n.85593614, causale "Un aiuto subito per Haiti". Oppure ancora attraverso carta di credito al numero verde 800.132.870; bonifico bancario sul conto BPM-IBAN IT47 U 05584 03208 000000005856. CAUSALE: Emergenza Haiti; donazione online dal sito www.agire.it.

Caritas - La Caritas italiana ha messo a disposizione centomila euro per i bisogni immediati. Per sostenere gli interventi in corso si possono inviare offerte a Caritas Italiana tramite C/C POSTALE N. 347013 specificando nella causale: Emergenza terremoto Haiti. Offerte sono possibili anche tramite altri canali, tra cui: UniCredit Banca di Roma Spa, via Taranto 49, Roma - Iban: IT50 H030 0205 2060 0001 1063 119, Intesa Sanpaolo, via Aurelia 796, Roma - Iban: IT19 W030 6905 0921 0000 0000 012, Banca Popolare Etica, via Parigi 17, Roma - Iban: IT29 U050 1803 2000 0000 0011 113 ò CartaSi e Diners telefonando a Caritas Italiana tel. 06 66177001 .

Unicef – Partecipare alla raccolta fondi Unicef è possibile tramite: c/c postale 745.000, causale: "Emergenza Haiti"; carta di credito online su www.unicef.it, oppure chiamando il numero verde UNICEF 800745000; C/C bancario Banca Popolare Etica IBAN IT51 R050 1803 2000 0000 0510 051”; i comitati locali dell’UNICEF presenti in tutta Italia (elenco sul sito-web www.unicef.it). Per maggiori informazioni, Ufficio stampa UNICEF Italia, tel.: 06.47809355/233 e 335/6382226 e 335/7275877 ; e-mail: press@unicef.it, sito-web: www.unicef.it.

Croce Rossa Italiana - La raccolta fondi della Croce Rossa Italiana in favore delle popolazioni colpite dal terremoto ad Haiti è possibile tramite: numero verde tel. 800.166.666; donazione online causale "Pro emergenza Haiti" www.cri.it; bonifico bancario causale "Pro emergenza Haiti" IBAN IT66 - C010 0503 3820 0000 0218020.

Medici Senza Frontiere – Anche Medici Senza Frontiere (MSF) ha lanciato una raccolta fondi straordinaria. Si può contribuire all’azione di soccorso di MSF a Haiti tramite carta di credito telefonando al numero verde 800.99.66.55 oppure allo 06.44.86.92.25; bonifico bancario IBAN IT58D0501803200000000115000; conto corrente postale 87486007 intestato a Medici Senza Frontiere onlus causale Terremoto Haiti; online sul sito www.medicisenzafrontiere.it.

WFP - Per aiutare il Programma Alimentare Mondiale delle Nazioni Unite (WFP) a fornire assistenza alimentare alle vittime del terremoto si possono inviare offerte tramite: Internet, per informazioni e donazioni online, connettendosi al sito www.wfp.org/it; bonifico bancario, causale: emergenza Haiti C/C 6250156783/83 Banca Intesa ag. 4848 ABI 03069 CAB 05196 IBAN IT39 S030 6905 1966 2501 5678 383; versamento su conto corrente postale c/c 61559688 intestato a: Comitato Italiano per il PAM IBAN IT45 TO76 0103 200 0000 6155 9688.

Misericordie - Le Misericordie Italiane hanno aperto una sottoscrizione in favore delle popolazioni colpite dal terremoto di Haiti. È possibile fare una donazione sul C/C 000005000036, Monte dei Paschi di Siena spa, Firenze Agenzia 6, Iban: IT 03 Y 01030 02806 000005000036; oppure sul conto corrente postale n° 000021468509, Firenze Agenzia 29, IBAN: IT 67 Q 07601 02800 000021468509 entrambi intestati a Confederazione Nazionale con causale "Pro Haiti".

Le organizzazioni non governative italiane riunite sotto la sigla Agire hanno deciso di lanciare una raccolta fondi per finanziare i soccorsi alle popolazioni di Haiti. Le ong di Agire sono già al lavoro ad Haiti. I fondi raccolti saranno destinati ai bisogni più urgenti: cibo, acqua potabile, medicinali, ripari temporanei. Si può donare con un sms al 48541 o con carta di credito al numero verde 800.132870; versamento sul conto corrente postale n. 85593614, intestato ad AGIRE onlus, via Nizza 154, 00198 Roma, causale Emergenza Haiti; bonifico bancario sul conto BPM - IBAN IT47 U 05584 03208 000000005856. Causale: Emergenza Haiti. Donazioni on line dal sito internet wwww.agire.it

venerdì 15 gennaio 2010

Ciancimino: "La Trattativa ci fu: Dell'Utri sostituì mio padre"

Palermo. Il senatore Marcello Dell'Utri, secondo quanto racconta Massimo Ciancimino alla fine del 2009 ai magistrati di Palermo, sarebbe stato «l'unico, secondo mio padre, avvicinabile e l'unico che secondo mio padre poteva avere accesso diretto a quello che era la compagine governativa e poteva assicurare di fatto qualche buon esito». Il nome del senatore del Pdl viene fuori dopo la lettura di una missiva portata da Massimo Ciancimino ai pm della Dda e che sarebbe stata consegnata allo stesso dichiarante dal boss Bernardo Provenzano. Una lettera che sarebbe stata consegnata l'11 settembre del 2001, «il giorno delle torri gemelle di New York», come spiega lo stesso Ciancimino junior. «Carissimo Ingegnere - si legge nella lettera che avrebbe scritto il boss Provenzano - ho letto quello che mi ha dato M. (secondo Ciancimino M. sarebbe lo stesso Massimo ndr), ma a scanso di equivoci ho riferito che ne parlerò quando ci sarà, ci sarà possibile vederci. Mi è stato detto dal nostro Sen. e dal nuovo Pres. che spingeranno la nuova soluzione per la sua sofferenza. Appena ho notizie ve le farò avere, so che l'av. è benintenzionato. Il nostro amico Z ha chiesto di incontrare il Sen. Ho letto che a lei non ha piacere e bisogna prendere tempo si tratta di nomine nel gas, mi ha detto che vi trovate in Ospedale che la salute vi ritorni presto e che il buon Dio ci assista». In quel periodo, secondo Ciancimino junior, l'ex sindaco di Palermo, Vito Ciancimino sarebbe stato ricoverato in un ospedale di Roma per eseguire delle analisi cliniche. «Il plico - spiega Ciancimino - è stato personalmente per me, da me ritirato da Lo Verde (cioè Provenzano ndr) in busta chiusa e consegnato a mio padre in un periodo di degenza che stava effettuando presso la struttura sanitaria, una Clinica privata ai Parioli, non mi ricordo bene adesso se si chiama Villa Paideia o Mater Dei». Alla domanda dei magistrati su chi fosse il 'Pres.' di cui parla Provenzano, Massimo Ciancimino sostiene che si tratti dell'ex Governatore siciliano Salvatore Cuffaro. «Pres è il Presid… il Presidente Cuffaro - dice - perchè mio padre diceva che nell'Udc poteva, era sicuramente un bell'ago della bilancia». «Come ogni volta ho preso questa bust… ho consegnato una busta dove dentro c'era una lettera di mio padre e dei soldi - spiega Ciancimino ai magistrati - Ho aspettato che leggesse la lettera di mio padre e, come al solito, come sempre istruzioni di mio padre prudenti, una volta che lui l'ha letta davanti a me ho preso la copia che poi ho ritornato a mio padre e nel diciamo…». «Quindi questa, questo dattiloscritto gliel'ha consegnato personalmente Provenzano?», chiede il pm. E Ciancimino: «Sì, questo proprio personalmente. Siamo esattamente nel 2001, siamo nel 2001 perchè mi ricordo che quando son tornato da Palermo per portare questa missiva di risposta a mio padre, eravamo insieme nella stanza e insieme nella stanza di mio padre in questa clinica appunto credo Villa, abbiamo visto insieme l'attentato alle Torri Gemelle, mio padre aveva appena finito di mangiare ed erano le 2, le 3 del pomeriggio». «Dove l'aveva ricevuto da Lo Verde - Provenzano questo biglietto?», chiede il magistrato. «Ci siamo visti, sì, ci siamo visti praticamente in un bar che c'era là davanti, in uno che vende… sì… Questo è stato il ritorno perchè invece la consegna è stata dopo… fondamentalmente ho consegnato questo e dopo 4 ore ho avuto la risposta. Prima ho consegnato una busta dove c'era una lettera di mio padre e l'ho consegnato nell'appartamento questo lì che ho già indicato in precedenti interrogatori, dove c'era soldi e una lettera di mio padre. Ho preso la lettera di mio padre, ero stato invitato a ripassare nel pomeriggio. E nel pomeriggio ho incontrato il Provenzano, il Lo verde dentro una Golf bianca e ho ritirato questo documento e basta, non mi sono permesso nè di aprirlo nè di fare». I soldi di cui parla Ciancimino e che si trovavano nella busta «venivano dalla società Gas, erano 50 milioni in contanti che sono stati dati». «Mi ricordo perchè se mancava una lira mio padre mi ammazzava, anche se già il rapporto lì era molto cambiato. L'argomento era sempre il solito quello che diciamo c'era da quando Provenzano venne a trovare mio padre: il discorso dell'amnistia, dei benefici e robe varie. Fondamentalmente mio padre aspirava essendo detenuto normale non sottoposto al vincolo di reato associato che di fatto inibiva qualsiasi beneficio derivante da qualsiasi tipo di legge nelle misure alternative, avendo scontato tutto quello che era, tutto il periodo relativo al reato associativo, aspirava e pensava che di lì a poco, anche visti gli appelli continui sia della Chiesa, Papa, visto anche gli altri contatti che c'erano stati in precedenza, era stato assicurato che prima o poi sarebbe venuto un provvedimento di questo tipo in aiuto che avrebbe fatto così, diciamo, dato… fondamentalmente mio padre diventava libero a tutti gli effetti». È lui a spiegare che era stato il padre a raccontargli che Cuffaro «faceva l'autista a Mannino, quando pure io accompagnavo mio padre alle riunioni, dice, ma come aspettava con te fuori dalla macchina… Poi ho ricollegato un pò il soggetto, perchè quando accompagnavo mio padre dall'onorevole Lima. Spesso rimanevamo io fuori dalla macchina e c'era Schifani che guidava la macchina a La Loggia che rimanevo con mio padre e Cuffaro che guidava la macchina a Mannino. Diciamo i tre autisti erano questi, oggi questi, ovviamente altri due hanno fatto ben altre carriere, io no. E stavamo lì, veramente, andavamo a prendere cose al bar… C'è chi è più fortunato nella vita!».

Fonte: Antimafia Duemila da Adnkronos

giovedì 14 gennaio 2010

Bilanci 2009: le questioni all'Ars ed a Sciacca

Tempo di bilanci e di fare il punto della situazione e delle attività parlamentari anche per l’onorevole saccense all’assemblea regionale siciliana del partito democratico Vincenzo Marinello.
Una conferenza stampa è stata indetta infatti dallo stesso presso la sua segreteria, proprio per l’ultimo giorno del 2009. Un occasione importante per potersi confrontare, parlare e stilare obiettivi e programmi della nuova stagione politica. Una stagione politica che sarà certamente faticosa e densa di impegni in quanto i punti all’ordine del giorno sono numerosi e tutti di importanza primaria per il futuro della regione e del territorio agrigentino in particolare.
Durante la conferenza stampa non sono mancati tuttavia i riferimenti alle vicende politiche regionali e locali. Alla regione siciliana, il leader Raffaele Lombardo dell’Mpa ha varato la sua terza giunta nel giro di due anni dall’elezione a governatore. L’ennesimo rimpasto ha scatenato una robusta polemica tra le parti in causa: l’Udc ed il Pdl parlano apertamente di ribaltone, il neonato Pdl Sicilia tenta di tenere unite le fila per non sfaldarsi sotto gli attacchi ripetuti ed insistenti degli avversari mentre il partito democratico, da una parte si dice che non abbia richiesto la nomina di alcun nuovo assessore mentre dall’altro Raffaele Lombardo conta proprio sull’appoggio esterno ma concreto degli uomini del Pd per non fare cadere definitivamente il governo ed andare ad elezioni anticipate. A quanto pare il Pd, anche per bocca del suo nuovo segretario regionale Lupo, ha già fatto sapere che non muterà il proprio ruolo di opposizione, ruolo decretato dagli elettori ma che al tempo stesso valuterà caso per caso se votare ed appoggiare o meno questa o quella riforma.
Anche in merito alla politica locale l’onorevole Enzo Marinello è stato chiaro. Da una parte sorge la necessità di dare ancora del tempo ad una giunta, quella Bono, che si è insediata tutto sommato da poco e che ha vissuto questi primi mesi di governo della città in circostanze spesso di emergenza, soprattutto dal punto di vista finanziario. D’altro canto invece è scontato che il partito democratico saccense voglia dare maggiore risalto ai numeri che gli elettori gli hanno tributato non solo alle elezioni comunali ma anche in termini di iscritti al partito ed in termini di tantissimi votanti durante le primarie dello scorso 25 ottobre che hanno sancito la successione di Bersani a Franceschini. Del resto il Pd conta ben 10 consiglieri ed è scontato che, prima o poi, il sindaco Vito Bono vorrà tenere ancora più saldamente in mano la propria maggioranza. Gennaio è appena arrivato e stavolta sembra che non si possa più aspettare oltre, insomma entro la fine del mese si attendono novità concrete e non più parole.
Ma non solo considerazioni politiche. Si è parlato soprattutto di sanità, agricoltura, marineria e stabilizzazione degli LSU: tutte questioni molto importanti anche per la città di Sciacca.
Sulla sanità, assodato ormai che un piano di riordino e contenimento delle spese era da prevedere e mettere in cantiere, si è detto che naturalmente questa decisione non intacchi i sacrosanti diritti di tutti i cittadini ad avere una struttura sanitaria efficiente, disponibile e piena di tutte quelle intelligenze di cui la nostra terra è ricolma e che si dovrebbero sfruttare meglio e di più, evitando lo spiacevole fenomeno della fuga dei cervelli al nord Italia o addirittura all’estero.
Per quanto riguarda il settore della pesca, Marinello ha annunciato che, all’interno della finanziaria regionale, sono stati recuperati circa 33 milioni di euro da rinvestire in un comparto che, forse più di altri, sta soffrendo la crisi economica presente in Italia ed in Europa. “Certo si tratta solamente di una piccola boccata d’ossigeno e sarà necessario adottare altri provvedimenti nei mesi a venire del 2010” ha dichiarato l’onorevole.
“L’agricoltura è un comparto fondamentale ma che deve essere ristrutturato dalle fondamenta. La globalizzazione sta mettendo a dura prova il settore ma le misure ci sono, si può intervenire, anzi si deve intervenire. Poi è chiaro che ci sono anche da valutare le diverse competenze, poiché alcuni provvedimenti sono di competenza della regione mentre altri sono di competenza dello Stato. Io per esempio insieme al mio partito ho proposto la riduzione e l’esenzione dell’imposta che grava sul gasolio, oppure l’esenzione totale dell’Iva per quanto riguarda l’acquisto dei prodotti agricoli. Anche la Commissione Europea ha in mano degli strumenti per aiutare i comparti in crisi, sia quello della pesca sia quello dell’agricoltura.”
In merito invece alla stabilizzazione degli LSU quello che si è potuto fare a livello regionale consiste in un supporto economico di tre mesi per quei comuni, tra i quali anche Sciacca, che hanno a proprio carico dei lavoratori socialmente utili. Questo sempre grazie a dei precisi emendamenti supportati dalle commissioni, in particolare quella lavoro e grazie al cosiddetto fondo per l’occupazione. Nella prossima finanziaria invece si cercherà di far sì di dare risposte precise e definitive a tutti quei lavoratori che ormai attendono da tempo una stabilizzazione che ancora tarda a venire.
“Quello che urge sottolineare comunque è che viviamo in un periodo enorme di crisi, la congiuntura economica negativa c’è ed è evidente. I bilanci poi degli enti a tutti i livelli sono magrissimi ma anche in quel caso abbiamo messo in cantiere tutta una serie di provvedimenti ed emendamenti i quali tra l’altro sono stati già notificati anche alla Comunità Europea. Insomma è stato un anno denso ed impegnativo, ed il 2010 lo sarà altrettanto. C’è tanto ancora da fare e per il quale spendersi ma sono sicuro che, con grande senso di responsabilità da parte di tutti, lavorando in sinergia e cooperazione, si possano raggiungere traguardi fondamentali tanto per la nostra isola quanto per il nostro territorio agrigentino”.

Calogero Parlapiano - tratto da "Controvoce"

mercoledì 13 gennaio 2010

Sciacca nel... 2010

Arriva il nuovo anno, il 2010, e Sciacca deve farsi trovare pronta per le tante e variegate sfide che la attendono. Sono innumerevoli i campi sui quali la comunità saccense attende risposte concrete, soprattutto da parte di chi ha l’onore e l’onore di governarci. Premesso che nessuno, se non nelle fiabe, possiede la bacchetta magica e la possibilità di mutare in un baleno le cose, oggi siamo giunti al punto che un cambiamento non solo è necessario ma soprattutto doveroso.
Agricoltura e marineria sono i due settori trainanti della nostra economia. Come risolvere la crisi che attanaglia entrambi i comparti? Certamente le esigue risorse finanziarie di cui dispongono le casse dei comuni in primis e delle provincie in secondi, non facilitano le cose. Se a ciò aggiungiamo il fatto che il governo regionale guidato da Raffaele Lombardo, Mpa, sembra in tutt’altre faccende affaccendato, ne emerge un quadro non molto roseo ed il futuro potrebbe balenarsi come il recente presente e l’altrettanto presente passato. La gente attende risposte, dicevamo. A nulla servono gli scioperi se non a fare emergere giustamente le grida di persone in difficoltà, che sentono la crisi, che vivono la crisi, che non vogliono più sentirsi dire che “tutto va bene”, oppure che “la crisi è finita”, o ancora che “siamo in fase di ripresa”. Loro, i politici di destra e di sinistra, di maggioranza e pseudo opposizione, non vivono le difficoltà quotidiane, non ascoltano, sembrano scollati con la società, sembrano palesarsi come extraterrestri, a parlare di cose che non esistono mentre le altre, quelle che esistono, non vengono prese in considerazione.
A Sciacca, secondo porto siciliano e terzo italiano per grandezza della flotta peschereccia, gli operatori del settore aspettano da almeno un decennio che vengano ristabilite le priorità tra chi lavora e chi compra il pesce, aspettano da tempo che venga aperto e reso funzionale e funzionante il mercato ittico, attendono che il mercato del pesce non nasca e non muoia sul molo di levante del porto di Sciacca ma che venga esportato e messo in interrelazione, anche informatica, con tutti gli altri mercati ittici d’Italia, ridefinendo le scelte in materia di fermo biologico, stabilendo regole che valgano per tutti i natanti in merito alle maglie delle reti da pesca, formando una nuova classe di operatori del settore più attenta anche alle necessità dell’ambiente, nel pieno rispetto naturale, ambientale e strutturale delle aree nelle quali espletano il loro lavoro. Tutto il resto sono chiacchiere. Chiacchiere e mare. Mare che ti sala la pelle e te la rende dura, impermeabile alla fatica ed al sudore ma non alla dignità. Ma questo la classe dirigente non riesce a capirlo. Non ha mai passato una notte in mare!
A Sciacca, così come purtroppo nel resto dell’hinterland, l’agricoltura è in ginocchio e tutte le misure fin qui adottate sono solamente servite a posticipare nel tempo l’esalazione dell’ultimo respiro per un comparto che dovrebbe essere il fiore all’occhiello dell’economia siciliana. La Sicilia, ai tempi dell’impero romano, era considerata il granaio di Roma. Adesso stenta a soddisfare le proprie necessità e quelle dei propri abitanti. Se le sfilate di trattori, l’invasione delle autostrade, le prese d’assalto di Palazzo d’Orleans o di Palazzo Chigi vengono persino omesse ed oscurate da tutti i media locali i quali preferiscono però parlare di donne nude e degli ultimi gossip del vip di turno, comprendiamo bene quanto lontani siamo dalla verità, quanto questa verità venga abilmente celata, così come la notizia. Intanto gli agricoltori non riescono più a sopravvivere del loro lavoro e poi si chiedono perché ai giovani non interessa la campagna. Ma questo la classe dirigente non riesce a capirlo. Non ha mai passato un giorno, a partire dall’alba, ad arare la terra: braccia rubate all’agricoltura!
A Sciacca, così come nell’intera regione, la gente ancora si chiede in quale struttura dovrà andare a curarsi dato che le aziende sanitarie hanno subito un accorpamento mai visto nella storia. Senza tenere conto delle peculiarità del territorio e delle esigenze di ogni singola zona sono state realizzate delle macro aree sanitarie, nuova terra di conquista per tutti coloro che si augurano di potervi entrare dietro spinta e designazione politica. Intanto la gente muore sopra le ambulanze sballottolata da un ospedale all’altro, senza avere spiegazioni, senza avere cure. Colpe politiche ma non solo. Per molti, per fortuna non per tutti, curare è divenuto un lucroso business, un numero da riempire presso la propria casella della dichiarazione dei redditi (chi la fa). Ma questa è tutta un’altra storia, tutto sommato anche recente. Nel frattempo la LILT guidata dal dottore Verderame è in perenne lotta per avere fondi, uomini e strutture, per poter portare avanti una missione che per molti malati, purtroppo, non ha ritorno. L’oncologia si batte e si sbatte con la mancanza di fondi e con l’incompetenza di una classe dirigente che preferisce spendere centinaia di migliaia di euro per la “Sagra del Caddozzo di Sasizza” di turno, voluta, manco a dirlo, dall’amico politico di turno, al quale dobbiamo favori, amicizia e voti alla prossima campagna elettorale. Ma questo la classe dirigente non riesce a capirlo. Non ha mai passato un giorno in ospedale al capezzale di un essere umano che sta per morire, al quale nessuno ha il coraggio di dare risposte. Perché tanto non c’è nulla da dire in questi casi. E tutta la rabbia viene soffocata dentro fino ad esplodere fuori, nel pianto.
Quindi cosa augurare per l’anno nuovo a questa nostra disgraziata terra siciliana e saccense in particolare. Di crescere, di occuparsi della cosa pubblica, di vigilare, di controllare, di non pensare mai più “questo non mi interessa, che se la sbrighino loro” perché poi arriva per tutti un momento nella vita nel quale domandarsi: “E se mi fossi interessato? Magari sarebbe cambiato qualcosa?”
Solo dalla condivisione, dalla presa di coscienza, dall’analisi oggettiva dei fatti si può fare crescere, in meglio, il nostro territorio ed in generale la vita di tutti poiché solo da una partecipata vita pubblica si può migliorare come singoli essere umani e come società civile. Tutto il resto è noia.

Calogero Parlapiano - tratto da "Controvoce"

martedì 12 gennaio 2010

In Puglia il NO al Nucleare è Legge

“Nel pieno rispetto dei principi di sussidiarietà, ragionevolezza e leale collaborazione e in assenza di intese con lo Stato in merito alla loro localizzazione, il territorio della Regione Puglia è precluso all’installazione di impianti di produzione di energia elettrica nucleare, di fabbricazione del combustibile nucleare, di stoccaggio del combustibile irraggiato e dei rifiuti radioattivi, nonché di depositi di materiali e rifiuti radioattivi.” E’ questo il secondo comma dell’unico articolo di cui si compone la legge regionale 4 dicembre 2009, n. 30 “Disposizioni in materia di energia nucleare” che è stata pubblicata sul bollettino ufficiale della Regione Puglia il 7 dicembre u.s..

LEGGE REGIONALE 4 dicembre 2009, n. 30


“Disposizioni in materia di energia nucleare”.

IL CONSIGLIO REGIONALE
HA APPROVATO

IL PRESIDENTE
DELLA GIUNTA REGIONALE

PROMULGA

La seguente legge:

Art. 1
1. La Regione Puglia, tenuto conto degli indirizzi nella politica energetica regionale, nazionale e dell’Unione europea, disciplina gli atti di programmazione e gli interventi operativi della Regione e degli enti locali in materia dì energia, in conformità a quanto previsto dall’articolo 117, comma terzo, della Costituzione, al fine di promuovere lo sviluppo sostenibile del sistema energetico regionale garantendo che vi sia una corrispondenza tra energia prodotta, il suo uso razionale e la capacità di carico del territorio e dell’ambiente.

2. Nel pieno rispetto dei principi di sussidiarietà, ragionevolezza e leale collaborazione e in assenza di intese con lo Stato in merito alla loro localizzazione, il territorio della Regione Puglia è precluso all’installazione di impianti di produzione di energia elettrica nucleare, di fabbricazione del combustibile nucleare, di stoccaggio del combustibile irraggiato e dei rifiuti radioattivi, nonché di depositi di materiali e rifiuti radioattivi.

3. Nell’esercizio delle funzioni di rispettiva competenza, la Regione e gli enti locali operano nel rispetto delle condizioni di concorrenza sui mercati dell’energia in conformità alle norme comunitarie e nazionali e nell’assenza di vincoli e ostacoli alla libera circolazione dell’energia.
La presente legge è dichiarata urgente e sarà pubblicata sul Bollettino Ufficiale della Regione ai sensi e per gli effetti dell’art. 53, comma 1 della L.R. 12/05/2004, n° 7 “Statuto della Regione Puglia” ed entrerà in vigore il giorno stesso della sua pubblicazione. E’ fatto obbligo a chiunque spetti di osservarla e farla osservare come legge della Regione Puglia.

Data a Bari, addì 04 dicembre 2009

VENDOLA

lunedì 11 gennaio 2010

Rosarno: terroni contro immigrati. Chi ha creato adesso questo clima di odio?

di Tizian Sclari

In questi giorni guardo i Tg, leggo i giornali e mi stupisco di quello che sta succedendo nella mia democratica e civile Italia. Italiani che prendono il fucile e vanno a caccia di negri. Sì, di negri, perché "Se ne devono andare!" Perchè "bisogna prenderli a bastonate e sprangate". Anzi, no, a fucilate.

Pensavo che la giustizia fosse assicurata dalle forze dell'ordine: polizia, carabinieri. In questi giorni invece ho scoperto che se un manifestante ti spacca la macchina tu prendi il fucile e ti fai giustizia da te.

Per un piccolo Duomo di Milano scagliato contro il premier si è parlato per giorni di clima d'odio. Di partito dell'amore. Di mandanti e cattivi maestri. Qui invece il mondo politico che dice? Niente. Maroni ha dichiarato che è colpa degli immigrati e della troppa tolleranza nei loro confronti.

Diciamo allora qualcosa di chiaro, una volta tanto al di fuori del politicamente corretto. La Lega è il mandante politico degli scontri di questi giorni.

Lo vogliamo dire: ci sarebbe piaciuto che il presidente del consiglio si fosse recato sul luogo degli scontri. Avrebbe almeno potuto spendere qualche parola sulla questione. E invece niente, invece ha preferito parlare di abbassiamo le tasse. Due sole aliquote Irpef al 23 e al 33%. L'ha già detto nel 1994? E' stato al governo per 10 anni e non l'ha fatto? Fa niente. Non parliamo dei 3 giorni di guerra civile a Rosarno, parliamo di tasse.

Lo vogliamo dire: gli extracomunitari lavorano per 10-14 ore al giorno per 25 euro (sempre al giorno) per raccogliere quella frutta e verdura che mangiamo tutti i giorni e che noi Italiani non vogliamo più raccogliere.

Ma scusate la rabbia. Tranquilli, da domani, torno a parlare di Pd e delle alleanze, dei processi di Berlusconi e delle riforme scostituzionali. Insomma, delle cose importanti.

domenica 10 gennaio 2010

Ripudio il Fascismo,il Razzismo e l'Omofobia


- Art. 3. Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.- XII disposizione:E` vietata la riorganizzazione, sotto qualsiasi forma, del disciolto partito fascista. fonte: COSTITUZIONE ITALIANA

sabato 9 gennaio 2010

Paolo Borsellino: "Contiguità tra mafia e politica"

Splendida analisi di Paolo Borsellino a Bassano del Grappa sulle contiguità-mafia politica che nell'89 piano piano stavano finalmente emergendo.

venerdì 8 gennaio 2010

Le condanne e le tangenti di Craxi

Al momento della morte, nel gennaio del 2000, Bettino Craxi era stato condannato in via definitiva a 10 anni per corruzione e finanziamento illecito (5 anni e 6 mesi per le tangenti Eni-Sai; 4 anni e 6 mesi per quelle della Metropolitana milanese). Altri processi furono estinti "per morte del reo": quelli in cui aveva collezionato tre condanne in appello a 3 anni per la maxitangente Enimont (finanziamento illecito), a 5 anni e 5 mesi per le tangenti Enel (corruzione), a 5 anni e 9 mesi per il conto Protezione (bancarotta fraudolenta Banco Ambrosiano); una condanna in primo grado prescritta in appello per All Iberian; tre rinvii a giudizio per la mega-evasione fiscale sulle tangenti, per le mazzette della Milano-Serravalle e della cooperazione col Terzo Mondo.
Nella caccia al tesoro, anzi ai tesori di Craxi sparsi per il mondo tra Svizzera, Liechtenstein, Caraibi ed Estremo Oriente, il pool Mani Pulite ha accertato introiti per almeno 150 miliardi di lire, movimentati e gestiti da vari prestanome: Giallombardo, Tradati, Raggio, Vallado, Larini e il duo Gianfranco Troielli & Agostino Ruju (protagonisti di un tourbillon di conti e operazioni fra Hong Kong e Bahamas, tuttora avvolti nel mistero per le mancate risposte alle rogatorie).

Finanziamenti per il Psi? No, Craxi rubava soprattutto per sé e i suoi cari. Principalmente su quattro conti personali: quello intestato alla società panamense Constellation Financière presso la banca Sbs di Lugano; il Northern Holding 7105 presso la Claridien Bank di Ginevra; quello intestato a un’altra panamense, la International Gold Coast, presso l’American Express di Ginevra; e quello aperto a Lugano a nome della fondazione Arano di Vaduz.
"Craxi – si legge nella sentenza All Iberian confermata in Cassazione - è incontrovertibilmente responsabile come ideatore e promotore dell’apertura dei conti destinati alla raccolta delle somme versategli a titolo di illecito finanziamento quale deputato e segretario esponente del Psi. La gestione di tali conti…non confluiva in quella amministrativa ordinaria del Psi, ma veniva trattata separatamente dall’imputato tramite suoi fiduciari… Significativamente Craxi non mise a disposizione del partito questi conti".
Su Constellation Financiere e Northern Holding - conti gestiti dal suo compagno di scuola Giorgio Tradati - riceve nel 1991-‘92 la maxitangente da 21 miliardi versata da Berlusconi dopo la legge Mammì. Sul Northern Holding incassa almeno 35 miliardi da aziende pubbliche, come Ansaldo e Italimpianti, e private, come Calcestruzzi e Techint.

Nel 1998 la Cassazione dispone il sequestro conservativo dei beni di Craxi per 54 miliardi. Ma nel frattempo sono spariti. Secondo i laudatores, Craxi fu condannato in base al teorema "non poteva non sapere". Ma nessuna condanna definitiva cita mai quell’espressione. Anzi la Corte d’appello di Milano scrive nella sentenza All Iberian poi divenuta definitiva: "Non ha alcun fondamento la linea difensiva incentrata sul presunto addebito a Craxi di responsabilità di ‘posizione’ per fatti da altri commessi, risultando dalle dichiarazioni di Tradati che egli si informava sempre dettagliatamente dello stato dei conti esteri e dei movimenti sugli stessi compiuti".
Tutto era cominciato "nei primi anni 80" quando – racconta Tradati a Di Pietro – "Bettino mi pregò di aprirgli un conto in Svizzera. Io lo feci, alla Sbs di Chiasso, intestandolo a una società panamense (Constellation Financière, ndr). Funzionava cosí: la prova della proprietà consisteva in una azione al portatore, che consegnai a Bettino. Io restavo il procuratore del conto". Su cui cominciano ad arrivare "somme consistenti": nel 1986 ammontano già a 15 miliardi. Poi il deposito si sdoppia e nasce il conto International Gold Coast, affiancato dal conto di transito Northern Holding, messo a disposizione dal funzionario dell’American Express, Hugo Cimenti, per rendere meno identificabili i versamenti. Anche lí confluiscono ben presto 15 miliardi.

Come distinguere i versamenti per Cimenti da quelli per Tradati, cioè per Craxi? "Per i nostri – risponde Tradati – si usava il riferimento ‘Grain’. Che vuol dire grano". Poi esplode Tangentopoli. "Il 10 febbraio ‘93 Bettino mi chiese di far sparire il denaro da quei conti, per evitare che fossero scoperti dai giudici di Mani pulite. Ma io rifiutai e fu incaricato qualcun altro (Raggio, ndr): so che hanno comperato anche 15 chili di lingotti d’oro…I soldi non finirono al partito, a parte 2 miliardi per pagare gli stipendi". Raggio va in Svizzera, spazzola il bottino di Bettino e fugge in Messico con 40 miliardi e la contessa Vacca Agusta. I soldi finiscono su depositi cifrati alle Bahamas, alle Cayman e a Panama.
Che uso faceva Craxi dei fondi esteri? "Craxi – riepilogano i giudici – dispose prelievi sia a fini di investimento immobiliare (l’acquisto di un appartamento a New York), sia per versare alla stazione televisiva Roma Cine Tv (di cui era direttrice generale Anja Pieroni, legata a Craxi da rapporti sentimentali) un contributo mensile di 100 milioni di lire. Lo stesso Craxi, poi, dispose l’acquisto di una casa e di un albergo (l’Ivanhoe) a Roma, intestati alla Pieroni". Alla quale faceva pure pagare "la servitú, l’autista e la segretaria". Alla tv della Pieroni arrivarono poi 1 miliardo da Giallombardo e 3 da Raggio. Craxi lo diceva sempre, a Tradati: "Diversificare gli investimenti".
Tradati eseguiva: "Due operazioni immobiliari a Milano, una a Madonna di Campiglio, una a La Thuile". Bettino regalò una villa e un prestito di 500 milioni per il fratello Antonio (seguace del guru Sai Baba). E il Psi, finito in bolletta per esaurimento dei canali di finanziamento occulto? "Raggio ha manifestato stupore per il fatto che, dopo la sua cessazione dalla carica di segretario del Psi, Craxi si sia astenuto dal consegnare al suo successore i fondi contenuti nei conti esteri". Anche Raggio vuota il sacco e confessa di avere speso 15 miliardi del tesoro craxiano per le spese della sua sontuosa latitanza in Messico. E il resto? Lo restituì a Bettino, oltre ad acquistargli un aereo privato Sitation da 1,5 milioni di dollari e a disporre – scrivono i giudici – "bonifici specificatamente ordinati da Craxi, tutti in favore di banche elvetiche, tranne che per i seguenti accrediti: 100.000 dollari al finanziere arabo Zuhair Al Katheeb" e 80 milioni di lire(«$ 40.000/s. Fr. 50.000 Bank of Kuwait Lnd») per "un’abitazione affittata dal figlio di Craxi (Bobo, ndr) in Costa Azzurra", a Saint-Tropez, "per sottrarlo - spiega Raggio - al clima poco favorevole creatosi a Milano". Anche Bobo, a suo modo, esule.
Quando i difensori di Craxi ricorrono davanti alla Corte europea dei diritti dell’uomo, nella speranza di ribaltare la condanna Mm, vengono respinti con perdite. "Non è possibile – scrivono i giudici di Strasburgo il 31 ottobre 2001 – pensare che i rappresentanti della Procura abbiano abusato dei loro poteri". Anzi, l’iter dibattimentale "seguí i canoni del giusto processo" e le proteste dell’imputato sulla parzialità dei giudici “non si fondano su nessun elemento concreto… Va ricordato che il ricorrente è stato condannato per corruzione e non per le sue idee politiche".

Da Il Fatto Quotidiano del 30 dicembre (Marco Travaglio)

giovedì 7 gennaio 2010

I contatti tra (il latitante) Craxi ed il Maestro Venerabile della P2 Gelli

Avrà anche commesso qualche errore, per finanziare il partito, ma fu uno statista. Anzi, “il più grande statista della fine del ventesimo secolo” (Gianni De Michelis). Un grande riformatore, stroncato proprio per questo da “una rivolta di palazzo” (Rino Formica). Per riabilitare Bettino Craxi, dedicandogli tanto per cominciare una via a Milano, si sta tentando una doppia rimozione: non solo dei reati commessi e delle condanne subite, ma anche della verità sulla sua storia politica. Ma davvero Craxi fu un grande statista e un coraggioso riformista? Per rispondere, bisogna guardare con disincanto soprattutto al biennio 1979-80, quello in cui Bettino abbandona definitivamente i suoi progetti mitterrandiani – questi sì innovativi per l’Italia – di conquistare la leadership della sinistra, far crescere una grande forza riformista, democratica, libertaria, non comunista, e poi battere la Dc. Dimenticato il “Progetto socialista” del congresso di Torino, accetta invece la spartizione di potere con il peggio della Dc, sancita poi dalla nascita del Caf, il patto Craxi-Andreotti-Forlani. All’ombra di una regia sotterranea ma potente: quella della loggia P2.
Nel 1979, dopo tre anni alla guida del partito, Craxi non è riuscito a riequilibrare i rapporti di forza a sinistra. Ed è insidiato anche dentro il Psi: da una sinistra interna composita, che va dai rinnovatori di Antonio Giolitti ai più pragmatici sostenitori di Claudio Signorile, pronti a sfilargli la segreteria (Bettino in un comitato centrale del 1980 la manterrà solo per un voto, perché convincerà De Michelis a tradire il suo fronte e a passare con lui). Craxi si sente insomma attaccato in casa e fuori. Quando poi intuisce che Signorile sta per essere segretamente finanziato, insieme alla Dc andreottiana , da una supertangente Eni, capisce che deve correre rapidamente ai ripari. Abbandona i bei propositi dell’“Alternativa socialista” e gli intellettuali di Mondoperaio e comincia un intenso lavorio tutto dentro i più segreti ambulacri del potere italiano.
Nel 1979 incontra per la prima volta Licio Gelli, mentre i suoi colonnelli, Claudio Martelli e Rino Formica, iniziano con gli uomini della P2 una lunga trattativa su potere, soldi e informazione. Craxi nel 1994 ammette l’incontro: “Quando il tentativo di estromettermi dalla guida del partito tra la fine del ’79 e l’inizio dell’80 non riuscì per un solo voto, Gelli cercò di prendere contatto con me. Vanni Nisticò (piduista, allora capo ufficio stampa del Psi, ndr) mi presentò Gelli e l’incontro si svolse nella mia suite all’Hotel Raphael”. Argomenti trattati: il riavvicinamento tra Craxi e Andreotti. Solo politica? No, c’è una questione più concreta che preoccupa Bettino: il timore che stiano per arrivare finanziamenti al suo avversario interno, Signorile. È la vicenda passata alla storia come scandalo Eni-Petromin. L’azienda petrolifera italiana, presieduta da Giorgio Mazzanti, aveva stipulato con l’azienda di Stato saudita, la Petromin, un vantaggioso contratto per la fornitura di petrolio. Ma Craxi e Formica si mettono di traverso, perché con il loro formidabile olfatto sentono odore di tangenti, tangenti da cui sono esclusi: una “intermediazione” di almeno 200 milioni di dollari, da cui avrebbero poi attinto la Dc andreottiana ma anche Signorile, a cui Mazzanti faceva riferimento.
Formica, allora segretario amministrativo del Psi, si scatena. Incontra più volte il dirigente piduista Umberto Ortolani. Il 21 maggio 1979 gli dice: “Dì ai tuoi amici che noi socialisti non abbiamo alcuna intenzione di rimanere fuori da questo affare”. Dopo mesi frenetici e trattative oscure, la storia arriva all’epilogo il 15 marzo 1980: Mazzanti si dimette dalla presidenza dell’Eni e il contratto Eni-Petromin, dopo una prima fornitura, viene sospeso. Meno di un mese dopo, il 5 aprile, Francesco Cossiga vara il suo nuovo governo, con il Psi che rientra nella maggioranza dopo sei anni d’assenza. Un governo prova generale del Caf, con tre ministri e cinque sottosegretari iscritti alla P2.
Eliminato Mazzanti, l’uomo di riferimento di Craxi dentro l’Eni diventa il vicepresidente Leonardo Di Donna. Già a partire dalla seconda metà del 1980, l’Eni foraggia generosamente Bettino: è la storia del conto Protezione. L’Eni concede un deposito di 50 milioni di dollari al Banco Andino di Roberto Calvi (inutile dire che sia Di Donna, sia Calvi sono iscritti alla P2). E il “banchiere di Dio” gira al segretario socialista una percentuale, 7 milioni di dollari in due tranche, sul conto Ubs di Lugano 633369 “Protezione”, fornito a Bettino dall’amico Silvano Larini e annotato su un biglietto da Claudio Martelli.

Gelli sostiene di aver avuto lui l’idea della triangolazione Eni-Ambrosiano-Psi, e di averla esposta a Bettino durante il secondo incontro, che avviene nella primavera del 1980 nell’abitazione romana di Martelli. Il vice di Craxi, che era allora responsabile della cultura e informazione del Psi, aveva già più volte incontrato il Venerabile all’Hotel Excelsior: per chiedere che il Corriere, nelle mani della P2, trattasse meglio il Psi; ma anche per risolvere il problema dell’enorme debito (21 milioni di dollari) che il partito aveva nei confronti dell’Ambrosiano di Calvi. Ottiene subito i risultati sperati. Il Corriere diventa più favorevole a Craxi, fino a pubblicare, il 30 ottobre 1979, un’agiografica intervista, non firmata, che scatena le proteste del comitato di redazione contro il direttore (“Ha premesso all’intervistato di farsi da solo domande e risposte”). E arrivano anche i soldi: quelli del conto Protezione, ma pure 300 milioni dalla Rizzoli e l’aereo privato dell’azienda a disposizione di Martelli.
Craxi è citato anche nel “Piano di rinascita democratica”, che prevede di “selezionare gli uomini ai quali può essere affidato il compito di promuovere la rivitalizzazione di ciascuna rispettiva parte politica”: per la Dc, il “Piano” segnala, tra gli altri, Andreotti e Forlani; per il Psi indica Craxi. Prevede poi di “affidare ai prescelti gli strumenti finanziari sufficienti a permettere loro di acquisire il predominio nei rispettivi partiti”. L’interesse della P2 per Craxi aumenta dopo il settembre 1979, quando Bettino lancia la sua “grande riforma”, che prevede il presidenzialismo: Craxi viene allora indicato da Gelli come l’uomo che può realizzare il “Piano di rinascita” e a cui va garantito sostegno politico, mediatico e finanziario.
Craxi lo “statista” continua la strada intrapresa nel 1980 anche dopo la scoperta delle liste P2. Ha ormai imparato il metodo. Accanto al conto Protezione, ha via via aperto una ragnatela di conti da Vaduz fino a Hong Kong. Il sistema delle tangenti diventa scientifico, totale. E Craxi, riformista senza riforme e statista senza senso dello Stato, è ormai uno dei pilastri di Tangentopoli. Fino al fatidico 1992 di Mani pulite. (Gianni Barbacetto)