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sabato 11 giugno 2011

Referendum 2011: le ragione del SI e del NO. Domani e lunedì italiani alle urne per i 4 quesiti

Domenica e lunedì arriva il referendum che propone 4 schede. Ecco le ragioni del SI e del NO per l’acqua, per le centrali nucleari e per il legittimo impedimento. Napolitano andrà a votare, Berlusconi no. Questa volta si raggiungerà il quorum del 50% più uno?


Prima ancora che il risultato del referendum, ciò che sarà importante domenica e lunedì 12 e 13 giugno riguarda il quorum da raggiungere. Secondo i calcoli affinché il referendum sia valido, dovranno recarsi al seggio un minimo di 24 milioni circa di persone.
Proprio su questo punta il governo, contrario all'abrogazione di ognuno dei quattro quesiti referendari che riguardano acqua (due), nucleare e legittimo impedimento. Berlusconi ha già annunciato che non andrà a votare mentre il Presidente della Repubblica Napoletano si recherà alle urne. Si recheranno al voto anche Bersani (Pd), Di Pietro (Idv) e Vendola (Sel). No al voto da parte di Bossi (Lega Nord). Sostanziale libertà di scelta espressa invece da Fini (Fli) e Casini (Udc).
Il quesito ritenuto il tema più caldo riguarda il nucleare. Si vota per l’abrogazione della norma che consentirebbe al governo nei prossimi anni di costruire sul territorio italiano centrali nucleari.
La maggioranza voleva evitare che si votasse in questo momento in cui l’onda emotiva inevitabilmente porterà la stragrande maggioranza delle persone a votare contro il nucleare, soprattutto dopo i fatti di Fukushima e i sempre riproposti fatti di Chernobyl.
Ma si vota anche per la privatizzazione dell'acqua (abolizione della norma che obbliga alla cessione di un minimo del 40% delle società che gestiscono i servizi) e per il legittimo impedimento.
Quest’ultimo viene considerato il referendum più politico dei quattro, perché costituisce il tentativo di abolizione di una norma che viene accostata direttamente al presidente del consiglio Berlusconi. Tale quesito è stato voluto dall’Italia dei Valori.
A prescindere da come la si pensi, a prescindere che vinca il SI oppure il No, andare in massa alle urne a votare sarebbe un segnale forte di partecipazione popolare per una nazione, l’Italia, che spesso sembra lasciarsi scivolare tutto addosso, senza reagire in alcun modo.
Andare a votare è sia un dovere che, soprattutto, un diritto. Migliaia di persone nella storia hanno lottato per ottenere la possibilità di esprimere un giudizio politico, di contribuire a pilotare il destino del proprio Paese. Nel 2011 abbiamo pieno esercizio di queste facoltà, costata la vita a così tanti “pionieri della giustizia”, che non andare a votare significherebbe svalutare la bontà di queste battaglie sociali così importanti. Non facciamo decidere agli altri quello che sarà del nostro futuro: non conta il Sì o il No, conta dimostrare partecipazione alle cose pubbliche e politiche del paese.
Tra i quesiti del Referendum 2011 c’è quello sull’acqua pubblica (o privata, a seconda della scelta che ognuno fa). Chi si recherà alle urne con l’intento di contrassegnare il quadratino con la scritta “Sì”, ritengono che l’acqua in quanto bene collettivo, debba essere gestito dal servizio pubblico nazionale. Questo per evitare soprattutto speculazioni da parte delle imprese private, o ridurre la possibilità che le ecomafie possano infiltrarsi nel mercato. Gli italiani che vogliono l’acqua pubblica ritengono che lo Stato sia in grado di gestire in maniera efficiente e trasparente l’acqua, mantenendo i prezzi certamente più bassi rispetto a un privato. Inoltre, l’autonomia degli enti privati rischierebbe di rendere eventuali rivalse molto difficili da sciogliere.
Anche il popolo del “No” è piuttosto compatto sulle proprie scelte e opinioni. Pensano specialmente che “a un maggior prezzo corrisponde un maggior servizio”, facendo leva sulle stime che segnalano come il 50% dell’acqua potabile vada persa nelle tubature, e che comunque il servizio non valga l’importo in bolletta. Inoltre, i sostenitori del “No” all’abrogazione evidenziano come l’Autority debba impegnarsi a garantire che le procedure di appalto si svolgano nel pieno rispetto delle regole.
Ecco il dettaglio delle 4 schede.
Referendum popolare n. 1: scheda rossa
È il primo dei due quesiti sulla privatizzazione dell’acqua pubblica: votando SI, si esprime la volontà di abrogare quelle norme che allo stato attuale consentono l’affidamento ad operatori economici della gestione dei servizi pubblici. Votando NO tutto rimane così com’è.
Referendum popolare n. 2: scheda gialla
È il secondo quesito sulla privatizzazione dell’acqua pubblica: votando SI, l’elettore esprime la volontà di abrogare le norme che stabiliscono la determinazione della tariffa per l’erogazione dell’acqua, l’importo della quale prevede oggi anche la remunerazione del capitale investito dal gestore. Votando NO tutto rimane così com’è.
Referendum popolare n. 3: scheda grigia
È il quesito sul nucleare: votando SI, l’elettore esprime la volontà di abrogare le nuove norme riguardanti la possibilità di produrre, in Italia, energia elettrica a partire da centrali nucleari. Votando NO tutto rimane così com’è.
Con questo quesito referendario si chiede l’abolizione di una parte del decreto legge (“disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria” firmato il 25 giugno 2008 e convertito in legge “con modificazioni” il 6 agosto dello stesso anno) che permette la costruzione e l’utilizzo di nuove centrali per l’energia atomica in Italia. Cosa cambia col voto: se vince il SI: in Italia non verranno costruite centrali elettriche nucleari. Una è prevista anche nella a noi vicina Palma di Montechiaro. Se vince il NO: rimane valido il permesso di costruire centrali nucleari nel nostro territorio nazionale.
Referendum popolare n. 4: scheda verde
È il quesito sul legittimo impedimento: votando sì l’elettore esprime la sua volontà di abrogare la legge che consente al Presidente del Consiglio e ministri di decidere di non comparire in Tribunale nei processi che li riguardano.
Il referendum chiede la cancellazione totale della legge che permette a premier e ministri di non presentarsi in udienza invocando il legittimo impedimento, ovvero l'impossibilità di presentarsi davanti ai giudici derivante da impegni istituzionali. In origine la norma consentiva al premier e ai ministri di autocertificare il proprio impedimento; dopo la sentenza della Consulta invece l'impedimento deve essere stabilito dal giudice, che tuttavia difficilmente può negarlo.
Cosa cambia col voto: se vince il SI: il legittimo impedimento viene cancellato, i cittadini sono tutti uguali davanti alla legge. Se vince il NO: il legittimo impedimento rimane invariato, premier e ministri possono invocarlo.
Ogni elettore potrà scegliere di ritirare e di votare tutte o solo alcune schede. La preferenza andrà indicata apponendo una croce sul SI o sul NO con la matita copiativa fornita dal seggio. Si raccomanda l’attenzione a non sovrapporre le schede al momento di votare, in quanto la croce apposta sulla prima scheda potrebbe trasferirsi anche a quelle sottostanti.
Il SI indica la volontà di abrogare le norme indicate, il NO esprime la volontà di mantenere tali norme così come sono oggi.
Per avere validità, il referendum dovrà raggiungere il quorum, vale a dire che dovrà recarsi alle urne il 50% più uno degli aventi diritto.
Si vota domenica 12 giugno dalle 8 alle 22, e lunedì 13 giugno dalle 7 alle 15 presso i propri seggi di appartenenza segnati sulla tessera elettorale.

Calogero Parlapiano

lunedì 2 maggio 2011

Processo "Uragano": ecco la sentenza

Assolto il consigliere comunale Lorenzo Maglienti, prescritto l’attuale assessore Michele Ferrara entrambi dell’Mpa. Ci sono state condanne solo per la turbativa d’asta riguardante i lavori di manutenzione alla scuola S.Agostino di Sciacca


Il processo “Uragano” per turbativa d’asta, truffa e inadempimenti contrattuali si è concluso lo scorso mercoledì pomeriggio con 5 condanne: per Marco Maglienti, imprenditore, un anno di reclusione e € 1.000 di multa; per Filippo Modicamore, Santo Modicamore e Marco Vinti, tutti e tre imprenditori, sei mesi di reclusione e € 600 di multa; per Vito Perrone, imprenditore, nove mesi di reclusione e € 900 di multa. La condanna è relativa alla turbativa d’asta in relazione ai lavori di manutenzione della scuola Sant’Agostino. I cinque sono stati interdetti per un anno a contrarre appalti con la pubblica amministrazione. La pena però è stata sospesa.
Per quanto riguarda l’accusa di voto di scambio per l’attuale assessore allo spettacolo del comune di Sciacca Michele Ferrara e gli imprenditori Marco e Lorenzo Maglienti (rispettivamente padre e figlio) il giudice monocratico Cinzia Alcamo ha disposto il non doversi procedere in quanto l’azione penale stata prescritta, ossia erano scaduti i termini entro cui esercitare l’azione penale.
Sono stati assolti invece dalle accuse di turbativa d’asta, truffa e inadempienze contrattuali che riguardano altri lavori pubblici l’imprenditore Marco Maglienti (si trattava dei lavori inerenti all’illuminazione pubblica di via Lido), Benedetto Benigno, Sebastiano Porretta, ex ingegnere capo del Comune di Sciacca (per lui si trattava dei lavori di messa in sicurezza nel lungomare Stazzone), Rosario Fara, imprenditore, Salvatore Vaiana, funzionario Iacp, Agostino Bono, geometra Iacp, Salvatore Porretta, ingegnere, Maurizio Matalone, Gaspare Tortorici, dipendente comunale Comune di Ribera, Antonino Manetta, geometra Ufficio tecnico del Comune di Ribera, Filippo e Santo Modicamore. Per gli imputati assoluzione perché il fatto non sussiste.
Non solo. Vi sono state ulteriori assoluzioni.
Infatti per quanto riguarda l’accusa di turbativa d’asta per i lavori di somma urgenza per le fognature sono stati assolti con formula piena il consigliere comunale Lorenzo Maglienti, Maurizio Matalone e Salvatore Guirreri. Si è stabilito il non doversi procedere per prescrizione per gli imprenditori Domenico e Calogero Indelicato, per Filippo e Santo Modicamore, per l’imprenditrice Maria Antonietta Guattaiano e per Maurizio Matalone. Le accuse riguardavano reati per turbativa d’asta e truffa per altri lavori pubblici.
Come si ricorderà l’operazione “Uragano” cominciò nell’ormai lontano 25 settembre del 2006. Secondo la ricostruzione della pubblica accusa, gli imputati avevano messo su un sistema per vincere facilmente gli appalti pubblici. Le fasi del “sistema” sarebbero state due: nella prima “la turbativa d’asta sarebbe stata consumata attraverso una cordata di imprese” che metteva in moto ribassi assai vicini tra di loro. Successivamente sarebbe scattata la seconda fase, quella della gestione illecita.
Date le assoluzioni e l’esiguità delle (poche) condanne, potremmo affermare che, nonostante la gravità delle accuse per le quali era partita l’operazione, “l’Uragano” si è progressivamente trasformato in una pioggerella estiva oppure che “la montagna ha partorito il topolino”.
Dal punto di vista politico il consiglio comunale e, in generale, l’amministrazione ne escono bene grazie all’assoluzione del consigliere Maglienti ed alla prescrizione per l’assessore Ferrara. Eventuali condanne avrebbero di certo creato un po’ di imbarazzo tra gli operatori politici interni alla maggioranza che sostiene la Giunta Bono.

Calogero Parlapiano - tratto da "Controvoce"

martedì 1 febbraio 2011

L'ombra della mafia sulla realizzazione dei lavori sulla SS115

Anche sulla realizzazione dei lavori sulla strada statale 115 si allunga l’ombra della mafia. Lo ha rivelato da tempo il pentito Calogero Rizzuto le cui deposizioni hanno riempito i verbali del processo Scacco Matto ormai giunto alle battute finali

Da lavoratore socialmente utile era diventato il boss di Sambuca di Sicilia e teneva rapporti con il capo assoluto di cosa nostra agrigentina Giuseppe Falsone.
Il suo “carisma” da mafioso dedito a controllare appalti e a pianificare estorsioni lo aveva portato a diventare il numero due del mandamento del Belice capeggiato dall’agronomo Gino Guzzo, che comprende anche grossi centri come Sciacca, oltre a Sambuca di Sicilia, Menfi, Montevago e Santa Margherita di Belice. Poi l’inchiesta “Scacco matto” della DDA di Palermo e dei carabinieri del comando di Agrigento sfociata nel luglio del 2008 in una trentina di arresti, gli ha sbarrato la strada. Adesso, da diversi mesi a dire il vero, il pentimento. Stanno sulla graticola i boss della cosa nostra belicina, e non solo.
Calogero Rizzuto, 49 anni, è il decimo pentito in provincia di Agrigento. Gli altri nove sono Giuseppe Sardino, Maurizio e Beniamino Di Gati, Pasquale Salemi, Alfonso Falzone, Giulio Albanese, Luigi Putrone, Ignazio Gagliardo e Giuseppe Vaccaro. Nell’inchiesta “Scacco matto” Rizzuto è tra i principali protagonisti.
Secondo le accuse, oltre ad essere al vertice della cosca sambucese, svolgeva anche funzioni di vice capo dell’intero mandamento coordinando le attività degli altri associati, organizzando e coordinando l’attività di estorsione e “messa a posto” delle attività produttive, intrattenendo rapporti anche con l’ex capo provinciale Giuseppe Falsone e con soggetti operanti al di fuori della provincia di Agrigento. Le indagini “Scacco matto” hanno permesso poi di svelare l’organigramma mafioso delle famiglie di Sambuca, Santa Margherita di Belice, Menfi, Sambuca di Sicilia (oltre che quelle di Sciacca e Burgio) e la commistione di interessi mafiosi ed imprenditoriali di alcuni soggetti operanti in questo territorio.
A definire agli inquirenti il ruolo di Rizzuto sono le intercettazioni telefoniche e ambientali che trovano riscontro nelle dichiarazioni del pentito di Naro Giuseppe Sardino, ex braccio destro di Falsone. Vari i reati che gli vengono contestati, per lo più come mandante di estorsioni e intimidazioni. Sardino parla anche di una riunione in cui Rizzuto ebbe il ruolo decisivo di dirimere una controversia sorta con il mandamento di Ribera (che comprende Burgio, Villafranca e Lucca Sicula) capeggiato dai Capizzi a proposito delle estorsioni sulla realizzazione della condotta idrica denominata Favara di Burgio. Pare che i Capizzi si fossero impossessati di una somma che non gli spettava e che avrebbero dovuto restituire al mandamento belicino. Di questo e altro ancora sta parlando ai magistrati il nuovo pentito che promette un “terremoto” per le cosche agrigentine e che, evidentemente, viene considerato affidabile dagli inquirenti.
Un troncone del processo “Scacco Matto”, la cui sentenza è prevista entro fine mese e che si sta celebrando al tribunale di Sciacca, riguarda anche le tangenti che sarebbero state pagate dalle ditte appaltatrici per eseguire dei lavori sui nuovi anelli stradali della SS115, inaugurata non più tardi di una settimana fa alla presenza dei ministri Altero Matteoli e Angelino Alfano.
Rizzuto parla anche di questo nelle sue dettagliate deposizioni. Della statale 115 e di come non si muova foglia, o colata di cemento fate voi, che la mafia non voglia.
Tenendo ben presente che le fasi processuali non si sono ancora concluse, che tutti gli imputati devono godere della presunzione di innocenza fin quando non scatta la condanna e che si attendono le decisioni dei giudici ai quali i pm hanno chiesto l’ammontare di 384 anni di carcere per i 20 imputati, le cose non stanno per come le aveva dipinte il ministro Alfano che aveva parlato di “appalto pulito e lavori realizzati a regola d’arte senza l’ombra di una tangente.”
Ed è strano che nessuno tra i tanti avvocati presenti quel giorno all’inaugurazione abbia avuto la voglia, o la possibilità, di avvertire il ministro dell’abbaglio che aveva appena preso.
Giusto un anno fa, l’imprenditore saccense Salvatore Fauci e il responsabile del cantiere della Sigenco Salvatore Paternò venivano iscritti nel registro degli indagati con l’accusa di favoreggiamento aggravato all’associazione mafiosa. Avrebbero pagato il pizzo senza denunciare i fatti alle autorità giudiziarie. Sono le risultanze delle dichiarazioni del collaboratore di giustizia Calogero Rizzuto rese nel corso dell’udienza nel processo “Camaleonte”.
“La ditta Fauci - ha rivelato - per le sue lavorazioni si avvaleva di un’impresa di movimento terra. Falsone impose a Fauci la ditta di Stefano Morreale. In effetti questi, per qualche mese, lavorò nei tre stabilimenti. Fauci, nonostante qualche rimostranza fu costretto ad accettare l’imposizione di Falsone”. Per la Sigenco, Rizzuto, fa riferimento ai lavori sulla SS 115 per la realizzazioni di svincoli e sottopassaggi.
Lo scorso 15 settembre, la Dda comunica la collaborazione di Calogero Rizzuto, ritenuto vice capo mandamento. Il salto del fosso del sambucese costituisce una novità di grosso rilievo in questa parte della provincia. Infatti è la prima volta che si registra la collaborazione da parte di un personaggio
della mafia. All’impianto accusatorio della Dda, ricco di particolari grazie ad una massiccia azione investigativa dei carabinieri, si aggiungono conferme e particolari nuovi proprio in conseguenza delle confessioni di Rizzuto.
Un racconto lungo e che riempie diverse centinaia di pagine nelle quali vengono descritte le estorsioni, spiegati alcuni omicidi, rivelati le tangenti chieste su lavori pubblici. Dalla condotta idrica Favara di Burgio, ai lavori sulla strada statale 115 inerenti la messa in sicurezza e aggiudicati dalla Si.gen.co. La descrizione della spartizione del territorio, le forniture del calcestruzzo. Ma anche litigi all’interno delle famiglie come il contrasto tra lo stesso Calogero Rizzuto e i Capizzi.
Un contrasto che, secondo quanto racconta Rizzuto, si acuisce al punto tale da indurre quest’ultimo a collaborare con la giustizia, anche perché teme di essere ucciso dai Capizzi. Ma il fiume in piena di Calogero Rizzuto va oltre e sono previsti nuovi sviluppi. Infatti, moltissime pagine delle confessioni contengono omissis che hanno generato nuove investigazioni in corso.
Spartizione del territorio, cemento, movimento terra, distribuzione dei mezzi, pizzo, personale da assumere “obbligatoriamente”: questo è il quadro disegnato dai collaboratori e sui quali stanno lavorando le forze dell’ordine.
Il ministro della Giustizia, Angelino Alfano, in buona fede, probabilmente si è lasciato andare in un eccesso di ottimismo. Forse non sa o nessuno ha ritenuto doveroso informarlo. Il ministro ha detto, tra le altre cose, “non credo, né ho sentito parlare, di tangenti e mazzette e tutto si è svolto a regola d’arte sotto ogni punto di vista”, facendo riferimento ai lavori di messa in sicurezza della SS 115 sul territorio di Sciacca.
Il processo “Scacco Matto”, che si sta concludendo a Sciacca e che si celebra con rito ordinario (quello con il rito abbreviato si è concluso a Palermo lo scorso febbraio 2009 con condanne pesanti e qualche assoluzione), evidenzia aspetti diversi. Ci sono fiumi di verbali dell'ex reggente del mandamento di Sambuca di Sicilia, Calogero Rizzuto, poi diventato collaboratore di giustizia (settembre 2009) che parlano di pizzo e imposizione di forniture di cemento, mezzi e manodopera, alla Sigenco, da parte della presunta cosca mafiosa. Sarebbe bastato dare un’occhiata al verbale di interrogatorio del 25 settembre 2009, redatto alle ore 15,45 circa e reso dal collaboratore di giustizia Calogero Rizzuto al sostituto procuratore della Dda di Palermo Rita Fulantelli per sgombrare ogni dubbio. Ci sono intercettazioni del 5 maggio 2006 e del 3 novembre 2006. Proprio quelle intercettazioni per le quali da tempo si auspicano limitazioni su limitazioni, cosa che rappresenterebbe una mannaia per le indagini e le fonti investigative. Tra la carte troviamo anche un rinvio a giudizio del capocantiere per favoreggiamento perchè avrebbe omesso di denunciare le estorsioni. I processi devono concludersi e ci sembra giusto attenderne l’esito.
Nel mentre ci chiediamo anche: ma se con la conclusione di questi lavori la statale 115 è più sicura, perché i ministri sono arrivati con l’elicottero?
Sicuramente i cittadini saccensi e di tutto il circondario ringraziano i ministri della Repubblica Italiana per essere venuti ad inaugurare questo pezzo di strada (o di sottopassaggio, che fa più chic). Adesso tutti possiamo essere soddisfatti: sul territorio abbiamo l’autostrada e le ferrovie, per andare a Catania impieghiamo solo 4 ore, per andare a Messina altre 4, per andare a Palermo o con la ditta Gallo o a piedi, mancavano solamente questi svincoli ma ora abbiamo tutto.
Quando solo si inizierà a parlare di queste cose, chi verrà? Sicuramente non basterenno tutte le più alte cariche istituzionali del nostro Stato. Ci dovremo fare prestare qualche presidente di un’altra Repubblica.

Calogero Parlapiano - tratto da "Controvoce"

domenica 19 dicembre 2010

La copertina di Crozza (Ballarò 14/12/2010): "I guerrieri Scilipoti"


Puntata di Ballarò del 14/12/2010 - Crozza parla della compravendita dei voti per la fiducia al governo. Troppo forte eheheh

sabato 11 dicembre 2010

Luciana Littizzetto: Ma perché aspettare il 14 dicembre?


Lucianina Littizzetto parla dei temi caldi dell'ultima settimana, dalle rivelazioni di Wikileaks alla crisi politica italiana.
"Hanno chiuso fino al 14? Devono andare a lavorare! Non era il governo del fare?" Che risate. buona visione

venerdì 26 novembre 2010

Io vedo, io sento, io parlo. Il coraggio della denuncia. Il dovere di aiutare chi denuncia il pizzo

Ignazio Cutrò e Valeria Grasso: l’esempio di due imprenditori che hanno avuto il coraggio di denunciare e respingere il pizzo nonostante gli attentati intimidatori. Catanzaro: “Colpire i pochi che danneggiano i molti”. Occorre cambiare mentalità: no all’omertà, no alle tre scimmiotte, si alla denuncia

“Dopo tutti gli appelli lanciati a istituzioni e politici, visto l’aggravarsi della mia situazione economica ho deciso di vendere i miei organi, a partire dai miei reni”. Era scritta all’incirca così, nella sezione annunci di Ebay, la proposta di vendita avanzata dall'imprenditore bivonese Ignazio Cutrò per ripagare i debiti contratti in questi anni da quando fu tra i teste dell'operazione “Face Off”, condotta dai carabinieri della Compagnia di Cammarata.
La situazione, che non è per niente una provocazione, nel frattempo ha riscosso l’attenzione dei media nazionali e locali. Tv, giornali, radio, tutti a chiedersi pubblicamente come sia stato possibile. Come se, per accorgersi di una questione, si debba per forza suscitare clamore.
La richiesta, anzi l’offerta di organi, è stata rimossa da Ebay, ma la problematica dell’imprenditore edile non è cambiata molto. Ignazio Cutrò ha fondato l’associazione antiracket “Libere Terre” che fa opera di sensibilizzazione verso gli imprenditori affinché tutti denuncino il pizzo, da aiuto a quelle persone vittime di estorsioni e che intendono uscirne fuori ma ad oggi non ha ancora una sede ufficiale anche se tutti sanno che su Ignazio possono sempre contare nonostante le sue personali vicende. Delle sue richieste per la realizzazione di una assicurazione in sostegno degli imprenditori che denunciano il racket non è rimasto molto. Tanti quei politici che hanno mostrato iniziale interesse, forse di facciata, senza poi portare a nulla di concreto.
Adesso Ignazio Cutrò, che non gode più della sospensione prefettizia dal pagamento dei propri debiti, dovrà restituire alle banche 250 mila euro. Soldi che ad oggi l'imprenditore, che ha visto ridursi drammaticamente le proprie commissioni in questi anni, non possiede. Senza lavoro, con un’attività ormai ridotta sul lastrico, con una ventina di dipendenti anche loro in difficoltà è difficile parlare di legalità e coraggio. “Ho lanciato appelli di ogni tipo ad ogni livello, ha affermato Cutrò, anche solo per chiedere di poter riprendere a lavorare, ma nessuno mi ha mai risposto. Quasi come se attorno a me ci fosse un complotto per levarmi definitivamente di mezzo”.
Della sua storia si è occupato anche il giornalista Benny Calasanzio su “Il Fatto Quotidiano” attraverso un’intervista al pubblico ministero di Sciacca, Salvatore Vella, applicato dalla Dda di Palermo e titolare dell'inchiesta che portò al blitz “Face Off”.
“La storia di Ignazio Cutrò – ha detto Vella - la pagheremo per almeno ventanni. Quando, tra un paio di generazioni, qualche imprenditore vorrà denunciare la mafia gli ricorderanno la vicenda di quella che ormai è una sconfitta dello Stato, ovvero la triste storia di Ignazio Cutrò. La politica dovrebbe farsi carico di questo problema, si dovrebbero trovare tutti i modi possibili per fare lavorare Cutrò e la sua azienda. I cittadini di Bivona e del circondario – ha concluso Vella su “Il fatto” - dovrebbero mettersi una mano sulla coscienza: Ignazio costruiva case, tirava su muri, com’è possibile che nessun privato dal 2008 gli abbia commissionato lavori? In quel caso non si sarebbe arrivato a tanto”.
Parole forti, parole dure, parole che testimoniano quanto sia difficile per gli stessi uomini della magistratura aiutare chi decide di percorrere la strada più tortuosa: quella della denuncia. Eppure è proprio quella l’unica strada percorribile se vogliamo che qualcosa cambi anche per ognuno di noi.
Una questione purtroppo che non riguarda soltanto Cutrò ma anche altri imprenditori ed imprenditrici siciliane.
Valeria Grasso, un’imprenditrice palermitana che ha avuto il coraggio di far denunciare i suoi estorsori, ora sostiene di “essere stata abbandonata dalle istituzioni” e dal presidente di Confindustria Sicilia, Ivan Lo Bello. Grasso, titolare di due palestre a Palermo, ma non iscritta a Confindustria, lancia un duro atto d’accusa nei confronti del presidente degli industriali nell'isola. Lo Bello, ha detto “suggerisce agli imprenditori siciliani di denunciare e, qualora avessero paura, di rivolgersi a lui che si schiererà in prima fila contro la mafia al posto loro. Tutte parole che lasciano il tempo che trovano, perchè poi di fronte ai fatti la granitica presa di posizione di Lo Bello si riduce ad un’indifferenza che lascia esterrefatti”.
Io ho denunciato - dice ancora Valeria Grasso - e sono stata abbandonata da tutti. Quindi non accetto le parole di Lo Bello. Vorrei capire qual è l’aiuto che il presidente di Confidustria Sicilia offre ai siciliani, visto che io da lui sono stata del tutto ignorata”.
Come nel caso di Cutrò, numerosi sono gli atti intimidatori che la donna ha subito negli ultimi tempi ai danni delle sue due auto, della casa del padre e delle palestre che gestisce. Nei locali della palestra di Mondello per esempio ha trovato delle croci nere dipinte e le sono stati tagliati i cavi della luce. Per suoi numerosi appelli a Confindustria, a esponenti di Governo e al Presidente della Repubblica, a detta della donna, non ha mai ricevuto risposta. “Visto che sono stata del tutto ignorata, a quale categoria appartengo: ho paura o sono collusa?” Solidarietà all’imprenditrice è stata espressa dalla parlamentare europea di Idv, Sonia Alfano.
Persone che hanno avuto il coraggio di rinunciare alla sicula logica delle tre scimmiotte: nenti vitti, nenti n’tisi, nenti sacciu. Il contrario: io vedo, io sento, io parlo. Con dignità e onestà, con la consapevolezza di accedere alla via maggiormente complicata.
Si può lavorare onestamente in Sicilia e in provincia di Agrigento? Si può lavorare senza pagare il pizzo? Si può accedere agli appalti pubblici senza l’aiuto interno o esterno di “amici” fuori e dentro le mura di un Comune? Si possono costruire dei centri commerciali senza che ci siano ombre dietro? Se analizziamo le indagini con i risvolti che conosciamo partendo dal comune di Castrofilippo, la situazione non sembrerebbe delle migliori per avere risposte positive alle nostre domande. Castrofilippo, comune smontato dall’operazione “Family”, era una vera centrale politica della mafia. L’arresto del sindaco Salvatore Ippolito con l’accusa gravissima di associazione a delinquere di stampo mafioso, lo scioglimento per mafia dell’intero consiglio comunale, la presenza di “uffici” paralleli tra mafia e politica e il presunto coinvolgimento dell'onorevole Michele Cimino e di suo padre, i quali si dichiarano estranei ai fatti, sembrerebbero ancora una volta testimoniare la gravissima commistione tra criminalità e esercizio delle pubbliche funzioni.
Il presidente di Confindustria Agrigento, Giuseppe Catanzaro, a seguito di questa indagine pronunciò qualche settimana fa delle parole pesanti che forse sono passate fin troppo inosservate.
“Gli imprenditori normali che dovevano investire a Castrofilippo” - ha detto Catanzaro – “potevano competere in un contesto di mercato libero o erano chiamati a confrontarsi con uno spaccato guidato dalla mafia? Il contesto descritto dal questore Girolamo Di Fazio e dal dottor Teresi introduce interrogativi semplici che formuliamo per agevolare la comprensione degli effetti della devianza mafiosa che agevola pochi e danneggia tutti gli altri normali: un imprenditore per avere una concessione, un’autorizzazione, un pagamento poteva farlo nella normalità? Gli imprenditori mafiosi o vicini alla mafia erano agevolati nel perseguimento dei loro affari? I protocolli informatici che consentono di tracciare chi fa cosa dentro la pubblica amministrazione, se fossero stati applicati, avrebbero reso meno facile quello che si è verificato? Dobbiamo avere collettivamente una strategia per realmente cambiare pagina senza cercare come spesso avviene di delegare ad altri la cura di un contesto sociale nel quale tutti siamo chiamati a fare la nostra parte. La politica, che è fatta di tanta gente per bene, deve occuparsi del fenomeno dei pochi che danneggiano con il loro agire quanti si adoperano a servizio delle collettività a volte in contesti difficili. E’ proprio per valorizzare l’impegno di questi ultimi – ha concluso Catanzaro - che lanciamo l’invito ad agire con urgenza per impedire che le generazioni di oggi e quelle di domani debbano ancora confrontarsi con gli effetti nefasti delle mafie”.
I pochi che danneggiano i molti dunque. In un contesto però di sostanziale connivenza. Connivenza che non significa soltanto delinquere ma anche fare finta di nulla, voltarsi dall’altra parte, lasciare che mai nulla cambi. Alla società civile il compito di credere che un cambiamento possa essere possibile, alle forze dell’ordine e alla politica onesta il dovere, altrettanto difficile, di aiutare a metterlo in pratica.

Calogero Parlapiano - tratto da "Controvoce"

venerdì 22 ottobre 2010

Il rischio d'isolamento che corrono i Giusti

Ormai sono passati più di 18 anni dalla morte di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Quando si ricordano persone come loro, tutti si inchinano, si tolgono il cappello, bofonchiano parole di ammirazione e di dolore. “Sono stati ammazzati dalla mafia. Sono eroi“.

Improvvisamente, di fronte alla morte per mano della mafia, nessuno si azzarda più a criticare quei morti. Tutti eroi, tutti servitori dello Stato, tutti eccellenti lavoratori. Nessuna voce fuori dal coro. E ai giovani del presente e del futuro la storia sarà descritta così. Erano tutti al fianco e sostenitori di quegli eroi italiani.

Peccato che ci si dimentichi sempre di raccontare il resto, di completare la storia. Peccato che quegli eroi, fino al giorno prima di morire, non erano così tanto eroi. O meglio, lo erano agli occhi del popolo, della gente comune, ma per troppi uomini delle Istituzioni le cose stavano diversamente.
“Quando muoiono questi uomini diventano immortali, prima per molti erano soltanto delle carogne".

A pronunciare queste parole Antonino Palmeri, Presidente del Tribunale di Palermo, pochi giorni dopo la strage di via d’Amelio.
Perché in realtà questi “eroi” non erano poi così tanto amati da molti uomini al potere, che fossero politici, magistrati, Csm o chiunque altro. Falcone e Borsellino (come tanti altri eroi prima e dopo di loro) hanno impegnato gli ultimi anni della loro vita sempre su due fronti: da un lato la lotta alla criminalità organizzata e dall’altro la propria difesa contro le delegittimazioni provenienti sia dall’esterno che soprattutto dall’interno delle Istituzioni.
“Farabutti, me li stanno ammazzando tutti sotto gli occhi. E noi assistiamo impotenti. Stanno facendo fuori gli uomini del pool dopo averli delegittimati. Un massacro prima giuridico, poi formale e adesso anche fisico“, continuò il dottor Palmeri, rabbia e dolore a fargli pronunciare quelle parole da troppi suoi colleghi sentite fortemente.

Lo stesso Borsellino l’aveva capito e l’aveva esternato alla moglie Agnese: “Forse saranno mafiosi quelli che materialmente mi uccideranno, ma quelli che avranno voluto la mia morte saranno altri”. Tre settimane prima di morire Paolo ringraziò l’opinione pubblica per aver fatto “il miracolo”, ossia per aver fatto fare marcia indietro al Csm che nel 1988 voleva sbarazzarsi del pool antimafia e che invece, grazie alla spinta della società civile, rimase in piedi.

Lo sanno tutti, gli adulti, ma ai ragazzi si continua a dire delle mezze verità. Falcone e Borsellino non sono stati uccisi solo dalla Mafia. Sono stati uccisi anche dalla delegittimazione, dall’isolamento. Ai ragazzi vengono sempre ricordate le lacrime di dolore dopo la loro morte. Raramente si ricordano le lacrime di rabbia. Perché la rabbia ha sempre un destinatario.
Lo Stato ha “vanificato l’operato dei giudici“, ha “irresponsabilmente” delegato loro ogni forma di lotta alla criminalità mafiosa “senza dotarla di idonei strumenti legislativi e materiali“, fino all’ “ennesima strage mafiosa annunciata, espressione della completa disfatta dello Stato. Uno Stato che è in balia di gruppi di potere ispirati da logiche affaristico-clientelari, perennemente sordo alle ripetute e accorte invocazioni di risveglio e di concreto intervento“. Uno Stato che quindi non si può aspettare nulla “da una magistratura decimata nei suoi uomini migliori e avvilita in un clima di continua attesa mortale“.
Queste le parole contenute nel documento di protesta redatto dai magistrati a Palermo due giorni dopo l’uccisione di Paolo Borsellino.

Ed ora, dopo 18 anni e dopo il sacrificio dei tanti eroi morti, tutto sta tornando uguale. Non appena i ricordi della memoria iniziano ad offuscarsi, le serpi tornano a strisciare, gli eventi tornano a ripetersi. Oggi, a Palermo, al posto di Falcone e Borsellino ci troviamo Antonio Ingroia e Antonino Di Matteo. Il primo il pupillo di Paolo Borsellino, il secondo cresciuto nell’esempio di quei due magistrati, ai quali si è sempre ispirato.
Ricordatevi questi nomi, ragazzi. Perché sono i nomi di due dei pochi magistrati che ancora hanno impresso a fuoco nella loro mente l’articolo 3 della Costituzione Italiana, che ancora hanno la forza e il coraggio di sdegnarsi per il massacro che sta subendo la giustizia italiana. I nomi delle persone che quindi vanno delegittimate. Perché putroppo la storia, per chi dimentica, si ripete.

“Il ministero chiede accertamenti per le dichiarazioni del sostituto procuratore Nino Di Matteo”, titolava l’otto di ottobre l’Espresso. Dichiarazioni a quanto pare poco gradite al potere: “Continua la sistematica e violenta offensiva di denigrazione e isolamento di quei magistrati che credono ancora nel principio dell’uguaglianza di tutti davanti alla legge. Noi resisteremo perché crediamo nella Costituzione sulla quale abbiamo giurato. Con quale faccia si collabora con questo governo?”

In seguito all’assassinio di Borsellino il clima nelle stanze blindate della procura di Palermo era teso, pieno di rabbia, di sfiducia, di dolore. Si parlava di dimissioni di massa dei giudici, per dare un segnale forte.
Vittorio Teresi fu chiarissimo, allontanandosi dai giornalisti e preannunciando le sue dimissioni: “Volevo andar via, ma dopo Falcone sono rimasto, ho detto a Borsellino: metto la mia vita nelle tue mani, ma battiamo la mafia. Adesso basta, mi accorgo che non serve a nulla combattere. Qui si muore per nulla”.

Eppure, in mezzo a tutto quel dolore, rimaneva ancora un po’ di speranza, negli occhi lucidi del sostituto Antonio Ingroia che sussurrò al collega De Francisci: “non possiamo andar via proprio adesso, non possiamo”.
Bene, Antonio Ingroia è rimasto. Come Antonino Di Matteo. E come loro altri giudici con nomi forse meno ricorrenti nelle cronache giudiziarie ma ugualmente impegnati.

La delegittimazione non è pericolosa solamente per l’isolamento “istituzionale” che ne consegue. E’ pericolosa anche per l’isolamento “emotivo” che questi giudici sono condannati a subire. Quando Falcone e Borsellino avevano tutti contro, Mafia e pezzi delle Istituzioni, l’unica spinta che avevano, allo stremo delle forze fisiche e mentali, era la società civile. “La gente fa il tifo per noi”, diceva Falcone sorridendo.

Con le Agende Rosse stiamo preparando una giornata a sostegno di Antonino Di Matteo. Faremo in modo di farla al nord, al centro e al sud Italia contemporaneamente, proprio per dare la possibilità a tutti di partecipare. E saremo pronti a scendere davanti ciascun tribunale d’Italia ogni qual volta chi indegnamente occupa le Istituzioni si azzardi a delegittimare uno di questi giudici con un’azione così mirata.

Forse non possiamo proteggere questi magistrati dalla Mafia, forse non possiamo proteggerli da chi abusa per meschini interessi delle Istituzioni, ma sicuramente possiamo proteggerli dall’isolamento.
www.19luglio1992.com

lunedì 18 ottobre 2010

Tutto in "Family". Operazione antimafia a Castrofilippo. Mafia-politica, una contiguità infinita?


L’operazione Family che ha portato all’arresto del sindaco di Castrofilippo e l’ex vicepresidente della Regione Michele Cimino ad essere indagato continua a riservare colpi di scena. I collaboratori di giustizia stanno tessendo la tela degli affari criminali di buona parte del territorio agrigentino. Occhi puntati su appalti, tangenti e compravendita di voti


“Un mafioso prima ancora che un politico. Un uomo scelto perché interno a Cosa Nostra”. Con queste parole il procuratore aggiunto alla Dda di Palermo Vittorio Teresi ha definito Salvatore Ippolito, il sindaco di Castrofilippo, finito in manette con l’accusa di associazione mafiosa inerente all’operazione denominata “Family”. Secondo gli inquirenti e le ricostruzioni dei pentiti, il primo cittadino, eletto nelle liste del Pdl nel 2006 si è incontrato in un’occasione, forse due, con il boss di Campobello di Licata, Giuseppe Falsone, poi arrestato a Marsiglia, e ha partecipato attivamente a diversi summit di mafia della cosca mafiosa di Castrofilippo.
A capo della famigghia locale c’era il vecchio patriarca Antonino Bartolotta, finito in manette insieme ad Angelo Alaimo, del ‘47, Angelo Alaimo, del ‘57, e Giuseppe Arnone, sempre del ‘57.
Secondo la procura di Palermo il sindaco era una figura chiave nell’assegnazione degli appalti che venivano affidati attraverso il sistema della trattativa privata o del cottimo fiduciario, ad imprese amiche vicine alla stessa organizzazione.
Tra le opere pubbliche finite nel mirino di Cosa Nostra c’erano soprattutto il Centro Commerciale “Le Vigne” di Castrofilippo per il quale Ippolito aveva offerto tutto il suo appoggio ed i capannoni del mercato ortofrutticolo di Castrofilippo. A seguito degli arresti, i consiglieri comunali di minoranza del comune di Castrofilippo, Cettina Asaro, Aldo Ciccarelli, Antonino Lo Brutto, Salvatore Piraneo e Calogero Sferruzza si sono dimessi. Il comune rischia lo scioglimento per infiltrazioni mafiose.
Durante la perquisizione in casa del sindaco gli investigatori avrebbero scoperto ''un vero e proprio ufficio comunale parallelo'' in cui veniva decisa la spartizione degli appalti. Fari puntati dunque come sempre sulla spartizione dei principali affari. Dei soldi. Per quanto riguarda la realizzazione dell’ipermercato “Le Vigne”, il progetto commerciale ha attirato gli appetiti di diversi esponenti di Cosa Nostra come Di Gati, Sardino e Falsone. I pezzi grossi della cupola agrigentina, oggi tutti arrestati.
Nell’affaire, secondo quanto ha dichiarato il pentito Maurizio Di Gati, erano stati coinvolti anche diversi politici per ottenere le concessioni edilizie che avrebbero permesso di dare il via ai lavori. Uno di questi è l’allora deputato dell’Udc Vincenzo Lo Giudice grazie al quale la mafia aveva ottenuto anche finanziamenti regionali. Sempre nel 2008 lo stesso Di Gati aveva tirato in ballo anche Salvatore Ippolito. Anche lui inserito perfettamente nel sistema.
Non solo dichiarazioni di pentiti ma anche intercettazioni ambientali e analisi di pile di documenti rivelatisi sporchi. Tra i politici tirati in ballo anche l'ex vicepresidente della Regione siciliana, Michele Cimino, indagato per concorso esterno in associazione mafiosa. Di Gati lo cita per quanto riguarda soprattutto la costruzione del mercato ortofrutticolo parlando di tangenti, mazzette, favori e compravendita di voti. A Cimino nei giorni scorsi infatti e' stato notificato un avviso di garanzia nell'ambito di questa inchiesta. Il leader politico del Pdl ha espresso le proprie sensazioni attraverso alcuni comunicati. "Sono molto dispiaciuto e amareggiato - ha detto Cimino al termine dell'interrogatorio - per questa disavventura giudiziaria. Sono certo che tutto potra' risolversi al piu' presto. Credo nella giustizia e sono pronto e disponibile per qualsiasi altro chiarimento". I magistrati contestano a Cimino di aver comprato, con denaro e assegnazioni di appalti pubblici, i voti di cosa nostra, in particolare delle cosche di Porto Empedocle e siciliana e l’interrogatorio si è protratto per più di tre ore. Naturalmente nelle ultime settimane si sono sprecati gli attestati di solidarietà politica ed umana da parte della classe dirigente regionale, provinciale e locale. “Conosciamo Michele Cimino e siamo certi della sua onesta'. Ha sempre dimostrato con i fatti di saper svolgere nel migliore dei modi, con competenza, rettitudine e responsabilita', i ruoli istituzionali che ha ricoperto. Non possiamo che attendere fiduciosi le decisioni della magistratura''. Hanno affermato i senatori del Pdl Mario Ferrara, Roberto Centaro, Salvo Fleres e Bruno Alicata. Da Sciacca solidarietà e vicinanza è stata espressa dal consigliere comunale Silvio Caracappa. L’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa è scaturita dalle testimonianze dell’ex capomafia agrigentino Maurizio Di Gati oggi pentito, insieme ad altri collaboratori di giustizia.
Cimino, in passato anche vice presidente della regione Sicilia e uomo vicino al sottosegretario al Governo nazionale Gianfranco Miccichè con il quale ha lasciato il Pdl per incongruenze con i vertici regionali di partito, dunque secondo l’accusa avrebbe favorito l’assegnazione di appalti pubblici ad alcune imprese collegate alla mafia di Agrigento. In cambio avrebbe ricevuto mazzette. E voti. Al momento non si sa nulla di più. Le indagini sono in itinere e, come sempre si dice in questi casi, la giustizia farà il proprio corso. Intanto l’8 ottobre sono cominciate le udienze al Tribunale del Riesame di Palermo nel corso delle quali sono stati trattati i ricorsi presentati dai legali di fiducia delle cinque persone arrestate nell’ambito dell’operazione antimafia denominata “Family” tra cui il sindaco del paese Salvatore Ippolito.Le udienze si concluderanno il 12 di questo mese mentre l’istanza di annullamento dell’ordinanza di custodia cautelare in carcere è stata presentata dai legali delle persone arrestate. La mafia dunque è entrata ed entra a piene mani nella spartizione della torta degli appalti. Tutti gli affari danarosi sono buoni: edilizia, supermercati e rifiuti. Il tutto contornato da una fitta rete di “soldati” sparsi nel territorio. “Soldati” che, secondo la DDA, spesso sono nascosti nei posti più impensabili.

Calogero Parlapiano - tratto da "Controvoce"

sabato 16 ottobre 2010

Sicilia, Lombardo: che "Casini"

Scelti i nuovi assessori del Lombardo IV. Nessuna sorpresa nell’attribuzione delle deleghe. Intanto la scissione tra Udc e Pid formato dai dissidenti siciliani sta determinando importanti effetto domino e nuovi scenari a Palermo e a Roma. Ogni giorno la conta se la nuova maggioranza ha i numeri per continuare a governare


Gian Maria Sparma assessore al Territorio e Ambiente, Gaetano Armao, confermato, all'Economia, Massimo Russo, confermato, resta alla Salute, Pier Carmelo Russo, confermato, alle Infrastrutture, Elio D’Antrassi all'Agricoltura, Sebastiano Missineo ai Beni Culturali, il prefettoGiosuè Marino all'Energia, Caterina Chinnici, confermata, agli Enti Locali, Andrea Piraino al Welfare, Marco Venturi, confermato alle Attività Produttive, Mario Centorrino, confermato, all'Istruzione e Daniele Tranchida al Turismo.
E’ dunque questo il team di dodici assessore tecnici scelti dal governatore Raffaele Lombardo per affrontare la quarta fase del proprio mandato. Già, team. Perché di team si tratta poiché non si registra la presenza di alcun politico seppure ogni tecnico sia stato indicato dai partiti che hanno deciso di comporre la nuova maggioranza di Lombardo.
Mpa, Pd, Udc di Casini, Fli e Api, queste le componenti politiche del Lombardo Quater. Non si può non sottolineare come i figiani di Futuro e Libertà per l’Italia, che hanno indicato il nome di due assessori, in Sicilia si alleino col Pd mentre a Roma hanno deciso di continuare ad appoggiare il premier Berlusconi. Stesso discorso per Casini. Le ripercussioni delle scelte regionali e nazionali sulla politica locale sono evidenti con intere componenti pronte a passare con nonchalance dalla maggioranza all’opposizione e viceversa. Una volta c’erano le bandiere si dice spesso nel calcio. Oggi si cambia bandiera, nello sport così come nella politica, senza problemi. Nuove casacche, nuove poltrone, nuove promesse. Il presidente Lombardo dal canto suo ha ringraziato "tutte quelle forze politiche che lo sosterranno nell'azione riformatrice", ma anche gli assessori che hanno fatto parte delle varie giunte che hanno scandito la legislatura. "Speriamo di ampliare le fette di consenso all'interno di questa assemblea", dice Lombardo ai parlamentari siciliani. E prosegue con parole precise e mai a caso. "L'azione di governo è sempre stata ispirata dal portare avanti un'azione di risanamento e innovazione. Dobbiamo fare pulizia nei conti della Regione. Se ci attarderemo in questa azione di quadratura, rischio che vedo grande, si rischia un federalismo a due velocità tra Nord e Sud. Il governo della Regione è composto da dodici tecnici che risponderanno del loro lavoro a tutta l'Assemblea e a tutti i siciliani". Necessario, per poter valutare con criterio, passare dalle parole ai fatti. Ma su una cosa sembrano esserci pochi dubbi. Questo governo tecnico difficilmente sarà l’ultimo della gestione Lombardo. E’ complicato pensare che si possa arrivare così al nastro di traguardo. Prima o poi le componenti politiche, nel vero senso della parola, torneranno a chiedere spazio in giunta. Si ritornerà a valutare la consistenza della maggioranza e si proseguirà con la rigida conta numerica del tipo “chi è con me” e “chi è contro di me”. La Sicilia rischia la paralisi in tutti i settori produttivi se non si da continuità ad un progetto. Mutare dirigenti e assessori ogni tot mesi non permette né la risoluzione delle varie problematiche né da il tempo necessario ai tecnici per occuparsi pienamente dei compiti loro affidati.
L’aspetto forse più interessante del Lombardo quater è la scissione che ha determinato in seno al partito dell’Udc. Casini, a Roma, si mantiene all’opposizione e ha chiesto la testa di Berlusconi. Gli onorevoli scudocrociati siciliani invece, Cuffaro, Mannino, Ruvolo e altri, in Sicilia avevano chiesto la testa di Lombardo. Risultato: gli ex Udc siciliani continueranno ad appoggiare Berlusconi ed hanno fondato la componente politica “Popolari per l’Italia di domani” (Pid), presente tanto a Roma quanto a Palermo. Casini con i suoi fedelissimi, a Palermo si allea con Lombardo mentre in senato rimane contro Berlusconi. Per la cronaca, a proposito di ripercussioni locali, al comune di Agrigento, l’Udc di Casini ha perso tutti i suoi rappresentanti che sono passati in toto al Pid manniniano. Saverio Romano, ex segretario dell’Udc in Sicilia, non esita a parlare di "scissione" all'interno dell'Udc ed è molto critico con il governo Lombardo e con quanto sta avvenendo in Sicilia. "Da ciò che è avvenuto in Sicilia - sottolinea Mannino - si capisce quali siano le vere intenzioni di Casini a livello nazionale". Vorremmo che Casini tornasse sui suoi passi - conclude Mannino - e che annunciasse la nascita di un vero terzo polo: un vero centro che dialoghi con il centrodestra. La tradizione Dc non può finire (così come avvenne 16 anni fa) all'interno della sinistra. Noi dobbiamo difendere quella tradizione e preservarla da qualsiasi cosa possa metterla a rischio". "Non c'era altro da fare che uscire dall'Udc e formare nuovi gruppi all'Assemblea regionale e alla Camera. Questo nella prospettiva della costituzione del partito dei Popolari per l'Italia di domani (PID)". Questo invece secondo Rudy Maira che ha ufficializzato l'uscita di alcuni deputati regionali dal gruppo dell'Udc. Oltre a Rudy Maira, ormai ex capogruppo Udc, sono presenti nel Pid i deputati regionali Totò Cordaro, Pippo Gianni, Marianna Caronia, Nino Dina, Fausto Fagone. Hanno aderito al nuovo gruppo anche Orazio Ragusa e Totò Cascio. Il gruppo di parlamentari fa riferimento all'ex segretario siciliano Saverio Romano, al senatore Totò Cuffaro, e agli onorevoli Giuseppe Drago e Calogero Mannino, tutti in rotta con la linea del leader Pier Ferdinando Casini.
Per il Pid non c’è spazio per alcun dialogo. Si deve tornare alle urne in Sicilia.
Nel gruppo dell'Udc all’ARS, che era composto da 11 deputati, rimangono solo tre parlamentari: Mario Parlavecchio, Giovanni Ardizzone e Marco Forzose. Loro appoggeranno Lombardo.
Una vera e propria rivoluzione dunque con effetti a cascata, o domino che dir si voglia, a tutti i livelli. Per precisione non è che il Pd siciliano o gli stessi rutelliani stiano meglio. Dentro il partito democratico ci sono alcuni deputati, una minoranza, che non hanno gradito l’ingresso in maggioranza e non si riconoscono nelle decisioni assunte dal segretario regionale Lupo e dal capogruppo del pd all’Ars Antonello Cracolici. I rutelliani invece a Roma hanno perso adepti, pronti anche loro a non tradire il premier.
Tornando all’Udc Casini sulla nascita del Pid ha detto "ognuno può scegliere di andare dove vuole, l'importante che non si inventi delle scuse, la nostra linea è chiarissima, quella di centro, che è rimasta coerente rispetto alle sirene di destra e sinistra. Si vede che non tutti sono immuni alle sirene...".
Le scelte di Lombardo hanno spaccato l’intera classe politica. Il Pdl a Palermo resta all’opposizione, dura e netta. Di conseguenza, l’Mpa a Roma sosterrà Berlusconi o gli farà pagare il conto? "Noi siamo assolutamente contrari a un'operazione politica che serve solo a Lombardo e non ai siciliani. Si e' sostituita una maggioranza con un'altra. Il Lombardo quater, lo dicono i dati di fatti, e' un ribaltone". Questo attacco al neo esecutivo regionale siciliano, targato Raffaele Lombardo, è arrivato non da un ferreo oppositore del governatore, ma da un suo ex assessore, Titti Bufardeci, a cui nel suo terzo governo il leader del Mpa aveva affidato una delega di peso come quella alle Risorse agricole. Ieri assessore, oggi oppositore. Caos totale. Laboratorio politico o ribaltone? Portare avanti le riforme o mancare di rispetto agli elettori?
Intanto l’ancora neonato Pdl Sicilia sembrerebbe già sul punto di naufragare poiché Miccichè, Cimino e lo stesso Bufardeci si sono fatti promotori del Partito del popolo siciliano, una specie di contraltare della Lega Nord. Ancora tutto da capire quanto questo nuovo sodalizio possa essere libero o meno da vincoli berlusconiani.
La situazione è tuttora in itinere e risulta complicato andare dietro alla ridda continua di voci, comunicati, conferenze stampa, attacchi mediateci e passaggi perpetui da una componente all’altra.
Questa è la “nuova” politica che parla, attacca, si difende, si allea, si spacca o si accorda.
Da una poltrona all’altra però non c’è traccia dei veri problemi che attanagliano la gente e i settori produttivi siciliani e nazionali. Per quelli nessun partito si spaccherà mai in alcun sottogruppo.

Calogero Parlapiano - tratto da "Controvoce"

mercoledì 6 ottobre 2010

Chiamate le guardie... (o almeno l'ambulanza)

In certi bar di periferia c’è sempre un vecchietto che entra a una cert’ora e comincia a molestare i clienti millantando imprese amatorie immaginarie, infastidendo la cassiera con approcci sconci, raccontando barzellette che non fanno ridere intervallate ogni tanto da un bestemmione. A quel punto il titolare lo prende con le buone: “Senti, fenomeno, o te ne vai oppure chiamo le guardie”. Le quali, sottopostolo alla prova del palloncino e constatato che è ancora sobrio, lo avviano nel più vicino centro di igiene mentale per il Tso, il trattamento sanitario obbligatorio. Ecco, all’Italia manca un titolare che prenda l’iniziativa e faccia visitare il presidente del Consiglio da uno bravo: più che una commissione parlamentare, infatti, ci vorrebbe un consulto di psichiatri per esaminare le sue ultime parole ed escandescenze.

L’altro giorno è uscito da Palazzo Grazioli e ha incontrato un gruppetto di fans. All’improvviso, ne ha apostrofato uno: “Tu sei un giudice? No, sui giudici voglio dirvi una cosa perché abbiate la consapevolezza di quello che succede…”. Figurarsi la sorpresa del malcapitato. Ormai il pover’ometto vede giudici dappertutto, appena esce di casa. E, avendo mangiato pesante e dormito anche peggio, consegna al primo che passa di lì i suoi incubi più recenti: “Visto che il processo Mills sta arrivando alla prescrizione, il pm De Pasquale s’è inventato la seguente storia: il reato di corruzione c’è quando il corruttore dà i soldi al corrotto”. Capìta la bizzarria di questo pm? S’è fatto l’idea che la corruzione scatti quando il corruttore paga la mazzetta al corrotto. Pare addirittura che sia convinto, nella sua mente malata, che la rapina scatti quando uno entra in banca a mano armata e si fa aprire il caveau dal cassiere; e che lo scippo si configuri quando il ladro strappa la borsetta alla signora. Di questo passo, chissà dove andremo a finire. Ma “la cosa tragica” è che nel processo Mills “tre diversi collegi – primo, secondo grado, cioè l’appello e terzo, la Cassazione – hanno asseverato la tesi” del pm, “dimostrando che c’è un accordo fra i giudici di sinistra per sovvertire il risultato delle elezioni ed eliminare colui che è stato eletto dagli elettori”. Il poveretto ce l’ha con le sentenze a carico di Mills, ritenuto colpevole di corruzione giudiziaria in tutti e tre i gradi di giudizio, anche se in Cassazione la condanna a 4 anni e mezzo di primo e secondo grado è caduta in prescrizione.

Dunque la prova del complotto sta nel fatto che una sentenza viene confermata in tutti e tre i gradi di giudizio. Se ne desume che: se uno viene condannato in tribunale e poi assolto in appello, o condannato in appello e assolto in Cassazione, c’era un complotto dei pm ai suoi danni; se viceversa i giudici lo ritengono tutti colpevole, c’è un complotto ai suoi danni lo stesso. Ora, nelle carceri italiane ci sono oltre 45 mila detenuti (su 69 mila) che scontano una pena definitiva. E tutti hanno avuto la condanna confermata in tribunale, appello e Cassazione: dunque – secondo il teorema B. – sono tutte vittime innocenti di “un accordo fra i giudici di sinistra per sovvertire il risultato delle elezioni”. Ergo vanno liberati tutti con tante scuse. L’illustre infermo dà il meglio di sé a proposito del “famigerato” pm Fabio De Pasquale che, guarda caso, è il pm dei suoi tre processi congelati dal legittimo impedimento (Mediaset, Mediatrade e Mills). Sarebbe lui il colpevole del suicidio di Gabriele Cagliari, il presidente craxiano dell’Eni che prendeva mazzette a tutto spiano. Naturalmente, come hanno già appurato gl’ispettori ministeriali, il ministro Conso, il Pg della Cassazione, i pm e i giudici di Brescia, non è vero niente: Cagliari si tolse la vita per la vergogna di quel che aveva fatto. Ma il vecchietto, giù di memoria, insiste. Si è persino convinto che alla Consulta si annidino ben “11 giudici di sinistra” su 15 (in realtà quelli nominati dal centrosinistra sono due, gli altri sono di destra o apartitici e su ben 6 garantiva la P3). Chi può, per pietà, chiami le guardie. O almeno l’ambulanza.

Editoriale di Marco Travaglio

giovedì 8 luglio 2010

Sprechi a Palazzo Chigi. Sacrifici, lacrime e sangue... altrui

C’è crisi alla presidenza del Consiglio dei ministri. Così, per quest’anno, il bilancio di previsione è stato sforato solo di oltre un miliardo e mezzo di euro. Per la precisione di un miliardo, 592 milioni, 238 mila e 740 euro. Miracoli dell’autonomia di gestione, che, fissato un budget per l’anno in corso, delega poi il Segretariato generale a ripartire le diverse poste tra le cosiddette “missioni” dei dipartimenti e dei ministri “senza portafoglio”.

Per il solo “funzionamento” la stima inizialmente fornita dal Segretario generale di Palazzo Chigi ammontava a poco più di 360 milioni di euro (363.626.572) . Nel conto finale sono poi diventati oltre 615 milioni di euro (616.996.255), con un aggravio di spesa di 253 milioni e spicci. Oltre al caso eclatante della neo-ministro Michela Vittoria Brambilla, che è riuscita a spendere per il turismo circa 24 volte il suo budget, passando da 600 mila a 15 milioni di euro, in termini percentuali sono stati i colleghi Carfagna e Brunetta a sfondare i tetti concordati. La prima ha speso quasi cinque volte il milione e mezzo di euro di cui disponeva (sulla cifra ha pesato l’istituzione dell’osservatorio per la pedofilia). Il secondo quasi otto volte i 737.352 euro destinati a “Innovazione e tecnologie”. In cifra assoluta il funzionamento ha però visto l’aggravio di spesa maggiore per il funzionamento proprio per le spese del segretariato generale della Presidenza: rispetto alla previsione iniziale ha sforato di 142 milioni di euro. Tra questi figurano 15 milioni e mezzo di euro spesi per il raduno degli Alpini a Latina (5 milioni) e i XVI Giochi del Mediterraneo, inseriti, con un certo sforzo di fantasia, nel quadro normativo delle “misure urgenti a sostegno dei settori industriali in crisi”.

L’altro salto tra quanto si prevedeva di spendere e quanto poi si è speso, è alla oramai nota voce “Protezione civile”. La struttura che fa capo a Guido Bertolaso ha speso 141.884.213 euro, contro i 63.006.000 previsti. Si badi bene, però, che non parliamo della spesa complessiva, che, spinta anche dal terremoto, ha raggiunto per il 2009 una cifra ben oltre il miliardo di euro, ma della spesa per il solo “funzionamento”.
Tra i decreti di “variazione” del bilancio relativi alla Protezione Civile si annotano i 100 milioni di euro stanziati per gli “Interventi urgenti di protezione civile diretti a fronteggiare la grave situazione di pericolo in atto nell’area archeologica di Roma e provincia”, le diverse tranche per l’emergenza del sisma abruzzese per una cifra complessiva che supera il miliardo di euro e poi fondi a emergenze passate e presenti, dai 50 milioni di euro per gli “eventi atmosferici avversi dell’ultimo triennio” ai 20 milioni per l’alluvione della provincia di Messina.

Ritornando ai ministri poco virtuosi, ecco spuntare il milione e ottocentomila investito (oltre i 4.117.000 previsti) per le Politiche Antidroga che nel governo sono in capo al sottosegretario Carlo Giovanardi. Sottosegretario che invece non ha “sgarrato” sulle “politiche per la famiglia”: 442.800 euro erano previsti, e tanti ne sono stati spesi. Non tutti, infatti, a Palazzo Chigi, hanno buttato la calcolatrice. La notizia potrà sorprendere, ma diversi sono anche i ministri “virtuosi”. Elio Vito, ad esempio, che ha la delega ai Rapporti con il Parlamento 924.700 euro doveva spendere e 924.700 euro ha speso. Così come anche Raffaele Fitto, agli Affari Regionali, non ha sforato il budget di 2.733.960. Addirittura sulla “semplificazione normativa” il ministro Roberto Calderoli è riuscito a risparmiare un milione di euro. Sui 3 milioni e mezzo previsti, ne ha spesi 2.477.000. Anche sullo Sport si sono tagliati 100mila euro. Ma alla fine il conto finale è quello che è: un miliardo e mezzo oltre la previsione. (Il Fatto Quotidiano)

mercoledì 7 luglio 2010

Nel segno di Falcone, Borsellino... e Saviano

“Temo che la magistratura torni alla vecchia routine: i mafiosi che fanno il loro
mestiere da un lato, i magistrati che fanno più o meno bene il loro
dall’altro, e alla resa dei conti, palpabile, l’inefficienza dello
Stato”. (Giovanni Falcone)

"Occorre compiere fino in fondo il proprio dovere, qualunque sia il
sacrificio da sopportare, costi quel che costi, perche' e' in cio' che
sta l'essenza della dignita' umana. ( Paolo Borsellino)

Saviano a El Pais: “L’Italia è un paese cattivo, sto pensando di andarmene”
di Redazione Giornalettismo

Lo scrittore in un’intervista rivela che potrebbe trasferirsi all’estero: “Per la gente il nemico non è il sistema, ma chi lo combatte”. “Italia es un paìs malvado para vivir”: Roberto Saviano, in un’intervista a Lola Galan del Pais, si sfoga dopo le polemiche degli ultimi mesi sul suo ruolo di scrittore antimafia e sulle polemiche con Berlusconi, senza mai nominarlo. Ma soprattutto, rivela di aver voglia di andarsene via: “Qui se hai un lavoro, o se riesci nella vita, la gente pensa che tu sia un raccomandato. E si vivono troppi anni senza avere i diritti garantiti”.

VIVERE SOTTO SCORTA - L’articolo comincia ricordando i cinque milioni di copie vendute del suo romanzo Gomorra, e la sua vita sotto scorta: “E’ il prezzo del successo. Sono usciti molti libri in Italia sulla Mafia, alcuni di alta qualità, ma la differenza è che la mia storia ha avuto un successo enorme. In caso contrario, nulla sarebbe accaduto. A volte penso che sto pagando un prezzo alto, ma perché continuo a scrivere. Non voglio diventare un “mafiologo” o un simbolo che viaggia il mondo per testimoniare. Non ho nemmeno paura di morire: ho parlato della mia morte così tante volte che ormai mi sembra una cosa che non mi riguarda. Ho paura di continuare a dover vivere così”. Cioè, sotto scorta e minacciato, in continuo pericolo di vita.

ANDARSENE DALL’ITALIA? – Tanto che Saviano dice anche di star cominciando a pensare di cambiare paese. “Sto pensando di andarmene. Spagnoli e francesi vedono l’Italia come un paese pieno di belle donne e bei paesaggi, ma non è così: in Italia si vive male, è un paese ‘feroce’”. Perché? “Perché qui in Italia se sei perseguitato da un sistema, prima o poi la gente comincia a pensare che tu stia facendo la vittima. Per la gente il nemico non è il sistema, ma l’individuo che è riuscito a fare qualcosa nella vita. Se lavori, si chiedono chi ti ha raccomandato. Se lavori in televisione, pensano che qualcuno ti ci ha ‘infilato’. E nell’80% dei casi è così, ma la gente si sente legittimata a pensare che questo accada sempre. E’ la nostra frustazione”.

IL PROBLEMA DEL PAESE – Saviano ritiene poi che abbia più impatto sulla vita dei singoli i vizi endemici dei paesi. Nel caso dell’Italia sarebbe la mancanza endemica del rinnovamento. “Se si guarda una politica francese, inglese o spagnola, ogni 10 anni ci sono facce nuove. In Italia, no. Ci sono paesi come la Romania, la Macedonia, Serbia e Grecia, che hanno la medesima politica dal10 anni. Ma nessun altro paese ha gli stessi politici stessi per 20 anni, come capita da noi”.

mercoledì 30 giugno 2010

Terremoto: i cittadini aquilani lanciano pomodori a Minzolini

di Tommaso Caldarelli

Pioggia di verdura di varia natura in direzione della rai di viale Mazzini. “Non ci sentiamo più rappresentati da questa televisione pubblica”

Melanzane, pomodori, “verdura varia” lanciati contro il cavallo rampante: è la manifestazione di protesta messa in piedi da alcuni cittadini de l’Aquila, assembratisi davanti agli uffici della Rai per protestare contro il silenzio stampa dei TG pubblici riguardo alla ancora critica situazione della ricostruzione abruzzese, e in particolare sul blackout trasmissioni sulla manifestazione cittadina del 16 giugno scorso. La folla degli abruzzesi, scrive l’Ansa “ha animato il sit-in indirizzando principalmente urla di insulti al direttore del Tg1 Augusto Minzolini.”

MENZOGNINI – “Non ci sentiamo più rappresentati da questa cosiddetta televisione pubblica in cui noi dovremmo essere tutti editori” – ha spiegato Annalucia Bonanni, professoressa abruzzese, una delle animatrici del curioso flashmob. “ La televisione di stato, che per un anno ha fatto propaganda di ogni iniziativa del governo, adesso che le contraddizioni dell’intervento governativo vengono a galla, censura qualsiasi tipo di manifestazione di critica”. Gli aquilani presenti sul posto, al grido di “Menzognini dimettiti”, promettono che la lotta non finirà oggi: la loro è una semplice delegazione, spiegano, ma gli intervenuti alla prossima mobilitazione generale del 6 luglio “saranno molti di più”.

TG2 ALLA NUTELLA – Critiche anche al Tg2, reo, secondo i manifestanti, di aver mandato in onda, il giorno della manifestazione, un servizio sulle proprietà nutrizionali della cioccolata: per questo, è stata allestita una distribuzione gratuita di pane e Nutella. Immediata la replica del telegiornale diretto da Mario Orfeo, che precisa, in una seconda nota sempre diramata dall’Ansa, di aver dato rilevanza alla manifestazione aquilana con un servizio andato in onda nel Tg2 delle 13 e 30 del 17 giugno, riproponendolo poi addirittura nell’edizione di prima serata due giorni dopo, il 19.

MA VAI VIA! – Durante la manifestazione, si sarebbe affacciato a discorrere con gli abruzzesi Rodolfo De Laurentiis, consigliere d’amministrazione dell’azienda in quota UDC, abruzzese tanto quanto i lanciatori di pomodori, per proporre un incontro tra i vertici aziendali e gli abruzzesi manifestanti: è stato cacciato. “Vengono a chiedere a noi di entrare alla Rai e raccontare quello che succede ma sono loro che devono fare informazione, facessero il loro lavoro”, ha urlato la Bonanni al megafono. “Se hanno qualcosa da dire, che lo dicano al Tg1″. Nel mirino anche Bruno Vespa, aquilano d’origine: “togliamogli la cittadinanza”, hanno urlato i manifestanti.

http://www.giornalettismo.com/archives/69456/terremoto-cittadini-aquilani/

mercoledì 23 giugno 2010

Analisi editoriale: reato vs peccato....

Reati e peccati. L'editoriale di Marco Travaglio - Annozero puntata del 20/05/10 .


by Marco Travaglio. buon ascolto...

domenica 30 maggio 2010

venerdì 28 maggio 2010

NO AL BAVAGLIO

No al bavaglio
di Mauro Munafò


Manifestazioni, raccolte di firme, appelli, gruppi su Internet: l'Italia che non ci sta inizia a muoversi seriamente contro la norma Alfano. Che con la scusa della privacy censura il giornalismo giudiziario, mette al sicuro le cricche e avvantaggia la mafia

Mentre il ddl Intercettazioni continua la sua corsa alla commissione Giustizia del Senato, il movimento di protesta contro l'ennesima legge vergogna raduna le energie. Le associazioni, i gruppi, i sindacati e le altre forze che hanno animato negli ultimi tempi la protesta civile si sono mobilitate per dire ancora una volta "no" al provvedimento che metterà un bavaglio alla giustizia e all'informazione italiana.

L'appuntamento per manifestare contro la nuova legge è fissato per venerdì 21 maggio: alle 14 in piazza Montecitorio, a Roma, inizierà un sit-in di protesta proprio davanti al Parlamento. Durante il sit-in sarà allestito uno speaker's corner dal quale ciascuno potrà esprimere il proprio dissenso, mentre i manifestanti si presenteranno all'appuntamento imbavagliati. Oltre all'evento di Roma si stanno moltiplicando le proteste contemporanee nelle altre città d'Italia: sul sito del Popolo Viola è già possibile trovare informazioni su Savona e Cagliari e nelle prossime ore altre ne arriveranno.

L'avvicinamento alla protesta "reale" è stato preparato attraverso raccolte firme diffuse su vari spazi online. Il fulcro della mobilitazione è il sito No Bavaglio che ha già raccolto oltre 76mila nominativi su un appello redatto, tra gli altri, dal costituzionalista Valerio Onida. Altre sottoscrizioni importanti sono state aperte sul sito della edizioni Laterza e su quello dell'associazione Articolo 21.

A questi siti "stand alone" devono poi aggiungersi i tanti gruppi su Facebook che stanno raccogliendo il malcontento diffuso in rete. Non bisogna infatti dimenticare che il ddl intercettazioni prevede una forte limitazione della libertà di manifestazione del pensiero in rete attraverso l'arma dell'obbligo di rettifica: blogger e semplici utenti dei social network sono insomma colpiti in prima persona da questa legge. Proprio il pericolo di un bavaglio su tutto il web ha portato alla nascita di nuove pagine su Facebook, ma anche alla nuova mobilitazione dei gruppi che avevano già animato la protesta nei mesi scorsi. Oltre alla popolata pagina di
No Bavaglio è nato il gruppo per la pubblica resistenza contro il ddl intercettazioni. Intanto sia il Popolo Viola con i suoi 260 mila iscritti che la Valigia Blu con altri 10mila hanno confermato il loro sostegno alla protesta. Beppe Grillo ha invece annunciato la sua "indifferenza civile" e di non avere intenzione di lanciare una nuova campagna contro questa legge: si "limiterà" a non rispettarla. Oltre ai movimenti nati sul web, la protesta è sostenuta con forza da sindacati e associazioni. Editori della Fieg e della Aie, giornalisti della Fnsi, magistrati dell'Anm e persino gli ambientalisti di Legambiente che parlano di "un regalo alle ecomafie". Tutti insieme contro il bavaglio.


(20 maggio 2010)

giovedì 27 maggio 2010

lunedì 24 maggio 2010

giovedì 11 marzo 2010

Il legittimo impedimento è anticostituzionale?

Il "legittimo impedimento" è legge. Stabilisce che i processi in cui B. e i suoi ministri sono imputati vanno rinviati fino a un massimo di 18 mesi se la presidenza del Consiglio dei ministri (cioè B. e i suoi ministri) dichiara che B. e i suoi ministri (cioè gli imputati) hanno un impedimento continuativo correlato allo svolgimento delle loro funzioni. Mi rendo conto che la sintassi è un po’ contorta. Proviamo così: la legge dice che B. e i suoi ministri decidono se i processi in cui sono imputati si possono fare o no. Ecco, in questo modo è più chiaro. Si può convenire sul fatto che talvolta i giudici possono sottovalutare gli impegni istituzionali di queste personalità e non rendersi conto di quanto siano rilevanti funzioni di governo quali l’inaugurazione della mostra della barbabietola di Poggiobelsito; e potrebbero quindi, in un caso come questo, rifiutarsi di rinviare un processo per corruzione e frode fiscale per svariati milioni di euro, magari prossimo alla prescrizione. Così una legge che prevede l’elenco tassativo dei compiti di governo è proprio una buona cosa: certi impegni costituiscono legittimo impedimento a comparire in udienza; e il giudice deve rinviare il processo senza che gli sia consentito di discettare sulla prevalenza della giurisdizione rispetto all’inaugurazione della ferrovia che finalmente unisce Piancavallo di Sotto a Piancavallo di Sopra.

In effetti l’art. 1 della legge proprio questo fa: elenca le norme che prevedono i compiti del presidente del Consiglio e dei Ministri (vedi la Scheda di lettura allegata al testo della legge approvata dal Senato, pag. 18 -22). E stabilisce che in tutti questi casi il giudice deve riconoscere il legittimo impedimento. Niente da dire, è proprio giusto.Solo che le mostre, i convegni, le gallerie a un certo punto finiscono; e così, sempre l’art. 1 prevede che il legittimo impedimento può anche essere costituito da "ogni attività comunque coessenziale (?) alle funzioni di governo". La sussistenza di queste attività è attestata dagli stessi che vogliono avvalersene; il tutto senza bisogno di specificare in cosa consistano. Messa così, somiglia tanto a una prerogativa personale, un déjà vu: un’immunità già bocciata dalla Corte Costituzionale (Lodo Schifani e Lodo Alfano), oggi addirittura estesa a un paio di decine di persone. Il presidente della Repubblica se ne renderà conto? Lo capirà che si tratta dell’ennesima legge incostituzionale che serve solo a evitare una sentenza che dica che B. ha corrotto l’avv. Mills?

Per la verità la cosa dovrebbe riuscirgli facile perché quale sia il vero scopo della legge lo dichiarano apertamente proprio B&C. Sempre l’art. 1 dice che il legittimo impedimento vale per le udienze penali in cui presidente del Consiglio e ministri sono imputati. Quindi non vale quando siano chiamati a testimoniare. Domanda: se il problema consiste nel fatto che la presenza alle udienze penali è incompatibile con le "attività coessenziali alle funzioni di governo", com’è che questa incompatibilità non è stata prevista quando si tratta di testimoniare? In questi casi inaugurare gallerie e presenziare a mostre non è più "coessenziale"? Serve altro per dimostrare che si tratta dell’ennesima immunità personale già dichiarata incostituzionale? Magari sì, serve altro. E allora si veda l’art. 2: la legge ha validità "fino alla data di entrata in vigore della legge costituzionale recante la disciplina organica delle prerogative del presidente del Consiglio dei ministri e dei ministri", cioè fino all’agognato Lodo Alfano costituzionale (che sarà incostituzionale pure lui, ma ancora non se ne sono accorti).

Dunque è evidente che il legittimo impedimento non serve a dirimere il contrasto tra gli impegni "coessenziali" di B&C e le necessità della giurisdizione, poiché questo eventuale contrasto non cesserà di esistere trascorsi 18 mesi. Ecco, lo dicono loro, B&C, il legittimo impedimento significa immunità; solo che è provvisoria, deve durare fino al Lodo Alfano costituzionale. Ma, provvisoria o definitiva che sia, resta incostituzionale. Serve altro? Magari sì. Sempre l’art. 2 afferma che è necessario “consentire al presidente del Consiglio dei ministri e ai ministri il sereno svolgimento delle funzioni loro attribuite dalla Costituzione e dalla legge”. Il sereno svolgimento? E che c’entra con il legittimo impedimento che garantisce le “funzioni coessenziali all’attività di governo”? Se sussistono, nessun giudice le potrà ignorare, anche perché l’art. 1 ne ha previsto un elenco tassativo; se non sussistono, non c’è motivo di rinviare i processi.

Sicché è evidente che la legge non serve a regolamentare i rapporti tra le "funzioni coessenziali di governo" e la giurisdizione; ma a tutelare la psiche di B&C, provata dal concreto rischio di finire in galera. E di nuovo questa è immunità personale, già giudicata incostituzionale etc etc. Serve altro? Sì, magari. La Scheda illustrativa allegata al testo della legge approvata dal Senato contiene frasi significative.
Tra queste: vi è la "necessità di tenere al riparo cariche elettive e, in particolare, cariche esecutive dall’esercizio strumentale dell’azione giudiziaria da parte della magistratura". Eccolo l’effettivo scopo della legge, un’immunità già due volte ritenuta incostituzionale. Per di più giustificata dal fatto che la magistratura, com’è noto a tutti, commette abitualmente reati quali la calunnia, l’abuso d’ufficio, il falso in atto pubblico (trattasi di elenco non esaustivo).

Non male come tecnica legislativa. Il presidente della Repubblica ha già detto (in occasione dello scudo fiscale) che è inutile non firmare una legge, per quanto abominevole essa sia; tanto, ha detto, se gliela presentano una seconda volta, è obbligato a firmarla. È già stato osservato che questo non è vero; che c’è sempre un momento in cui ci si deve dissociare dalla prepotenza e dall’abuso; che esiste la strada delle dimissioni; che qualcuno dovrà pur dire ai cittadini che un governo spregiudicato e arrogante e un Parlamento asservito emanano leggi illegali (perché funzionali a interessi privati) e, naturalmente, incostituzionali. Qualcuno deve dirlo. E avrà pure un senso che il presidente della Repubblica abbia prestato giuramento di osservanza della Costituzione (art. 91). Si osserva la Costituzione promulgando leggi del genere?

da il Fatto Quotidiano dell'11 marzo

martedì 9 marzo 2010

Gli italiani non si scandalizzano più di niente... (purtroppo)

di Paolo Collo

Corruzione, mafie, falsi in bilancio, appalti truccati, vallettopoli, tangentopoli: non distinguono tra corrotti e corruttori per non mettere in dubbio l’immagine di B.

Sicuramente anche voi avrete o avete a che fare con persone che, nonostante l’evidenza dei fatti, continuano a non vedere – a non voler vedere – quanto sta accadendo in Italia e con chi abbiamo a che fare. Non sono persone ”schierate” che leggono “Libero” o “Il Giornale” o fogliacci simili, che tengono la fotografia di Feltri o di Cicchitto sopra il letto o che hanno il fazzolettino verde che spunta dal taschino. Sono persone “normali”, tendenzialmente democratiche, istruite, perbene. Che, ad esempio, comprano un quotidiano non particolarmente di parte come “La Stampa” di Torino.

Ma pur leggendo gli articoli di Gramellini, della Spinelli, di Luca Ricolfi, di Carlo Federico Grosso o del direttore Mario Calabresi (tutti articolisti spesso critici nei confronti del presidente del consiglio e del suo branco di cagnolini scodinzolanti), i quali spesso e volentieri mettono il dito sulle tante piaghe di questo governo e di questi governanti, “non vedono”, sono ciechi, sordi e conseguentemente muti di fronte allo strapotere del Sultano.

In questo modo riescono poi a indignarsi o a protestare – con amici o parenti o colleghi – riguardo la corruzione, le tasse, la disoccupazione dilagante, le piccole o grandi opere non fatte, il falso in bilancio, le seicentomila auto blu, le violentissime critiche della stampa estera, e poi le varie vallettopoli, tangentopoli e via ravanando nel pattume quotidiano, senza collegare colpe e colpevoli, senza distinguere tra corrotti e corruttori, e soprattutto senza mettere in dubbio l’immagine di B. Anzi, perdonandogli quasi tutto. “Tanto sono poi tutti uguali”, dicono. E’ forse su questo che bisognerebbe ragionare. Chi deve fare veramente paura non sono gli imbecilli con le teste rasate o le patetiche ronde della lega. Chi “mi” fa paura è ancora una volta la cosiddetta “gente normale”.

http://domani.arcoiris.tv/?p=4370