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mercoledì 6 ottobre 2010

Chiamate le guardie... (o almeno l'ambulanza)

In certi bar di periferia c’è sempre un vecchietto che entra a una cert’ora e comincia a molestare i clienti millantando imprese amatorie immaginarie, infastidendo la cassiera con approcci sconci, raccontando barzellette che non fanno ridere intervallate ogni tanto da un bestemmione. A quel punto il titolare lo prende con le buone: “Senti, fenomeno, o te ne vai oppure chiamo le guardie”. Le quali, sottopostolo alla prova del palloncino e constatato che è ancora sobrio, lo avviano nel più vicino centro di igiene mentale per il Tso, il trattamento sanitario obbligatorio. Ecco, all’Italia manca un titolare che prenda l’iniziativa e faccia visitare il presidente del Consiglio da uno bravo: più che una commissione parlamentare, infatti, ci vorrebbe un consulto di psichiatri per esaminare le sue ultime parole ed escandescenze.

L’altro giorno è uscito da Palazzo Grazioli e ha incontrato un gruppetto di fans. All’improvviso, ne ha apostrofato uno: “Tu sei un giudice? No, sui giudici voglio dirvi una cosa perché abbiate la consapevolezza di quello che succede…”. Figurarsi la sorpresa del malcapitato. Ormai il pover’ometto vede giudici dappertutto, appena esce di casa. E, avendo mangiato pesante e dormito anche peggio, consegna al primo che passa di lì i suoi incubi più recenti: “Visto che il processo Mills sta arrivando alla prescrizione, il pm De Pasquale s’è inventato la seguente storia: il reato di corruzione c’è quando il corruttore dà i soldi al corrotto”. Capìta la bizzarria di questo pm? S’è fatto l’idea che la corruzione scatti quando il corruttore paga la mazzetta al corrotto. Pare addirittura che sia convinto, nella sua mente malata, che la rapina scatti quando uno entra in banca a mano armata e si fa aprire il caveau dal cassiere; e che lo scippo si configuri quando il ladro strappa la borsetta alla signora. Di questo passo, chissà dove andremo a finire. Ma “la cosa tragica” è che nel processo Mills “tre diversi collegi – primo, secondo grado, cioè l’appello e terzo, la Cassazione – hanno asseverato la tesi” del pm, “dimostrando che c’è un accordo fra i giudici di sinistra per sovvertire il risultato delle elezioni ed eliminare colui che è stato eletto dagli elettori”. Il poveretto ce l’ha con le sentenze a carico di Mills, ritenuto colpevole di corruzione giudiziaria in tutti e tre i gradi di giudizio, anche se in Cassazione la condanna a 4 anni e mezzo di primo e secondo grado è caduta in prescrizione.

Dunque la prova del complotto sta nel fatto che una sentenza viene confermata in tutti e tre i gradi di giudizio. Se ne desume che: se uno viene condannato in tribunale e poi assolto in appello, o condannato in appello e assolto in Cassazione, c’era un complotto dei pm ai suoi danni; se viceversa i giudici lo ritengono tutti colpevole, c’è un complotto ai suoi danni lo stesso. Ora, nelle carceri italiane ci sono oltre 45 mila detenuti (su 69 mila) che scontano una pena definitiva. E tutti hanno avuto la condanna confermata in tribunale, appello e Cassazione: dunque – secondo il teorema B. – sono tutte vittime innocenti di “un accordo fra i giudici di sinistra per sovvertire il risultato delle elezioni”. Ergo vanno liberati tutti con tante scuse. L’illustre infermo dà il meglio di sé a proposito del “famigerato” pm Fabio De Pasquale che, guarda caso, è il pm dei suoi tre processi congelati dal legittimo impedimento (Mediaset, Mediatrade e Mills). Sarebbe lui il colpevole del suicidio di Gabriele Cagliari, il presidente craxiano dell’Eni che prendeva mazzette a tutto spiano. Naturalmente, come hanno già appurato gl’ispettori ministeriali, il ministro Conso, il Pg della Cassazione, i pm e i giudici di Brescia, non è vero niente: Cagliari si tolse la vita per la vergogna di quel che aveva fatto. Ma il vecchietto, giù di memoria, insiste. Si è persino convinto che alla Consulta si annidino ben “11 giudici di sinistra” su 15 (in realtà quelli nominati dal centrosinistra sono due, gli altri sono di destra o apartitici e su ben 6 garantiva la P3). Chi può, per pietà, chiami le guardie. O almeno l’ambulanza.

Editoriale di Marco Travaglio

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