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mercoledì 20 aprile 2011

Arrivano i nostri. Nuovi magistrati a Sciacca

Quattro nuovi e giovani magistrati vanno a rimpolpare l’organico operativo della Procura di Sciacca che adesso potrà tornare a lavorare a pieno regime e con rinnovata lena. Commenti positivi da Pantaleo, Vella e Genna

Finalmente arrivano nuovi magistrati nella Procura di Sciacca che, per tanti mesi, è stata sull’orlo della chiusura a causa della carenza di organico e personale.
I quattro nuovi giudici sono sono: Michele Marrone di 39 anni, nato a Trapani e che ha svolto il tirocinio a Bologna; Giovanni Lucio Vara, di 28 anni, nato a Foggia, il quale ha ultimato il proprio tirocinio a Milano; Alessandro Moffa, di 31 anni, nato a Lanciano, anch’egli impegnato nel tirocinio in quel di Bologna e infine Silvia Capitano, la quale ha svolto il tirocinio a Roma, la capitale d’Italia.
Soddisfazione naturalmente è stata espressa dal procuratore Vincenzo Pantaleo, dal magistrato Salvatore Vella e dal Presidente del Tribunale di Sciacca Andrea Genna che, in particolar modo, ha invitato i nuovi giovani colleghi ad intraprendere questa avventura nel solco della prudenza.
Decisivo per rimpolpare gli organici giudiziari è stato soprattutto il cambiamento della legge che, fino a poco tempo fa, impediva l’arrivo nelle Procure di uditori di prima nomina.
L’arrivo dei quattro giovani magistrati era già noto da alcuni mesi ma, seguendo i tempi prestabiliti, hanno preso l’incarico durante l’ultima settimana.
Li attende un lavoro duro e impegnativo, sicuramente sono diverse le procedure in arretrato, proprio a causa dell’esiguità delle risorse umane antecedenti al loro arrivo. Per dirla alla Alfano, il ministro della Giustizia, anche loro adesso potranno godersi “lo splendido panorama” che si gode dal Tribunale, tale da scongiurarne ogni rischio di chiusura.
Durante la loro presentazione ufficiale alla stampa e ai colleghi del tribunale, si è parlato anche degli ultimi fatti di cronaca nera e giudiziaria, ponendo l’attenzione sull’escalation criminale che sta coinvolgendo il territorio di Ribera, ultimo caso l’intimidazione al sindaco Carmelo Pace, la situazione esplosiva di Lampedusa e i diversi furti di auto e negli appartamenti denunciati da cittadini saccensi.
Tutta la redazione del Settimanale “ControVoce” augura un buon lavoro ai nuovi magistrati e una buona permanenza a Sciacca.

Calogero Parlapiano - tratto da "ControVoce"

sabato 26 marzo 2011

La Guerra in Libia... secondo Maurizio Crozza...


Ballarò 22 03 2011 La Libia, l'Italia, le ragioni di un conflitto
La Libia, l'Italia, la comunità internazionale. Le ragioni di un conflitto con chi, poche settimane fa, sembrava essere un grande amico dell'Italia è il tema della puntata di Ballarò.

Ad alimentare la discussione in studio, con Giovanni Floris, ospiti italiani e internazionali tra i quali il politologo francese Marc Lazar e la conduttrice di Al Jazeera Barbara Serra.
Tra gli altri ospiti, il presidente dell'IdV Antonio Di Pietro, il ministro dello sviluppo economico Paolo Romani, il presidente di Alleanza per l'Italia Francesco Rutelli, il vice-ministro alle infrastrutture Roberto Castelli della Lega Nord, l'analista strategico Alessandro Politi, il giornalista Antonio Polito.

venerdì 15 ottobre 2010

L’Afghanistan ci costa 51 milioni al mese, Strada: “E non sanno neppure dove si trova”

L’Afghanistan ci costerà 51 milioni al mese, quest’anno. A fronte dei 45 dell’anno scorso. In febbraio il Senato ha votato il rifinanziamento della missione, e da giugno la spesa sarà ancora più alta. La Russa l’ha detto: arriverà un altro migliaio di sodati. Eppure l’invio e la permanenza del nostro contingente, a fronte del “pantano” che la missione si sta dimostrando essere, sembra collimare sempre meno con l’articolo 11 della Costituzione, quel “L’Italia ripudia la guerra come strumento di risoluzione delle controversie internazionali” fin troppo ignorato.
Gino Strada, di Emergency, è del tutto contrario alla riconferma dell’invio di nostri soldati. ”Vivo questo voto con l’animo disgustato da questa classe politica, che definisco di delinquenti politici. Perché quando una classe politica, la stragrande maggioranza del parlamento, vota contro la Costituzione del proprio paese, delinque contro la propria Costituzione, quindi il termine è appropriato. Oltre questo – ha continuato Strada – c’è lo sdegno per chi non vuol vedere la strage di civili che sta avvenendo in questi giorni, proprio in queste ore, dove si stanno compiendo crimini di guerra inauditi. Non solo si massacrano civili ma si impedisce che i feriti vengano evacuati negli ospedali. Di questo, ovviamente, abbiamo numerose testimonianze, da parte dei pochi che sono riusciti a superare i cordoni che le forze di occupazione hanno disposto intorno ai luoghi dei bombardamenti. Chiediamo ancora, con forza, che si apra un corridoio umanitario per soccorrere la popolazione civile di Marjah“.
Il capo dell’associazione volontaria ha poi un appunto da fare sui mezzi del contingente italiano. Il ministro della Difesa aveva assicurato: i nostri velivoli non possono portare agli errori cui hanno condotto i militari americani. ”Al ministro chiedo, e allora cosa sono i nostri, aerei da turismo? – ha commentato, duro, il medico – Cosa fanno, portano in giro i turisti a vedere i bombardamenti? Cosa ci fanno gli aerei militari in zone dove si sta bombardano? Sono affermazioni ridicole. Piuttosto, possiamo indicare alcuni dei pericolosi terroristi feriti dalle operazioni militari nella zona di Marjah. Feriti, perché i morti non li vediamo. Un ragazzo di 10 anni di nome Fasel, una bambina di 12 di nome Rojah che stava prendendo acqua al pozzo e si è presa una pallottola in un fianco, Said, di 7 anni, con una pallottola nel torace, un bambino di 9 anni di nome Akter che stava guardando dalla finestra quando gli hanno sparato in testa… questi sono i talebani“.
“I nostri politici – ha detto Gino Strada – non sanno niente dei talebani, non sanno di cosa parlano. Non saprebbero nemmeno indicare l’Afghanistan su una cartina muta. Purtroppo, questa è la gente che prende decisioni costano la vita a tanti afgani. E che costa una quantità di soldi impressionanti agli italiani. Siamo un paese dove si perdono centinaia di migliaia di posti di lavoro e si buttano via centinaia di milioni in una guerra per sostenere questo piuttosto che quel governo afghano. Mi piacerebbe avere un parlamento decente. Sull’Afghanistan continuano a dire agli italiani bugie clamorose, palle gigantesche. L’unica cosa da fare è smettere di sostenere questa classe politica. Io, personalmente, mi rifiuto di andare a votare. Lo farò quando ci saranno politici degni di questo nome”.
Vincenzo Marino

http://www.newnotizie.it/2010/05/19/lafghanistan-ci-costa-51-milioni-al-mese-strada-e-non-sanno-neppure-dove-si-trova/

domenica 25 aprile 2010

25 APRILE... SEMPRE. CONTINUARE A RESISTERE. La storia di Gildo Moncada

Alla vigilia del 25 aprile, 65° anniversario della Liberazione d’Italia dal nazi-fascismo, un ricordo di Gildo Moncada, partigiano, grafico e pittore.
Mio padre.
Tra gli attestati che egli ha ricevuto mi piace menzionare il “Diploma d’onore ai combattenti per la libertà d’Italia 1943-1945” conferitogli il 19 giugno 1984 dall’allora presidente della Repubblica Sandro Pertini e dal Ministro della Difesa Giovanni Spadolini.
Tanti furono i siciliani, gli agrigentini che, da volontari per la libertà, combatterono la guerra di Resistenza fino all’estremo sacrificio della propria vita, per gli ideali di Libertà, Democrazia e Patria.
Mio padre, Gildo Moncada, agrigentino, fu uno di questi. Il 26 aprile del 1944, entrò a far parte della Brigata partigiana “Leoni” operante in Umbria e nel territorio confinante con le regioni Toscana e Marche, dipendente dalle ricostituite Forze Armate Italiane e dalle truppe alleate anglo-americane comandate dal generale Alexander.
Gildo Moncada divenne partigiano, volontario per la libertà, a 16 anni e 3 mesi.
Ragazzino, decise di lasciare la famiglia di mio nonno Raimondo, per dare il suo contributo alla grande rivolta di popolo che fu la Resistenza per liberare l’Italia dall’occupazione e dall’oppressione nazi-fascista.
Risalgono al 19 e 20 giugno 1944 alcune sue foto in divisa partigiana, durante i giorni della Liberazione di Perugia.
Durante un’azione militare a San Sepolcro (in provincia di Arezzo), nella caldissima area di guerra rappresentata dalla Linea Gotica, e in uno dei momenti più cruenti del secondo conflitto mondiale, venne gravemente ferito.
Rientrato definitivamente dieci anni dopo nella sua terra, mutilato ad una gamba, è stato fino al 1997 sempre tra gli organizzatori della Festa Nazionale del 25 aprile ad Agrigento assieme al senatore Salvatore Di Benedetto, comandante partigiano, grande invalido di guerra, e presidente provinciale dell’Anpi (Associazione Nazionale Partigiani d’Italia), e rappresentanti di altri enti, Istituzioni, partiti e sindacati.
Un ricordo personale affinché la memoria viva nelle nostre carni e non cancelli, rimuova, mortifichi - anzi onori - il sacrificio di quanti hanno dato la vita per consentirci di vivere in una Patria pacificata, unita, libera, democratica e repubblicana.

Raimondo Moncada

domenica 7 marzo 2010

Il silenzio dei media sulla Palestina che muore

di Paolo Maccioni

Dai blog d’Oltreoceano si apprende una notizia ripresa pure dai più attenti blogger nostrani e quasi per niente dai media a grande diffusione.

Martin Kramer, membro di un centro studi dell’Università di Harvard, oltre che dell’influente Winep, Istituto per le politiche del vicino Oriente, alla conferenza Herzliya in Israele ha teorizzato misure per limitare le nascite del popolo palestinese.

Kramer ha pure auspicato che l’Occidente smetta di fornire aiuti che possono incoraggiare i palestinesi a riprodursi e dar vita così a «giovani maschi superflui» (parole sue).

Insomma: se patisce d’inedia, la popolazione palestinese invecchia e diminuisce di numero, così il problema del terrorismo è risolto. Ovvero: incitamento al genocidio, secondo il diritto internazionale.

Alcuni intellettuali condannano l’esecranda posizione di Kramer, come M.J. Rosenberg e Richard Silverstein che l’hanno definito rispettivamente “genocida” e “razzista anti-musulmano”, o come Stephen Walt che lamenta la pilatesca indolenza di Harvard rispetto alle richieste di allontanamento o di sanzione.

Quando ci si chiede: ma com’è potuto accadere che quando settant’anni fa alcuni intellettuali redassero il manifesto della razza la gente non si oppose e non s’indignò abbastanza?

Ecco, si può rispondere: è possibile esattamente come oggi sono in pochi a indignarsi per questa idea. Intanto perché sono in pochi a conoscerla. L’eco data dai blog alla sconcertante notizia contrasta con l’assurdo, complice silenzio dei media ufficiali.

Da «E Polis» (3 marzo 2010)
La foto in apertura è tratta da http://www.nowpublic.com/world/gaza-holocaust-4.

http://www.megachipdue.info/component/content/article/42-in-evidenza/3017-idee-genocide-antipalestinesi-e-silenzio-dei-media.html

sabato 27 febbraio 2010

Guerra in Afghanistan. Gino Strada: "Sono dei delinquenti"

di Daniele De Luca

Il Senato si appresta a votare il rifinanziamento della missione in Afghanistan. Cinquantuno milioni di euro al mese. Il fondatore di Emergency a CNRmedia: "Vivo questo voto con l'animo disgustato da questa classe di delinquenti politici. La stragrande maggioranza del parlamento vota contro la Costituzione, quindi il termine è appropriato".


Il Senato si appresta a votare il rifinanziamento della missione italiana in Afghanistan. Spenderemo 51 milioni di euro al mese. Da giugno la spesa sarà ancora maggiore, perchè arriveranno altri mille militari. L'anno scorso il costo era stato di 45 milioni di euro al mese. La missione, visto quello che succede in Afghanistan, sembra sempre più in contraddizione con l'articolo 11 della Costituzione: "L'Italia ripudia la guerra come strumento di risoluzione delle controversie internazionali".

Nei giorni scorsi l'onorevole Maurizio Turco (radicale eletto nelle liste del Pd), assieme ad altri cinque deputati radicali che, come lui, alla Camera non votato il rifinanziamento della missione, ha presentato un'interrogazione parlamentare alla Difesa sulla reale natura bellica della nostra missione militare in Afghanistan, denunciandone quindi l'incostituzionalità. Abbiamo raccolto l'opinione di Gino Strada.

Gino Strada, con che animo vive questo nuovo voto del Senato che rifinanzia la missione italiana in Afghanistan?

"Vivo questo voto con l'animo disgustato da questa classe politica, che definisco di delinquenti politici. Perché quando una classe politica, la stragrande maggioranza del parlamento, vota contro la Costituzione del proprio paese, delinque contro la propria Costituzione, quindi il termine è appropriato. Oltre questo c'è lo sdegno per chi non vuol vedere la strage di civili che sta avvenendo in questi giorni, proprio in queste ore, dove si stanno compiendo crimini di guerra inauditi. Non solo si massacrano civili ma si impedisce che i feriti vengano evacuati negli ospedali. Di questo, ovviamente, abbiamo numerose testimonianze, da parte dei pochi che sono riusciti a superare i cordoni che le forze di occupazione hanno disposto intorno ai luoghi dei bombardamenti. Chiediamo ancora, con forza, che si apra un corridoio umanitario per soccorrere la popolazione civile di Marjah".

Il Ministro La Russa ha detto che i nostri aerei non possono commetteri gli errori fatti dagli americani che hanno bombardato dei civili.

"Al ministro chiedo, e allora cosa sono i nostri, aerei da turismo? Cosa fanno, portano in giro i turisti a vedere i bombardamenti? Cosa ci fanno gli aerei militari in zone dove si sta bombardano? Sono affermazioni ridicole. Piuttosto, possiamo indicare alcuni dei pericolosi terroristi feriti dalle operazioni militari nella zona di Marjah. Feriti, perché i morti non li vediamo. Un ragazzo di 10 anni di nome Fasel, una bambina di 12 di nome Rojah che stava prendendo acqua al pozzo e si è presa una pallottola in un fianco, Said, di 7 anni, con una pallottola nel torace, un bambino di 9 anni di nome Akter che stava guardando dalla finestra quando gli hanno sparato in testa… questi sono i talebani".

Pensa che nel nostro paese ci sia una percezione reale di quello che succede in Afghanistan?

"I nostri politici non sanno niente dei talebani, non sanno di cosa parlano. Non saprebbero nemmeno indicare l'Afghanistan su una cartina muta. Purtroppo, questa è la gente che prende decisioni costano la vita a tanti afgani. E che costa una quantità di soldi impressionanti agli italiani. Siamo un paese dove si perdono centinaia di migliaia di posti di lavoro e si buttano via centinaia di milioni in una guerra per sostenere questo piuttosto che quel governo afghano. Mi piacerebbe avere un parlamento decente. Sull'Afghanistan continuano a dire agli italiani bugie clamorose, palle gigantesche. L'unica cosa da fare è smettere di sostenere questa classe politica. Io, personalmente, mi rifiuto di andare a votare. Lo farò quando ci saranno politici degni di questo nome".

22/02/10

http://www.cnrmedia.com/notizia/newsid/8423/afghanistan-italia-in-guerra-gino-strada-sono-dei-delinquenti-politici.aspx

lunedì 1 febbraio 2010

Schindler's List - Lost Children

Per non dimenticare...

martedì 19 gennaio 2010

"La situazione dei bambini ad Haiti è disperata"

Terremoto Haiti: Save the Children, la situazione dei bambini ad Haiti è disperata. Pianificata la distribuzione degli aiuti ai piccoli e alle loro famiglie.

Nonostante le continue scosse di assestamento e la ricerca di 23 membri dello staff che non si riescono ancora a contattare, gli operatori di Save the Children ad Haiti stanno lavorando per cercare di rispondere ai bisogni dei bambini e delle loro famiglie, dopo il devastante terremoto che martedì ha colpito Port-au-Prince.

Gli operatori hanno potuto muoversi solo a piedi o in moto poichè gran parte delle strade della capitale sono impraticabili, le macerie e gli edifici crollati ingombrano le strade e, in alcuni quartieri, metà delle case sono completamente distrutte.

“Ovunque c’è solo distruzione e in questo momento è difficile anche raggiungere molte delle persone ferite. Non si contano i bambini e le famiglie che hanno bisogno di un posto sicuro dove ripararsi così come di ogni bene di prima necessità”, ha dichiarato Ian Rodgers, esperto di emergenze di Save the Children, da Haiti. “Questo è un disastro di proporzioni tali da richiedere una risposta intensiva e di lungo termine”.

L’organizzazione sta lavorando alacremente per distribuire aiuti alle famiglie: kit igienici, che contengono spazzolini da denti, asciugamani e sapone, coperte, zanzariere e taniche per l’acqua. Non appena la gente potrà avere dei rifugi, Save the Children creerà delle aree sicure a misura di bambino, dove i bambini potranno giocare insieme, affrontare il trauma subito a causa del terremoto e sentirsi nuovamente al sicuro, grazie all’ausilio di personale specializzato, e nello stesso tempo essere protetti dal rischio di sfruttamento e abuso, che può essere maggiore in situazioni di emergenza.

Save the Children, impegnata a rispondere ai bisogni immediati e di lungo termine dei bambini e delle loro famiglie in seguito al sisma, lavora nel paese da dal 1985 e ha supportato i bambini haitiani e le loro famiglie anche in recenti catastrofi naturali, come uragani e inondazioni.

Per ulteriori informazioni:
Ufficio stampa Save the Children Italia
tel. 06 48070071 – 23
press@savethechildren.it
www.savethechildren.it

Save the Children aderisce ad AGIRE, il coordinamento di alcune tra le più importanti Ong italiane, che ha lanciato un appello congiunto di raccolta fondi per garantire i necessari soccorsi alle popolazioni colpite. Dona 2 euro con un sms al 48541 dal cellulare personale TIM e VODAFONE o chiamando da rete fissa TELECOM ITALIA.

lunedì 11 gennaio 2010

Rosarno: terroni contro immigrati. Chi ha creato adesso questo clima di odio?

di Tizian Sclari

In questi giorni guardo i Tg, leggo i giornali e mi stupisco di quello che sta succedendo nella mia democratica e civile Italia. Italiani che prendono il fucile e vanno a caccia di negri. Sì, di negri, perché "Se ne devono andare!" Perchè "bisogna prenderli a bastonate e sprangate". Anzi, no, a fucilate.

Pensavo che la giustizia fosse assicurata dalle forze dell'ordine: polizia, carabinieri. In questi giorni invece ho scoperto che se un manifestante ti spacca la macchina tu prendi il fucile e ti fai giustizia da te.

Per un piccolo Duomo di Milano scagliato contro il premier si è parlato per giorni di clima d'odio. Di partito dell'amore. Di mandanti e cattivi maestri. Qui invece il mondo politico che dice? Niente. Maroni ha dichiarato che è colpa degli immigrati e della troppa tolleranza nei loro confronti.

Diciamo allora qualcosa di chiaro, una volta tanto al di fuori del politicamente corretto. La Lega è il mandante politico degli scontri di questi giorni.

Lo vogliamo dire: ci sarebbe piaciuto che il presidente del consiglio si fosse recato sul luogo degli scontri. Avrebbe almeno potuto spendere qualche parola sulla questione. E invece niente, invece ha preferito parlare di abbassiamo le tasse. Due sole aliquote Irpef al 23 e al 33%. L'ha già detto nel 1994? E' stato al governo per 10 anni e non l'ha fatto? Fa niente. Non parliamo dei 3 giorni di guerra civile a Rosarno, parliamo di tasse.

Lo vogliamo dire: gli extracomunitari lavorano per 10-14 ore al giorno per 25 euro (sempre al giorno) per raccogliere quella frutta e verdura che mangiamo tutti i giorni e che noi Italiani non vogliamo più raccogliere.

Ma scusate la rabbia. Tranquilli, da domani, torno a parlare di Pd e delle alleanze, dei processi di Berlusconi e delle riforme scostituzionali. Insomma, delle cose importanti.

giovedì 17 dicembre 2009

La statuetta (comunista) del Duomo di Milano

di Gloria Esposito

Mai gesto fu più tempestivo. Pensavamo che il premier avesse i giorni contati, che tra profumo di mafia, escort e uscite contro la Costituzione tali da giustificare moniti di Napolitano e blocco compatto delle opposizioni, fosse ormai finito il suo corso.

E invece eccolo rinascere come la fenice dalle proprie ceneri, grazie ad una statuetta e al gesto inconsulto di tal Massimo Tartaglia, incensurato, in cura da 10 anni per malattia mentale, che con un colpo ha provocato il sanguinamento della faccia del premier, alla fine del comizio in piazza del Duomo dove Berlusconi ha lanciato il tesseramento del Pdl.

“Questo è il frutto di chi ha voluto seminare zizzania” dice il presidente del consiglio al pronto soccorso. Immediatamente arrivano anche le dichiarazioni del capo dello stato Napolitano che “condanna il grave e inconsulto gesto”, di Gianfranco Fini che “esprime solidarietà”, di Bossi che definisce l’accaduto “un atto di terrorismo”, mentre per La Russa “quando si fanno le manifestazioni non per un partito ma contro una persona e si incita all’odio questo è il risultato”, anche se il nesso al popolo del No B Day chiaramente sfugge.

L’unica voce fuori dal coro è Di Pietro che dice: "Io non voglio che ci si mai violenza, ma Berlusconi con i suoi comportamenti e il suo menefreghismo istiga alla violenza".
Analizzando la situazione però bisogna tener chiare le responsabilità: Tartaglia è stato arrestato, il gesto è stato condannato con forza da tutti, ma in fin dei conti chi strumentalizza l’accaduto è proprio Berlusconi e la maggioranza che prendono la palla al balzo per accusare più o meno implicitamente i manifestanti del No Berlusconi Day (pacifici) e in generale chi ha delle riserve rispetto al metodo di governo dei berluscones. La solidarietà è importante e ci deve essere, ma non si capisce perché mai a servire l’assist al premier ci sia sempre un cosiddetto “comunista”.

sabato 28 novembre 2009

3 INCONTRI PER INFORMARE, LOTTARE E NON DIMENTICARE: A SCIACCA

Le Associazioni "l'Altrasciacca", "Cafè Orquidea" e "Liceo Classico Tommaso Fazello" organizzano

"TRE INCONTRI PER INFORMARE, LOTTARE E NON DIMENTICARE".

Ospiti previsti: Marco Travaglio, Sonia Alfano, Salvatore Borsellino, Gioacchino Genchi, Benny Calasanzio, Pino Maniaci, Ignazio Cutrò.

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Sabato 12 Dicembre 2009, Ore 18:00
presso: Aula magna Liceo Classico Tommaso Fazello di Sciacca

Tema: "Giornalismo e antimafia: Il coraggio di denunciare e la voglia di lottare".

Ospiti:
BENNY CALASANZIO, giornalista e blogger, attivamente impegnato a contrastare la mafia e a promuovere la cultura della legalità;
PINO MANIACI, giornalista e direttore dell'emittente locale TELEJATO, vittima più volte di minacce per la sue denunce antimafiose;
IGNAZIO CUTRO', imprenditore di Bivona che ha coraggiosamente denunciato il racket subendone le violente ritorsioni.

modera: Calogero Parlapiano

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Mercoledì 16 Dicembre 2009, Ore 20:00
presso: Multisala Cine Campidoglio Sciacca

Tema: "La libertà di stampa in Italia: Le ingerenze politiche e le ingerenze mafiose".

Ospite:
MARCO TRAVAGLIO, giornalista e scrittore, impegnato da sempre nella difesa della libertà di stampa in Italia;

Modera: Alberto Montalbano.

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Venerdì 18 Dicembre 2009, Ore 20:00
presso: Aula magna Liceo Classico Tommaso Fazello di Sciacca

Tema: "Politica, mafia e corruzione. L'impegno delle Istituzioni per combatterne l'interazione".

Ospiti:
SALVATORE BORSELLINO, fratello di Paolo Borsellino, instancabile voce di denuncia contro la criminalità organizzata, il malgoverno e le collusioni tra politica e mafia;
GIOACCHINO GENCHI, consulente informatico che ha collaborato alle inchieste antimafia di molte procure e magistrati tra cui Giovanni Falcone e Luigi De Magistris;
SONIA ALFANO: europarlamentare di IDV, figlia di Beppe Alfano giornalista ucciso dalla mafia, esempio di impegno contro il malaffare mafioso.

Modera: Giandomenico Pumilia.

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Diretta streaming degli eventi sui siti:

www.laltrasciacca.it e www.sciaccacinema.it

sabato 24 ottobre 2009

Ero straniero e (non) mi avete accolto

“Ero straniero e mi avete accolto” (Mt 25,35). La Parola di Cristo porta a compimento la logica conviviale della Scrittura dal Levitico 19,33-34 –“Tratterete lo straniero che risiede fra voi come colui che è nato fra voi; tu l’amerai come te stesso”, al Deutoronomio 10,19 – “Amate lo straniero perché anche voi foste stranieri nel paese d’Egitto”, alla Lettera agli Ebrei 13,2 – “Non dimenticate l’ospitalità, perché alcuni, praticandola, hanno ospitato senza saperlo degli angeli”. Alcuni eventi drammatici concomitanti interpellano fortemente la nostra fede cristiana e il nostro laico civile impegno: -il ripetuto “respingimento”di migranti intercettati nel canale di Sicilia e rispediti alla Libia, che non aderisce alla Convenzione internazionale dei diritti umani, presentato come “svolta storica “ dal Ministro dell’Interno ma respinto come preoccupante da organismi dell’ONU e già sanzionato dalla Corte europea nel 2005;- il suicidio di Mabrouka Mimoni nel Centro di identificazione e di espulsione di Ponte Galeria a Roma, sconvolta per il rimpatrio in Tunisia; - il decreto sicurezza, ritoccato rispetto alla stesura originale, ma pesantemente inquinato dal reato di clandestinità, quindi dall’idea del povero come delinquente e dalla povertà come delitto, con ricadute pesanti, anche mortali, su molte famiglie e sui loro bambini; - la tragicomica proposta di uno dei capolista della Lega Nord alle elezioni europee, noto per aver paragonato i rom ai topi da “derattizzare ” e per l’attacco costante alla logica del dialogo promossa dall’arcivescovo di Milano, di carrozze della metropolitana riservate solo ai milanesi; - in generale, il linguaggio aggressivo, violento e volgare presente in questo e in altri campi della vita politica e sociale. Siamo alle prove di apartheid. Non possiamo tollerare l’idea che esistano esseri umani di seconda e terza serie e che dentro e fuori l’Italia si formi un popolo di “non-persone”. Per noi le normative in atto e allo studio violano la Dichiarazione universale dei diritti umani basata sul principio “non negoziabile” della dignità umana e sulla prospettiva della fratellanza (art. 1), così come la Costituzione italiana, gli articoli 2,3,4, 10, 11, soprattutto quelli che prevedono il nostro conformarci alle norme del diritto internazionale e la promozione delle organizzazioni internazionali dei diritti umani. Disposizioni così cattive e incivili, oltre che controproducenti ai fini della pace e della sicurezza, hanno a che fare con il nostro essere credenti e cittadini. Il Concilio Vaticano II ci invita a esercitare la nostra funzione profetica, sacerdotale e regale (“Lumen gentium” 31-36), ad affermare “la dignità e la libertà dei figli di Dio, nel cuore dei quali dimora lo spirito Santo come in un tempio” (“Lumen gentium” 9). Parlando della “grande responsabilità della comunità ecclesiale, chiamata ad essere casa ospitale per tutti, segno e strumento di comunione per l’intera famiglia umana”, il papa Benedetto XVI ritiene importante che ogni comunità cristiana intervenga per “aiutare anche la società civile a superare ogni possibile tentazione di razzismo, di intolleranza e di esclusione” e per “organizzarsi con scelte rispettose della dignità di ogni essere umano. Una delle grandi conquiste dell’umanità è,infatti, proprio il superamento del razzismo […]. Solo nella reciproca accoglienza di tutti è' possibile costruire un mondo segnato da autentica giustizia e pace vera” (angelus 17 agosto 2008). A tal fine, riteniamo utile riprendere le indicazioni episcopali degli anni ’90 sulla cittadinanza responsabile (“Educare alla legalità”, “Educare alla socialità”, “Educare alla pace”) sviluppando con coerente determinazione i percorsi aperti dalla Dottrina Sociale della Chiesa. Oggi per noi si pone seriamente la questione se la comunità cristiana non debba sfidare le diffuse tendenze xenofobe e razziste con la disobbedienza civile. Il cristiano rispetta la legge ma sa che la pienezza della legge è l’amore (Rom 13, 1-10), pensa quindi che debba opporsi a leggi ingiuste e a sistemi che opprimono l’essere umano, fatto a immagine di Dio, e che colpiscono i più deboli (Is 10,1-4 e Ger 7,1-7). E’ necessario reinventare o aggiornare la tradizione biblico-cristiana del diritto d’asilo, di essere cioè “santuario di protezione e difesa”(movimento presente negli Stati Uniti e in altri paesi) per i poveri e i deboli sottoposti ad abusi o che rischierebbero la vita se rimandati in alcuni paesi d’origine. Secondo il diritto internazionale nessun respingimento è possibile prima di valutare le singole situazioni dei migranti. Come credenti cittadini del mondo, dell’Europa e dell’Italia, intendiamo riaffermare la civiltà del diritto tramite il fare creativo della nonviolenza. E’ urgente realizzare l’articolo 10 della Costituzione riguardante la legge sul diritto d’asilo e istituire finalmente la Commissione nazionale indipendente per la promozione e la protezione dei diritti umani che può essere sostenuta e accompagnata da realtà associate nei modi previsti dalla Dichiarazione delle Nazioni Unite sui difensori dei diritti umani (risoluzione 53/144 del 8 marzo 1999), il cui articolo 1 dice che “tutti hanno il diritto, individualmente ed in associazione con altri, di promuovere e lottare per a protezione e la realizzazione dei diritti umani e delle libertà fondamentali a livello nazionale ed internazionale”. Utile strumento può diventare al riguardo il progetto delle Città dei diritti umani in un mondo libero promosso, tra gli altri, dalla Tavola della Pace, dal Coordinamento degli Enti locali per la pace e i diritti e da Libera, realtà dove Pax Christi è variamente presente. In tal modo può anche camminare il progetto dell’ “ONU dei popoli”e molte scuole, fin dal prossimo anno scolastico, con la definizione delle attività di “Cittadinanza e Costituzione”, potrebbero chiamarsi Scuole delle Nazioni Unite, promotrici di diritti umani nelle loro città. Invitiamo, quindi, tutti gli operatori di pace, cominciando da noi stessi, dagli aderenti ai punti pace di Pax Christi, a mobilitarsi per costruire la pace nella vita quotidiana e nelle nostre città spesso prigioniere di solitudini, governate dalla paura e coinvolte in progetti tribali e autoritari dove si gioca il futuro della cittadinanza. Nessuna cultura della pace è possibile se non si realizzano il disarmo delle menti, la smilitarizzazione dei cuori e dei territori, se non si promuove il cantiere della cittadinanza attiva che è fatto di buone pratiche sociali e amministrative orientate al bene comune e alla sicurezza comune, alla liberazione dalle paure, all’educazione ai conflitti per una positiva loro gestione, al fiorire di spazi e momenti di riconoscimento reciproco, di integrazione-interazione, di contemplazione e di preghiera. Nessuno ci è straniero anche perché la distanza che ci separa dallo straniero è quella stessa che ci separa da noi stessi e la nostra responsabilità di fronte a lui è quella che abbiamo verso la famiglia umana amata da Dio, verso di noi, pronti a testimoniare la profezia del Risorto che annuncia la pace e ci dice di non temere perché sarà con noi “tutti i giorni, sino alla fine del mondo” (Mt 28.20).

sabato 19 settembre 2009

Le Navi al... Veleno

"Basta essere furbi, aspettare delle giornate di mare giusto, e chi vuoi che se ne accorga?". "E il mare? Che ne sarà del mare della zona se l'ammorbiamo?". "Ma sai quanto ce ne fottiamo del mare? Pensa ai soldi che con quelli, il mare andiamo a trovarcelo da un'altra parte...". Questo dialogo tra due boss della 'ndrangheta, agli atti delle indagini coordinate da Alberto Cisterna, magistrato della Direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria, basta per comprendere quale logica abbia mosso le navi dei veleni.

Navi che dagli anni Ottanta hanno seminato lungo le coste del Mediterraneo e dell'Africa i loro carichi di rifiuti tossici e radioattivi Meno facile è capire perché si sia dovuto aspettare vent'anni per seguire una pista che era stata indicata con chiarezza da tante inchieste e tanti pentiti. Nel 2000 l'indagine iniziata dalla magistratura di Reggio Calabria nel 1994, dopo una denuncia della Legambiente sulla Rigel, un'altra nave a perdere affondata per disfarsi di un carico radioattivo che non riusciva a trovare destinazioni lecite, fu archiviata, nonostante la gran mole di indizi, perché "mancava il corpo del reato". Difficile del resto che le prove potessero emergere da sole visto che erano state seppellite con cura in una fossa del Mediterraneo.
Ora però, grazie all'ostinazione della procura di Paola e dell'assessorato all'Ambiente della Regione, la "pistola fumante" è stata trovata: un piccolo robot è riuscito a fotografare il delitto sepolto a 487 metri di profondità, i bidoni della vergogna che spuntano dalla falla nella prua della Cunsky. Il teorema della prova irraggiungibile è crollato.

"Per troppi anni i magistrati sono stati lasciati soli mentre i processi venivano insabbiati: a questo punto tutte le inchieste vanno riaperte", chiedono Enrico Fontana e Nuccio Barillà, i dirigenti della Legambiente che hanno denunciato molte sparizioni sospette di navi. "Devono intervenire la procura nazionale antimafia e il ministero dell'Ambiente, bisogna formare un'unità di crisi per il monitoraggio delle zone in cui all'aumento della radioattività corrisponde un picco di tumori. Vogliamo sapere la verità sui legami tra il traffico di rifiuti e il traffico di armi, le connessioni con il caso Ilaria Alpi e il trafugamento di plutonio e rifiuti radioattivi".

Buona parte del lavoro è già fatto: mettendo assieme le informazioni raccolte pazientemente dai magistrati di mezza Italia è possibile costruire la mappa dei cimiteri radioattivi dei nostri mari. Un elenco di affondamenti volontari, navi che spariscono nel nulla senza lanciare il may day, troppo lungo per essere citato in versione integrale, ma basta ricordare alcuni casi per avere un'idea di quello che è successo in questi anni.

Nel 1985, durante il viaggio da La Spezia a Lomè (Togo), sparisce la motonave Nikos I, probabilmente tra il Libano e Grecia. Sempre nel 1985 s'inabissa a largo di Ustica la nave tedesca Koraline. Nel 1986 è il turno della Mikigan, partita dal porto di Marina di Carrara e affondata nel Tirreno Calabrese con il suo carico sospetto. Nel 1987 a 20 miglia da Capo Spartivento, in Calabria, naufraga la Rigel. Nel 1989 la motonave maltese Anni affonda a largo di Ravenna in acque internazionali. Nel 1990 è il turno della Jolly Rosso a spiaggiarsi lungo la costa tirrenica in provincia di Cosenza. Nel 1993 la Marco Polo sparisce nel Canale di Sicilia.

Del resto fino agli anni Novanta c'era addirittura chi teorizzava pubblicamente la sepoltura in mare dei rifiuti radioattivi. La Odm (Oceanic Disposal Management) di Giorgio Comerio si presentava su Internet offrendo i suoi servigi di affondamento su commissione. Era già in vigore la Convenzione di Londra che vieta espressamente lo scarico in mare di rifiuti radioattivi, ma la Odm, che operava dal 1987, sosteneva che non si trattava di scarico "in" mare ma "sotto" il mare perché la tecnica proposta consisteva nell'uso di una sorta di siluri d'acciaio di profondità che, grazie al loro peso e alla velocità acquisita durante la discesa, s'inabissano all'interno degli strati argillosi del fondo marino penetrando a una profondità di 40-50 metri. (La Repubblica)

venerdì 18 settembre 2009

QUEL SANGUE DEL SUD VERSATO PER IL NOSTRO PAESE

IL RACCONTO: Nel momento della tragedia non possiamo non chiederci
perché a morire sono sempre, o quasi sempre, soldati del Meridione

Quel sangue del Sud
versato per il Paese


di ROBERTO SAVIANO

Vengo da una terra di reduci e combattenti. E l'ennesima strage di soldati non l'accolgo con la sorpresa di chi, davanti a una notizia particolarmente dolorosa e grave, torna a includere una terra lontana come l'Afghanistan nella propria geografia mentale. Per me quel territorio ha sempre fatto parte della mia geografia, geografia di luoghi dove non c'è pace. Gli italiani partiti per laggiù e quelli che restano in Sicilia, in Calabria o in Campania per me fanno in qualche modo parte di una mappa unica, diversa da quella che abbraccia pure Firenze, Torino o Bolzano.

Dei ventun soldati italiani caduti in Afghanistan la parte maggiore sono meridionali. Meridionali arruolati nelle loro regioni d'origine, o trasferiti altrove o persino figli di meridionali emigrati. A chi in questi anni dal Nord Italia blaterava sul Sud come di un'appendice necrotizzata di cui liberarsi, oggi, nel silenzio che cade sulle città d'origine di questi uomini dilaniati dai Taliban, troverà quella risposta pesantissima che nessuna invocazione del valore nazionale è stato in grado di dargli. Oggi siamo dinanzi all'ennesimo tributo di sangue che le regioni meridionali, le regioni più povere d'Italia, versano all'intero paese.

Indipendentemente da dove abitiamo, indipendente da come la pensiamo sulle missioni e sulla guerra, nel momento della tragedia non possiamo non considerare l'origine di questi soldati, la loro storia, porci la domanda perché a morire sono sempre o quasi sempre soldati del Sud. L'esercito oggi è fatto in gran parte da questi ragazzi, ragazzi giovani, giovanissimi in molti casi. Anche stavolta è così. Non può che essere così. E a sgoccioli, coi loro nomi diramati dal ministro della Difesa ne arriva la conferma ufficiale. Antonio Fortunato, trentacinque anni, tenente, nato a Lagonegro in Basilicata. Roberto Valente, trentasette anni, sergente maggiore, di Napoli. Davide Ricchiuto, ventisei anni, primo caporalmaggiore, nato a Glarus in Svizzera, ma residente a Tiggiano, in provincia di Lecce. Giandomenico Pistonami, ventisei anni, primo caporalmaggiore, nato ad Orvieto, ma residente a Lubriano in provincia di Viterbo. Massimiliano Randino, trentadue anni, caporalmaggiore, di Pagani, provincia di Salerno. Matteo Mureddu, ventisei anni, caporalmaggiore, di Solarussa, un paesino in provincia di Oristano, figlio di un allevatore di pecore. Due giorni fa Roberto Valente stava ancora a casa sua vicino allo stadio San Paolo, a Piedigrotta, a godersi le ultime ore di licenza con sua moglie e il suo bambino, come pure Massimiliano Radino, sposato da cinque anni, non ancora padre.


Erano appena sbarcati a Kabul, appena saliti sulle auto blindate, quei grossi gipponi "Lince" che hanno fama di essere fra i più sicuri e resistenti, però non reggono alla combinazione di chi dispone di tanto danaro per imbottire un'auto di 150 chili di tritolo e di tanti uomini disposti a farsi esplodere. Andando addosso a un convoglio, aprendo un cratere lunare profondo un metro nella strada, sventrando case, macchine, accartocciando biciclette, uccidendo quindici civili afgani, ferendone un numero non ancora precisato di altri, una sessantina almeno, bambini e donne inclusi.

E dilaniando, bruciando vivi, cuocendo nel loro involucro di metallo inutilmente rafforzato i nostri sei paracadutisti, due dei quali appena arrivati. Partiti dalla mia terra, sbarcati, sventrati sulla strada dell'aeroporto di Kabul, all'altezza di una rotonda intitolata alla memoria del comandante Ahmad Shah Massoud, il leone del Panjshir, il grande nemico dell'ultimo esercito che provò ad occupare quell'impervia terra di montagne, sopravvissuto alla guerra sovietica, ma assassinato dai Taliban. Niente può dirla meglio, la strana geografia dei territori di guerra in cui oggi ci siamo svegliati tutti per la deflagrazione di un'autobomba più potente delle altre, ma che giorno dopo giorno, quando non ce ne accorgiamo, continua a disegnare i suoi confini incerti, mobili, slabbrati. Non è solo la scia di sangue che unisce la mia terra a un luogo che dalle mie parti si sente nominare storpiato in Affanìstan, Afgrànistan, Afgà. E' anche altro. Quell'altro che era arrivato prima che dai paesini della Campania partissero i soldati: l'afgano, l'hashish migliore in assoluto che qui passava in lingotti e riempiva i garage ed è stato per anni il vero richiamo che attirava chiunque nelle piazze di spaccio locali. L'hashish e prima ancora l'eroina e oggi di nuovo l'eroina afgana. Quella che permette ai Taliban di abbondare con l'esplosivo da lanciare contro ai nostri soldati coi loro detonatori umani.

E' anche questo che rende simili queste terre, che fa sembrare l'Afganistan una provincia dell'Italia meridionale. Qui come là i signori della guerra sono forti perché sono signori di altro, delle cose, della droga, del mercato che non conosce né confini né conflitti. Delle armi, del potere, delle vite che con quel che ne ricavano, riescono a comprare. L'eroina che gestiscono i Taliban è praticamente il 90% dell'eroina che si consuma nel mondo. I ragazzi che partono spesso da realtà devastate dai cartelli criminali hanno trovato la morte per mano di chi con quei cartelli criminali ci fa affari. L'eroina afgana inonda il mondo e finanzia la guerra dei Taliban. Questa è una delle verità che meno vengono dette in Italia. Le merci partono e arrivano, gli uomini invece partono sempre senza garanzia di tornare. Quegli uomini, quei ragazzi possono essere nati nella Svizzera tedesca o trasferiti in Toscana, ma il loro baricentro rimane al paese di cui sono originari. È a partire da quei paesini che matura la decisione di andarsene, di arruolarsi, di partire volontari. Per sfuggire alla noia delle serate sempre uguali, sempre le stesse facce, sempre lo stesso bar di cui conosci persino la seduta delle sedie usurate. Per avere uno stipendio decente con cui mettere su famiglia, sostenere un mutuo per la casa, pagarsi un matrimonio come si deve, come aveva già organizzato prima di essere dilaniato in un convoglio simile a quello odierno, Vincenzo Cardella, di San Prisco, pugile dilettante alla stessa palestra di Marcianise che ha appena ricevuto il titolo mondiale dei pesi leggeri grazie a Mirko Valentino. Anche lui uno dei ragazzi della mia terra arruolati: nella polizia, non nell'esercito. Arruolarsi, anche, per non dover partire verso il Nord, alla ricerca di un lavoro forse meno stabile, dove sono meno certe le licenze e quindi i ritorni a casa, dove la solitudine è maggiore che fra i compagni, ragazzi dello stesso paese, della stessa regione, della stessa parte d'Italia. E poi anche per il rifiuto di finire nell'altro esercito, quello della camorra e delle altre organizzazioni criminali, quello che si gonfia e si ingrossa dei ragazzi che non vogliono finire lontani.

E sembra strano, ma per questi ragazzi morti oggi come per molti di quelli caduti negli anni precedenti, fare il soldato sembra una decisione dettata al tempo stesso da un buon senso che rasenta la saggezza perché comunque il calcolo fra rischi e benefici sembra vantaggioso, e dalla voglia di misurarsi, di dimostrare il proprio valore e il proprio coraggio. Di dimostrare, loro cresciuti fra la noia e la guerra che passa o può passare davanti al loro bar abituale fra le strade dei loro paesini addormentati, che "un'altra guerra è possibile". Che combattere con una divisa per una guerra lontana può avere molta più dignità che lamentarsi della disoccupazione quasi fosse una sventura naturale e del mondo che non gira come dovrebbe, come di una condizione immutabile.

Sapendo che i molti italiani che li chiameranno invasori e assassini, ma pure gli altri che li chiameranno eroi, non hanno entrambi idea di che cosa significhi davvero fare il mestiere del soldato. E sapendo pure che, se entrambi non ne hanno idea e non avrebbero mai potuto intraprendere la stessa strada, è perché qualcuno gliene ne ha regalate di molto più comode, certo non al rischio di finire sventrati da un'autobomba. Infatti loro, le destinazioni per cui partono, non le chiamano "missione di pace".

Forse non lo sanno sino in fondo che nelle caserme dell'Afghanistan possono trovare la stessa noia o la stessa morte che a casa. Ma scelgono di arruolarsi nell'esercito che porta la bandiera di uno Stato, in una forza che non dispone della vita e della morte grazie al denaro dei signori della guerra e della droga. Per questo, mi augurerei che anche chi odia la guerra e ritiene ipocrita la sua ridefinizione in "missione di pace", possa fermarsi un attimo a ricordare questi ragazzi. A provare non solo dolore per degli uomini strappati alla vita in modo atroce, ma commemorarli come sarebbe piaciuto a loro. A onorarli come soldati e come uomini morti per il loro lavoro. Quando è arrivata la notizia dell'attentato, un amico pugliese mi ha chiamato immediatamente e mi ha detto: "Tutti i ragazzi morti sono nostri". Sono nostri è come per dire sono delle nostre zone. Come per Nassiriya, come per il Libano ora anche per Kabul. E che siano nostri lo dimostriamo non nella retorica delle condoglianze ma raccontando cosa significa nascere in certe terre, cosa significa partire per una missione militare, e che le loro morti non portino una sorta di pietra tombale sulla voglia di cambiare le cose. Come se sui loro cadaveri possa celebrarsi una presunta pacificazione nazionale nata dal cordoglio. No, al contrario, dobbiamo continuare a porre e porci domande, a capire perché si parte per la guerra, perché il paese decide di subire sempre tutto come se fosse indifferente a ogni dolore, assuefatto ad ogni tragedia.

Queste morti ci chiedono perché tutto in Italia è sempre valutato con cinismo, sospetto, indifferenza, e persino decine e decine di morti non svegliano nessun tipo di reazione, ma solo ancora una volta apatia, sofferenza passiva, tristezza inattiva, il solito "è sempre andata così". Questi uomini del Sud, questi soldati caduti urlano alle coscienze, se ancora ne abbiamo, che le cose in questo paese non vanno bene, dicono che non va più bene che ci si accorga del Sud e di cosa vive una parte del paese solo quando paga un alto tributo di sangue come hanno fatto oggi questi sei soldati. Perché a Sud si è in guerra. Sempre.

giovedì 3 settembre 2009

Le intimidazioni alla Sogeir Ato Ag1

Nuovo atto intimidatorio ai danni della Sogeir Ato Ag1. Due mezzi utilizzati per la raccolta dei rifiuti solidi urbani sono stati dati alle fiamme da ignoti lo scorso 22 agosto nel territorio appartenente ai comuni di Montevago e di Santa Margherita Belice.
I due autocompattatori della Sogeir erano parcheggiati precisamente nel deposito di via Venezia a Montevago e sono stati gli stessi residenti della zona a notare il fumo e le fiamme dando naturalmente l’allarme. I vigili del fuoco sono intervenuti tempestivamente, la qual cosa ha permesso che i due mezzi non andassero completamente distrutti dal fuoco ma i danni sono ugualmente ingenti e si aggirano all’incirca sui 150mila euro.
La Sogeir quindi di nuovo nel mirino della criminalità organizzata. A distanza di due anni dal primo incendio doloso che aveva interessato in quel caso quattro mezzi della società a Ribera, adesso purtroppo ci risiamo.
Gli inquirenti naturalmente stanno vagliando tutte le ipotesi e non tralasciano alcun dettaglio affinchè i colpevoli possano essere identificati ed assicurati alla giustizia. Vincenzo Marinello, presidente della Sogeir, è stato già ascoltato dalle forze dell’ordine e, da quello che emerge, niente lasciava presagire quanto sarebbe successo in quanto nessuna richiesta criminosa era stata fatta alla società, nessuna lamentela particolare era stata perpetrata nella zona nella quale è accaduto il misfatto: insomma un vero e proprio giallo.
Il sindaco della piccola comunità belicina, Antonino Barrile, ha prontamente condannato il vile atto subito dalla società che gestisce e raccoglie i rifiuti in ben 17 comuni della nostra provincia offrendo tutta la propria solidarietà ed appoggio a Vincenzo Marinello. A quanto pare nel territorio belicino non risultano particolari problemi per quanto riguarda la raccolta dei rifiuti ed il sindaco è sicuro nell’affermare che “l’atto intimidatorio non ha nulla a che vedere con la gente di Montevago”.
Come già accaduto un anno fa quando a seguito del primo attacco subito i mezzi furono prontamente riacquistati ed inaugurati dando un segnale forte e deciso di ripresa e di non sottomissione alla criminalità, anche in questo caso non dubitiamo del fatto che la Sogeir possa velocemente voltare pagina e dimostrare ancora una volta che il proprio lavoro andrà avanti, nonostante minacce ed intimidazioni.
Giustamente è stato allertato della situazione anche il prefetto di Agrigento mentre le indagini sono svolte dai carabinieri della compagnia di Sciacca. A seguito di questi vergognosi atti, Vincenzo Marinello chiede al prefetto Umberto Postiglione ed alle stesse forze dell’ordine maggiori controlli e sorveglianza per i mezzi e le strutture della società d’ambito. Nei prossimi mesi inoltre sarà predisposto con molta probabilità dalla Sogeir anche un servizio di videosorveglianza che possa interessare tutti o i principali depositi, autoparchi, siti ecologici presenti nei comuni serviti dalla società. Per le forze dell’ordine si prospetta quindi un duro lavoro alla ricerca di quanto più materiale possibile possa servire a risolvere il caso anche se la base di partenza sembra proprio essere quella che trattasi di un atto di intimidazione. Le indagini ci auguriamo ci sveleranno perpetrato da chi e perché.
Come ricordiamo “la Sogeir è la società d’ambito che gestisce l’ATO AG1 appoggiandosi e integrando l’attività già svolta dai servizi di nettezza urbana. L’ATO AG1 è composta da 17 Comuni che stanno avvicinandosi, grazie all’attività di Sogeir., ad una maggior consapevolezza ambientale che vede nella Raccolta Differenziata un valido strumento per migliorare la qualità dell’ambiente, per trasformare tramite il riciclaggio il rifiuto in materia prima seconda, e favorire quindi un positivo riscontro economico. La missione di Sogeir. è promuovere una città più pulita grazie alla collaborazione in primis dei cittadini e quindi diffondere una cultura ambientale tramite iniziative di sensibilizzazione delle utenze domestiche, non domestiche, stanziali e non. Svariati progetti che Sogeir ha attuato e continuerà a sviluppare sempre di più per creare quella coscienza ambientale con cui dovranno crescere anche le utenze più giovani che rappresenteranno il futuro.”
Sulla vicenda è intervenuto in questi giorni anche l’onorevole Enzo Marinello (PD) che ha redatto il seguente comunicato stampa: ““Esprimo tutta la mia solidarietà alla società d’ambito Sogeir Ato Ag1 ed al suo presidente Vincenzo Marinello, vittime di un altro vile e vergognoso attacco da parte della criminalità organizzata. Dopo l’atto intimidatorio perpetrato ai danni della società due anni fa a Ribera, il malaffare torna oggi a bussare alle porte di chi garantisce la pulizia e l’ordine nelle nostre città, e lo fa con un altro incendio che ha interessato due mezzi della Sogeir a Montevago.
Lo Stato e tutte le istituzioni politiche non devono mai abbassare la guardia e devono proteggere allo stesso tempo tutti coloro che lavorano giornalmente al servizio dei cittadini e della comunità agrigentina garantendone la sicurezza.
Auspico che le forze dell’ordine possano adempiere celermente alle dovute indagini e che tutti i responsabili di questa assurda vicenda vengano assicurati alla giustizia cercando di fare, nel più breve tempo possibile, piena luce su quanto accaduto”.
Anche il Sindaco Vito Bono esprime solidarietà alla Sogeir Ato Ag1: “Sono profondamente dispiaciuto per quanto avvenuto, dice il sindaco Vito Bono. E’ un atto vile, incivile, barbaro che colpisce non solo la Sogeir come ente gestore di un servizio pubblico essenziale, ma l’intera comunità servita e tutti i 17 comuni che ne fanno parte. Al presidente della Sogeir Vincenzo
Marinello, comprensibilmente sconvolto, va tutta la mia vicinanza istituzionale e umana e l’apprezzamento per il gran lavoro che è riuscito a fare in questi anni portando la Società d’Ambito ad essere tra le migliori e più virtuose in Sicilia.”.
Tutta la redazione del nostro giornale intende esprimere al Presidente di Sogeir Vincenzo Marinello ed all’intera società d’ambito la propria solidarietà e vicinanza per quanto accaduto con l’augurio che l’attività e l’importante servizio che garantisce a buona parte della nostra provincia possa proseguire nonostante tutto e senza impedimenti, nella speranza e nella consapevolezza che le indagini faranno il proprio corso e i responsabili saranno assicurati alla giustizia.


Calogero Parlapiano - tratto da "ControVoce"

lunedì 3 agosto 2009

La crisi del Congo. La guerra italiana

La guerra dei minerali. Il sistema delle multinazionali uccide il Congo

di Marco Menchi

La Global Witness, Ong che denuncia gli abusi di risorse e le violazioni dei diritti umani nel mondo, ha appena pubblicato un rapporto su come diverse multinazionali contribuiscono ad alimentare la guerra nel Congo.
Secondo l'organizzazione, molte aree minerarie dell'est sono controllate dall'esercito nazionale e dai ribelli, che sfruttano i civili per avere accesso alle preziose risorse del territorio. Alcune compagnie europee ed asiatiche, come la THAISARCO di Bangkok, l'inglese Afrimex e la belga Trademet, acquisterebbero materiali da fornitori che trattano con le parti in guerra, finanziando così i gruppi armati e alimentando il conflitto.
Attraverso inchieste e indagini sul campo, la Global Witness ha scoperto come l'esercito congolese e i gruppi ribelli, nonostante siano in guerra tra loro, collaborino regolarmente spartendosi il territorio e spesso anche i guadagni delle attività minerarie illegali. Ad esempio, i ribelli ruandesi usano strade controllate dalle Forze Armate della Repubblica del Congo e viceversa; oppure, i minerali prodotti dai ribelli sono esportati attraverso aeroporti locali gestiti dall'esercito nazionale.
Grazie alla situazione caotica del settore minerario in Congo, combinata alla la crisi dello stato di diritto e alla devastazione causata dalla guerra, questi gruppi hanno ottenuto un accesso illimitato alle risorse minerarie, avviando attività commerciali redditizie. Il rapporto della Global Witness mostra l'incapacità del governo non solo nel salvaguardare le zone ricche di minerali, ma anche nel controllare il suo stesso esercito, che sta facendo affari nel settore a spese dello stato.
I gruppi armati riescono a sopravvivere proprio grazie al loro controllo illegale delle miniere, in quanto i profitti permettono l'acquisto di armi ed equipaggiamento. Per mantenere questa fonte di ricchezza, le diverse fazioni hanno commesso orribili abusi dei diritti umani, come il frequente assassinio di civili inermi, le torture, gli stupri, i saccheggi, l'arruolamento di bambini-soldato e la rimozione forzata di centinaia di migliaia di persone dalle loro terre.
Questo legame tra i gruppi armati e il traffico illecito di minerali era già stato documentato dall'ONU nel dicembre 2008. I prodotti al centro della violenza comprendono la cassiterite, la columbite-tantalite (o coltan) e la wolframite, che dal Congo passano attraverso il Rwanda e il Burundi per poi raggiungere i paesi dell'Asia Orientale, dove sono lavorati per ottenere metalli preziosi, come lo stagno e il tungsteno, usati nell'elettronica.
Una delle compagnie citate nel rapporto è la THAISARCO, la quinta maggiore produttrice mondiale di stagno, di proprietà del gigante britannico dei metalli, la Amalgamated Metal Corporation (AMC). Il maggior fornitore della THAISARCO vende cassiterite e coltan da miniere controllate dai ribelli ruandesi. Un'altra compagnia, l'inglese Afrimex, già nel 2008 fu ammonita dal governo britannico perché acquistava prodotti da fornitori in affari con un gruppo ribelle, ma nessun provvedimento concreto è stato preso contro di essa.
Tutte queste multinazionali hanno replicato alle accuse della Global Witness definendole senza fondamento, sostenendo anzi di aver sempre seguito le direttive ONU per garantire la massima trasparenza riguardo all'origine dei minerali. Il rapporto però rivela che i comptoirs, ovvero le agenzie che comprano, vendono ed esportano i minerali gestiti dai gruppi armati, sono regolarmente registrate e autorizzate dal governo congolese. Le compagnie straniere usano così lo status "legale" dei loro fornitori come giustificazione per proseguire i rapporti commerciali con loro, senza verificare l'origine precisa dei materiali né l'identità degli intermediari.
La Global Witness ha infine sottolineato che paesi come la Gran Bretagna e il Belgio, evitando sanzioni pesanti contro le loro multinazionali coinvolte in questi traffici, stanno quasi vanificando tutti i loro sforzi diplomatici ed economici per porre fine alla guerra del Congo.

Tratto da: Clarissa.it

Lo stupore di scoprirsi in guerra

Sui media nazionali campeggiano in apertura le notizie su tre militari italiani feriti. Con incredibile ritardo si scopre una realtà che esiste da anni: le truppe italiane stanno combattendo
Due nuovi attacchi, tre militari italiani feriti: un bersagliere rimasto ferito in una battaglia di oltre cinque ore nella provincia di Farah e due militari feriti a bordo di un blindato a Herat, per l'esplosione di un ordigno nascosto su una motocicletta.
Stupisce lo stupore dei media italiani, che domenica 26 luglio titolano sulle 'truppe italiane sotto attacco' descrivendo con analisi e inviati quello che PeaceReporter va raccontando fion dall'inizio della campagna afghana del contingente italiano. Quando i caveat imposti dal Parlamento erano ben più rigidi di oggi, PeaceReporter ha denunciato l'eristenza di operazioni segrete, vere e proprie azioni di guerra. Era il dossier dell'Operazione Sarissa, con squadre di incursori impiegati senza cronache o comunicazioni ufficiali che potessero turbare il dibattito politico del Paese.
I caveat sono stati rivisti, il contingente è aumentato, le critiche interne ai militari dicono cose precise: sono messi in difficoltà dalle limitazioni rispetto allemoperazioni che stanno conducendo e sono equipaggiati in maniera spesso errata. Una dimostrazione efficace del nodo 'armamenti' sta in un semplòice accostamento che si trova mettendo a confronto due interviste: la prima, sulle pagine del Corsera, vede il ministro degli Esteri Frattini affermare che 'dobbiamo utilizzare i Tornado', i caccia bombardieri inviati alcuni mesi fa nel teatro di guerra afghano. La seconda è sulla Stampa di Torino: il generale Angioni risponde a una domanda affermando che proprio i Tornado non servono un granchè nel tipo di guerra che si sta sviluippando sul territorio. Dice testualmente: "I Tornado appartengono a un armamento utile per gli equilibri fra Nato e Patto di Varsavia", per l'Afghanistan sono vecchi di almeno 25 anni.
Dalle pagine di Repubblica spiccano le parola di un altro generale, di cui PeaceReporter riporta spesso l'opinione: Fabio Mini. Scrive nel suo taccuino strategico, fra l'altro: " La sorpresa per gli attacchi, per i feriti e perfino per i morti dovrebbe essere ormai bandita perché quello che è successo ieri è esattamente quello che succede ogni giorno" e conclude ricordando che è una "situazione di guerra alla quale ci dobbiamo abituare".
L'ultimo accento del dibattito nazionale è il pragmatismo leghista di Umberto Bossi, che scopre il costo - più che umano economico - della missione. Una frase per distinguersi che dice solo ora , come se non facesse parte di quella coalizione di governo che sull'Afghanistan sta giocando i buoni rapporti con le amministrazioni statunitensi. "Se fosse per me li riporterei a casa, visti i costi e i risultati", ha detto.
Ripubblichiamo le cronache di guerra che ben ci ha raccontato il nostro inviato, Enrico Piovesana, Sono e resteranno corrispondenze di tremenda attualità.

Afghanistan, morire da alleati- L'artiglio della pantera- Una lunga estate calda

Nell'occhio del ciclone
Angelo Miotto

lunedì 20 luglio 2009

Medio Oriente: Neanche il diritto al Nome, toponomastica solo in ebraico. "Storia della Sicilia" in un video.

Il governo d'Israele annuncia che la toponomastica sarà solo in ebraico, anche per Gerusalemme Né Jerusalem né al-Quds. Da oggi in poi Gerusalemme, la città santa per le tre grandi religioni monoteiste, avrà solo il nome ebraico: Yerushalaim. Lo ha riferito ieri il quotidiano israeliano
Yediot Ahronot, citando il ministro dei Trasporti e della Sicurezza Stradale israeliano Israel Katz, esponente del partito Likud.
La guerra dei cartelli. ''Per me è inaccettabile che Gerusalemme venga indicata nella cartellonistica con il nome nelle tre lingue: inglese, arabo ed ebraico. Ci sarà solo quello ebraico''. Così Katz ha commentato la sua iniziativa, che lo stesso giornale definisce ideologica. L'esponente del Likud non è nuovo a questo genere di esternazioni. La stessa iniziativa della 'pulizia etnica' dei cartelli stradali e della toponomastica è iniziata un anno fa, ma da quando Katz è stato nominato al dicastero dei Trasporti l'iniziativa ha conosciuto nuova vita, nonostante le polemiche. Nella stessa intervista, Katz ha dichiarato che la decisione non riguarderà solo Gerusalemme, ma anche Nasera che diventerà Nazareth ed Akka che diventerà Akko. In realtà è più corretto dire che rimarranno solo con il nome ebraico, perché gli israeliani le chiamavano già così.
Campagna anti-araba. L'iniziativa è solo l'ultimo passaggio di una campagna che la comunità arabo-israeliana vive come un vero e proprio affondo. L'iniziativa dei cartelli segue quella del 'giuramento di lealtà' al quale, secondo l'attuale ministro degli Esteri Lieberman, gli arabo-israeliani dovrebbero sottoporsi e il divieto di qualsiasi commemorazione della Nakhba, la catastrofe, come i palestinesi chiamano la nascita dello Stato d'Israele.
''Quando di Katz non si ricorderà più nessuno, al-Quds esisterà ancora'', commentava ieri uno dei deputati arabo-israeliani della Knesset, il parlamento israeliano.
Conflitto anche per gli spot. La tensione tra la comunità arabo-israeliana e il governo, però, è molto alta. Ogni situazione viene vissuta come un attacco dagli arabi che all'interno d'Israele si sono sempre sentiti cittadini di seconda serie. Ultima polemica quella attorno all'ultimo spot pubblicitario della compagnia di telefonia mobile Cellcom. Il video mostra alcuni soldati israeliani che, vicino alla loro camionetta, pattugliano una zona nei pressi del muro che Israele ha costruito in Cisgiordania. A un certo punto arriva dall'altra parte del muro un pallone e i militari lo rimandano dall'altra parte. Comincia una sorta di partita tra persone che non si vedono.
''Dopo tutto cosa cerchiamo noi? Solo un po' di divertimento'', dice la voce fuori campo che chiude lo spot. Ahmed Tibi, deputato arabo-israeliano, ha chiesto il ritiro dello spot, perché a suo dire è l'ennesima dimostrazione di come Israele non si renda conto del dramma dei palestinesi.
(Christian Elia)

Dopo quasi due mesi di lavoro, posso finalmente pubblicare il mio ultimo documentario breve: lo scarabocchio animato "Storia della Sicilia in cento secondi".
Come suggerisce già il titolo, c'è da correre attraverso una narrazione incalzante e ipercompatta.
Chi sapeva poco o nulla degli eventi narrati sarà forse sorpreso dal gran numero di conflitti, guerre, monarchie, dominazioni, martiri e delinquenze che hanno sventrato l'isola nei millenni.
Consiglio di non battere mai le palpebre mentre si guarda il video: c'è il rischio di perdersi un secolo intero.

Riporto di seguito la trascrizione:

180 milioni di anni fa l'oceano Tetide spezza la Pangea
tra i blocchi corallini emergono Madonie Nebrodi Peloritani ed Erei
fa caldo
flora, fauna ed elefanti nani
dalle eruzioni sottomarine si forma il vulcano Etna
poi 5000 anni fa a Stentinello la prima civiltà neolitica
i sicani vengono sopraffatti dai siculi
Pantalica è la necropoli per tutti i morti
marinai fenici
ricci e pesce spada
arrivano i greci
Naxos e Siracusa
teatri scavati nella roccia o incastrati su un promontorio come a Taormina
Polifemo e le sirene
Archimede e gli specchi ustori
Scilla e Cariddi
prima guerra punica con i romani
Repubblica e Impero
grano e gladiatori, poi vandali e ostrogoti
bizantini, arabi e musulmani
tonnare, aranci e limoni
scimitarre e sceicchi
irrigazione ed architettura
ceramiche e cassata
Ruggero II e i normanni
eredità agli svevi
Federico II e la scuola poetica
Ciullo d'Alcamo e il primo parlamento
aragonesi e angioini
i Vespri quandi i francesi ci fanno arrabbiare
e poi pace a Caltabellotta
gli Asburgo e Carlo V
i Borboni e il Regno delle Due Sicilie
Garibaldi che fu ferito
i piemontesi sbirri e carabinieri
il gattopardo, i pupari
unità d'Italia
terremoto di Messina
i banditi e la mafia, coppola e lupara
Giovanni Verga e Luigi Pirandello
emigrazione e guerra mondiale
fascismo
sbarco degli alleati e Lucky Luciano
il bandito Giuliano e il caffè corretto alla siciliana
Placido Rizzotto e Peppino Impastato
Tano Badalamenti e Marlon Brando che fa il padrino
Andreotti e la mafia
la scomparsa di Mauro De Mauro
lo strano caso Mattei e un certo Sindona
tanta Democrazia Cristiana e poi il Partito Socialista
pizza connection
Falcone e il maxiprocesso
i corleonesi e Totò Schillaci ai mondiali
Buscetta e Dalla Chiesa
le stragi mafiose di Capaci e via d'Amelio
i soldi di Ciancimino, Totò Cuffaro e Raffaele Lombardo
il ponte sullo stretto e i traghetti Franza
e poi tante cose che ancora devono accadere
ma alla fine l'isola verrà mangiata dal mare. (utente: tureturillo)

sabato 27 giugno 2009

Iran: Non lasciamoli soli. La morte di Neda

«Cnn»: almeno 19 vittime. Ma per la tv di Stato sono solo dieci. Merkel: «Smettere violenze, riconteggio dei voti»
TEHERAN(IRAN) - Non si ferma la violenza in Iran dopo i probabili brogli che hanno sancito il trionfo del presidente uscente Mahmoud Ahmadinejad nelle recente elezioni presidenziali a dispetto di quello che avrebbe dovuto essere il vincitore, il riformista Mir Hossein Mousavi. Da sabato è scontro aperto tra i suoi sostenitori e il regime, dato che la Guida suprema, l'ayatollah Khamenei, si è schierato venerdì ufficialmente con il vincitore, Ahmadinejad.
«BASTA INTERFERENZE» - Domenica lo stesso presidente rieletto ha parlato, intimando a Stati Uniti e Gran Bretagna di smettere di interferire nelle vicende interne dell'Iran. «Considerando le vostre sconsiderate affermazioni, non potete più essere considerati degli amici della nazione iraniana. Pertanto vi consiglio: correggete il vostro atteggiamento fatto di ingerenze» ha detto Ahmadinejad a un consesso di chierici e insegnanti. Il riferimento è alle critiche che numerosi Paesi occidentali hanno rivolto alle autorità iraniane per lo svolgimento delle elezioni e il rifiuto di accogliere la richiesta dell'opposizione di ricontare i voti. Anche il presidente del parlamento, Ali Larijani, ha chiesto in un discorso all'assemblea di rivedere i rapporti con Gran Bretagna, Francia e Germania, alla luce di quelle che ha definito «vergognose» dichiarazioni sulla contestata elezione presidenziale. La radio di Stato ha riferito che Larijani «ha chiesto alla commissione del Parlamento per la politica estera e della sicurezza di mettere in agenda la revisione dei rapporti con i tre Paesi europei». Gli Stati Uniti hanno troncato i rapporti con Teheran dopo la rivoluzione islamica del '79.

MERKEL: «RICONTEGGIO DEI VOTI» - Intanto continua il pressing della comunità internazionale sul regime di Teheran. La cancelliera tedesca Angela Merkel ha sollecitato le autorità ad astenersi dall'uso della forza e della violenza contro le manifestazioni popolari e ha chiesto un riconteggio dei voti. Da Londra, il ministro degli Esteri David Miliband ha respinto l'accusa secondo cui le proteste contro i brogli sarebbero pilotate da Londra. «Non è vero che le manifestazioni sono manipolate dall'esterno - ha detto -. Respingo categoricamente questa idea. Il Regno unito è fermissimo nel sostenere che spetta al popolo iraniano scegliere il suo governo».

MANIFESTANTI IN PIAZZA - A Teheran, per l'ottavo giorno consecutivo, i manifestanti sono tornati in piazza per contestare il risultato elettorale. Video amatoriali mostrano un corteo in una delle vie principali del centro della capitale, con i partecipanti che gridano slogan come «Non abbiate paura, siamo uniti» e «Morte al dittatore» (guarda). Secondo testimoni citati dalla Cnn migliaia di agenti antisommossa sono stati dispiegati nelle strade della città e molti negozi sono rimasti chiusi. Domenica la situazione è comunque più tranquilla rispetto a sabato, quando secondo fonti ospedaliere 19 persone sono rimaste uccise negli scontri tra dimostranti e polizia. Su alcuni social network si parla di 150 morti e centinaia di feriti.

«CALMA INSOLITA» - Secondo Lara Setrakian, corrispondente della rete Abc per il Medio Oriente, a Teheran c'è invece una calma insolita. La giornalista preannuncia nuove manifestazioni e un discorso di Mousavi o di sua moglie Zahra Rahnavard. Secondo alcuni blogger il governo starebbe perdendo il controllo dell'esercito e sabato diversi soldati si sarebbero rifiutati di sparare sulla folla. Lo scontro in Iran avviene non solo nelle piazze, ma anche per il controllo dell'informazione. Dopo che il regime ha ufficialmente bloccato il lavoro dei cronisti stranieri le notizie arrivano con difficoltà. Ultimo in ordine di tempo il corrispondente della Bbc Jon Leyne, espulso dal Paese perché accusato di «sostegno ai rivoltosi» dopo che aveva dubitato dell'attentato al santuario di Khomeini. Il giornalista dovrà lasciare l'Iran entro 24 ore. L'opposizione si affida al web, blog, siti e social network. Il regime replica con la propaganda di Stato affidandosi a tv, giornali e radio. Smentendo però diverse volte se stesso.

L'INCENDIO ALLA MOSCHEA - Da Teheran la tv di Stato manda prima la notizia che un numero imprecisato di persone sono morte sabato a Teheran per l'incendio di una moschea appiccato da «rivoltosi» nel corso della manifestazione dell'opposizione. L'emittente ha anche mostrato immagini dell'edificio in fiamme. Poco dopo però arriva la smentita: nessun morto nell'incendio della moschea. Secondo sempre la tv di Stato inizialmente erano solo 13 le persone uccise negli scontri tra la polizia e quelli che vengono definiti «gruppi terroristici». Cifra poi ridotta a 10 morti e un centinaio di feriti.

Faezeh Hashemi (Ap)
ARRESTATA FIGLIA DI RAFSANJANI - Ci sono anche nuovi arresti eccellenti: durante le manifestazioni di sabato sono stati portati in carcere la figlia dell'ex presidente Akbar Hashemi-Rafsanjani e quattro suoi parenti, accusati di coinvolgimento nelle proteste contro Ahmadinejad, come riporta l'agenzia Fars. Faezeh Hashemi, nota attivista per i diritti delle donne, è emersa negli ultimi anni come figura di spicco dell'opposizione. Prima del voto, il presidente aveva accusato Rafsanjani e i suoi figli di corruzione e l'ex presidente è uno dei principali sponsor di Mousavi. Tra gli arrestati anche la figlia di Faezeh. Tutti sono accusati di avere partecipato a un raduno illegale nel centro di Teheran, durante il quale sono scoppiati gravi incidenti, e di avere «provocato e incoraggiato i rivoltosi». Una fonte delle forze di sicurezza ha detto invece che la donna e gli altri membri della famiglia sono stati portati in una stazione di polizia «per la loro stessa sicurezza». Tra le voci dissenzienti ancora in libertà, quella dell'ex presidente iraniano Mohammad Khatami, che ha ammonito sulle «pericolose conseguenze» che potrebbero derivare dal divieto di manifestare imposto dalle autorità.


Teheran, 22 Giugno 2009 (h. 10.08) -- "Ieri avevo scritto un breve appunto perchè avevo un'idea fissa: 'domani sarà un grande giorno [alla manifestazione] , ma io potrei essere uccisa...' Invece ora io sono qui, viva, e a essere uccisa è stata mia sorella. Sono qui a piangere mia sorella morta tra le braccia di mio padre. Io sono qui per raccontarvi quanti sogni coltivava mia sorella... Io sono qui per raccontarvi quanto fosse una persona dignitosa e bella, mia sorella...Sono qui per raccontarvi come mi piaceva guardarla quando il vento le agitava i capelli... Quanto [Neda] volesse vivere a lungo, in pace e in eguaglianza di diriiti.... Di quanto fosse orgogliosa di dire a tutti, a testa alta, 'Io sono iraniana'..."

"Di quanto fosse felice quando sognava di avere un giorno un marito con capelli spettinati, [sognava] di avere una figlia e di poterle fare la treccia ai capelli e cantarle una ninna-nanna mentre dormiva nella culla. Mia sorella è morta per colpa di chi non conosceva la vita, mia sorella è morta per un'ingiustizia senza fine, mia sorella è morta perchè amava troppo la vita... Mia sorella è morta perchè provava amore per tutte le persone..."

"Chiunque leggerà questa mia lettera, per favore, accenda una candela nera con un piccolo nastro verde alla base e ricordi Neda e tutti i Martiri di queste giornate, ma quando la candela si sarà spenta non dimenticatevi di noi, non lasciateci soli..."


(Immagini Forti - Attenzione)

venerdì 26 giugno 2009

Ritroviamo l'Onore: Non pagare il Pizzo!!!

C'è una donna, una madre, che dopo anni di vessazioni decide di chiudere la porta in faccia ai mafiosi. C'è un ragazzo cresciuto a sbirciare dalla serratura le minacce e i pestaggi subiti dal padre, un imprenditore che sceglie di non piegarsi ai ricatti...
E poi c'è un mafioso—sì, anche un mafioso—,uno di quei padrini della vecchia guardia messo ormai alle corde da inchieste, pentiti, retate e da una società che ormai ha deciso di non assecondare più le loro richieste, le loro minacce..

Perché «non pagare il pizzo è una questione d'onore».

È questo lo slogan della nuova campagna contro il racket delle estorsioni..

l'uomo d'onore è quello che si ribella e non quello arruolato da Cosa Nostra..

Tutti uniti con un unico intento: sensibilizzare l'opinione pubblica, gli esercenti e gli imprenditori a
non arrendersi alla violenza mafiosa delle estorsioni e a sviluppare una ribellione civile che possa
diventare il manifesto culturale dei siciliani...



è il momento cruciale e finale dell'intervista...qui dimostra al mondo e alla mafia cosa signifia essere un eroe, cosa sognifica lottare per la riaffermazione di un ideale, cosa significa essere uomini di Stato, uomini per lo Stato!

giovedì 15 gennaio 2009

CHE COLORE HA LA MORTE?

Ban Ki-Moon: "Operazione Israele è eccessiva": "C'è un uso eccessivo della forza nell'operazione israeliana, che deve essere fermato immediatamente". Lo ha detto il segretario generale dell'Onu Ban Ki-Moon in una conferenza stampa al Cairo con il ministro degli Esteri egiziano Ahmed Abul Gheit.

Matrix - Guerra e propaganda araba


Gaza 2009 - La tragedia umanitaria


La morte non ha colore politico, la morte non ha giustificazioni, la morte non cancella altra morte, la morte nulla dà e tutto toglie, la morte, la morte di guerra, colpisce ancora una volta il più debolo, l'indifeso, i bambini, le scuole, gli ospedali... quanto sangue ancora dovrà essere fermato? quali altre operazioni di terra o di mare andranno a cospargere il cielo di sangue? La morte non ha prezzo, non ha fondamentalismi, la morte non giustifica nulla, la morte non dona uno Stato, la morte non cancella un altro Stato, la morte non ha sapore se non quello della sconfitta, della sconfitta di tutti, della sconfitta del silenzio, della sconfitta di chi non osa dire e fare nulla per fermare tutto questo, della sconfitta di qualsiasi diplomazia, della sconfitta della politica, della sconfitta della vita. L'eccidio non ha alcuna giustificazione, ha un solo prezzo: quello del sangue. In quei luoghi santi la morte deve essere fermata, in quei luoghi si sta morendo nel silenzio dell'Europa, dell'America, dell'Italia, in quei luoghi la storia non basta, occorre viverci e viverci a fondo, conoscerne l'essenza per poter "giudicare", nessun razzo può e deve essere consentito dalla popolazione israeliana, nessun "Piombo fuso" può e deve essere consentito sulla popolazione palestinese, due popoli due stati, due popoli due storie, un'unica storia. Che non si speculi sulla morte di nessuno, la morte è uguale per tutti, la morte ha per tutti il colore rosso del sangue, la morte non ha giustificazioni, la morte non ha il colore di nessuna bandiera, di alcun integralismo, la morte non è una democrazia da esportare, la morte non è un popolo da cancellare, la morte non consente che la storia si ripeta a parti invertite, la morte non ha prezzo se non quello della comune tragedia e tristezza.