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venerdì 31 luglio 2009

Gela - Pasolini - Corea del Nord: di tutto, di più

Oms: «A Gela c'è un eccesso di tumori»

Uno studio epidemiologico ha permesso di accertare una esposizione diffusa di arsenico. Sotto accusa è la contaminazione ambientale causata in maniera preminente dagli scarichi industriali del petrolchimico.
Sono stati resi noti, a Gela, i risultati del monitoraggio sull'area a rischio del comprensorio Gela, Niscemi e Butera, effettuato attraverso studi dell'organizzazione mondiale della sanità (Oms), dell'Istituto superiore di sanità e della Regione siciliana.
Lo studio epidemiologico "Sebiomag", sostenuto su un campione di 262 residenti di età compresa tra i 20 e i 44 anni, ha permesso di accertare "un profilo di esposizione diffusa di arsenico, con alcuni valori di goli alti, significativamente superiori a quanto riscontrato in popolazioni non esposte in ambito lavorativo o in circostanze accidentali; un segnale di esposizione al rame, caratterizzato da numerosi valori plasmatici quasi tutti in donne".
L'indagine sottolinea nell'area di Gela "un eccesso di patologie tumorali, sia negli uomini che nelle donne e sia per mortalità che per morbosità; in particolare si registra un aumento dei tumori dello stomaco, del colon-retto, della laringe, di bronchi e polmoni, della vescica e dei linfomi non-Hodgkin".
Oltre a queste patologie è stato registrato "un eccesso di ricoveri per malattie cardiovascolari e respiratorie acute" e in particolare per "pneumoconiosi" tra gli uomini, ovvero per affezioni da polveri nei polmoni.
Sotto accusa è la contaminazione ambientale (acqua, terra, aria e cibi) causata in maniera preminente dagli scarichi industriali del petrolchimico dell'Eni. L'incontro scientifico di Gela è stato presieduto dal prof. Benedetto Terracini, coordinatore del comitato scientifico dell'Oms.
(Ansa)

Pasolini e l'omologazione


Corea del Nord, esperimenti nucleari su bambini disabili

A riferirlo un ex comandante dell'esercito nord-coreano, fuggito in Corea del Sud
Bambini disabili utilizzati come cavie per testare armi chimiche e biologiche: questo il segreto che dopo anni di silenzio, ha rivelato Im Chun-yong, ex capitano dell'esercito nord-coreano.
E' il 1999 quando Im Chun-yong, fino ad allora membro dell'elitè militare nord coreana, fugge insieme a un manipolo di uomini: attraversando a nuoto le acque del fiume Tumen, dopo aver ingaggiato uno scontro a fuoco con decine di soldati, riesce ad arrivare in Cina, per poi passare in Corea del Sud, dove tutt'oggi vive.
Dopo anni di silenzio, le ultime notizie sulla salute di Kim Jong-Il e i possibili conflitti in seno al regime per il passaggio di potere, lo hanno convinto a parlare, di questo segreto "troppo terribile da raccontare".
"Se alla nascita il neonato mostra handicap fisici o mentali - racconta l'ex ufficiale - il governo pensa che il miglior contributo che possa dare alla società... è quello di fare da cavia per le armi chimiche o biologiche".
Sarebbe stato, secondo quanto riferito da Im Chun-yong alla tv Al Jazeera, proprio uno dei suoi uomini ad assistere in prima persona agli esperimenti sugli esseri umani, in un complesso militare sulla costa occidentale nord-coreana. Qui decine di persone sarebbero state spinte a forza in una camera di vetro. "La stanza veniva riempita con gas velenoso - continua l'ex ufficiale nord-coreano - mentre alcuni dottori osservavano e calcolavano il tempo che occorreva perché le persone morissero".
In prima persona l'ex capitano avrebbe invece visto, siamo agli inizi degli anni '90, un suo superiore lottare con altri gerarchi dell'esercito, che volevano portargli via la figlia dodicenne disabile mentale. Inizialmente l'ufficiale avrebbe resistito, per poi cedere alle pressioni. "Ho visto quella bambina che veniva portata via - racconta Im Chun-yong - Non l'ho più rivista".
Già in passato alcuni disertori del regime avevano denunciato esperimenti su detenuti politici: i prigionieri sarebbero stati prelevati dal carcere e condotti in "fabbriche", che in realtà sarebbero siti per sperimentare le armi chimiche e batteriologiche.
Inoltre per Im Chun-yong, mentre la comunità internazionale è focalizzata sul programma nucleare intrapreso dalla Corea del Nord, il pericolo più imminente verrebbe da armi chimiche e battereologiche: l'ex ufficiale ha raccontato infatti di aver ricevuto un addestramento specifico per l'utilizzo di armi chimiche contro il "nemico" e più di 5mila tonnellate di armi biochimiche, tra cui gas nervino, iprite, antrace e colera rappresenterebbero il bottino che il regime di Pyongyang è riuscito a cumulare nel tempo.

giovedì 30 luglio 2009

Sciacca, tutto pronto per il Premio Nazionale di Letteratura "Vincenzo Licata"

Ormai è tutto pronto per l’atto finale della prima edizione del Premio Nazionale di Letteratura e Poesia “Vincenzo Licata – Città di Sciacca”. La giuria presieduta dal prof Giuseppe Corallino e composta inoltre dal prof Enzo Puleo, dall’editore Gianmarco Aulino, dal giornalista Raimondo Moncada e dal critico d’arte Tanino Bonifacio, dopo lunghi ed esaustivi approfondimenti, ha scelto le opere e gli autori migliori i quali porteranno a casa i premi messi in palio dall’organizzazione dell’evento. La serata conclusiva del Premio è prevista per sabato 1 agosto a partire dalle ore 19,30 presso l’ex chiesa S.Margherita sita in piazza Carmine. Tutti coloro che hanno partecipato, a prescindere che abbiano vinto o meno, tutti gli amanti della cultura, della letteratura, della poesia e del poeta Licata sono invitati sin da adesso a prendere parte della manifestazione. La serata conclusiva sarà presentata dai giornalisti Raimondo Moncada e Giusy Di Giovanna. Protagonisti saranno, oltre ai vincitori e ai partecipanti del Premio, tutti i membri della giuria. Il convegno sulla figura del poeta Vincenzo Licata e l’atto della premiazione saranno intermezzate dalla presenza di un prestigioso duo musicale, il Duo Entr’Acte, formato da Ester Prestia al flauto traverso e da Maurizio La Rocca alla chitarra classica che si esibiranno con alcuni pezzi tratti dal repertorio classico mentre gli attori Pippo Graffeo e Paola Caracappa si alterneranno nel recitare le opere risultate vincitrici dell’evento. Il Premio è stato organizzato e portato avanti dall’Associazione di promozione sociale L’AltraSciacca che, per la prima edizione e per la serata conclusiva, ha ottenuto il patrocinio del comune di Sciacca e dell’assessorato dei beni culturali ed ambientali e della pubblica istruzione della Regione Sicilia, ed inoltre si è avvalsa della preziosa e fattiva collaborazione della banca di Credito Cooperativo Sambuca di Sicilia, della Cooperativa fra i Pescatori di Sciacca presieduta dal dott. Nino Randazzo, del Circolo Nautico Il Corallo “Mimmo Marchica” nelle persone soprattutto del presidente Giovanni Palagonia e del direttore sportivo Angelo Roscigno e della gioielleria Nocito dei fratelli Di Giovanna che ha fornito il superpremio finale costituito da un ramo di corallo inserito all’interno di una campana di vetro e che sarà attribuito all’opera migliore in assoluto pervenuto a questa prima edizione del Premio. La direzione del Premio inoltre ci tiene a ringraziare in particolar modo Giuseppe Piazza curatore del sito www.vincenzolicata.it , il prof Enzo Porrello per l’attenzione dimostrata verso questa importante iniziativa culturale e tutta la redazione di ControVoce così vicina ed attenta ad un evento che ha avuto respiro nazionale. Sono state tantissime le opere infatti pervenute dal centro e dal nord Italia, oltre che dalla Sicilia, significato che, seppure alla prima edizione, il premio è stato particolarmente seguito ed apprezzato da tutti gli amanti della parola poetica. Alla serata sono state invitate naturalmente tutte le autorità cittadine e gli eredi del poeta Vincenzo Licata che hanno dato all’associazione L’AltraSciacca l’autorizzazione e l’esclusiva in merito all’organizzazione di questo premio. All’evento prenderà parte anche il dott.Francesco Verderame, presidente della Lilt, il quale accettando l’invito degli organizzatori, interverrà per un saluto e per promuovere una raccolta fondi a sostegno della Lilt da portare avanti tra i presenti alla serata. Un momento importante per veicolare la solidarietà e la generosità della gente verso una tematica tanto delicata e complessa, un motivo in più per partecipare in tanti e non mancare.
Il poeta Vincenzo Licata ha lasciato una traccia indelebile attraverso i suoi innumerevoli scritti, una traccia che non si finisce mai di apprezzare ed ammirare. Oltre al premio a lui dedicato, L’AltraSciacca si è fatto promotrice di altre due iniziative correlate e che speriamo ben presto possano andare in porto e venire finalmente alla luce, ossia la collocazione della statua del poeta realizzata dal maestro Filippo Prestia e l’intitolazione di una via a perenne memoria del nostro illustre concittadino. Inoltre, in un futuro non troppo lontano, non sarebbe male rispolverare, riportare a nuova luce e ripubblicare la preziosissima Opera Omnia la quale raccoglie tutte le poesie del poeta e che era stata già pubblicata in prima edizione una diecina di anni fa andando letteralmente a ruba. Sarebbe tutti questi ottimi segnali di una città che non perde la memoria di quello che è stato e di quello che è: un borgo marinaro tra i più belli della Sicilia, un borgo magistralmente racconto per anni dalla penna ora romantica ora sarcastica del nostro amato poeta Vincenzo Licata.

Calogero Parlapiano

mercoledì 29 luglio 2009

Borsellino ucciso dalla Mafia... che trattava con le istituzioni politiche...


Paolo Borsellino. La sua morte fu opera di "menti raffinatissime"
di Furio De Felice


Totò Riina e il procuratore di Caltanissetta, Sergio Lari, danno credito all’ipotesi che l’attentato del 19 luglio 1992 non fu opera di Cosa Nostra. E le indagini ripartono.

PALERMO – Ora ci sono i suggelli più importanti. In primo luogo quello di Totò Riina che, con un vero colpo di teatro (i boss mafiosi, anche se non sono “tragediatori” come il capo dei capi, conoscono a menadito gli effetti scenici delle loro “uscite”), tramite il suo avvocato, ha prenotato paginate di quotidiani per dichiarazioni che nessuno avrebbe mai supposto potesse fare. “Sono stati loro” ha detto Totò dalla prigione a vita cui è stato inesorabilmente condannato per una vita spesa a massacrare cristiani e ad accumulare denaro. Si riferiva allo Stato, agli apparati deviati, insomma ai servizi segreti che ovviamente non agirono per se stessi ma per un’entità superiore che li guidò e che tuttora è perfettamente sconosciuta. Sarebbero stati loro, appunto, ad organizzare e realizzare l’attentato che avrebbe annientato Paolo Borsellino e cinque agenti della sua scorta.
Il secondo suggello proviene ufficialmente dal procuratore capo di Caltanissetta, Sergio Lari, titolare delle indagini sul magistrato anti-mafia ucciso il 19 luglio del 1992, due mesi dopo la morte del suo amico fraterno Giovanni Falcone a Capaci. Oggi, in un’intervista a “Repubblica” ammette di aver ripreso il filo delle indagini su quella morte, perché ci sono nuovi elementi. Innanzitutto le confessioni di Gaspare Spatuzza, un collaboratore di giustizia che, afferma Sergio Lari, “ha dato la svolta alle indagini”. Attraverso “alcune acquisizioni processuali siamo in grado di fare una rilettura critica delle indagini precedenti”. Anche Totò Riina, secondo Lari, è consapevole che le indagini stiano ripartendo, assicura il procuratore, ed è per questo che avrebbe deciso di far emergere il suo pensiero: “È abbastanza chiaro – afferma Lari – che quel suo messaggio a mezzo stampa era diretto a noi, ai titolari delle indagini sulle stragi”. Poi il procuratore va diretto all’omicidio di Paolo Borsellino e conferma le peggiori ipotesi su quella tragica morte: “Una è questa: si pensa che Borsellino fosse venuto a conoscenza della trattativa e che si fosse messo di traverso. E, proprio per questo, sarebbe stato ucciso”. Il procuratore non esclude anche un’altra ipotesi: quella trattativa fra Stato e mafia sarebbe fallita ed allora lo stesso Riina avrebbe deciso di sterminare Borsellino e la sua scorta “allo scopo di costringere lo Stato a venire a patti”. Infine, l’ultimo mistero (per ora, perché di misteri, quando si parla di Cosa Nostra e Stato, ce ne sono stati sempre innumerevoli), quello dell’agenda rossa del giudice fatta sparire. Dice Lari: “Chi l’ha fatta sparire diciassette anni fa l’ha fatta sparire per non farla ritrovare mai più” perché, forse, in quella agenda vi erano appunti personali “sulla strage di Capaci e sul suo amico Giovanni Falcone” o “su quella trattativa che qualcuno voleva fare”.
Riina e il procuratore di Caltanissetta confermano quello che il fratello di Paolo Borsellino, Salvatore, ingegnere informatico, denuncia dal giorno dell’attentato. “Io non mi ero mai occupato di mafia e seguivo le indagini di mio fratello Paolo da lontano, senza capirci nulla” affermava Salvatore in uno dei numerosi incontri pubblici organizzati con gli studenti delle scuole nel mese di maggio, al quale aveva partecipato anche Gioacchino Genchi, il poliziotto esperto di tecniche informatiche di ricettazione e Sonia Alfano, la neo-deputata europea figlia di Beppe, il giornalista ucciso dalla mafia. “Ma la morte di Paolo mi ha risvegliato. Improvvisamente ho compreso che avrei dovuto spendere questa parte di vita nel denunciare il complotto dei servizi segreti che portò alla strage del 19 luglio del 1992”.
Secondo Salvatore Borsellino, infatti, l’uccisione di suo fratello fu organizzata dai servizi segreti e da un livello politico segreto per tacitare l’ostacolo più serio alla trattativa fra mafia e Stato che, proprio in quel periodo, apparati deviati stavano conducendo tramite Vito Ciancimino. Addirittura, ha affermato Salvatore Borsellino, il tritolo piazzato davanti alla casa della madre, fu azionato da un telecomando nel Castello di Utvegio, una antica residenza prospiciente la zona della strage e sede a disposizione dei servizi.
Nel suo modo mafioso, Riina avalla questa ipotesi. Le dichiarazioni del boss corleonese, paradossalmente, confermerebbero le ipotesi di Borsellino e dello stesso Gioacchino Gerghi che, proprio nell’incontro di maggio con gli studenti, ha fatto anche il nome di Bruno Contrada, secondo lui presente sul luogo della strage subito dopo lo scoppio dell’auto imbottita di tritolo.
E così le indagini sulla morte dell’amico fraterno di Giovanni Falcone si riaprono e questa volta sembrano aver imboccato una strada diversa da quella del mero “attentato di mafia”, una pista peraltro ipotizzata quasi da subito e avvalorata da un nugolo di indizi che però non vollero essere approfonditi. A Cosa Nostra forse non interessava uccidere anche Paolo Borsellino, dopo aver eliminato Falcone che, dal ministero della Giustizia – di cui era titolare Claudio Martelli – dirigeva l’istituzione delle procure distrettuali antimafia ed era dunque diventato ancora più pericoloso per l’organizzazione. Anzi, un’altra strage, dopo quella di Capaci, avrebbe provocato danni esiziali alla compagine criminale, come in effetti avvenne. E questo, per Cosa Nostra, è motivo più che valido per continuare a tenere in vita una persona, anche se si trattava di Paolo Borsellino.

Ilardo: ''Nel '94 Provenzano tratto' con Dell'Utri''
di Salvo Palazzolo

Agli atti le rivelazioni del boss Ilardo: contatti Stato-mafia anche dopo le stragi.

Palermo. Non fu una sola la trattativa fra la Cupola mafiosa e uomini delle istituzioni. Due anni dopo il "papello" di Totò Riina, Bernardo Provenzano ripropose le stesse richieste tramite un contatto nella nascente Forza Italia, Marcello Dell´Utri. La Procura diretta da Francesco Messineo ha acquisito al nuovo fascicolo «Trattativa» – di cui ieri Repubblica ha anticipato l´esistenza – le confidenze fatte dal boss di Caltanissetta Luigi Ilardo al colonnello Michele Riccio, prima di essere ucciso. Quelle parole sono per i magistrati la prova che di trattativa ce ne fu una seconda, altrettanto complessa, altrettanto piena di figure ancora senza nome.
Ecco cosa disse Ilardo, durante un incontro segreto in provincia di Messina, nel febbraio 1994: «Circa un mese fa i palermitani hanno indetto una riunione ristretta con i rappresentanti delle altre famiglie siciliane». Il colonnello Riccio prendeva appunti: «È stato deciso – diceva Ilardo – che tutti gli appartenenti alle varie organizzazioni mafiose del territorio nazionale debbano votare Forza Italia. I vertici palermitani hanno stabilito un contatto con un esponente insospettabile dell´entourage di Berlusconi. Questi, in cambio del loro appoggio, ha garantito normative di legge a favore degli inquisiti delle varie famiglie nonché future coperture per lo sviluppo dei nostri interessi economici quali appalti e finanziamenti statali».
Nel suo rapporto al comando Ros Riccio non scrisse che Ilardo gli aveva fatto il nome dell´insospettabile politico. «Non mi fidavo dei vertici del reparto, non mi fidavo di Mario Mori», ha spiegato Riccio ai pm Nino Di Matteo e Antonio Ingroia. Il nome del politico è adesso ufficialmente agli atti dell´inchiesta sulla trattativa. Marcello Dell´Utri, senatore della Repubblica condannato a nove anni per concorso esterno in associazione mafiosa, in attesa della sentenza d´appello. L´inchiesta sulla seconda trattativa cerca adesso di ricostruire i passaggi che mancano fra Provenzano e Dell´Utri. Diceva Ilardo in un altro incontro con Riccio: «Provenzano ha ottenuto delle promesse dal nuovo apparato politico che ha vinto le elezioni, in cambio dei voti ricevuti».
Chi sono i protagonisti della seconda trattativa? I magistrati avrebbero iscritto nel registro degli indagati alcuni dei mafiosi che parteciparono all´incontro indetto dai «palermitani», in cui si parlò delle garanzie offerte dal «contatto». L´ultima clamorosa inchiesta dei pm di Palermo va oltre le relazioni fra mafia e politica: un pool di magistrati, di cui fanno parte anche Roberto Scarpinato e Paolo Guido, sta cercando di dare un nome agli intermediari. Spunti non ne mancano nelle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, fra imprenditori e uomini dei servizi, i cui nomi sono stati archiviati negli anni passati «per mancanza di riscontri». Questa mattina, il procuratore nazionale antimafia Piero Grasso terrà una riunione di coordinamento fra tutti i magistrati (di Palermo, Caltanissetta, Firenze e Milano) che indagano sui misteri delle stragi. Tratto da: la Repubblica

martedì 28 luglio 2009

Energia alternativa: motori ibridi e pannelli solari per le navi del futuro?

Motori ibridi e pannelli solari per le navi del futuro

Le grandi navi che trasportano merci e passeggeri sono responsabili di elevati consumi di carburanti e cospicue emissioni di gas serra nell’atmosfera. In vari Paesi la sfida del trasporto su mare a impatto ambientale ridotto è stata colta da alcune aziende navali, che si sono ingegnate nell’ideazione di varie soluzioni. Si va da motori ibridi deisel-vento, che riportano in auge le vele da affiancare alla propulsione a carburanti fossili, a pannelli fotovoltaici per alimentare gli impianti di bordo o addirittura lo stesso motore.

di Virginia Greco

Al giorno d’oggi il 90% delle merci è trasportato via mare su immensi cargo, navi condotte da motori diesel che consumano ingenti quantità di carburanti fossili, riversando nell’atmosfera annualmente tra le 600 e le 800mila tonnellate di CO2 (circa il 5% del totale globale). Il loro impatto ambientale è dunque per niente trascurabile, ma la soluzione del problema non è immediata.
La via che si sta tentando è quella di un ritorno all’energia del vento, accompagnato dallo sfruttamento di quella solare.
La Solar Sailor, azienda australiana con sede a Sydney, specializzata nell’ impiego di fonti rinnovabili per la mobilità sostenibile, ha disegnato e realizzato delle vele di 30 metri di lunghezza completamente coperte da pannelli fotovoltaici. Esse sono ora in fase di test su imbarcazioni di varie dimensioni. L’obiettivo è quello di creare navi cargo che possano sfruttare il vento come coadiuvante alla mobilitazione del mezzo.
In pratica in presenza di vento forte la nave potrebbe essere condotta unicamente grazie alle grosse vele, se invece il vento non fosse sufficiente, interverrebbe il motore diesel (con un consumo di carburante comunque ridotto vista la “collaborazione” dell’energia eolica).
I pannelli fotovoltaici sono invece destinati a fornire energia per alimentare gli impianti di illuminazione, di riscaldamento/raffreddamento ed elettronici dell’imbarcazione. Tramite computer le vele saranno mosse automaticamente in seguito ai mutamenti del vento, in modo da essere sempre efficienti al massimo.
L’adozione di una soluzione del genere su larga scala porterebbe ad un cospicuo contenimento dei consumi nonché delle emissioni di gas serra nell’atmosfera. Prima di annunciare la rivoluzione nel settore del trasporto marittimo, attendiamo però di sapere quale sia la reale efficacia di questi sistemi, ossia il risparmio che ne scaturirà.
Secondo l’amministratore delegato di Solar Sailor, Robert Dane, in un prossimo futuro tutte le navi, per merci come da passeggeri, ospiteranno vele solari, ossia adotteranno un sistema di alimentazione ibrido: motore diesel/vento/sole.
Certamente il costo iniziale dell’imbarcazione è elevato, ma “una volta installate”, dichiara Dane, “le vele si auto-pagano in termini di risparmio di carburante nel giro di soli 4 anni di attività regolare”.
A Kiel, città nel nord della Germania, è invece in atto la costruzione di un grosso catamarano privo di vele in cui gli scafi come la cabina sono completamente rivestiti di pannelli solari. L’imbarcazione, che si chiamerà Planet Solar, sarà lunga 30 metri ed equipaggiata da pannelli per un totale di 470mq. Essa nasce dall’idea di Raphael Domjan - presidente dell’omonima azienda franco-svizzera che la produce - il quale l’ha concepita con l’obiettivo di dimostrare concretamente il potenziale che le energie rinnovabili possono avere se supportate da opportune tecnologie.
Una volta costruito, il catamarano affronterà una grande impresa: il giro del pianeta muovendosi esclusivamente in virtù dell’energia solare. A pilotarla sarà lo stesso Domjan insieme ad un altro skipper, Gérard d’Aboville. Essa partirà nel 2010 dal porto di Marsiglia, in Francia, solcherà l’Atlantico e attraverserà lo stretto di Panama. Da qui proseguirà nel Pacifico costeggiando la Cina e l’India, poi risalirà per attraversare il Mar Rosso e lo stretto di Suez. Giunta nel Mediterraneo farà nuovamente rotta verso Marsiglia. Oltre 40000 kilometri da percorrere in 120 giorni (secondo quanto dichiarato dall’azienda), ad una velocità media di 10 nodi, ossia 18,5km/h. Sono previsti degli scali in alcune grandi città, come New York, Shangai, Singapore, Abu Dhabi e Monaco.
Per garantire costante apporto di energia solare al motore, l’imbarcazione seguirà una rotta equatoriale (come evidente dal tragitto annunciato): ciò infatti le consentirà di sfruttare al massimo le capacità dei pannelli solari.
Ovviamente quella di Planet Solar si configura più come un’impresa dimostrativa che come un progetto da riportare identicamente nell’industria del trasporto, dati gli evidenti limiti di un motore che si alimenta solo ad energia solare ed è quindi soggetto a fattori climatici.
Se il viaggio si svolgerà però con successo e nei tempi stabiliti, si offrirà comunque dimostrazione dell’efficacia della tecnologia solare impiegata anche per il trasporto navale. La speranza dell’ideatore Domjan e che una tale iniziativa stimoli investimenti nella ricerca nel settore e porti quindi a concreti cambiamenti nella concezione dei motori per imbarcazioni.
Progetti che prevedono il ricorso all’energia solare, nonché un “ritorno” parziale al vento, si rintracciano anche altrove. In Giappone, per esempio, la Nippon Yusen K.K in collaborazione con la Nippon Oil Corp ha varato di recente la Auruga Leader, una nave cargo con motore ibrido diesel-solare. Secondo i dati forniti dall’azienda, però, i 320 pannelli fotovoltaici installati sono in grado di sviluppare una potenza di soli 40W, quindi possono far fronte ad appena lo 0.3% di energia richiesta dal motore e il 7% di quella sfruttata dagli impianti di bordo: il risparmio e il vantaggio ecologico non appaiono dunque esaltanti.
Dal canto suo la Francia, nei Cantieri STX a Saint-Nazaire, sta lavorando alla realizzazione di una nave da crociera definita ecologica. Eoseas, questo il nome, sarà lunga 305 metri e larga 60, ospiterà cinque ponti e sei vele, su una superficie totale di 12.440mq, e potrà trasportare 3400 passeggeri.
Come la Planet Solar, Eoseas farà ricorso alla forza del vento per ridurre il consumo di carburante (si prevede che le vele possano contribuire mediamente per almeno un 10% alla propulsione del mezzo), mentre i pannelli solari su esse installati forniranno energia per l’illuminazione. Un deposito di gas naturale liquefatto (GPL) a bordo permetterà di alimentare con esso gli impianti di regolazione della temperatura.
Inoltre l’iniezione di aria sotto lo scafo, a formare una sorta di cuscino, agevolerà lo scivolamento della nave sull’acqua, riducendone l’attrito del 17% e quindi comportando a sua volta un risparmio di carburante.
Infine essa impiegherà materiali riciclabili ed ecocompatibili in varie parti della struttura e immagazzinerà l’acqua piovana per riutilizzarla nel risciacquo dei ponti. In termini di gas serra, il taglio di emissioni atteso è del 50% per l’anidride carbonica e dell’80% per l’ossido di azoto.
Erik Pélerin, il responsabile di Ecorizon (azienda realizzatrice di Eoseas), si dichiara entusiasta e soddisfatto dei risultati finora raggiunti: “Una serie di sfide tecnologiche sono state affrontate e vinte, a partire dalla facilità di manipolazione delle vele semi-rigide, fino alla realizzazione dell’impianto a GPL”.
Per vedere Eoseas solcare i mari del mondo dobbiamo però attendere ancora cinque anni.
A quel punto migliaia di passeggeri potranno trascorrere le proprie vacanze su un’imbarcazione singolare e dall’impronta ecologica ridotta (rispetto a quelle attualmente in funzione).
Ma se le navi da trasporto merci sono senza dubbio necessarie e occorre pertanto accettare un compromesso tra impatto ambientale ed utilità economica e sociale, le imbarcazioni da crociera non sono di per sé esclusivamente uno spreco da civiltà moderna un po’ viziata?

Sergio Cammariere - Tutto quello che un uomo

lunedì 27 luglio 2009

Pippo Fava - 10 nuove domande a Papi - Rifiuti tossici in Africa

Pippo Fava - L'ultima intervista - ucciso dalla Mafia... guardate ed ascoltate con attenzione...


Il rosario di incoerenze, menzogne, abusi di potere di Silvio Berlusconi sollecita a rinnovargli alcune domande che possono essere conclusive:

* 1. Quando, signor presidente, ha avuto modo di conoscere Noemi Letizia? Quante volte ha avuto modo d’incontrarla e dove? Ha frequentato e frequenta altre minorenni?

* 2. Qual è la ragione che l’ha costretta a non dire la verità per due mesi fornendo quattro versioni diverse per la conoscenza di Noemi prima di fare due tardive ammissioni?

* 3. Non trova grave, per la democrazia italiana e per la sua leadership, che lei abbia ricompensato con candidature e promesse di responsabilità politiche le ragazze che la chiamano «papi»?

* 4. Lei si è intrattenuto con una prostituta la notte del 4 novembre 2008 e sono decine le “squillo” che, secondo le indagini della magistratura, sono state condotte nelle sue residenze. Sapeva che fossero prostitute? Se non lo sapeva, è in grado di assicurare che quegli incontri non l’abbiano resa vulnerabile, cioè ricattabile – come le registrazioni di Patrizia D’Addario e le foto di Barbara Montereale dimostrano?

* 5. È capitato che “voli di Stato”, senza la sua presenza a bordo, abbiano condotto nelle sue residenze le ospiti delle sue festicciole?

* 6. Può dirsi certo che le sue frequentazioni non abbiamo compromesso gli affari di Stato? Può rassicurare il Paese e i nostri alleati che nessuna donna, sua ospite, abbia oggi in mano armi di ricatto che ridimensionano la sua autonomia politica, interna e internazionale?

* 7. Le sue condotte sono in contraddizione con le sue politiche: lei oggi potrebbe ancora partecipare al Family Day o firmare una legge che punisce il cliente di una prostituta?

* 8. Lei ritiene di potersi ancora candidare alla presidenza della Repubblica? E, se lo esclude, ritiene che una persona che l’opinione comune considera inadatta al Quirinale, possa adempiere alla funzione di presidente del consiglio?

* 9. Lei ha parlato di un «progetto eversivo» che la minaccia. Può garantire di non aver usato né di voler usare intelligence e polizie contro testimoni, magistrati, giornalisti?

* 10. Alla luce di quanto è emerso in questi due mesi, quali sono, signor presidente, le sue condizioni di salute? (La Repubblica)

Rifiuti tossici: un briciolo di giustizia per l’Africa?
di Andrea Bertaglio

Nel 2006 la Probo-Koala, nave del’azienda petrolifera britannica Trafigura, scaricò ad Abidjan, la capitale della Costa d´Avorio, tonnellate di rifiuti tossici. Un altro scandalo è stato di recente rivelato da grandi organi di informazione globale. Questa volta è toccato al quotidiano “The Guardian” ed alla BBC, che rispettivamente con un’inchiesta e con il programma di approfondimento “BBC Newsnight”, sono entrati in possesso di dati sconcertanti riguardanti le 528 tonnellate di rifiuti riversati nell’agosto 2006 in Costa d’Avorio dalla multinazionale Trafigura.
Trafigura è un’azienda petrolifera britannica che, oltre al petrolio, commercia e raffina anche altri prodotti chimici e metallici, fornendo navi e tutto ciò che possa servire al loro trasporto ed immagazzinamento.
Il viaggio di rifiuti tossici verso l’Africa sembra non avere possibilità di sosta. Non è infatti la prima volta, e purtroppo non sarà l’ultima, che si scoprono fatti di questo tipo. Tale vicenda ha però una peculiarità, rispetto alle altre simili: quella di aver avviato la più grande class action della storia: 31mila abitanti della Costa d’Avorio chiederanno risarcimento al colosso petrolchimico dei danni subiti a causa del terribile disastro.
Sempre in nome del profitto, che cosa ha pensato bene di fare Trafigura? Trasportare un’intera nave, la “Probo Koala”, in Costa d’Avorio piena di rifiuti tossici e riversarli nella città portuale di Abidjan, invece che trattarli a regola d’arte, come avrebbe dovuto fare nel porto di Amsterdam. È proprio nella capitale olandese che sono state fatte le analisi di cui la BBC è entrata in possesso, dato che presso lo scalo ad Amsterdam la “Probo Koala” ha cercato di scaricare i residui di lavorazione senza dichiararne la composizione. I tecnici olandesi si sono però accorti del trucco e hanno applicato una tariffa maggiore.
A quel punto la Trafigura ha rifiutato di pagare il denaro richiesto, si è ripresa il carico e ha fatto rotta verso la Costa D’Avorio. Qui, nella notte del 19 agosto 2006, almeno 12 furgoni avrebbero movimentato 400 tonnellate di rifiuti tossici verso 18 siti intorno alla città di Abidjan.
Dopo il disastro, la Probo-Koala è stata bloccata dagli attivisti di GreenpeaceTali rifiuti, che emanavano un terribile odore simile a quello di uova marce (e basterebbe già quello per opporsi allo scarico di rifiuti di una nave straniera sulle proprie coste), erano non solo maleodoranti, ma anche tossici. Il puzzo era infatti dovuto alla presenza nei liquami di alcune tonnellate di acido solfidrico, un veleno ad ampio spettro che può danneggiare diversi sistemi del corpo. Nella brodaglia tossica erano contenuti anche fenolo (sostanza talmente letale da essere utilizzata dai nazisti come arma di sterminio), ingenti quantità di mercaptani (caratterizzati appunto da un odore molto sgradevole), di soda caustica e almeno due tonnellate di idrogeno solforato.
Questa vicenda, che risale appunto a tre anni fa ed ha visto coinvolta la multinazionale britannica, è tornata alle cronache perché è ormai certo che i rifiuti trasportati dalla nave “Probo Koala” erano tossici e, quindi, letali.
Non è perciò un caso se in quel periodo gli ospedali dell’ex capitale ivoriana pullulavano di persone che accusavano gli stessi sintomi, quali nausea, problemi respiratori, ustioni e svenimenti. Il problema è che le persone del posto non hanno subìto solo i sintomi di un’intossicazione evidentemente dovuta ai rifiuti della Trafigura, ma le contaminazioni vere e proprie sono state contate in centinaia di migliaia, oltre alle sedici morti immediate riscontratesi subito dopo l’arrivo della nave.
31mila abitanti della Costa d’Avorio chiederanno risarcimento al colosso petrolchimico TrafiguraInutile dire che Trafigura, la quale era già sfuggita alla legge patteggiando separatamente con il governo ivoriano un risarcimento di 150 milioni di dollari, continua da anni a negare le sue responsabilità. La ditta londinese, infatti, non solo sta cercando di far ricadere tutte le colpe sulla società “Tommy”, quella che ha materialmente scaricato i rifiuti, ma tramite i suoi avvocati ha dichiarato a “The guardian”, che questi rifiuti "non possono causare e non possono aver causato le presunte morti e diffuse malattie".
Anche gli ivoriani sono rappresentati in tribunale (dove Trafigura si dovrà “difendere” il prossimo ottobre, a Londra) da uno studio legale inglese, Leigh Day and Co, il quale accusa gli avvocati della Trafigura di aver contattato alcuni testimoni chiave per cercare di dissuaderli dal presentarsi al processo o per convincerli a cambiare la propria versione dei fatti. Per questo la corte londinese ha ingiunto ai difensori di non contattare più in alcun modo i ricorrenti.
Chissà se sarà possibile, almeno questa volta o almeno per le dimensioni della class action avviata, avere un po’ di giustizia. Si spera in un piccolo successo, in una pillola di soddisfazione per i cittadini ivoriani. Certamente non per l’Africa e per i secoli di torti subìti, ma per i 31 mila che hanno deciso di unirsi e di combattere.
E comunque andrà, ancora una volta complimenti all’Occidente “avanzato” e “sviluppato”, agli esportatori di civiltà, di democrazia, o forse è meglio dire di morte, non solo sottoforma di bombe ed occupazioni, ma anche e sempre più spesso di sostanze tossiche.

domenica 26 luglio 2009

Ciao


Anche se, non lo so, non vorrei, ma però
no, non credo proprio che sia così
sarebbe comodo, sì, ma io non sono come te.
Anche se, dove andró, non saprei, o non sarò
no, questo è un amore grande, sì
vuoi che ti dica così, ma io non sono come te.
Ciao, sai cosa ti dico? Ciao. Io posso stare senza te.
Senza piú tanti "se", senza tanti "ma perché?"
senza un amore cosi, io posso stare, sì.
Ciao, sai cosa vuol dire ciao? vuol dire un'altra come te.
E mai più tanti"se", e mai piú nessun perché.
Ci si illude ancora, sì.
No, questo é un amore grande, si
vuoi che ti dica così, però io non sono come te.
Ciao, sai cosa ti dico? Ciao. lo posso fare senza te.
Senza più grandi "se", senza grandi "ma perché?"
senza un amore così, io posso fare,sì.
Ciao, in fondo basta dire anche ciao
io sto meglio senza te.
Senza piú tanti "se", senza tanti "ma perché?"
senza un amore così, io posso stare, sì
Ciao, sai cosa vuol dire ciao? vuol dire un'altra come te.
E mai più tanti"se", e mai più nessun perché.
Senza un amore così, io posso stare, sì. Ciao.

(Vasco Rossi)

sabato 25 luglio 2009

In Italia c'è meno libertà che in Kirghistan... Guardate e ascoltate questi due bellissimi video: Borsellino & Genchi

Italia: “Libertà peggiore dell’Kirghistan e politici più corrotti del Pakistan”

L’Italia è al 76° posto tra i Paesi "Moderatamente liberi", nell'analisi di -Heritage Foundation's Index of Economic Freedom- (Indice di patrimonio della libertà economica), che si definisce come la libertà di lavorare, consumare e investire incondizionata da parte dello Stato. Un’Italia che sta dietro agli abitanti di paesi, come il Kirghizistan, Mongolia e Madagascar. Un’altra analisi, -Transparency International's corruption- (Indice di luoghi di corruzione) colloca l’Italia al 55° posto sul suo elenco di tutti i paesi del mondo meno corrotti. I politici italiani sono considerati meno affidabili rispetto a quelli del Pakistan, Bielorussia, Azerbaigian, Senegal, Sierra Leone.
Fonte testo: heritage.org/, transparency.org/

Paolo Borsellino ricorda il suo collega e amico Giovanni Falcone durante la veglia organizzata dall'AGESCI il 20 giugno 1992
http://www.youtube.com/watch?v=a2_n6AUty28

Information day Marsala- Gioacchino Genchi - ascoltate con attenzione!

venerdì 24 luglio 2009

Tagli alla sicurezza stradale mentre Mastella si lamenta dello stipendio di parlamentare europeo

Ci risiamo: con una mano si mette e con l’altra si toglie, e questo alla sicurezza stradale non fa bene, come non fa bene al nostro Paese che tra poco più di sei mesi dovrà dire all’Unione Europea se è riuscito o no a dimezzare il numero delle vittime – dal 2001 tutti i paesi dell’Unione sono impegnati a raggiungere il medesimo obiettivo entro il 2010.
Ci risiamo perché nel disegno di legge sul nuovo codice della strada in discussione in Parlamento da un lato s’interviene sull’abuso di alcol e droghe, mentre dall’altro si parla di elevare i limiti di velocità in autostrada (da 130 a 150), ma solo dove è presente il Tutor (l’unico strumento che ha dato risultati tangibili); giusto per capirci: nei tratti in cui è entrato in vigore i morti sono calati del 50%.
La domanda è: che cosa dovrebbe pensare il familiare di una vittima della strada (o anche un tecnico della sicurezza stradale) che ogni giorno si batte perché finalmente l’Italia scelga di lavorare in modo organico per fermare gli scontri stradali? La risposta molto probabilmente s’intreccerebbe con una storia personale che parla del vuoto dell’anima e dell’assenza istituzionale.
Non è la prima volta che accade: un anno fa il Governo con l’inasprimento penale del “pacchetto sicurezza” diceva ai cittadini che interveniva per combattere la strage stradale, contemporaneamente però trovava le risorse per detassare l’Ici sulla prima casa dimezzando i fondi al Piano nazionale di sicurezza stradale (decreto fiscale).
Un mese fa centinaia, fra cittadini e associazioni, hanno scritto lettere ai senatori per chiedere loro di non cancellare il divieto di vendere gli alcolici dopo le due di notte (come fatto dalla Camera in modo bipartisan), risultato: il divieto ha tenuto, ma non si sa ancora per quanto, visto quanto detto dal ministro Brambilla a Rimini qualche settimana fa: “Dobbiamo mettere mano al provvedimento che vieta la vendita di alcolici dopo le 2, altrimenti i giovani e i turisti andranno da altre parti”. E vista anche la crociata a favore del consumo di alcol portata avanti dal Carroccio (battaglia persa ieri nel braccio di ferro in Commissione Trasporti alla Camera).
E poi, diciamo la verità: il divieto è scomodo per molti, così come da altrettanti è accolta con allegria la notizia del possibile elevamento dei limiti di velocità (come dice Giordano Biserni presidente dell’Asaps: “Si potrà correre tranquilli a 200 all’ora con una sanzione di soli 155 euro e appena tre punti di patente. Se ci fate i conti alla fine costa quasi di più andare con la famiglia Gardaland o Mirabilandia. Uno schiaffo alla patente a punti, al Tutor e alla sicurezza”). Un passaparola neanche tanto bisbigliato, del resto se è lo Stato a dirti che puoi premere il pedale (certo, non dappertutto, solo dove c’è il Tutor, mi raccomando) significherà pure che si può fare. Allo stesso modo qualcuno potrebbe anche pensare che allora, forse, se prima li mettono e poi li tolgono, vorrà dire che questi limiti non sono poi così importanti… Dov’è allora la verità? Per quanto ne so io la velocità è, e resta, la principale causa degli scontri stradali mortali.
Esiste qualcosa che si chiama responsabilità, dei segnali e delle parole. Esiste qualcosa che si chiama “responsabilità condivisa”, delle azioni e degli strumenti d’intervento. Esiste qualcosa che si chiama credibilità, e mi hanno insegnato che si ottiene con la sobrietà, la precisione e il rispetto delle regole.
Ma, ancora di più, la speranza è che anche in Italia possa esistere un intervento organico (e pazienza se non troverà il plauso nelle immediate ventiquattrore), l’unico capace di dare delle risposte, e non solo all’Europa. Prima di tutto dovrebbe darle ai familiari delle vittime, e a noi con loro. (L'Antefatto)

STRASBURGO - "Una diaria di 290 euro! 'Sta miseria. Non ci si sta dentro. Questi non sanno cosa si prende al Parlamento italiano". Clemente Mastella esterna il suo disappunto per le nuove "durezze" a cui sono sottoposti i 736 eurodeputati. "Si prende meno che in Italia". Lo urla in ascensore, sventolando furioso le carte che via via gli porgono i suoi assistenti. Studia i chilometraggi. Chiede a Cristiana Muscardini, storica eurodeputata di An, ora nel Pdl assieme all'ex ministro di Prodi, come funzionino le firme-presenze per essere pagati.
Per albergo e vitto la Ue paga ai deputati 295 euro al giorno. Più una correzione legata alla durata del viaggio e alla distanza fra casa e aeroporto (tre euro al chilometro). Fino a questa legislatura gli euro erano 250: l'aumento è legato alla nuova normativa scattata all'Europarlamento. Da quest'anno tutti i deputati guadagnano uguale: 7.666,31 lordi al mese, indicizzati sull'inflazione. Al netto, sono 5.700 euro. Con pensione dopo cinque anni, finito il mandato. Finora invece gli stipendi erano equiparati a quelli dei parlamentari nazionali: gli italiani erano i Paperoni e adesso prendono meno; ma per lituani, bulgari, e molti altri è una pacchia.
Nel conto, poi, ci sono 4.402 euro al mese per spese generali: vere o no, non si deve dimostrare nulla. Solo essere presenti in aula almeno sette volte all'anno. Altri 17.570 euro mensili, invece, sono per l'indennità di segreteria: stipendi e spese degli assistenti scelti dal deputato. Finora anche questa cifra era intascata senza ricevute, magari per collaboratori condivisi fra deputati.
I biglietti aerei per la prima volta non sono rimborsati a forfait: i rimborsi di business class per biglietti low cost o per viaggi di gruppo in auto erano prassi diffusa. Così ora è obbligatoria la ricevuta. Idem per la benzina: 0,49 euro al km. Infine, 4.148 euro sono destinati a viaggi fuori dai rispettivi Stati e 149 euro al giorno, hotel escluso, per missioni extra-Ue. Finisce così l'escamotage di incassare 1.500 euro in nero a settimana per i viaggi aerei che i deputati compiono per le tre settimane mensili di sedute a Bruxelles o Strasburgo. Alcuni, peraltro, si facevano vedere all'Europarlamento anche la quarta settimana, quella destinata al collegio di casa. Altri 1.500 euro. (La Repubblica)

giovedì 23 luglio 2009

L'ultima intervista e uno degli ultimi video di Paolo Borsellino. Non dimentichiamolo, almeno Noi.

ROMA - Ecco la trascrizione dell'intervista rilasciata dal magistrato Paolo Borsellino il 19 Maggio 1992 ai giornalisti Jean Pierre Moscardo e Fabrizio Calvi, così come è andata in onda in televisione. L'intervista venne registrata quattro giorni prima dell'attentato di Capaci in cui fu ucciso Giovanni Falcone. Due mesi dopo (1l 19 luglio) lo stesso Borsellino fu ucciso nell'attentato di via D'Amelio a Palermo. L'intervista del magistrato, trasmessa da un canale satellitare Rai e rifiutata da altre tv nazionali, è al centro delle polemiche scatenate dalla trasmissione "Satyricon" andata in onda ieri sera. L'integrale della registrazione fu pubblicato nell'aprile del 1994 da "L'Espresso, mentre oggi il gruppo Ds della Camera ha diffuso il testo della versione televisiva. L'intervista si apre con una dichiarazione di Borsellino.

Borsellino
Sì, Vittorio Mangano l'ho conosciuto anche in periodo antecedente al maxi-processo e precisamente negli anni fra il 1975 e il 1980, e ricordo di aver istruito un procedimento che riguardava delle estorsioni fatte a carico di talune cliniche private palermitane. Vittorio Mangano fu indicato sia da Buscetta che da Contorno come "uomo d'onore" appartenente a Cosa Nostra.

Giornalista
"Uomo d'onore" di che famiglia?

Borsellino
L'uomo d'onore della famiglia di Pippo Calò, cioè di quel personaggio capo della famiglia di Porta Nuova, famiglia della quale originariamente faceva parte lo stesso Buscetta. Si accertò che Vittorio Mangano, ma questo già risultava dal procedimento precedente che avevo istruito io e risultava altresì da un procedimento cosiddetto procedimento Spatola, che Falcone aveva istruito negli anni immediatamente precdenti al maxi-processo, che Vittorio Mangano risiedeva abitulamente a Milano, città da dove come risultò da numerose intercettazioni telefoniche, costituiva un terminale del traffico di droga, di traffici di droga che conducevano le famiglie palermitane.

Giornalista
E questo Mangano Vittorio faceva traffico di droga a Milano?

Borsellino
Vittorio Mangano, se ci vogliamo limitare a quelle che furono le emergenze probatorie più importanti risulta l'interlocutore di una telefonata intercorsa fra Milano e Palermo, nel corso della quale lui, conversando con un altro personaggio mafioso delle famiglie palermitane, preannuncia o tratta l'arrivo di una partita di eroina chiamata alternativamente, secondo il linguaggio convenzionale che si usa nelle intercettazioni telefoniche, come magliette o cavalli.

Giornalista
Comunque lei in quanto esperto, può dire che quando Mangano parla di cavalli al telefono, vuol dire droga.

Borsellino
Si, tra l'altro questa tesi dei cavalli che vogliono dire droga, è una tesi che fu avanzata alla nostra ordinanza istruttoria e che poi fu accolta al dibattimento, tanto è che Mangano fu condannato al dibattimento del maxi processo per traffico di droga.

Giornalista
Dell'Utri non c'entra in questa storia?

Borsellino
Dell'Utri non è stato imputato del maxi processo per quanto io ne ricordi, so che esistono indagini che lo riguardano e che riguardano insieme Mangano.

Giornalista
A Palermo?

Borsellino
Sì, credo che ci sia un'indagine che attualmente è a Palermo con il vecchio rito processuale nelle mani del giudice istruttore, ma non ne conosco i particolari.

Giornalista
Marcello Dell'Utri o Alberto Dell'Utri?

Borsellino
Non ne conosco i particolari, potrei consultare avendo preso qualche appunto, cioè si parla di Dell'Utri Marcello e Alberto, di entrambi.

Giornalista
I fratelli

Borsellino
Sì.

Giornalista
Quelli della Publitalia?

Borsellino
Sì.

Giornalista
Perché c'è nell'inchiesta della San Valentino, un'intercettazione fra lui e Marcello Dell'Utri in cui si parla di cavalli.

Borsellino
Beh, nella conversazione inserita nel maxi-processo, si parla di cavalli da consegnare in albergo, quindi non credo potesse trattarsi effettivamente di cavalli, se qualcuno mi deve recapitare due cavalli, me li recapita all'ippodromo o comunque al maneggio, non certamente dentro l'albergo.

Giornalista
C'è un socio di Marcello Dell'Utri, tale Filippo Rapisarda che dice che questo Dell'Utri gli è stato presentato da uno della famiglia di Stefano Bontade.

Borsellino
Palermo è la città della Sicilia dove le famiglie mafiose erano più numerose, si è parlato addirittura in un certo periodo almeno di duemila uomini d'onore con famiglie numerosissime, la famiglia di Stefano Bontade sembra che in un certo periodo ne contasse almeno 200, si trattava comunque di famiglie appartenenti a una unica organizzazione, cioè Cosa Nostra, i cui membri in gran parte si conoscevano tutti, e quindi è presumibile che questo Rapisarda riferisca una circostanza vera.

Giornalista
Lei di Rapisarda ne ha sentito parlare?

Borsellino
So dell'esistenza di Rapisarda, ma non me ne sono mai occupato pesonalmente.

Giornalista
Perché quanto pare, Rapisarda, Dell'Utri, erano in affari con Ciancimino, tramite un tale Alamia.

Borsellino
Che Alamia fosse in affari con Ciancimino è una circostanza da me conosciuta e che credo risulti anche da qualche processo che si è già celebrato. Per quanto riguarda Rapisarda e Dell'Utri, non so fornirle particolari indicazioni, trattandosi ripeto sempre di indagini di cui non mi sono occupato personalmente.

Giornalista
Non le sembra strano che certi personaggi, grossi industriali come Berlusconi, Dell'Utri, siano collegati a uomini d'onore tipo Vittorio Mangano?

Borsellino
All'inizio degli anni Settanta, Cosa Nostra cominciò a diventare un'impresa anch'essa, un'impresa nel senso che attraverso l'inserimento sempre più notevole, che a un certo punto diventò addirittura monopolistico, nel traffico di sostanze stupefacenti, Cosa Nostra cominciò a gestire una massa enorme di capitali, dei quali naturalmente cercò lo sbocco, perché questi capitali in parte venivano esportati o depositati all'estero e allora così si spiega la vicinanza tra elementi di Cosa Nostra e certi finanzieri che si occupavano di questi movimenti di capitali.

Giornalista
Lei mi dice che è normale che Cosa Nostra si interessi a Berlusconi?

Borsellino
è normale che chi è titolare di grosse quantità di denaro cerchi gli strumenti per poter impiegare questo denaro, sia dal punto di vista del riciclaggio, sia dal punto di vista di far fruttare questo denaro.

Giornalista
Mangano era un pesce pilota?

Borsellino
Sì, guardi le posso dire che era uno di quei personaggi che ecco erano i ponti, le teste di ponte dell'organizzazione mafiosa nel nord Italia.

Giornalista
Si dice che abbia lavorato per Berlusconi?

Borsellino
Non le saprei dire in proposito o anche se le debbo far presente che come magistrato ho una certa ritrosia a dire le cose di cui non sono certo, so che ci sono addirittura ancora delle indagini in corso in proposito. Non conosco quali atti siano ormai conosciuti, ostensibili e quali debbano rimanere segreti. Questa vicenda che riguarderebbe i suoi rapporti con Berlusconi, è una vicenda che la ricordi o non la ricordi, comunque è una vicenda che non mi appartiene, non sono io il magistrato che se ne occupa quindi non mi sento autorizzato a dirle nulla.

Giornalista
C'è un'inchiesta ancora aperta?

Borsellino
So che c'è un'inchiesta ancora aperta.

Giornalista (in francese)
Su Mangano e Berlusconi a Palermo?

Borsellino
Sì.

Il 19 luglio 1992, con la strage di via D'Amelio muore Paolo Borsellino e gli uomini della sua scorta.
Pochi giorni prima di essere ucciso, durante un incontro organizzato dalla rivista Micromega, Borsellino parlò della sua condizione di "condannato a morte". Sapeva di essere nel mirino di cosa nostra e sapeva che difficilmente la mafia si lascia scappare le sue vittime designate.


mercoledì 22 luglio 2009

"Berlusconi? Il buffone d'Europa"

Nel contesto dell’Unione Europea come pure del G8 che accoglie questo mercoledì a L’Aquila, il presidente del Consiglio italiano è un’anomalia. Sotto gli scandali e le “berlusconate”, si piega ma non si spezza. E una maggioranza di elettori sembra ancora dargli fiducia. Ritorno su uno strano incanto che, da quindici anni, resiste a tutto.
Sua moglie lo ha accusato di frequentare minorenni, delle “vergini offerte al dragone”. Alcune escort girls hanno raccontato, urbi et orbi, delle loro prestazioni tariffate con il presidente del Consiglio – dei baccanali degni di un imperatore decadente, degli harem di sgualdrine che fanno la ola intorno a “Papi” sotto uno sciame di farfalle. È munifico, profuma di lussuria, sembrerebbe di essere nel Satiricon.
Ma la serie di scandali non hanno portato alla caduta dell’eloquenza e Silvio Berlusconi, che urla al complotto e ha annunciato di tornare presto “come nuovo”, ride sempre: “Sono come sono e non cambierò, gli italiani mi voglio così”, proclamava, la mano sul cuore, alla vigilia del G8 che egli presiede, questa settimana, nella sinistrata Aquila.
Un G8 minacciato da nuove scosse sismiche, letteralmente ed in senso figurato, per il quale il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ha già da ora chiesto “la tregua delle polemiche”, tanto egli si rende conto di come l’immagine dell’Italia nel mondo sia rovinata dalle buffonate di Berlusconi. Malgrado l’ampia vittoria del suo partito alle europee, senza sostegno, egli non è riuscito a piazzare il suo protetto alla guida del Parlamento europeo. “Gli scandali di queste ultime settimane non hanno aiutato l’Italia”, eufemizza il capo-gruppo dei liberal-democratici a Strasburgo, l’inglese Graham Watson.
Ma Silvio ride, appunto, sempre, questa risata accattivante e fracassante, che è la sua strategia di conquista, la sua arma fatale, la sua ninnananna, il suo artificio, la sua autobiografia in continua espansione, la sua promessa di lieto fine, la sua storia d’amore con l’Italia :”Gli italiani mi vogliono perché sono buono, generoso, sincero e fedele”, si difende ancora, il Messia.
Ed in un certo senso, i numeri gli danno ragione: 36% di consensi per il suo partito alle europee, anche se non ha ottenuto il 45% atteso; il centro-destra ha ancora progredito alle municipali e provinciali parziali, alcune settimane fa. Durante questi ultimi due mesi, la popolarità di Silvio Berlusconi è stata appena intaccata, passando dal 51% al 49%. Commento di un interpellato per il sondaggio: “Se risolve i nostri problemi, può avere tutte le ragazze che vuole”.
La Chiesa può anche allarmarsi, l’opposizione prevedere il “crepuscolo del Cavaliere”, i commentatori esteri ripetere che un tale scandalo avrebbe già abbattuto chiunque…
Cosa accadrebbe ad una Angela Merkel fotografata con dei gigolo in tanga a bordo della sua piscina, o a Nicolas Sarkozy se una lolita lo chiamasse “Papi”? Ma Sua Emittenza non è un politico ordinario. “Il sultano Berlusconi non cadrà, è il padrone, alla vecchia maniera, di tutto il paese”, ironizza il politologo Giovanni Satori, che parla di un “regime di corte”.
Cento volte lo si è dato per morto; cento volte, è resuscitato. In un’Italia che non crede nella politica (il 25% degli italiani associa il termine a “disgusto” e il 22% a “rabbia”), egli sfugge all’archetipo del potere: personaggio hollywoodiano, eccentrico incantatore, comico da caserma, coach mentale, furbacchione da banco, illusionista poliglotta colpito dalla sindrome di Zelig – il potere di trasformarsi a seconda delle aspettative altrui – Berlusconi ha inventato un nuovo modello di dirigente, un politico-star che occupa lo schermo da quindici anni, e le cui farse soffocano, molto spesso, i veri problemi del paese e coprono il rumore delle stonature.
I giudici hanno stabilito, recentemente, che il suo ex avvocato David Mills è stato corrotto, con 600.000 dollari per fornire falsa testimonianza? E allora? Berlusconi, o l’uomo-spettacolo che ha abbracciato e capito il paese come nessun altro, lo ha abituato alla sua presenza e si scontra forse, oggi, ai limiti del proprio sistema.
Da quindici anni, Berlusconi, adulato od odiato, fa vivere all’Italia una passione come se ne incontra una sola, un tango fusionale e scandaloso. Fu come un’apparizione, in un paesaggio devastato.
1994: la classe politica è a terra, decimata dall’operazione anti-corruzione “Mani pulite”. Spazzati via i grandi partiti, i pilastri, la Democrazia cristiana e il Partito socialista. A colpi di attentati, la Mafia insanguina il paese. L’Italia è demoralizzata dai suoi scandali, dalla sua violenza… Ed ecco il redentore! L’imprenditore, all’epoca cinquantasettenne, “scende in campo”, secondo l’espressione consacrata, giura di sacrificare l’ “ultima parte della sua vita al suo paese”, promette “un nuovo miracolo italiano” e parla al popolo abbandonato.
Lo rassicura. Inaugura, soprattutto, uno stile. Strappa il velo dell’ipocrisia della democrazia-cristiana (DC), rompe con il suo parlare sacerdotale, al contrario di un Giulio Andreotti, l’ex-uomo forte della DC, sfinge dall’aria di gattamorta. Fa la voce del popolo in opposizione all’Italia degli intellettuali – comunisti e cattolici.
Berlusconi il magnate fa soffiare il vento nuovo della televisione commerciale, divenuta la principle agenzia di socializzazione del paese, del kitsch, dei giochi, delle “veline”, queste show-girls mezze nude sulle scene. Egli non pronuncia ragionamenti ma slogan pubblicitari. Crea il mito. Nessun intermediario tra lui ed il corpo sociale: gli altri, questi “mistificatori”, questi “coglioni”, sono assimilati in una “congiura internazionale della spazzatura e della calunnia”. Sono compresi i magistrati, la sinistra, i media non compiacenti…
Più che contenuto, il suo corpo politico e televisivo è un contenente, fluido, che si adatta all’obiettivo, ad un’Italia profondamente frammentata, divisa, elastica. Un ricettacolo unificatore, insomma, dove la gente si rispecchia nei propri sogni: il successo che egli incarna, la sua eterna giovinezza, la sua astuzia, la sua rivincita, anche, su uno Stato ed un burocrazia di cui non ci si fida.
“Ci permette di non pensare e di non riflettere ai nostri problemi, afferma Fabrizio, un autista di taxi. E poi, una zoccola di più o una in meno, cosa cambia? La verità, è che vorrei essere al suo posto”. Insomma, Silvio Berlusconi trasforma una fantasia in un progetto, un partito, in un esercito di tifosi, e rivoluziona la comunicazione politica. Senza mai provare, in realtà, la sua capacità di riformare e di modernizzare lo Stato.
Berlusconi ha rivoluzionato la comunicazione politica
“Eravamo dei pionieri. Berlusconi ha inventato tutto! Ricorda, con emozione, una collaboratrice della prima ora, la responsabile della sua immagine, Mity Simonetto. Nel 1990, il curatore dell’immagine non esisteva in Italia, così come questi slogan molto diretti, senza peli sulla lingua, che ha inaugurato nei suoi spot elettorali, come “Meno tasse”.
In origine, questa bionda petulante lavorava per una televisione privata milanese che Berlusconi ha comprato e che è diventata Italia Uno, una delle tre reti del suo gruppo Mediaset. Ha fatto di Mity una devota: “Ricordo ancora in suo discorso al personale. Ci trasmetteva il suo entusiasmo, il suo pensare positivo. Mi sono detta: quest’uomo è straordinario”.
Nel 1994, divenuto capo di governo, Berlusconi la nomina responsabile dell’”ufficio immagine”. “In realtà, eravamo in due, la mia segretaria ed io. E la burocrazia di palazzo Chigi ci ha messo un po’ di tempo per riconoscere questo nuovo servizio! La nostra posta veniva rispedita al mittente con la dicitura “sconosciuto”.
Negli anni, Mity Simonetto acquista dalle agenzie tonnellate di foto che non considerava abbastanza lusinghiere per il campione, “dal punto di vista estetico”, precisa. Prima di rimpiangere: “Con le foto digitali è impossibile”. La prova: Berlusconi ha recentemente chiesto il sequestro di migliaia di foto rubate durante le feste a Villa Certosa, in Sardegna – la sua Berluscoland, con i suoi palmeti, con i suoi laghi artificiali ed il suo anfiteatro – luogo di passaggio e di ascensione sociale di charters di veline.
Egli denuncia un’intollerabile violazione alla sua vita privata. Ma soprattutto alla favola che rifinisce dall’inizio, lui, l’eroe di “Una storia italiana”, questo foto-romanzo di 128 pagine inviato, durante la campagna elettorale del 2001, a tutte le case italiane, e che mette in scena l’epopea: quella del figlio di un impiegato di banca milanese che ha iniziato cantando sulle navi da crociera, prima di diventare la prima fortuna italiana.
C’è tutto - “L’uomo, l’imprenditore, lo sportivo, la politica, il carattere e le passioni, i piccoli segreti di Silvio…” - tranne le zone d’ombra. Il ritratto disegna da una parte un italiano qualunque, al quale tutti possono identificarsi, ed il semi-dio, che, tutte le mattine, consulta il suo oracolo e prende il polso al suo popolo tramite il suo istituto di sondaggi.
Euromedia Research, il cui ottimismo sembra calcato sul suo, è diretto da una brillante paleontologa, Alessandra Ghisleri, che gli attribuiva ancora il 75% delle opinioni favorevoli al momento del sisma a L’Aquila, dove è corso al soccorso dei sinistrati. E che gli dà ancora oggi il 61%…
Cifre inventate? “No, i sondaggi sono uno strumento delicato, tutto dipende dal modo in cui si formulano le domande”, modera Renato Mannheimer, direttore dell’Ipso, l’istituto di riferimento, il quale dà a Berlusconi il 49%. Ricorda inoltre che nel 1994, anno della “discesa in campo”, il Cavaliere non aveva esitato ad affermare che il 30% degli italiani lo apprezzavano. “Si trattava allora di un perfetto sconosciuto ed i numeri reali arrivavano al 7%. Ma ha fatto bene ad utilizzare questa tecnica pubblicitaria: poco dopo, ha ottenuto il 30%!”.
Così nasce il “berluscottimismo”, secondo il termine del sociologo britannico Stephen Gundle, citato da Marco Belpoliti, autore del recente saggio “Il corpo del capo”. È “la manipolazione del tempo”: “Invece della tensione verso il futuro, tipica delle ideologie degli anni ‘60 e ‘70, il modello berlusconiano propone l’estasi del presente, un edonismo del benessere, della consumazione e del confort. E tutto questo in un sorriso”.
Impolverato di fondotinta, coronato d’impianti capillari, rialzato con i tacchi, costantemente scortato da un battaglione di truccatrici, Berlusconi, maschio-femmina, segue la regola del sistema delle star: mai presentarsi al naturale. Esige che si infili un gambaletto di Nylon sulla telecamera per attenuargli le rughe…
Quest’uomo è un maniaco della comunicazione: è noto che ispezioni egli stesso i WC dei luoghi in cui devono tenersi le riunioni internazionali; nel luglio 2001 durante il G8 di Genova, ha fatto sospendere dei limoni agli alberi con dei fili trasparenti, perché i limoni sono dei frutti invernali… Nel berluosconismo trionfante, il potere detta le stagioni e gli eroi non muoiono mai.
È noioso, ad esempio, che in tempo di crisi la televisione pubblica “diffonda l’angoscia e il pessimismo”, ha già spiegato Berlusconi. Egli controlla quasi tutte le grandi reti nazionali: i tre canali Mediaset e almeno due dei tre del servizio pubblico, la Rai. Al punto che, durante lo scandalo delle call-girls, il direttore fresco di nomina di Rai Uno ha pensato bene di ignorare la questione…
Ma la questione, è che “la sinistra, quando era al potere, non ha mai fatto votare una legge per lottare contro quest’insopportabile conflitto di interessi tra padrone della televisione e presidente del Consiglio!”, tuona un berlusconiano pentito, il deputato Paolo Guzzanti. È un fatto: il fenomeno Berlusconi prospera nel vuoto, quello della classe politica nel 1994, dell’opposizione di oggi. Un vuoto colmato, secondo Guzzanti, da una …”mignotocrazia”!
Fino a dove arriverà questa “politicizzazione della prostituzione”?
“Molti politici hanno avuto delle amanti, Kennedy, Mitterrand.. Qui è diverso, le si fa entrare in Parlamento! Sarebbero state candidate 30 veline alle elezioni europee se la moglie di Berlusconi non fosse intervenuta”. Delle veline che devono avere caratteristiche precise: “Bionde, pelle chiara, occhi azzurri, tipo acqua e sapone”, spiega Guzzanti: “Al congresso fondatore del Popolo Delle Libertà (il nuovo grande partito di Berlusconi), in primavera, la prima fila era loro riservata, sotto pretesto di ringiovanire i ranghi..” Un congresso che assomigliava alla consacrazione di un idolo, al suono potente e sdolcinato dell’inno “Meno male che Silvio c’è”.
Fino a dove arriverà, come ha scritto Vincenzo Susca, della facoltà di scienze della comunicazione all’università della Sapienza a Roma, questa “politicizzazione delle prostituzione”, attraverso la quale “Berlusconi vende e trasforma il suo corpo, il suo linguaggio e le sue idee per avere il consenso, con l’obiettivo di far innamorare il pubblico”?
Padre di una religione di cui è il principio e la fine, Berlusconi è il primo uomo politico italiano, dalla fine della seconda guerra mondiale, che si sia preso cura della sua immagine “con la stessa costanza e continuità di Mussolini”, riassume Marco Belpoliti: “Dopo l’ostentazione ossessiva del corpo del Duce, dopo la feroce e simbolica esibizione del suo cadavere sul piazzale Loreto nel 1945 (dove era stato appeso per i piedi), i politici si rendono quasi invisibili […] Con il magnate milanese, il potere […] occupa la scena politica in maniera onnipotente attraverso l’immagine del suo corpo”.
Belpoliti parla ancora del bisogno del popolo di crearsi dei miti, poi di abbatterli. L’Italia brucierà questo vitello d’oro? In fondo, Berlusconi è la geniale prefigurazione del capo politico di domani, sincretismo di virtuale e di modernità, oppure un simulacro del sogno, una busta su carta patinata?
Lui che si è attirato tanti guai giudiziari, sospetti sui legami con la Mafia, che si è fabbricato un’immunità come scudo durante tutto il suo mandato, che ha fatto votare un certo numero di leggi su misura durante i precedenti mandati, riuscirà a prolungare la favola?
Giuliano Ferrara, uno di questi intellettuali sedotti dal berlusconismo degli inizi, direttore del quotidiano Il Foglio, la cui proprietaria altro non è che la Veronica – la moglie vilipesa di Berlusconi – dà regolarmente lezioni al suo amico Silvio. Questa volta, “la situazione è grave”, dice: una sorta di “24 luglio permanente”. Il 25 luglio 1943, Mussolini fu destituito dai suoi.

[Articolo originale "Berlusconi, le bouffon de l'Europe" di Delphine Saubaber et Vanja Luksic]


Berlusconi ed un'autista - incredibile

martedì 21 luglio 2009

Contro la Mafia. Le parole di Sonia Alfano, le parole di Paolo Borsellino

3 video: Buona Visione

Sonia Alfano, dall'Europa contro la Mafia
Dopo pochi giorni ci informa su quello che si sta facendo in Europa e sui prossimi obiettivi. "E' meglio che il 19 luglio certa gente non metta piede in via D'Amelio". Interventi di Gioacchino Genchi e Lorenzo Baldo (Antimafia Duemila).


Folla inferocita contro i politici ai funerali di Borsellino
DISGUSTATA DAL GOVERNO CHE NON HA SAPUTO PROTEGGERE IL MARITO PAOLO BORSELLINO, LA MOGLIE AGNESE OPTO' PER UN FUNERALE PRIVATO RESPINGENDO L'IDEA DEI FUNERALI DI STATO.
INTANTO LA FOLLA DI PERSONE INSULTA E TENTA DI ARRIVATI AI POLITICI CHE INTANTO VANNO A CELEBRARE I FUNERALI DEGLI AGENTI DELLA SCORTA MORTI NELL'ATTENTATO A BORSELLINO


Paolo Borsellino si scaglia contro i politici (antimafia)
da Teleacras - Agrigento - Intervista a Paolo Borsellino che polemizza per richiamare l'opinione pubblica sul malcostume della politica che attacca l'indipendenza della magistratura.

lunedì 20 luglio 2009

Medio Oriente: Neanche il diritto al Nome, toponomastica solo in ebraico. "Storia della Sicilia" in un video.

Il governo d'Israele annuncia che la toponomastica sarà solo in ebraico, anche per Gerusalemme Né Jerusalem né al-Quds. Da oggi in poi Gerusalemme, la città santa per le tre grandi religioni monoteiste, avrà solo il nome ebraico: Yerushalaim. Lo ha riferito ieri il quotidiano israeliano
Yediot Ahronot, citando il ministro dei Trasporti e della Sicurezza Stradale israeliano Israel Katz, esponente del partito Likud.
La guerra dei cartelli. ''Per me è inaccettabile che Gerusalemme venga indicata nella cartellonistica con il nome nelle tre lingue: inglese, arabo ed ebraico. Ci sarà solo quello ebraico''. Così Katz ha commentato la sua iniziativa, che lo stesso giornale definisce ideologica. L'esponente del Likud non è nuovo a questo genere di esternazioni. La stessa iniziativa della 'pulizia etnica' dei cartelli stradali e della toponomastica è iniziata un anno fa, ma da quando Katz è stato nominato al dicastero dei Trasporti l'iniziativa ha conosciuto nuova vita, nonostante le polemiche. Nella stessa intervista, Katz ha dichiarato che la decisione non riguarderà solo Gerusalemme, ma anche Nasera che diventerà Nazareth ed Akka che diventerà Akko. In realtà è più corretto dire che rimarranno solo con il nome ebraico, perché gli israeliani le chiamavano già così.
Campagna anti-araba. L'iniziativa è solo l'ultimo passaggio di una campagna che la comunità arabo-israeliana vive come un vero e proprio affondo. L'iniziativa dei cartelli segue quella del 'giuramento di lealtà' al quale, secondo l'attuale ministro degli Esteri Lieberman, gli arabo-israeliani dovrebbero sottoporsi e il divieto di qualsiasi commemorazione della Nakhba, la catastrofe, come i palestinesi chiamano la nascita dello Stato d'Israele.
''Quando di Katz non si ricorderà più nessuno, al-Quds esisterà ancora'', commentava ieri uno dei deputati arabo-israeliani della Knesset, il parlamento israeliano.
Conflitto anche per gli spot. La tensione tra la comunità arabo-israeliana e il governo, però, è molto alta. Ogni situazione viene vissuta come un attacco dagli arabi che all'interno d'Israele si sono sempre sentiti cittadini di seconda serie. Ultima polemica quella attorno all'ultimo spot pubblicitario della compagnia di telefonia mobile Cellcom. Il video mostra alcuni soldati israeliani che, vicino alla loro camionetta, pattugliano una zona nei pressi del muro che Israele ha costruito in Cisgiordania. A un certo punto arriva dall'altra parte del muro un pallone e i militari lo rimandano dall'altra parte. Comincia una sorta di partita tra persone che non si vedono.
''Dopo tutto cosa cerchiamo noi? Solo un po' di divertimento'', dice la voce fuori campo che chiude lo spot. Ahmed Tibi, deputato arabo-israeliano, ha chiesto il ritiro dello spot, perché a suo dire è l'ennesima dimostrazione di come Israele non si renda conto del dramma dei palestinesi.
(Christian Elia)

Dopo quasi due mesi di lavoro, posso finalmente pubblicare il mio ultimo documentario breve: lo scarabocchio animato "Storia della Sicilia in cento secondi".
Come suggerisce già il titolo, c'è da correre attraverso una narrazione incalzante e ipercompatta.
Chi sapeva poco o nulla degli eventi narrati sarà forse sorpreso dal gran numero di conflitti, guerre, monarchie, dominazioni, martiri e delinquenze che hanno sventrato l'isola nei millenni.
Consiglio di non battere mai le palpebre mentre si guarda il video: c'è il rischio di perdersi un secolo intero.

Riporto di seguito la trascrizione:

180 milioni di anni fa l'oceano Tetide spezza la Pangea
tra i blocchi corallini emergono Madonie Nebrodi Peloritani ed Erei
fa caldo
flora, fauna ed elefanti nani
dalle eruzioni sottomarine si forma il vulcano Etna
poi 5000 anni fa a Stentinello la prima civiltà neolitica
i sicani vengono sopraffatti dai siculi
Pantalica è la necropoli per tutti i morti
marinai fenici
ricci e pesce spada
arrivano i greci
Naxos e Siracusa
teatri scavati nella roccia o incastrati su un promontorio come a Taormina
Polifemo e le sirene
Archimede e gli specchi ustori
Scilla e Cariddi
prima guerra punica con i romani
Repubblica e Impero
grano e gladiatori, poi vandali e ostrogoti
bizantini, arabi e musulmani
tonnare, aranci e limoni
scimitarre e sceicchi
irrigazione ed architettura
ceramiche e cassata
Ruggero II e i normanni
eredità agli svevi
Federico II e la scuola poetica
Ciullo d'Alcamo e il primo parlamento
aragonesi e angioini
i Vespri quandi i francesi ci fanno arrabbiare
e poi pace a Caltabellotta
gli Asburgo e Carlo V
i Borboni e il Regno delle Due Sicilie
Garibaldi che fu ferito
i piemontesi sbirri e carabinieri
il gattopardo, i pupari
unità d'Italia
terremoto di Messina
i banditi e la mafia, coppola e lupara
Giovanni Verga e Luigi Pirandello
emigrazione e guerra mondiale
fascismo
sbarco degli alleati e Lucky Luciano
il bandito Giuliano e il caffè corretto alla siciliana
Placido Rizzotto e Peppino Impastato
Tano Badalamenti e Marlon Brando che fa il padrino
Andreotti e la mafia
la scomparsa di Mauro De Mauro
lo strano caso Mattei e un certo Sindona
tanta Democrazia Cristiana e poi il Partito Socialista
pizza connection
Falcone e il maxiprocesso
i corleonesi e Totò Schillaci ai mondiali
Buscetta e Dalla Chiesa
le stragi mafiose di Capaci e via d'Amelio
i soldi di Ciancimino, Totò Cuffaro e Raffaele Lombardo
il ponte sullo stretto e i traghetti Franza
e poi tante cose che ancora devono accadere
ma alla fine l'isola verrà mangiata dal mare. (utente: tureturillo)

domenica 19 luglio 2009

Lo scandalo di Villa Certosa & "Che ne avete fatto dei fondi raccolti per l'Abruzzo tramite gli sms solidali?"

Buona lettura e buona visione


Credo che il volontariato sia uno dei pochi vanti del nostro Paese, credo che sia qualcosa che ci accomuna tutti. Lo scandalo della Missione Arcobaleno nel 1999 è stato un brutto colpo che ha messo a dura prova la fiducia di molti di noi verso la Protezione Civile.

A quasi 3 mesi dalla scossa di terremoto che ha rubato la vita di molti italiani e ha sconvolto quella di chi è sopravvissuto, questo blog, unitamente al gruppo di facebook e a chi vorrà sostenere questa causa, chiede che venga fatta chiarezza sugli sms solidali del costo di 1€ inviati per la ricostruzione in Abruzzo.

La domanda è semplice: Che ne avete fatto?

Le altre domande:

Perchè non è disponibile un sito dove si possa conoscere l'ammontare totale dei soldi raccolti con gli sms solidali inviati al 48580 ?

Perchè non sono disponibili le informazioni su come sono impiegati questi soldi, in che misura, e in quali progetti?

Perchè non è disponibile un sito con le informazioni sullo stato di avanzamento degli investimenti di questi fondi raccolti con la buona fede degli italiani?

Ripetete anche voi:

Che ne avete fatto?

G8: Vergogna tutta italiana
La sequenza delle immagini è stata pubblicata a mo’ di copertina dall’Unità giovedì scorso. Ritrae Barack Obama che, appena giunto nella caserma di Coppito per il G8 evita di stringere la mano al corruttore che gli corre incontro.
L’immagine censurata dalle televisioni italiane, sintetizza tutta la disistima e la sconsiderazione che il presidente degli Stati Uniti ha nei confronti del corruttore italiano da ” 7 righe”. Presidente forzato di turno del G8.
Obama in tutte le occasioni in cui è stato ritratto assieme al corruttore durante la 3 giorni del G8, ha sempre avuto un’espressione seria con una smorfia tesa a nascondere vergogna e imbarazzo.
Il corruttore ha fatto la parte dell’intruso fra i cosiddetti grandi della terra che si sono ritrovati all’Aquila. Le poche strette di mano che si sono viste fra il corruttore e altri leader come Sarkozy e la Merkel, sono state imposte dal copione dei cerimoniali. Carla Bruni, italianissima moglie del premier d’oltralpe, non ha retto nemmeno a quelli. Giunta all’Aquila si è data da fare in un percorso pubblico rigorosamente diverso da quello del vergognoso corruttore. L’unico dei leader del G8 che non si è concesso alle domande dei 3.600 giornalisti giunti all’Aquila da ogni parte del mondo.
Il tutto mentre i telegiornali italiani si sono fatti i film sul rapporto umano fra Obama e Berlusconi dipingendo un idillio che non esiste. Non solo clima, crisi economica e povertà. I telegiornali hanno parlato anche di un Obama in forma fare canestro nell’area della caserma militare appositamente adibita a campo di basket. Hanno spinto oltre ogni limite “sull’ottimo livello di organizzazione”. Hanno dipinto L’Aquila orgogliosa di ospitare il G8.
In realtà L’Aquila sfigurata dal sisma del 6 aprile scorso è una città fantasma. Indifferente agli onori della cronaca in cui è finita in questi giorni. Girare per le sue strade militarizzate ci si imbatteva in continui presidi di uomini in divisa incaricati di tenere lontano dal centro storico giornalisti e turisti. Come a Baghdad.
Le poche persone in abiti civili che si incrociavano per strada erano quasi tutti reporter stranieri armati di macchine fotografiche e videocamere, intenti a ritrarre le case sventrate dal sisma.
Pochi per non dire pochissimi gli esercizi pubblici aperti all’Aquila. Per l’arrivo del G8 molti suoi abitanti si sono rifugiati soprattutto lungo la costa di Pescara.
Gli aquilani accampati nelle tendopoli da ormai 3 mesi, invece hanno continuato la loro lotta, nella speranza (che serpeggia vana) di ritornare nelle proprie case in tempi ragionevoli. Sono tanti gli aquilani che non si illudono delle promesse del governo del corruttore. Lo slogan “Yes we camp“ ha fatto il giro del mondo perché gli esponenti del comitato terremotati “3 e 32″ lo hanno scritto in gigantografie sul dosso di una collina, in modo da renderlo leggibile sia dagli elicotteri che dalla città. Loro sono stati fra i pochi aquilani rimasti in città per rompere il silenzio spettrale che affligge il capoluogo abruzzese.
Sono gli accampati che per non far dimenticare gli orrori seminati dal sisma hanno sfruttato la presenza dei giornalisti esteri, gli unici a documentare al mondo con le parole giuste la situazione italiana e del suo corruttore che fa il presidente del Consiglio.
Gli esponenti del comitato terremotati erano tuttavia comuni mortali che non hanno avuto vie d’accesso preferenziali ai leader. Bloccati sul ciglio della strada dai poliziotti armati, hanno comunque tentato di esibire gli stricioni durante l’unico passaggio dalla caserma di Coppito verso la pietosa visita al centro della città.
La protesta ha vissuto qualche momento di tensione fra alcune militanti che si sono scagliate verbalmente contro il cordone di poliziotti. Intanto il corteo di auto dei leader è filato via senza intoppi assieme ai giornalisti al seguito che non hanno potuto documentare il lato B del G8. Quello dei cittadini invisibili come i terremotati, ai quali dopo la fugace vista ravvicinata con Obama non è rimasto altro che tornare nelle loro tende. Che vergogna. (Daniele Martinelli)

Intervista ad Antonello Zappadu, il fotoreporter sardo autore degli scatti a Villa Certosa e all'aeroporto Costa Smeralda di Olbia.
Fonte: http://www.rai.tv/dl/RaiTV/programmi/...
(video non andato in onda ad Annozero)

sabato 18 luglio 2009

Il Cga respinge il ricorso di Rita Borsellino, il Tar quello di Giovanni Manzullo. Marinello (PD) rimane all'ARS

Il deputato del PD all’Assembla Regionale Siciliana Vincenzo Marinello esprime soddisfazione in merito al respingimento dei ricorsi di Rita Borsellino al Cga e di Giovanni Manzullo al Tar, dopo una lunga e complicata battaglia legale.
Potrà mantenere di conseguenza il proprio seggio a Sala D’Ercole.
Ecco il comunicato stampa dell’onorevole di Sciacca:
“Ieri ho appreso con sollievo e liberazione due notizie importanti e fondamentali.
Il Consiglio di Giustizia Amministrativa (Cga) per la Regione siciliana in sede giurisdizionale ha definitivamente rigettato il ricorso in appello presentato da Rita Borsellino che chiedeva l’annullamento delle elezioni regionali del 13 e 14 aprile 2008. I candidati della lista "Rita Borsellino, la sinistra, l'arcobaleno" segnalavano presunte irregolarità commesse in provincia di Trapani al momento della presentazione delle liste e le richieste erano due: l'annullamento delle elezioni regionali e la loro ripetizione, o in alternativa la sottrazione dei voti dal conteggio generale che il Pdl e la lista "Lombardo Presidente" avevano ottenuto nel Trapanese con la sostituzione di sette parlamentari.
Sempre ieri si è conclusa anche la sfida che, mio malgrado, mi ha visto protagonista in prima persona per l’attribuzione del terzo seggio all’ARS del Partito Democratico in provincia di Agrigento.
Il Tar ha respinto il ricorso di Giovanni Manzullo che aveva contestato la legittimità dello scrutinio alle scorse regionali confermando quindi il mio seggio a Sala d’Ercole.
E’ stato un anno lungo, duro e difficile, denso di controversie e battaglie legali ma finalmente la giustizia ha trionfato, ha fatto il proprio corso e mi ha dato ragione.
Da oggi in poi potrò dedicarmi all’intera comunità agrigentina e siciliana con nuova e maggiore lena e rinnovato entusiasmo, per lo sviluppo e il benessere del territorio, sempre e da sempre al servizio dei cittadini.”

Ecco perchè il G8 dell'Aquila ha fallito


Video sottotitolato in italiano: la CNN su Berlusconi, le sue gaffes, e il nuovo scandalo.



G8: i Grandi non hanno deciso nulla! Emergenza fame e i dollari promessi dal G8. Le Ong: “E’ un fallimento”

Il nulla economico emerso a L'Aquila in un vertice inutile e, a tratti, perfino ridicolo. La disoccupazione crescerà nel 2010-2011, a dispetto del "superamento della crisi economica". Cina e India detteranno l'agenda delle prossime risoluzioni (se mai ce ne saranno).
ROMA – Si fa fatica nella lettura dei giornali e nella visione dei servizi televisivi sul G8 appena concluso, che sembra sia stata una tappa fondamentale nello sviluppo dell’umanità e del suo benessere economico, mentre, anche una rapida lettura dei documenti ufficiali approvati, mostra l’assoluta inconsistenza di questo vertice.
Perfino un giornale come “Repubblica”, con il suo inviato di punta Vittorio Zucconi, ha sottolineato il (presunto) fatto che i risultati raggiunti dal vertice aquilano rimarranno nella storia come indelebile patrimonio politico della Nazione.
Ma quali sono questi fatti, per quanto concerne l’economia? Il G8 ha innanzitutto dimostrato come sia, oramai, diventato un G14, inevitabilmente dovremmo dire. Perché è inconcepibile oggi il solo pensare di affrontare l’economia globalizzata senza il coinvolgimento di Paesi quali la Cina, il Messico, il Brasile. E già questo la dice lunga sulla reale importanza del vecchio gruppo di vertice nato a Ramabouillet nel 1975, per volere dell’allora Presidente francese Giscard D’Estaing.
Paesi in forte avanzamento economico come Cina e India hanno praticamente reso evanescente l’accordo sulla limitazione delle emissioni, strombazzato come un successo rassicurante per il clima del pianeta, subito contraddetto dal principale teorico dell’economia verde Jeremy Rifkin, che lo ha bollato come “ridicolo”. Ma i due colossi asiatici hanno comunque dimostrato la loro importanza, con la plastica evidenza che, almeno in materia economica e ambientale, non esiste alcun “concerto mondiale” e nessuna bipolarità concordata fra Occidente ed Oriente. Ad irritare soprattutto le potenze emergenti è il sistema monetario internazionale, istituito nel 1944 a Bretton Woods e fondato sul dollaro, che loro vorrebbero vedere superato.
Ma sono anche altri i punti sui quali il G8-G14 ha mostrato tutta la sua evanescenza. Uno dei più rilevanti è senza dubbio quello relativo alla trasparenza dei mercati finanziari e all’introduzione di principi etici nell’economia. Ora, già parlare di “etica” in un sistema come quello capitalistico globale, appare perlomeno improprio, a meno che non si voglia menare il can per l’aia, come molto spesso capita al nostro superministro economico Tremonti. Ma il punto è che, anche in questo caso, i Grandi si sono trovati d’accordo sul futuro (così come era successo nel vertice del G20 di Londra ad aprile): si farà, si metterà a punto, si concorderà. Per la trasparenza ci si è ispirati ad un altro, ennesimo vertice, quello di Lecce, svoltosi un mese fa, dal quale è nato il cosiddetto “Lecce framework” (altra peculiarità del verticismo internazionale, l’uso di dizioni incomprensibili alla pubblica opinione, probabilmente utilizzate proprio per coprire il vuoto di sostanza), con il quale i ministri delle finanze del G8+UE+ varie organizzazioni specializzate, hanno concordato di concordare in futuro l’individuazione e l’implementazione di “strumenti esistenti nelle cinque grandi aree di intervento: la governance aziendale, la correttezza del mercato, la supervisione e la regolamentazione della finanza, la cooperazione e il coordinamento fiscale e la trasparenza dei dati e delle informazioni macroeconomiche”. Un futuro indefinibile e difficile, messo a dura prova da questo attacco concentrico di buone intenzioni, probabilmente destinate ad esistere solo fra un pranzo di lavoro e l’altro.
Quelle poche note di sano realismo, pur emerse dalle molteplici riunioni aquilane, sono passate nel quasi-silenzio della stampa e dei vari organi di informazione. Come la dichiarazione fatta dal Direttore del Fondo monetario internazionale (non precisamente un’organizzazione progressista), Dominique Strauss Khan, il quale ha sottolineato come, nonostante gli spiragli di ripresa che sembrerebbero in atto, in realtà la disoccupazione continuerà a crescere nel 2010 e nel 2011, quindi per un periodo molto più lungo di quanto tutti, a cominciare da Tremonti, dicono. Ma nelle dichiarazioni riguardanti l’economia, il tema della disoccupazione – che è la cifra reale delle conseguenze sociali delle crisi economiche – viene del tutto sottaciuto o, perlomeno, non sono stati nemmeno ipotizzati interventi keynesiani coordinati (pur citati, per fortuna, dal Presidente Napolitano nel discorso per il pranzo ufficiale offerto dal nostro Paese) di sostegno per politiche espansive, se non quelli genericamente già prefigurati nelle molteplici sessioni dei “G” precedenti.
Un vertice che rimanda ad altri vertici, futuri e passati, una passerella della concordia economica universale, che sicuramente ricadrà nella previsione del Qohelet dell’Antico Testamento: “Né degli uomini né delle cose avrà memoria il tempo”. (Fulvio Lo Cicero)

Emergenza fame e i dollari promessi dal G8. Le Ong: “E’ un fallimento”

Secondo l’Onu, la crisi economica in corso spingerà quest’anno oltre 100 milioni di persone verso la fame, facendo superare la quota di 1 miliardo di persone in stato di estrema indigenza (una su sei a livello mondiale). A fronte di ciò, le cosiddette “grandi potenze” della Terra si dicono pronte a sfidare questo fenomeno con elementi di solidarietà concreta. Aiuti economici a quel terzo mondo che, con una dose di approssimazione, sovrapposto al ‘Continente nero’: l’Africa.
Il G8 dell’Aquila, conclusosi ieri, ha avuto al centro della sua ultima sessione di lavori proprio questo tema, a partire dalla proposta del presidente Usa, Barack Obama, di creare un fondo di 15 miliardi di dollari da destinare alle regioni più colpite dalla fame.
Alla fine, con grande soddisfazione del premier italiano Silvio Berlusconi, che da queste vetrine internazionali spera di trarre nuova linfa per affrontare la travagliata condizione interna, la cifra magica è di 20 miliardi. Tanto sarà stanziato, infatti, da Usa, Giappone e Europa.
In questa occasione, il dibattito circa la sfida contro la malnutrizione – affrontata, a detta di molti, con armi assolutamente insufficienti – ha incluso anche alcune delle cosiddette economie emergenti, rappresentanti di ben otto paesi africani e altri paesi europei e asiatici che non fanno parte del G8.
Una sfida che il presidente nordamericano Barack Obama aveva messo al primo posto degli obbiettivi del summit abruzzese, anche perché la discussione si è svolta alla vigilia del suo primo viaggio ufficiale in Africa. Il capo di Stato Usa non voleva arrivare a mani vuote ad Accra, la prima tappa della visita, e si è battuto fino in fondo per quei 20 miliardi di dollari.
Ma nonostante le buone intenzioni espresse dai “grandi”, Obama in testa, le decisioni assunte dal G8 dell’Aquila in merito all’emergenza malnutrizione, non hanno soddisfatto un gran che. Soprattutto il mondo delle Ong.
Il vertice ha fortemente deluso le aspettative di quelle organizzazioni che in Africa ci lavorano da anni. Tra queste, la Coalizione globale contro la povertà, Actionaid, Amref, Associazione Ong italiane, Azione per la Salute Globale, Legambiente, Oxfam/Ucodep, Save the Children, Un Millenium Campaign e Wwf.
“I Grandi della Terra hanno solo ribadito le promesse di Glenaegles” dichiarano a conclusione dei lavori del vertice con un comunicato congiunto, “rimane ancora da vedere se si tratta di nuovi fondi o dei finanziamenti annunciati cinque anni fa”.
Le Ong hanno inoltre espresso perplessità sull’effettivo reperimento dei fondi: al momento è certo l’impegno Usa per tre miliardi di dollari e quello di Parigi per due miliardi di dollari. Il resto non è meglio definito.
Il rischio che tutto finisca in un nulla di fatto è, insomma, più che concreto. La credibilità delle grandi potenze mondiali, soprattutto in occasione delle passerelle internazionali, non gode di una buona reputazione. D’altro canto, la storia parla chiaro. (Tommaso Vaccaro)

venerdì 17 luglio 2009

Il nemico della stampa in Italia per U.Eco e per i giornalisti stranieri

Sarà il pessimismo della tarda età, sarà la lucidità che l'età porta con sé, ma provo una certa esitazione, frammista a scetticismo, a intervenire, su invito della redazione, in difesa della libertà di stampa. Voglio dire: quando qualcuno deve intervenire a difesa della libertà di stampa vuole dire che la società, e con essa gran parte della stampa, è già malata. Nelle democrazie che definiremo 'robuste' non c'è bisogno di difendere la libertà di stampa, perché a nessuno viene in mente di limitarla.
Questa la prima ragione del mio scetticismo, da cui discende un corollario. Il problema italiano non è Silvio Berlusconi. La storia (vorrei dire da Catilina in avanti) è stata ricca di uomini avventurosi, non privi di carisma, con scarso senso dello Stato ma senso altissimo dei propri interessi, che hanno desiderato instaurare un potere personale, scavalcando parlamenti, magistrature e costituzioni, distribuendo favori ai propri cortigiani e (talora) alle proprie cortigiane, identificando il proprio piacere con l'interesse della comunità. È che non sempre questi uomini hanno conquistato il potere a cui aspiravano, perché la società non glielo ha permesso. Quando la società glielo ha permesso, perché prendersela con questi uomini e non con la società che li ha lasciati fare?
Ricorderò sempre una storia che raccontava mia mamma che, ventenne, aveva trovato un bell'impiego come segretaria e dattilografa di un onorevole liberale - e dico liberale. Il giorno dopo la salita di Mussolini al potere quest'uomo aveva detto: "Ma in fondo, con la situazione in cui si trovava l'Italia, forse quest'Uomo troverà il modo di rimettere un po' d'ordine". Ecco, a instaurare il fascismo non è stata l'energia di Mussolini (occasione e pretesto) ma l'indulgenza e la rilassatezza di quell'onorevole liberale (rappresentante esemplare di un Paese in crisi).
E quindi è inutile prendersela con Berlusconi che fa, per così dire, il proprio mestiere. È la maggioranza degli italiani che ha accettato il conflitto di interessi, che accetta le ronde, che accetta il lodo Alfano, e che ora avrebbe accettato abbastanza tranquillamente - se il presidente della Repubblica non avesse alzato un sopracciglio - la mordacchia messa (per ora sperimentalmente) alla stampa. La stessa nazione accetterebbe senza esitazione, e anzi con una certa maliziosa complicità, che Berlusconi andasse a veline, se ora non intervenisse a turbare la pubblica coscienza una cauta censura della Chiesa - che sarà però ben presto superata perché è da quel dì che gli italiani, e i buoni cristiani in genere, vanno a mignotte anche se il parroco dice che non si dovrebbe.
Allora perché dedicare a questi allarmi un numero de 'L'espresso' se sappiamo che esso arriverà a chi di questi rischi della democrazia è già convinto, ma non sarà letto da chi è disposto ad accettarli purché non gli manchi la sua quota di Grande Fratello - e di molte vicende politico-sessuali sa in fondo pochissimo, perché una informazione in gran parte sotto controllo non gliene parla neppure?
Già, perché farlo? Il perché è molto semplice. Nel 1931 il fascismo aveva imposto ai professori universitari, che erano allora 1.200, un giuramento di fedeltà al regime. Solo 12 (1 per cento) rifiutarono e persero il posto. Alcuni dicono 14, ma questo ci conferma quanto il fenomeno sia all'epoca passato inosservato lasciando memorie vaghe. Tanti altri, che poi sarebbero stati personaggi eminenti dell'antifascismo postbellico, consigliati persino da Palmiro Togliatti o da Benedetto Croce, giurarono, per poter continuare a diffondere il loro insegnamento. Forse i 1.188 che sono rimasti avevano ragione loro, per ragioni diverse e tutte onorevoli. Però quei 12 che hanno detto di no hanno salvato l'onore dell'Università e in definitiva l'onore del Paese.
Ecco perché bisogna talora dire di no anche se, pessimisticamente, si sa che non servirà a niente.
Almeno che un giorno si possa dire che lo si è detto

di Umberto Eco

Interviste a vari giornalisti esteri che si pongono tutti perplessi le stesse domande.
E sono tutti concordi nel dire che in un altro paese si sarebbe dimesse e che la violazione della privacy per un uomo di stato è una sciocchezza.
Quindi c'è un problema: o sono tutti matti i giornalisti o noi siamo un paese completamente anomalo.