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venerdì 31 ottobre 2008

Critica e Contratto Sociale


MILANO - Di fronte a una realtà che assomiglia sempre più a un 'inferno dorato', un 'Helldorado', come hanno battezzato il loro nuovo album, i Negrita scelgono la strada della "critica sociale". "Ci siamo tolti la cappa lattiginosa che, negli ultimi anni, ha indossato la società italiana dove - spiega Pau - sembra che non si possa più criticare niente e nessuno". Ma "se non si mette mai in discussione ciò che il potere impone dall'alto - avverte il cantante - si rischia tutti". Per questo, "se anche altri artisti tirassero fuori il coraggio di portare certi argomenti all'attenzione della massa, o anche solo di una nicchia - sbotta - avremmo tutti da guadagnarci". Il panorama della protesta italiana, alla band aretina, appare desolante: "Lorenzo Jovanotti dice qualcosa in 'Safari', Fabri Fibra nel pezzo 'In Italia'", ma l'elenco finisce lì. Per loro, la strada della critica non è esattamente nuova, "ma prima eravamo più velati, oggi siamo più adulti, abbiamo più consapevolezza e voglia di sentirci più significativi". E poi, "quando scrivi delle cose a 40 anni speri di riconoscertici anche tra 10, nella nostra carriera - ammette Pau - abbiamo scritto anche delle 'cagate', ma non intendiamo ripeterci". La nuova vena di protesta del gruppo toscano affiora in brani come 'Il ballo decadente', con la distanza tra politici e paese reale, 'Radio conga', contro lavoro nero e finte illusioni, 'Il libro in una mano, la bomba in un'altrà sul dogmatismo del Vaticano, la politica imperialista americana e la deriva integralista islamica. Ma in 'Helldorado', "non c'é solo critica, ma tanta voglia di voltare pagina". "Del disco, alla fine - continua Pau, scherzando con il titolo del primo singolo - rimane in mente il rumore della felicità, che é un po' il sapore di tutto l'album". Perché i Negrita non ci tengono affatto a essere catalogati come un gruppo 'kombat': "non lo siamo, forse lo sembriamo, ma - interviene il chitarrista Drigo - è solo perché cantiamo cose di cui nessuno parla, almeno da quando ci siamo abituati a ritenere veritiero ciò che leggiamo sui giornali e nel web". Non a caso, una della canzoni più 'toste' dell'album, 'Il libro in una mano, la bomba in un'altrà, nasce dalle riflessioni di un credente, lo stesso Drigo, che confessa amaramente di non trovarsi più a casa quando entra in chiesa. Così, in 'Salvation', i Negrita arivano ad auspicare una rivoluzione, "non armata, ma assolutamente necessaria perché ormai la realtà è del tutto 'aberrata', l'Italia - inveisce Pau - va completamente revisionata". Anche per questo, dallo scorso album 'L'uomo sogna di volaré, i Negrita non hanno più smesso di viaggiare, a partire dal Sudamerica. Hanno riempito il loro rock e i loro testi di contaminazioni linguistiche e musicali, ma soprattutto hanno scoperto che "da fuori si vede meglio l'Italia" e che spesso "il terzo mondo - concludono amari - è un esempio per il primo".
(da ansa.it)

La filosofia sociale è lo studio filosofico di questioni riguardanti il comportamento sociale e i rapporti tra gli individui.
Comprende svariati argomenti, dai processi cognitivi individuali alla legittimità delle leggi, dai contratti sociali ai criteri per le rivoluzioni, dalle funzioni delle azioni di ogni giorno agli effetti della scienza sulla cultura, dai cambiamenti nella demografia all'ordine collettivo di un nido di vespe. Si tratta di un campo molto vasto in cui ricadono differenti discipline tra cui la sociologia.
La filosofia sociale cerca di capire i percorsi, i cambiamenti e le tendenze delle società umane. Vi è un'area di sovrapponibilità considerevole tra le domande poste da questa dottrina e l'etica.
La forma più diffusa di questa filosofia è quella politica, che riguarda principalmente l'idea di stato e di forma di governo. (da wikipedia.it)

Grande e bello spettacolo veder l' uomo uscir quasi dal nulla per mezzo dei suoi propri sforzi; disperdere, con i lumi della ragione, le tenebre in cui la natura l'aveva avviluppato; innalzarsi al di sopra di se stesso; lanciarsi con lo spirito fino alle regioni celesti: percorrere a passi di gigante, al pari del sole, la vasta distesa dell' universo; e, ciò che é ancor più grande e difficile, rientrare in se stesso per studiarvi l'uomo e conoscerne la natura, i doveri e il fine.

"Bisogna studiare la società attraverso gli uomini, gli uomini attraverso la società: chi volesse trattare separatamente una politica della morale non capirebbe mai niente di nessuna delle due".

1. Nessun uomo ha l’autorità naturale sul proprio simile. Ne consegue che nessuna autorità può essere legittima, se è istituita o se viene esercitata senza il consenso di coloro che vi sono sottomessi.
2. L’autorità (sovranità) politica risiede essenzialmente nel popolo. Essa è inalienabile e il popolo non può affidarne l’esercizio a nessuno. Il singolo che rinunci alla sua libertà, rinuncia nello stesso tempo alla sua qualità di uomo. Così, un popolo che rinunci all’esercizio della sovranità con un patto di sottomissione, si annulla con quest’atto; ci sarebbero solo un padrone e degli schiavi. Le leggi sono l’espressione della volontà generale, e quando un uomo sostituisce la sua volontà a quella di un popolo, non c’è più un’autorità legittima ,ma un potere arbitrario. Poiché la legge non è che la dichiarazione della volontà generale, è chiaro che, nel potere legislativo, il popolo non può essere rappresentato.
3. Il governo o l’amministrazione dello Stato è solo un potère subordinato al potere sovrano ed è, nelle mani di coloro che lo detengono, un semplice mandato. Il governo cerca costantemente di sottrarsi all’autorità legislativa e tende a sostituire la propria volontà a quella del popolo nella amministrazione dello Stato. Quando ci riesce il patto sociale è infranto, ed i cittadini sono costretti, ma non obbligati ad obbedire.

La più antica delle società è la famiglia, lì il legame padre figlio, si articola solo nella necessità da parte del secondo all’aiuto del primo fino all’indipendenza, poi il loro legame si rimette alle possibilità dettate dall’affetto degli individui. La prima preoccupazione è la sopravvivenza ed il primo obbiettivo è quello di essere padrone di se stesso. C’è una differenza: nella famiglia, l’amore del padre per i figli lo ricompensa delle cure che prodiga loro, mentre nello Stato il piacere di comandare sostituisce l’amore che il capo non ha per i suoi popoli.

Tutti i servigi che un cittadino può rendere allo Stato devono essergli resi non appena il corpo sovrano li richieda; ma il corpo sovrano non può opprimere i sudditi con catene inutili alla comunità. Gli impegni che ci legano al corpo sociale sono obbligatori solo in quanto reciproci; e la loro natura è tale che, adempiendoli, non si può lavorare per gli altri senza lavorare anche per sé. Se la volontà segue uno dei singoli o una associazione di essi si avrà un ingiustizia. Ma allora cos’è un atto della sovranità? Una convenzione del corpo con ciascuno dei suoi membri: convenzione legittima, perché ha per base il contratto sociale; equa, perché comune a tutti; utile, perché non può avere altro oggetto se non il bene generale; e solida, perché ha per garanzie la forza pubblica e il potere supremo. Il potere sovrano dunque non passa e non può passare i limiti delle convenzioni generali.

Come la volontà particolare agisce senza tregua contro la volontà generale, così il governo fa uno sforzo continuo contro la sovranità. Più lo sforzo aumenta più la costituzione si altera; e vista l'assenza di una volontà di corpo che bilanci quella del principe ,il principe opprimerà e il patto sociale sarà rotto.
Il governo degenera in due modi fondamentali: quando si restringe, o quando lo Stato si dissolve. Si restringe quando passa da un grande numero uno più piccolo cioè dalla democrazia all'aristocrazia, dall'aristocrazia alla monarchia; bisognerà quindi ricaricare e stringere la molla man mano che essa ceda: altrimenti lo Stato che essa sostiene cadere dei rovina. La dissoluzione può presentarsi in due modi: quando il principe non amministra più lo Stato secondo le sue leggi, ed usurpa il potere sovrano; lo stesso caso si presenta quando i membri del governo usurpano separatamente il potere che devono esercitare solo collettivamente.
Quando lo Stato si dissolve, l'abuso di governo, qualunque esso sia, viene chiamato anarchia. La democrazia degenera in oclocrazia, l'aristocrazia in oligarchia,la monarchia in tirannide. Secondo la definizione corrente, un tiranno è un re che governa con violenza e senza riguardo alla giustizia e alle leggi. Secondo la definizione più precisa un tiranno è un privato che si trova all'autorità regia senza averne diritto, al di là del suo bene o male governare la sua autorità non è legittima. Il tiranno è usurpatore dell'autorità regia, il despota è l'usurpatore del potere sovrano: tiranno è colui che chiama a sé contro le leggi il potere di governare secondo le leggi; il despota è colui che si mette al di sopra delle leggi stesse. Dunque il tiranno può non essere despota, ma il despota sempre tiranno.

Essendo i cittadini tutti uguali in base ad un contratto sociale, quello che tutti debbono fare deve poter essere stabilito da tutti, mentre nessuno ha il diritto di esigere che un'altra faccia quello che non fa gli stesso. Ora è proprio questo diritto, indispensabile per far vivere e muovere il corpo politico, che il corpo sovrano da al principe istituendo il governo. Molti sostengono che questo sia un patto tra il popolo e i capi che esso si dà, contratto con cui le parti si obbligherebbero una a comandare, l'altra a ubbidire. È assurdo che un corpo sovrano si dia un superiore e il contratto che si stipulerebbero sarebbe un atto particolare, sarebbe illegittimo. Non vi è che un contratto nello stato, quello dell'associazione e questo non esclude ogni altro.
(Jean Jacques Rousseau - Il Contratto Sociale 1756)

Questi brani tratti dal famoso libro del filosofo francese Rousseau non vi sembrano scritti ai nostri giorni?


Negrita - Che rumore fa la felicità

giovedì 30 ottobre 2008

Il Caro... Amianto


Sciacca si confronta giornalmente con numerosi problemi, alcuni di questi interessano anche la salute non solo del nostro territorio ma anche di tutta la cittadinanza che vi risiede. In particolare ci riferiamo alla questione dell'amianto che tanto scalpore provoca nelle discussioni di tutti ogni qualvolta si nomina tale parola. Per affrontare meglio il problema abbiamo interpellato il Dott. Vincenzo Pinella, responsabile della salute pubblica e del Poliambulatorio ASL ed il Dott. Buscarnera.
Occorre fare delle precise distinzioni in materia di amianto. Si deve saper discernere dalle strutture in amianto perfettamente mantenute dai proprietari da quelle abbandonate nelle ormai tristemente note discariche abusive. Tutti coloro che posseggono strutture in amianto non sfibrato non generano in alcun modo pericolo per la salute pubblica e l'ambiente. La normativa invece prevede che bisogna attentamente controllare l'amianto che si disperde nell'aria attraverso le polveri, quello che non è impastato bene col cemento o quello che perde col passare del tempo la propria matrice in cemento e quello non incernierato bene. Ed è il proprietario che deve controllare direttamente e monitorare la situazione in cui versa la propria struttura in amianto. Recentemente, ci spiega il Dott. Pinella, abbiamo fatto un censimento completo di tutte le strutture in cemento-amianto, un censimento che comprende sia le strutture conservate bene sia quelle che versano già in una condizione di degrado. In generale abbiamo prescritto a tutti i proprietari di monitorare la loro situazione in maniera continua e precisa e contestualmente di intervenire segnalando all'ASL ogni problema di sorta.
Inoltre quando abbiamo riscontrato una situazione di degrado già evidente abbiamo intimato al proprietario di ottemperare alla bonifica attraverso lo smaltimento o attraverso delle procedure chiamate di verniciatura o incapsulamento.
E' chiaro che poi esistano delle situazioni non a norma, nelle quali spesso non si seguono le prescrizioni consegnate, creando dal nulla discariche abusive.
Ma è bene precisare che il fatto che siano presenti nel nostro territorio discariche abusive non significa necessariamente l'esistenza di un pericolo enorme o ravvicinato, se le lastre di amianto si presentano ancora in maniera compatta le fibre non si disperdono. “Il problema forse è un altro, ossia che la Sogeir non è una ditta specializzata allo smaltimento dell'amianto, neanche se noi dovessimo portare i nostri rifiuti alla discarica principale situata vicino al campo sportivo. L'unica spiegazione che posso darmi delle eccessive spese richieste all'utente per lo smaltimento dell'amianto risiede nel fatto che la Sogeir forse si appoggia a delle ditte esterne, esperte nello smaltimento di questo tipo di rifiuto facendo in pratica da un lato da intermediario tra la ditta veramente specializzata ed il privato, e dall'altro facendo lievitare ulteriolmente i costi. Se ciò fosse vero e confermato, si tratterebbe comunque di una forma di intermediazione tutta siciliana in quanto deve essere il proprietario della struttura in amianto a stipulare il contratto direttamente con la ditta preposta allo smaltimento, quindi senza intermediari.”
Per quanto riguarda più nel dettaglio le discariche abusive, il Dott. Pinella ci spiega come, se non esiste un problema di impatto sanitario alla breve distanza, alla lunga potrebbe esistere invece concretamente. “Col passare del tempo, questi tipi di rifiuti si logorano e possono contaminare il terreno o le falde acquifere dell'area in cui sono abbandonati. Questi rifiuti devono essere raccolti prima possibile, devono essere seguite tutte le norme sanitarie del caso e devono essere smaltiti dagli enti preposti a farlo. Si deve vigilare attentamente su questa vicenda. Se un privato cittadino, contravvenendo alla legge, abbandona questo tipo di rifuti si può fare al massimo una denuncia contro ignoti perchè non si conosce l'autore del misfatto ma se è il Comune a rifiutarsi di agire e di risolvere questo problema, esso è responsabile e deve muoversi attivamente per lo smaltimento di tutti i rifiuti abbandonati sui terreni, aree e strade comunali. Evidentemente non può invece intervenire sui rifiuti collocati su terreni di privati cittadini.
Pur non essendo questa una giustificazione, mi sento inoltre di condividere chi denuncia gli eccessivi costi richiesti per lo smaltimento dell'amianto, un privato cittadino, con tutte le spese che il mantenimento di una famiglia comporta, non riesce a sorbarcarsi sei, sette, otto mila euro di spese per fare il proprio dovere. Tempo addietro avevo proposto alla pubblica amministrazione di munirsi di convenzioni per fare in modo di ottenere smaltimenti a prezzi bassi, fissi e controllati ma nessuno mi ha dato retta e la cosa è ormai stata tralasciata da chi di dovere.
Anche la legge non viene certo incontro ai cittadini, la burocrazia è lunga e farraginosa. La procedura di smaltimento dovrebbe addirittura partire coinvolgendo un tecnico che faccia una relazione scritta del caso, questa poi passa all'ASL, poi torna al proprietario che a sua volta... insomma la burocrazia è lunga e cara e non è possibile pagare certe cifre.”

Calogero Parlapiano - tratto da "Controvoce"

mercoledì 29 ottobre 2008

NO alla gestione dell'acqua ai privati

New York, 2007. Il sindaco Bloomberg lancia la proposta ai suoi concittadini: lasciare perdere l’acqua cosiddetta “minerale” e sostituirla con quella del rubinetto, analizzata giorno per giorno, economica ed ecologica. La stessa cosa l’ha fatto anche il comune di Venezia. "Consigliamo di bere l'acqua del nostro acquedotto fornita da Vesta-Veritas". Così l’assessore all'Ambiente del Comune di Venezia, Pierantonio Belcaro, ha commentato l’iniziativa della città veneta, lanciata con la distribuzione di bottigliette vuote ma etichettate con i dati rilevati sull’acqua dell’acquedotto comunale. Iniziative analoghe anche a Roma, dove l’ex sindaco Veltroni si era occupato di intensificare i controlli sulle acque cittadine e ne aveva ampiamente pubblicizzato le qualità. A Firenze, addirittura, negli uffici pubblici l’acqua del rubinetto ha sostituito le bottigliette d’acqua nelle macchine distributrici (quelle che dispensano bevande e merendine). Molte varie quindi le iniziative in questo senso, in diverse città italiane. Sarebbe bell
o che questa iniziativa si diffondesse, e spero vivamente che questo accada. I vantaggi?
A favore dell’acqua potabile (del rubinetto):
è economica;
è corrente, ciò comporta numerosi vantaggi (ad esempio sappiamo che da dove arriva e quando arriva);
è iper controllata;
è sempre disponibile;
non si devono fare sforzi per portarla in casa com’è invece per le bottiglie (per chi non lo sapesse, ogni litro di acqua pesa un chilogrammo);
è più ecologica da produrre in quanto non servono grossi impianti industriali per l’imbottigliamento;
si elimina il problema (principalmente inquinamento e costi) dello smaltimento della plastica e della sua produzione;
contro:
qualche volta non ha un aspetto così puro, sebbene lo sia;
in alcuni momenti, specialmente durante i trattamenti di depurazione, possono esserci dei picchi di concentrazione di additivi indesiderati (o che comunque nelle acque di fonte non ci sono).

Insomma, l’acqua “pubblica” è un bene importante e spesso sottovalutato, che potrebbe aiutare a migliorare la condizione economica di molte famiglie. Basti considerare che una persona, dicono i medici, dovrebbe bere 2 litri d’acqua al giorno. Due litri per trecentosessantacinque giorni fanno 730 litri d’acqua. Considerando una famiglia di persone diventano 2920 litri d’acqua, quindi circa tre metri cubi. Un metro cubo di acqua costa dai 0,40 ai 0,60 euro circa. Anche se i prezzi salissero ad un euro al metro cubo, in un anno una famiglia pagherebbe 9 euro in tutto. Una confezione da sei bottiglie di acqua Levissima (una delle più costose e pubblicizzate, ma anche tra le più vendute e conosciute per la sua tanto ostentata qualità) costa 3,49 euro, circa 39 centesimi al litro. Facendo ancora un paio di passaggi matematici, si ottiene che per soddisfare il fabbisogno della stessa famiglia di quattro persone, questa dovrebbe spendere 1132,31 euro. La famiglia che beve acqua in bottiglia spende la bellezza di 1124 euro in più. Ciò dovrebbe fare riflettere.
Tuttavia un ombra minacciosa imperversa sull’oro blu: la privatizzazione degli acquedotti pubblici. L’acqua è un bene di tutti, da tutelare, ho spiegato prima quanto sia importante. Penso che sia nell’interesse di tutti tutelare questa risorsa, e sono convinto che se la gente è conscia di ciò, sarà capace di mobilitarsi se vedrà questo suo diritto messo in discussione. La privatizzazione è stata proposta per far fronte alle varie crisi idriche che ciclicamente affliggono diverse zone d’Italia e per dare la possibilità di rinnovare le strutture senza gravare sulle casse pubbliche. Soldi che ovviamente i gestori privati andrebbero poi a prendere dalle tasche dei clienti (cioè noi). Questo rischia in qualche modo di compromettere i tanti vantaggi che la gestione pubblica delle risorse idriche comporta e non penso che sia questo il bene per le persone (senza pensare poi alle complicazioni che una privatizzazione porterebbe nella gestione della risorsa e nella vita delle persone). (da il rompiscatolediprovincia.blogspot.com)

Il governo Berlusconi senza dire niente a nessuno ha dato il via alla privatizzazione dell'acqua pubblica.Mentre nel paese imperversano annose discussioni sul grembiulino a scuola, sul guinzaglio per il cane e sul flagello dei graffiti, il governo Berlusconi senza dire niente a nessuno ha dato il via alla privatizzazione dell'acqua pubblica. Il Parlamento ha votato l'articolo 23bis del decreto legge 112 del ministro Tremonti che afferma che la gestione dei servizi idrici deve essere sottomessa alle regole dell'economia capitalistica.Così il governo Berlusconi ha sancito che in Italia l'acqua non sarà più un bene pubblico, ma una merce e, dunque, sarà gestita da multinazionali internazionali (le stesse che già possiedono le acque minerali). Già a Latina la Veolia (multinazionale che gestisce l'acqua locale) ha deciso di aumentare le bollette del 300% Ai consumatori che protestano, Veolia manda le sue squadre di vigilantes armati e carabinieri per staccare i contatori.La privatizzazione dell'acqua che sta avvenendo a livello mondiale provocherà, nei prossimi anni, milioni di morti per sete nei paesi più poveri. L'acqua è sacra in ogni paese, cultura e fede del mondo: l'uomo è fatto per il 65% di acqua, ed è questo che il governo italiano sta mettendo in vendita.L´acqua che sgorga dalla terra non è una merce, è un diritto fondamentale umano e nessuno può appropriarsene per trarne illecito profitto.L´acqua è l'oro bianco per cui si combatteranno le prossime guerre.Guerre che saranno dirette dalle multinazionali alle quali oggi il governo, preoccupato per i grembiulini, sta vendendo il 65% del nostro corpo. (da sudterrae.blogspot.com)

In Italia è iniziata la privatizzazione dell'acqua e lo sanno in pochi. Infatti, il Parlamento ha votato l'articolo 23bis del decreto legge 112 del ministro Tremonti, il quale afferma che la gestione dei servizi idrici deve essere sottomessa alle regole dell'economia capitalistica. Siamo sott’acqua!Ma è opportuno entrare nel dettaglio per comprendere quanto sia perversa questa norma. Sembra che con l’emergenza rifiuti si è approfittato per inserire, quasi di soppiatto, anche l’argomento servizi idrici, affinchè venga definitivamente decretato che anche questo tipo di prestazione, essenziale per la popolazione di un paese, possa essere trasferito dalla gestione pubblica all’imprenditoria privata.La norma: modalità di conferimento Servizi Pubblici di rilevanza economica.Tra tali servizi rientrano anche quelli di tipo ambientale (servizi idrici e servizio gestione rifiuti solidi urbani). In generale sono a rilevanza economica tutti quei servizi pubblici locali assunti dall’ente, che siano gestiti con metodo economico, laddove la tariffa richiesta all’utente assolve allo scopo di coprire integralmente i costi di gestione.
Il commento:si fa interessante la presentazione della modalità di conferimento, senza tener conto che l’acqua costituisce un bene primario e pubblico del paese, ignorando palesemente quanto sostenuto dai vari organismi che, in seno all’ONU, si occupano dell’emergenza idrica nel mondo. Ma come...? L’acqua sta diventando il bene per cui, in futuro, gli stati potrebbero farsi la guerra, a seguito della sua certa scarsità e noi decretiamo che questa debba essere affidata ad imprenditori privati? Così questi potranno speculare a piacimento su una risorsa in estinzione?La norma: conferimento ordinario mediante procedura ad evidenza pubblica.L’articolo 23 bis del decreto legge in esame stabilisce che il conferimento della gestione dei servizi pubblici locali avviene, in via ordinaria, a favore di imprenditori o di società in qualunque forma costituite individuati mediante procedure competitive ad evidenza pubblica, nel rispetto dei principi del Trattato che istituisce la Comunità europea e dei principi generali relativi ai contratti pubblici e, in particolare, dei principi di economicità, efficacia, imparzialità, trasparenza, adeguata pubblicità, non discriminazione, parità di trattamento, mutuo riconoscimento, proporzionalità.
Il commento:privatizzano l'acqua in via ordinaria a favore di imprenditori o società, in qualunque forma costituita. Quindi se costituisco una società in nome di persone ed ho qualche "amico" posso farmi l'acquedotto personale per poi vendere come voglio ed a chi voglio? Ma perchè cavolo nessuno dice nulla:televisioni, giornali, radio, niente! Le uniche azioni che in Borsa non hanno avuto alcuna flessione sono quelle di società che gesticono l'acqua, scommettiamo?!
(da napoletaniaroma.blogspot.com)

NO alla gestione dell'acqua ai privati... l'oro blu non può e non deve essere diretto da pochi, diritto di pochi, è una risorsa di tutti, per tutti, non può essere privatizzato, non deve essere privatizzato, non può essere mercificato. Specie al sud, specie in provincia di Agrigento, territori assetati da sempre, non possiamo assistere inermi al furto di questa nostra risorsa, non possiamo permetterci delle bollette salate al pari di un servizio che non è tale, non vogliamo morire di sete, non vogliamo scegliere tra mangiare e bere... ACQUA PER TUTTI, DI TUTTI.


De Andrè - Dolcenera

martedì 28 ottobre 2008

L'AltraSciacca sulla C6 Tv


Domani mattina alle ore 11,20 circa l’Associazione di promozione sociale L’AltraSciacca sarà ospite della web tv “C6” che tratta in diretta giornalmente di tutte le principali notizie ed avvenimenti che accadono in Italia e che, sfruttando la tecnologia web, è raggiunta da una notevole utenza di video ascoltatori.
Dal loro sito internet, http://www.c6.tv/ , è possibile seguire tutti gli interventi proposti quotidianamente dalla redazione e quindi anche il nostro che andrà in onda in diretta.
Il Presidente Pietro Mistretta interverrà a nome di tutti i soci sul tema acqua, sui costi eccessivi delle bollette, sulla crisi idrica nella provincia di Agrigento, sulle nostre iniziative, sui Movimenti per l’acqua pubblica e sui danni perpetrati dalla privatizzazione del prezioso liquido.
Questo intervento rappresenta sicuramente un altro importante tassello per l’affermazione delle nostre iniziative e del nostro lavoro sul territorio locale e provinciale.

L'Ultimo Canto del Gallo


Uno dei problemi più importanti della Sicilia e della nostra città di Sciacca è stato da sempre quello delle vie di comunicazione, dei servizi di trasporto pubblico, della rete che ci può far spostare più o meno comodamente da una parte all’altra della nostra regione. All’interno di questo annoso problema si pone in maniera evidente anche quello del servizio offerto ai nostri studenti universitari ed ai nostri lavoratori pendolari dalla Ditta Gallo che dovrebbe garantire le comunicazioni tra Sciacca e Palermo, e viceversa.
Non passa anno senza il quale non si registrino proteste, disservizi, autobus fatiscenti i quali spesso si fermano lungo il tragitto per delle rotture meccaniche o che non sono forniti nemmeno di aria condizionata, necessaria e fondamentale quantomeno nel periodo estivo, lungo e caldo.
Ma quello che si sta verificando nelle ultime settimane non solo è preoccupante ma rasenta il livello più basso da quando il servizio, se così lo possiamo chiamare, è stato istituito. Da settembre, con la ripresa di tutte le attività universitarie e lavorative, giornalmente e puntualmente, si verificano episodi sconcertanti: gente col biglietto già pagato che viene lasciata a terra o che è costretta a viaggiare in piedi per tutto il tragitto pur di non perdere le ore di lavoro (Brunetta incombe), gente trattata in maniera scortese dagli autisti ai quali non interessa cosa accadrà a coloro che non potranno giungere a destinazione e, cosa ancor più paradossale, biglietto salato ed eccessivamente costoso se paragonato alla qualità offerta dalla ditta in questione.
Tutti i giorni, ma soprattutto in coincidenza del venerdì e della domenica, la situazione rischia di precipitare da un momento all’altro perché la frustrazione prende il posto della ragione, la foga prende il posto delle parole ed in questo contesto giungere alle mani per accaparrarsi un posto diventa quasi il passaggio naturale e finale di tutta la vicenda. Non è possibile andare avanti così.
Tutti gli anni ci poniamo le stesse domande, ci chiediamo perché l’amministrazione comunale non possa o non voglia fare nulla, cerchiamo di spiegarci per quale motivo si giunga puntualmente a questo stato di cose ma non troviamo mai le giuste risposte.
Quando qualche esponente politico all’improvviso si ricorda della triste vicenda, due sono i pensieri che ci sobbalzano subito in mente. O cerca il suo momento di gloria giornaliero o siamo in prossimità delle elezioni e cavalcare l’onda del malcontento e del “ci penso io” diventa uno sport facile e piacevole da praticare.
Mesi addietro erano state fatte delle precise promesse a tutti coloro che usufruiscono del servizio ed in generale a tutta la cittadinanza: sarebbe stato istituito un portale
on-line ove possibile prenotare il proprio posto sull’autobus. Ebbene siamo oramai a metà ottobre e non solo questo servizio non è stato creato ma la ditta gallo non possiede nemmeno un proprio sito internet.
Siamo sicuri che non ci sarebbe nemmeno bisogno di andare a verificare che quanto riportato corrisponda a verità data l’annosità del problema ma se proprio si ci vuole togliere lo sfizio invitiamo la polizia municipale, i vigili urbani e l’assessore al traffico Mariella Campo a recarsi il venerdì pomeriggio a Palermo, alla stazione o in viale delle scienze, o collocarsi la domenica pomeriggio a Sciacca presso la via agatocle, sede principale della nostra grande stazione degli autobus. Potrà rendersi facilmente conto di come stanno veramente le cose e magari decidere di intervenire concretamente.
Inoltre non siamo solo noi poveri saccensi a dover constatare questo degrado nei servizi ma anche i ragazzi dei paesi dell’hinterland, nonché i turisti che per giungere a Sciacca o a Palermo si rendono conto velocemente di questa triste realtà e la pubblicità non può che essere negativa.
Da anni ci sono tutta una serie di quesiti che ci amareggiano sia in quanto utenti sia in quanto semplici cittadini: perché la ditta gallo opera in un sistema di monopolio assoluto nello gestire questa tratta stradale? Perché nessun altra ditta si può inserire in questo contesto? Forse è che siamo tutti soddisfatti del servizio offerto e non c’è bisogno di concorrenza? Non ci risulta. Perché il servizio di prenotazione dei posti on-line non è ancora stato attivato, anzi perché non abbiamo nemmeno un sito ufficiale della ditta dove poter controllare quantomeno gli orari dei collegamenti offerti che cambiano ripetutamente a loro assoluta discrezione? Perché tutti i sindaci che si sono avvicendati negli ultimi anni nella nostra città, nonché l’ultimo ancora in carica, non hanno preso in mano la situazione e fatto sentire la loro voce in modo deciso all’interno del governo regionale? E dire che siamo perfettamente collocati all’interno dei tanto decantati virtuosi collegamenti. Perché il costo del biglietto di sola andata, di andata e ritorno, nonché l’abbonamento mensile continua ad aumentare senza ritegno in un contesto di tali disservizi? Perché con un solo autobus si devono raccogliere tutti i passeggeri provenienti da Sciacca, Sambuca e Menfi con l’evidente conseguenza che i posti non bastano per tutti? Perché non si potenzia il servizio offerto? Perché l’utente che paga profumatamente per avere un servizio degno di questo nome deve rimanere a terra, arrivare in ritardo, viaggiare senza confort e subire continui attacchi di bile? Perché abbiamo il terrore di ammettere come stanno davvero le cose?
In un paese dove indignarsi è divenuto merce rara, gli utenti hanno ormai superato da tempo questa fase per giungere a quella della rassegnazione e della vergogna per sentirsi trattati come animali da smistare da una parte all’altra della Sicilia e per temere il ricatto di perdere pure questo minimo servizio di trasporto se osano descrivere le cose per come stanno. Chi usufruisce delle prestazioni della ditta gallo è ben consapevole del fatto che, se oggi è riuscito a salire sull’autobus, domani magari rimarrà a piedi: in questa vicenda siamo tutti sulla stessa barca e diventa necessario poter fare fronte comune, nel comune interesse di provare a risolvere il problema.
Ma non siamo a Sciacca sede del terzo polo turistico?

Calogero Parlapiano - tratto da "Controvoce"

lunedì 27 ottobre 2008

A Padre Giovanni Sciacchitano

Vienna, 27 Ottobre 2008

Ho appreso con grande dispiacere e tristezza la scomparsa del nostro amato Padre Giovanni Sciacchitano, un uomo di grande fede, caritatevole e amante della vita; un uomo di cultura sensibile all’arte nelle sue molteplici espressioni. Amava la musica intesa quale privilegiato strumento di preghiera ed esaltazione di Dio ma anche come mezzo per affinare le qualità umane degli individui. Quando gli proposi di costituire un coro polifonico egli fu felice di sostenere tale iniziativa perché convinto del potere di interazione sociale della musica e perché profondamente innamorato della voce umana quale pura espressione dell’animo umano. Era un uomo al servizio della sua immensa fede con una straordinaria capacità di sorridere al prossimo con quella semplicità e ricchezza umana che lo rendevano unico. Il coro Cantores mundi gli è profondamente grato per l’amore, la disponibilità e il sostegno da lui costantemente profusi. Continueremo a cantare per lui che ormai gode in cielo del soave canto del coro degli angeli celesti.


Antonio Giovanni Bono


Pubblico la lettera del mio amico Antonio Giovanni Bono che ha condiviso con me l'esperienza di vita di aver conosciuto una persona dalle alte doti morali, spirituali e culturali come Padre Giovanni Sciacchitano. Ci associamo al comune dolore della comunità saccense.
Calogero Parlapiano

La Cultura Tagliata

L'intervento di Marco Travaglio ad Annozero del 23-10-2008


Lo psiconano ha lanciato “un avviso ai naviganti”. Ha preso ispirazione dal suo modello, Putin. E ha dichiarato con scansione di parole degna di un padrone che si rivolge ai suoi servi: “Convocherò oggi il ministro degli Interni, darò a lui istruzioni dettagliate” per l’utilizzo della Polizia nelle scuole occupate.Maroni-prendi-istruzioni è lo stesso condannato a 4 mesi e 20 giorni per resistenza e oltraggio (addentamento di polpaccio) a pubblico ufficiale.Io, più civilmente, vorrei dare un consiglio, non un avviso, al Navigante: di tagliare la corda. Non è l’unico responsabile dello sfascio, anche se il più in vista. Pagare per tutti non gli conviene. Meglio fare alla romana e filarsela all’inglese.Il crollo della finanza sta passando il testimone all’economia. Non tutti hanno azioni, ma tutti fanno la spesa e devono mantenere una famiglia.Le aziende sono strangolate dall’indebitamento e le banche non fanno più credito. In media ogni impresa italiana è indebitata per 176.000 euro. Il gran totale dei debiti aziendali è salito a 916,3 miliardi di euro. Quante imprese chiuderanno quest’anno? Almeno 300.000, ma è un numero prudente, molto ottimista. Nel 2009 la produzione industriale diminuirà, il Prodotto Interno Lordo sarà negativo, le serrate potrebbero raddoppiare. Quando diminuisce la produzione si perdono posti di lavoro. Quanti rimarranno a casa entro la fine del prossimo anno? Due milioni in più è un numero plausibile.3,2 milioni di famiglie rischiano di perdere la casa. La rata del mutuo a tasso variabile sta diventando insostenibile. Finiranno in mezzo a una strada? E’ possibile.L’Islanda è fallita, chi l’avrebbe detto un mese fa? L’Italia fallirà? Chi non l’ha pensato almeno una volta? Il debito pubblico si aggira, senza dare troppo nell’occhio sui mezzi di informazione, sui 1.700 miliardi di euro con 80 miliardi di interessi all’anno da pagare.Non è più il tempo che Gianni Letta filava. Il bel tempo di Alifarsa, del grembiulino nelle scuole e delle impronte ai Rom è finito. E anche quello della legge salvaprocessi e del Lodo Alfano e dell’opposizione fantasma di Topo Gigio.Da Palazzo Chigi a Hammamet è un attimo. Nel caso, il Navigante porti con sé anche Veltroni.
(da beppegrillo.it)

Pubblico un articolo di Nature, un settimanale di informazione scientifica, che riporta un articolo poco edificante sulle scelte politiche in Italia.L’articolo riguarda il taglio dei fondi per la ricerca operato da questo governo, taglio che è stato allargato poi a tutti i settori dell’istruzione.L’autore osserva giustamente che anche in un momento di crisi non si può tagliare sul proprio futuro perché significa tagliare sulla speranza di sviluppo e di ripresa del un Paese.Inutile menzionare il fatto che anche in questo settore, la Ricerca e Sviluppo, l’Italia ha una delle spese più basse all’interno del G8, meno della metà di quanto spendono Francia e Germania.
"Nel tentativo di accelerare la sua arrancante economia, il governo italiano si concentra su obiettivi facili, ma sconsiderati. È un periodo buio e arrabbiato per i ricercatori in Italia, esposti ad un governo che mette in atto la sua strana filosofia per il taglio dei costi. La settimana scorsa, decine di migliaia di ricercatori sono scesi in strada per manifestare la loro opposizione ad una proposta di legge volta a frenare la spesa pubblica. Se passa, come previsto, la legge provocherebbe il licenziamento di quasi 2000 ricercatori precari, che costituiscono l’ossatura degli istituti di ricerca italiani perennemente a corto di personale - e metà di essi sono già stati selezionati per posizioni a tempo indeterminato.
Proprio durante la manifestazione dei ricercatori, il governo di centro-destra di Silvio Berlusconi, che è tornato al governo lo scorso maggio, ha deciso che i fondi di università e ricerca potrebbero essere usati per aiutare le banche e gli istituti di credito italiani. Questa non è la prima volta che Berlusconi ha bersagliato le università. Ad agosto ha firmato un decreto che tagliava i fondi universitari del 10% e ha permesso di coprire solo una posiziona accademica vuota su cinque. Ha anche permesso alle università di trasformarsi in fondazioni private per ottenere introiti aggiuntivi. Dato il clima attuale, i rettori universitari ritengono che l’ultimo passo sarà usato per giustificare ulteriori tagli ai fondi e che alla fine li costringerà a cancellare i corsi che non hanno grande valore commerciale, come gli studi classici o addirittura le scienze di base. La notizia è arrivata all’inizio delle vacanze estive, ma le conseguenze sono state comprese pienamente solo ora - troppo tardi, visto che il decreto sta per essere trasformato in legge.
Nel frattempo, il Ministro per l’educazione, l’università e la ricerca, Mariastella Gelmini, non si è espressa in merito a tutte le questioni relative al suo ministero tranne quella sulle scuole secondarie e ha permesso che decisioni governative consistenti e distruttive fossero eseguite senza fare alcuna obiezione. Ha rifiutato di incontrare i ricercatori e gli accademici per ascoltare le loro preoccupazioni o per spiegare loro le direttive che sembrano richiedere il loro sacrificio. Inoltre non ha neppure delegato un sottosegretario che si occupi di tali questioni al suo posto.
Le organizzazioni scientifiche colpite dalla legge sono tuttavia state ricevute dall’ideatore della legge, Renato Brunetta, Ministro della pubblica amministrazione e innovazione. Brunetta ritiene che si possa fare ben poco per fermare o modificare la legge, anche se è ancora in discussione nei vari comitati e deve ancora essere votata in entrambe le camere. In un’intervista ad un quotidiano, Brunetta ha paragonato i ricercatori ai “capitani di ventura” [sic N.d.T.], mercenari avventurieri del rinascimento, dicendo che dar loro un lavoro permanente equivarrebbe quasi ad ucciderli. Ciò mistifica un problema che i ricercatori gli avevano spiegato: che la ricerca di base di un paese richiede un adeguato rapporto tra il personale permanente e quello precario, con i ricercatori precari (per lo più post-dottorati) che si spostano tra laboratori di ricerca permanenti, stabili e ben equipaggiati. In Italia, come hanno tentato di spiegare a Brunetta, questo rapporto è tutt’altro che adeguato.
Il governo Berlusconi può anche ritenere che siano necessarie delle misure finanziare severe, ma i suoi attacchi alla ricerca di base italiana sono avventati e poco lungimiranti. Il governo ha trattato la ricerca semplicemente come un’altra spesa da tagliare, quando invece dovrebbe essere considerata un investimento per costruire l’economia del sapere del ventunesimo secolo. In effetti l’Italia ha già sposato questo concetto aderendo alla Strategia di Lisbona 2000 dell’Unione Europea, in cui gli stati membri hanno promesso di aumentare i fondi di ricerca e sviluppo (R&D) fino al 3% del loro prodotto interno lordo. L’Italia, un paese del G8, ha una delle spese in R&D più basse del gruppo, essendo appena dell’1.1%, meno della metà di quanto spendono nazioni comparabili come la Francia e la Germania.
Il governo non deve considerare solo i guadagni a breve termine attuati attraverso un sistema di decreti facilitato da ministri compiacenti. Se vuole preparare un futuro realistico per l’italia, come dovrebbe, il governo non dovrebbe riferirsi pigramente al passato, ma capire come funziona la ricerca in Europa oggi." (da antoniodipietro.it)


Sulla crisi della Scuola-Contro la Gelmini

domenica 26 ottobre 2008

La scomparsa di Padre Sciacchitano

Abbiamo appreso che pochi minuti fa Padre Sciacchitano è tornato alla casa del Padre dopo una lunga malattia.
Noi de l’AltraSciacca, in questo momento di preghiera e tristezza, siamo vicini ai familiari e sentiamo di porger loro le nostre più sentite condoglianze, siamo vicini alla comunità parrocchiale della Madonna del Carmelo, servita dal suo amore e dedizione instancabile e ci associamo al dolore di tutta la comunità saccense che ha avuto la fortuna di poter incrociare il proprio cammino con quello della sua opera sacerdotale e comunitaria sempre al servizio del prossimo e del bisognoso attraverso la parola dell’amore.

Un saluto più personale all'uomo ed al Padre che ha servito nell'amore e per l'amore per tantissimi anni la Comunità del Carmine di Sciacca... una personalità spiccata, ricolma di fervido entusiasmo per la cultura, per l'arte, per la musica, sempre pronto ad offrire la propria disponibilità, spazio, conoscenza, supporto, al Coro di cui faccio parte "Cantores Mundi", amante della vita e di tutte le cose belle che il Signore ci ha donato, lavoratore infaticabile e mai domo nonostante i diversi anni di malattia che ne hanno fiaccato il corpo ma mai lo spirito.
Che possa riposare in pace in quel Regno in cui ha creduto sempre. Amen

Ridateci il Pollaio


Una delle battaglie che ci vede giornalmente in prima linea è quella del provare a far sì di ottenere un miglioramento dei servizi della ditta Gallo che gestisce la tratta stradale da Sciacca a Palermo e viceversa. Ebbene molti studenti universitari saccensi, seguendo le nostre iniziative in merito e condividendo le richieste perpetrate a tutti gli assessorati preposti, hanno indetto una raccolta firme: “Ridateci il Pollaio” attraverso la quale dare voce e spazio anche a tutti gli utenti che usufruiscono di questo servizio.
La raccolta firme è cominciata da pochi giorni ma sono molti già coloro che hanno voluto aderire. Non possiamo non prenderne atto, non possiamo non dare spazio a questa iniziativa e darne plauso.
Su questa, ma come su altre battaglie, il principio che può rivelarsi decisivo è quello che “l’unione fa la forza”, il principio del “fare fronte comune” affinchè tutti insieme si possa agire simultaneamente ed in maniera coordinata per la soluzione dell’annoso problema.
Ricordiamo a tutti gli utenti la possibilità di segnalarci qualsivoglia disservizio perpetrato dalla ditta Gallo o alla nostra e-mail associazione@laltrasciacca.it o al numero telefonico predisposto 3929579442 tramite sms,mms o telefonata. Anche foto e video dei disservizi sono ben accetti. Tutte queste informazioni andranno a riempire ulteriormente il nostro “diario dei disservizi” che contestualmente alla raccolta firme ironicamente denominata “Ridateci il Pollaio” sarà la prova e la voce di tutti coloro che chiedono davvero poco: un servizio degno di questo nome.

Questi sono i giorni della nostra vita


Sometimes I get to feelin' I was back in the old days,long agoWhen we were kids, when we were young Things seemed so perfect you know The days were endless, we were crazy,we were young The sun was always shinin', we just lived for fun Sometimes it seems like lately, I just don't know The rest of my life's been just a show Those were the days of our lives The bad things in life were so few Those days are all gone now butone thing is true When I look and I find I still love you You can't turn back the clock you can't turn back the time Ain't that a shame? I'd like to go back one time on a roller coaster ride When life was just a game No use sitting and thinkin' on what you did When you can lay back and enjoy it through your kids Sometimes it seems like lately I just don't know Better sit back and go with the flow'Cause these are the days of our lives They've flown in the swiftness of time These days are all gone butsome things remain When I look and I find no change Those were the days of our lives The bad things in life were so few Those days are all gone now butone thing's still true When I look and I find I still love you I still love you I still love you

Qualche volta mi sento come Se fossi tornato ai vecchi tempi-molto tempo fa Quando eravamo ragazzi quando eravamo giovani Le cose sembravano così perfette-sai I giorni non avevano fine eravamo pazzi eravamo giovani Il sole splendeva sempre-vivevamo per divertimento A volte sembra come se più tardi-non so proprio Il resto della mia vita fosse stato solo uno show Quelli erano i giorni della nostra vita Le cose brutte nella vita erano così poche Quei giorni sono passati adesso ma una cosa è vera Quando ci penso e ti rivedo ti amo ancora Non puoi portare indietro l'orologio non puoi portare indietro il fluire del tempo Non è un peccato Mi piacerebbe tornare indietro una volta per una corsa sulla montagne russe Quando la vita era solo un gioco Inutile sedersi e pensare a ciò che hai fatto Quando puoi distenderti e godertelo attraverso i tuoi bambini A volte sembra come se più tardi-non so proprio Sia meglio sedersi e andare col flusso dei pensieri Perché questi sono i giorni delle nostre vite Sono volati via nella rapidità del tempo Questi giorni se ne sono andati tutti via adessoma qualcosa rimane Quando cerco indietro e non trovo cambiamento Quelli erano i giorni della nostra vita- sì Le cose brutte nella vita erano così poche Quei giorni sono passati adesso ma una cosa è ancora vera Quando ci penso e ti rivedo Ti amo ancora Ti amo ancora

L'Ultima apparizione in video di Freddy Mercury

Un'altra emozione, un'altra canzone, la summa del percorso artistico ed umano della persona e del cantante, il testamento musicale e spirituale, una vita, un gruppo: Freddy Mercury & Queen

sabato 25 ottobre 2008

L'AltraSciacca incontra i cittadini


Domenica 26 Ottobre dalle ore 9 alle ore 13,

l’associazione di promozione sociale L’ALTRASCIACCA INCONTRA I CITTADINI SACCENSI per aiutarli nella compilazione delle richieste di rimborso dei canoni di depurazione da inoltrare all’EAS e al Comune di Sciacca.
I soci de l’ALTRASCIACCA vi forniranno i moduli, risponderanno alle vostre domande e vi guideranno alla corretta compilazione delle richieste di rimborso dei canoni di depurazione non più dovuti per effetto della Sentenza della Corte Costituzionale n. 335/2008.


VI ASPETTIAMO DOMENICA IN PIAZZA ANGELO SCANDALIATO!

CHE SCHIFO

Via libera dall'Aula della Camera all'articolo 37 del ddl lavoro collegato alla Finanziaria che prevede, di fatto, una precedenza ai residenti della regione per poter partecipare a un determinato concorso pubblico Roma - Via libera dall'Aula della Camera all'articolo 37 del ddl lavoro collegato alla Finanziaria che prevede, di fatto, una precedenza ai residenti della regione per poter partecipare a un determinato concorso pubblico. «La Camera ha approvato un emendamento della Lega Nord che inserisce nei concorsi pubblici il principio della residenza quale requisito preferenziale per l'assunzione quando si sia di fronte a servizi che richiedono una particolare conoscenza del territorio». Lo ha affermato il presidente dei deputati della Lega Nord, Roberto Cota, a margine dell'esame dell'Aula di Montecitorio. «Il testo è stato approvato a larga maggioranza con i voti della Lega, del Pdl e con l'astensione dell'Udc - ha spiegato il capogruppo del Carroccio - l'inserimento del requisito di residenza è un principio molto importante che va nella direzione dell'attuazione del federalismo e si avvicina alla regionalizzazione dei concorsi pubblici. Questo strumento consentirà di ridare slancio al pubblico impiego e - ha concluso Cota - permetterà ai nostri amministratori locali di poter scegliere le persone più preparate che hanno a disposizione per tutti quei servizi che richiedono una particolare conoscenza del territorio».
(da ilgiornale.it)

Dilaga la protesta in tutta Italia contro la riforma del Ministro Gelmini: dalla materna all'Università, dalle elementari ai licei. A Roma studenti in corteo pronti a occupare La Sapenza se il rettore non blocca la didattica. Torna in piazza anche la protesta dei coordinamenti di base di insegnanti e genitori. Iniziative che si concentreranno, da stasera, nella ''notte bianca anti Gelmini''.
"Perché la scuola pubblica non sia ridotta a un fantasma" genitori e insegnanti hanno organizzato per stasera una "notte bianca" in diverse scuole di tutta Italia contro la riforma del ministro Gelmini: 10 gli istituti coinvolti a Milano, sei a Venezia, parecchie decine a Bologna.
Proprio a Bologna, dove è nata l'iniziativa, il meeting anti-Gelmini è cominciato nel pomeriggio ed è inoltre già stata annunciata l'occupazione della facoltà di Lettere da parte dell'assemblea dei ricercatori e precari. Si protesterà anche a Napoli, Genova, Torino, Perugia, Brescia, Parma, Viareggio. Nel capoluogo partenopeo si terrà una fiaccolata che attraverserà le vie cittadine, da piazza del Gesù a piazza del Plebiscito, mentre a Roma, dove le proteste hanno preso il via in mattinata, sono già partiti numerosi cortei per le strade della città: gli studenti hanno sfilato uscendo dalla Sapienza causando anche disagi al traffico. Alla prima università di Roma in mattinata si sono svolte assemblee a Geologia, Psicologia, Economia e Scienze politiche e i cortei interni alle facoltà hanno interrotto le lezioni. Questa mattina le lezioni sono state sospese anche a Genova, alla Facoltà di Lettere ma già altre facoltà hanno detto di voler aderire alla protesta e a Firenze restano occupate molte medie superiori in città e in provincia, mentre nel pomeriggio è previsto un sit-in in piazza della Signoria.
Bonanni (Cisl): il governo torni sui suoi passiIntanto, il segretario generale della Cisl Raffaele Bonanni si augura che il governo torni sui suoi passi: "Speriamo che il governo ci ripensi e apra una discussione vera su un tema delicato che riguarda soprattutto i lavoratori che hanno solo la scuola pubblica". Bonanni ha poi sottolinea che la questione è stata gestita come si fosse in una azienda privata: "Non ci opponiamo a questa riforma - spiega - ma le riforme hanno bisogno di condivisione, perché si decida e si discuta insieme".
Proteste anche nei prossimi giorniLe proteste contro il dl Gelmini continueranno nei prossimi giorni: "Lo sciopero generale del 17 ottobre sarà il più partecipato di tutta la storia del sindacalismo antagonista" assicura Piero Bernocchi, portavoce dei Cobas Scuola, che auspica una massiccia presenza del "popolo della scuola pubblica, docenti, Ata, studenti, genitori e cittadini impegnati a difendere e a migliorare la scuola, ad impedirne la distruzione programmata da Tremonti-Gelmini con i catastrofici tagli".
Ferrero (Prc): la Gelmini si dimettaPiù forti ancora, le parole del segretario del Prc, Paolo Ferrero: "Di fronte alla protesta che sale forte e compatta, ma anche colorata e variegata, nelle scuole medie e superiori come nelle università italiane, di fronte alle migliaia di email che inondano il Quirinale contro un progetto di 'riforma' della scuola demenziale e assurda, l'unica cosa buona che il ministro della Pubblica Istruzione, Mariastella Gelmini dovrebbe fare è quello di dimettersi e restituire il mandato". ( da rainews24.it)

"Siamo decisi ad andare avanti, e diamo un avviso ai naviganti: non permettermo l'occupazione di luoghi come università e scuole, che è una violenza nei confronti delle famiglie, dello Stato, dei ragazzi che vogliono studiare". Berlusconi ha reso noto che comunicherà al ministro dell'Interno Maroni indicazioni su "come devono intervenire le forze dell'ordine". (da rai.it)

Queste le ultime clamorose dichiarazioni di Berlusconi. Una sola parola: IRRESPONSABILE.
Non si possono dichiarare certe cose, vuole causare quello che è successo per esempio nel G8 di Genova? Vuole generare scontri tra studenti e forze dell'ordine? Vuole costringere agenti sottopagati (ed anche loro vittime di indecenti tagli) a scagliarsi contro i propri figli e ragazzi? Non c'è forse il diritto allo sciopero ed alla protesta??? IRRESPONSABILE.
Tra poco sarà vietato parlare, votare, fà tutto lui ed i ministri messi da lui per fare i SUOI comodi. CHE SCHIFO... E ancora c'è chi fa finta di niente, c'è chi non sa niente, c'è chi non vuole sapere o difende al oltranza solo per partito preso o perchè è costretto da promesse clientelari ed elettorali.... CHE SCHIFO........ Tagli alle università ed alla ricerca per fare il lodo salva banche nel momento di massima crisi finanziaria: dovete pensate che abbia preso quei finanziamenti? Dalle sue tasche, come un buon samaritano??? Tagli alla ricerca per salvare con i nostri soldi le sue banche (ne ha almeno tre...) con tanto di edizione straordinaria per buttare altro fumo negli occhi... CHE SCHIFO.... IRRESPONSABILE. Se le competenze di ognuno di noi sono migliori, non posso vincere un concorso ed ottenere quel lavoro perchè non sono residente di quella città, e starò dietro in graduatoria???? CHE SCHIFO....
Le parole diventa due: IRRESPONSABILE E RESISTERE....
anche se vien la voglia di abbandonare tutto, chiudere pure questo blog, emigrare alla ricerca della terra promessa... mi hanno sempre affascinato i paesi scandinavi... potrei andare in Norvegia, Svezia o Finlandia, lontano da una stato che fà finta di esistere, da uno stato in mano di pochi, da uno stato che non garantisce il nostro futuro, che taglia il sapere perchè l'ignoranza crea bisogno ed il bisogno crea votanti-sudditi, lontano da uno stato che rende immuni mafiosi e criminali, lontano da uno stato e da una nazione che non mi appartiene, in cui non mi riconosco, di cui non sono orgoglioso, lontano da uno stato nel quale mafia ed antimafia sono la stessa cosa, lontano da tutto questo schifo che è diventata l'Italia: PASSO E CHIUDO

venerdì 24 ottobre 2008

Obiettivo Raggiunto


Una delle battaglie che ci hanno visto in prima linea in questi mesi è stata quella di riportare all’antico splendore la Basilica di San Calogero, luogo di culto per tanti nostri concittadini e meta turistica di prim’ordine all’interno del territorio saccense. Quando iniziammo ad attenzionare sulla vicenda in pochi conoscevano la situazione di degrado in cui versava la chiesa. Da allora altri nostri articoli, i servizi delle reti locali, le discussioni sui forum saccensi, le notizie riportate dagli organi di stampa sui portali internet, il plauso (“da Fra Davide un grazie all’AltraSciacca”) che Fra Davide, parroco della Basilica, ha sentito di esprimere alle nostre iniziative in merito, sono servite a parlarne ed a informare.
Ebbene, adesso qualcosa si muove. Qualcosa di positivo. Finalmente inizieranno i primi di lavori di restauro della Chiesa.
La Basilica resterà chiusa dal 3 al 28 novembre per permettere agli operai di togliere il marmo che ricopre le mura interne della struttura e successivamente intonacare.
Solo per quell’arco di tempo le messe saranno così distribuite: la S. Messa feriale sarà celebrata alle ore 8.00 dalle suore a Cutrone mentre alle ore 16.30 dalle suore di S. Chiara; la domenica invece alle ore 8.30-11.00-16.30 dalle suore a Cutrone mentre la S. Messa parrocchiale delle ore 18.30 sarà celebrata presso l’auditorium di Contrada Marchesa vicino all’Alberghiero.
L’intervento di restauro dovrebbe permettere tanto alla chiesa quanto ai preziosi dipinti di “respirare” meglio affinchè l’umidità possa incidere per nulla o in minima parte al normale deterioramento causato dallo scorrere del tempo. Questi primi importanti interventi saranno possibili grazie al supporto del comune che ha stanziato buona parte dei fondi messi a disposizione (quindicimila euro) e grazie all’aiuto di uno sponsor: la Banca Intesa che ha invece donato cinquemila euro.
Oltre agli interventi suddetti, alla riapertura della Basilica avremo la possibilità di ammirare il nuovo fonte battesimale ed il nuovo ambone. La cifra complessiva ottenuta ha permesso questi primi lavori ma molti altri ne restano da compiere sia all’interno della chiesa che per quanto riguarda il sagrato e l’annesso convento dei frati francescani. Il restauro dei dipinti, delle statue, degli altarini laterali recentemente riscoperti sono di competenza però della Soprintendenza ai Beni Culturali provinciale e regionale che speriamo possa intervenire presto e concretamente.
Nell’attesa godiamoci questi primi risultati: una delle perle della nostra città tornerà presto a brillare ed a fare bella mostra di sè e sarà un po’ anche merito nostro.

Beppe Alfano: la verità non deve mai morire

I tre proiettili esplosi con la calibro 22 lo centrarono mentre era al posto di guida della sua Renault 9, nella centralissima via Marconi, a Barcellona Pozzo di Gotto. L’auto era leggermente accostata al margine destro, con le luci accese e il cambio in folle. Erano da poco passate le dieci di sera quando il giornalista Beppe Alfano fu ammazzato. Gli ingredienti sono di una storia di mafia in piena regola: un cronista rompiscatole, corrispondente del quotidiano catanese La Sicilia ed una cittadina di quarantamila abitanti in mano a spregiudicati uomini d’affari, e nessun testimone oculare. Da quell’8 gennaio del ‘93 sono trascorsi nove anni. La giustizia ha fatto il suo corso con alterne vicende. Ben quattro i processi celebrati ma nessuna verità definitiva. Certo, esiste un mandante, Giuseppe Gullotti, 41 anni, inteso l’avvocaticchio, per un passato da studente in giurisprudenza, capo mafia della zona, la Cassazione il 23 marzo del 1999, l’ha condannato a 30 anni di reclusione, ma non il sicario che ne portò a compimento il mandato. L’ultimo tassello lo incastra il tribunale di Reggio Calabria, dove la Corte d’Assise d’Appello, ha assolto lo scorso 17 aprile, il presunto esecutore materiale dell’omicidio, il barcellonese Antonino Merlino, 33 anni, che era stato condannato dai giudici di Messina a 21 anni e 6 mesi. Pena in seguito annullata con rinvio dalla Cassazione, che ne disponeva il giudizio a Reggio Calabria. Una sentenza quest’ultima, immediatamente appellata dalla pubblica accusa e dallo stesso avvocato di parte civile Fabio Repici: "Penso che sia giunto il momento che la Procura Distrettuale antimafia di Messina si decida a colpire le responsabilità dei mandanti dell’omicidio appartenenti al terzo livello della mafia barcellonese, partendo dalle rivelazioni del pentito catanese Maurizio Avola". Richiesta di verità e giustizia che arriva soprattutto dalla famiglia Alfano, demoralizzata e delusa, in modo particolare, dal comportamento tenuto dal giornale per il quale il povero Beppe scriveva, La Sicilia, clamorosamente assente tra le parti civili: "E’ una vergogna – dichiarerà Sonia Alfano, figlia del giornalista – è da nove anni che chiediamo giustizia. I primi a dimenticarsi dell’assassinio di mio padre sono stati proprio i responsabili de La Sicilia. Fino a poche settimane prima della sentenza di Reggio Calabria, abbiamo continuato a sollecitare la loro presenza nel processo. E’ stato inutile. Evidentemente non hanno alcun interesse a rivendicare la memoria di un loro giornalista immolatosi sull’altare della lotta alla mafia". Dimenticanza o paura? "Non abbiamo dimenticato Beppe – ribatte il capo redattore Micio Tempio – prova ne è che tra un mese consegneremo il premio alla sua memoria ad uno dei nostri corrispondenti. Il processo? Purtroppo la difficoltà di mandare avanti un giornale ha impedito di seguire direttamente la vicenda… Si è trattato solo di uno sfortunato infortunio di percorso". E così, dopo un iter giudiziario tormentato, si riparte alla ricerca dei colpevoli, dopo che le indagini svolte al tempo dai pm messinesi Gianclaudio Mango e Olindo Canali, furono indirizzate sullo scandalo Aias, l’associazione d’assistenza ai disabili. Ai giudici della Corte d’Assise di Messina, spiegarono che quella volta il boss Pippo Gullotti armò la mano di Antonino Merlino per fare una cortesia al presidente dell’associazione Antonino Mostaccio, per porre fine all’inchiesta giornalistica che Alfano stava conducendo sul patrimonio dell’Aias. Una pista cancellata, però, dall’assoluzione, divenuta definitiva in Cassazione nel ‘99 per Mostaccio. E proprio per questo il caso Alfano non è chiuso. Dal tribunale di Catania, arriva la conferma che su quell’eliminazione si è speculato. Beppe Alfano sarebbe stato ucciso da Cosa Nostra perché aveva scoperto che, dietro il commercio degli agrumi nella zona tirrenica messinese, si nasconderebbero gli interessi economici della Santapaola e d’insospettabili imprenditori legati alla massoneria. Le rivelazioni sconvolgenti sono di Maurizio Avola, 41 anni, pentito di rango, ex sicario di Cosa Nostra, che ha confessato ai magistrati ben ottanta omicidi, tra i quali quello di un altro giornalista siciliano, il direttore dei Siciliani, Pippo Fava. Avola aveva il compito dentro la 'famiglia' di pianificare le azioni per gli omicidi più importanti. Quello di Alfano era uno di questi. "Il vero mandante dell’omicidio di Beppe Alfano, si chiama Sindoni, è un grosso massone" – dichiarerà il pentito ai sostituti catanesi, Amedeo Bertone e Nicolò Marino -"Sindoni. E’ un potente massone che conosce tutta la magistratura, quella corrotta logicamente: ha importanti amicizie al Ministero e un po' ovunque. Poi, sempre parlando di soldi, tantissimi giri di soldi insieme ai Santapaola, ai barcellonesi, ai messinesi, nel traffico delle arance. L’omicidio Alfano scaturisce perché il giornalista aveva capito chi era il vero boss nella sua zona e che amicizie avesse questa persona, un vero intoccabile. Il periodo non era quello giusto per fare quest’omicidio, però chi era il personaggio gli si doveva fare (non si poteva dire di no, ndr)". Al pm Bertone che chiederà conto delle dichiarazioni rese in precedenza ai magistrati di Messina sulle modalità dell’omicidio di Beppe Alfano, Avola affermerà d’averle fatte solo su uno dei mandanti, ovvero Giuseppe Gullotti. E alla legittima domanda del procuratore sul perché non avesse subito fatto il nome di Giovanni Sindoni, il collaboratore si giustificherà così: "Perché la massoneria è una cosa che meno si tocca e più tranquilli si sta, perché hanno amicizie un po' in tutti i posti". Solo parole riportate da collaboratori di giustizia de relato? Niente affatto. Maurizio Avola andrà giù secco sull’estremo insulto consumato sulla pelle di Beppe Alfano. Per saperne di più lo abbiamo incontrato in carcere dove in questo periodo sta scontando un periodo di pena. L’ex uomo d’onore del boss Nitto Santapaola è deluso dal comportamento dello Stato. Si sente abbandonato dalle Istituzioni, nonostante non abbia mai smesso di collaborare con la giustizia in questi anni. Lui che è il primo pentito eccellente a svelare ai magistrati di Caltanissetta, Palermo e Firenze, che indagano sui mandanti a volto coperto, i nomi dei personaggi che stanno dietro le stragi del ’92 e ‘93. "La verità su Alfano? Gli inquirenti hanno puntato tutto sulla gestione dell’Aias, sbagliando. Lo dico perché in un primo tempo dovevo preparare proprio io il suo omicidio e quello di Claudio Fava. Marcello D’Agata mi bloccò dicendomi che, per Alfano, ci avrebbero pensato i barcellonesi, Pippo Gullotti e Giovanni Sindoni. Anche i killers sono del luogo. Due. Un uomo di copertura, armato con una pistola di grosso calibro per l’eventuale colpo di grazia e quello che ha materialmente sparato con la calibro 22, una pistola che usano solo i professionisti. La 'famiglia' Santapaola ha dato l’assenso. Ho svelato solo ora i nomi dei veri mandanti del delitto Alfano perché prima era pericoloso… Prendete i mandanti esterni alle stragi. Si corre il rischio che ti prendano per pazzo. Esiste una 'superloggia', una sorta di nuova P2 che ha deciso certe cose in Italia. Non ho raccontato questa verità ai giudici di Messina, proprio perché sapevo che Giovanni Sindoni è amico d’alcuni magistrati corrotti. I miei interlocutori sono i giudici della Dda di Catania, Amedeo Bertone e Nicolò Marino". Dunque, il clan Santapaola sarebbe stato costretto a piegarsi alle esigenze di un uomo "forte" pur comprendendo che ammazzare un giornalista a Barcellona Pozzo di Gotto, proprio dove si nascondeva il boss Nitto, era "come mettergli l’esercito dietro la casa". Beppe Alfano, forse per caso, aveva individuato un’alternativa ai soliti affari messi in piedi nel barcellonese. Il mercato degli agrumi conduce direttamente alla frode delle sovvenzioni agroalimentari dell’Unione europea, "pratica" comune quasi ovunque nel Mezzogiorno. Il fatturato si calcola sia vicino ai mille miliardi annui, con società fantasma che utilizzano anche il giro di fatturazioni fasulle. Inoltre, sui camion che trasportano arance i boss possono far viaggiare anche la droga. E nell’ambito della gestione del mercato agrumicolo si possono guadagnare soldi grazie al mercato delle eccedenze e alla trasformazione industriale del frutto. Sono ormai note le vicende che coinvolgono, suo malgrado, l’Aima, l’Azienda di Stato per gli interventi sul mercato agrumicolo. Il giro vorticoso di subappalti rende quasi impossibile riuscire a districarsi in quello che è un labirinto "aziendale". E Beppe Alfano tutto questo l’aveva capito. L’8 gennaio 1993 un uomo lo ha avvicinato mentre stava rincasando. Lui ha accostato sulla destra e messo in folle. Ha abbassato il finestrino del passeggero e da lì gli sono stati esplosi tre proiettili contro. A volte il boia uccide perché qualcuno lo vuole, mandando al diavolo contraddittorio e diritti della difesa. Beppe Alfano non può più difendersi dalle maldicenze e dalla povertà investigativa. Per onorarne meglio la memoria, sarebbe il caso di provare a rivedere certezze che fanno a pugni con la realtà. Tutti hanno il diritto di indignarsi per l’ultimo schiaffo ad un giornalista che aveva come ambizione quella di far conoscere la verità. Non vorremmo pensare che a Barcellona qualcuno avesse molto da proteggere e così poteva saltar fuori un ottimo movente per uccidere...

(da ammazzatecitutti.org)

Sono le 22 e 30 dell'8 gennaio 1993. In via Marconi, a Barcellona Pozzo di Gotto, in provincia di Messina, accostata al marciapiede c'è una Renault rossa. E' ferma da un po', come se fosse parcheggiata, ma ha il motore acceso, che romba, su di giri. Dallo scappamento, nel freddo di quella notte d'inverno esce una nuvola di gas di scarico che l'ha quasi avvolta, come se avesse preso fuoco. Arriva il 113 e gli agenti vedono che dentro l'auto c'è un uomo, che sembra essersi addormentato contro il sedile, e col piede sta premendo l'acceleratore. Ma quell'uomo non dorme. Quell'uomo è morto, gli hanno sparato in testa tre colpi di pistola.
L'uomo è un giornalista che si chiama Beppe Alfano. Pochi minuti prima era arrivato a casa con la moglie, aveva parcheggiato e l'aveva accompagnata fino al portone, per salire con lei, ma all'improvviso si era fermato, come se avesse visto qualcosa. Senza dire niente, corre fino all'angolo della strada, per guardare verso una piazzetta che si trovava là dietro. Poi torna indietro, dice alla moglie “vai a casa e chiuditi dentro!”, corre in macchina e parte, svoltando l'angolo. Fa pochi metri, arriva in Via Marconi, e lì gli sparano in testa tre colpi di pistola calibro 22, uccidendolo sul colpo. Perché?
A dire la verità, Beppe Alfano non è un vero giornalista. O meglio, non lo è ufficialmente, non ha il tesserino dell'ordine, ha 47 anni, è un professore di educazione tecnica in una scuola media di un paese vicino. Ha cominciato con le radio private alla fine degli anni '70, a Messina, poi, negli anni '80, le televisioni locali. E i giornali, anche, da tre anni è il corrispondente locale per un quotidiano di Catania, la Sicilia. Politicamente, Beppe Alfano è un militante che viene dall'estrema destra e poi è approdato all' Msi di Giorgio Almirante, anche se ha spesso dei problemi con i vertici perché è troppo indipendente, troppo allergico ai compromessi, tanto che per un periodo viene anche sospeso dal partito. Un giornalista e un politico tutto d'un pezzo, un uomo di destra, quella di Paolo Borsellino, per esempio, che ha idee precise sull'ordine, sulla legge e sullo stato, e su quelle non scende a compromessi.
Un giorno, però, alla fine del '92, parlando con i familiari di quello che sta succedendo in città, Beppe Alfano dice che succederà qualcosa anche a lui. “Mi uccideranno entro la fine di dicembre”, dice. Dicembre passa, passa Natale, passa Capodanno ma l'incubo non svanisce. “Ormai è questione di giorni, dice agli amici. “Non mi hanno ucciso a dicembre, lo faranno prima della festa di San Sebastiano”.
Beppe Alfano non poteva saperlo, ma aveva detto la stessa cosa anche Pippo Iannello, un personaggio importante della criminalità organizzata di Barcellona, ad un altro pregiudicato, Maurizio Bonaceto. Beppe Alfano, aveva detto Iannello, era da considerarsi un uomo morto. Ma perché? Solo perché era bravo? Cosa succede a Barcellona in quegli anni?
In quel periodo è interessata da una lotta fratricida di mafia. E' la fine degli anni '80, quando inizia Mani Pulite. A Barcellona e nell'hinterland il vecchio sistema di potere comincia a scricchiolare. Intanto viene realizzato il raddoppio ferroviario che porta finanziamenti nuovi e finisce di rompere gli equilibri. E' un posto particolare, Barcellona, come lo è tutta la provincia di Messina. Dal punto di vista criminale Messina è sempre stata considerata una provincia “babba”, un po' tonta, perché lì la mafia non c'è, non ha saputo organizzarsi per sfruttare illegalmente le risorse del territorio. Ma non è vero. La mafia a Messina c'è, eccome, solo che non si vede molto. E come emergerà dalle indagini successive, dal processo “Mare Nostrum”, da quello che verrà chiamato il processo al “verminaio di Messina”, da quello che segue all'omicidio di una ragazzina di paese che forse aveva visto troppo e che si chiama Graziella Campagna, la mafia si è anche messa d'accordo con esponenti politici, ha fatto amicizia con magistrati e uomini delle forze dell'ordine per gestire indagini e processi e per garantire una latitanza dorata a boss ricercati. Si è messa in società con imprenditori per inserirsi nell'economia, anche quella illegale. Si è anche fusa con un'altra cosca, quella del boss Nitto Santapaola, che sta a Catania.
Una mafia così ci tiene a far credere di non esistere, a tenere tutto tranquillo e sottotono, a sembrare “babba”. Ma non è vero. Barcellona, per esempio, è un piccolo centro, ha quarantacinquemila abitanti, ma è sempre stato un posto importante per la mafia e fino dagli anni '70. Da lì passavano le rotte del contrabbando di sigarette che poi si sono trasformate in quelle della droga verso il continente, direttamente gestite dalla mafia di Palermo. Lì c'è una raffineria di eroina gestita dal boss Francesco Marino Mannoia, e sempre lì, a Barcellona, c'è un importante manicomio giudiziario, controllato da Cosa Nostra, in cui, grazie a perizie psichiatriche compiacenti, finiscono boss come Tano Badalamenti, boss della 'Ndrangheta e anche capi della mafia americana. Naturalmente, lì la vita è molto diversa da quella che normalmente ci sarebbe in un manicomio giudiziario, ed è facile anche evadere, quando si vuole. E poi, a Barcellona ci sono i soldi, c'è il raddoppio della linea-ferroviaria da fare, c'è l'autostrada Messina-Palermo, ci sono gli appalti e i subappalti. Tutto questo, tutta questa tranquillità che sembra avere il suo boss in Francesco Rugolo e il suo simbolo e il suo garante in un ricco imprenditore, Francesco Gitto, presidente della squadra di calcio cittadina, amico di politici come l'allora sottosegretario al Ministero degli Interni, parente di gente importante come Mario Cuomo, il governatore di New York, tutta questa tranquillità apparente viene sconvolta a metà degli anni '80.
Nel 1986, a Terme Vigliatore, vicino a Barcellona, torna Pino Chiofalo, detto “u' seccu”. “U' seccu” si è fatto tanti anni di galera, ma adesso è uscito e vuole la sua parte. Pino Chiofalo fa parte della piccola mafia che vuole emergere, fuori dalle regole e dal controllo di Cosa Nostra e quello che compie con i suoi 200 mila uomini, a Barcellona, è un vero e proprio bagno di sangue. Girolamo Petretta, storico referente delle famiglie palermitane, ammazzato nel novembre dell'87, Franco Emilio Iannello in marzo, Carmelo Pagano in luglio, Francesco Ghitto in dicembre. Quindici giorni dopo la morte di Francesco Ghitto c'è un blitz della polizia. Pino Chiofalo è a Pellaro, in provincia di Reggio Calabria , impegnato in un summit con i suoi luogotenenti, praticamente tutto lo stato maggiore della sua “famiglia”. La polizia arriva, a colpo sicuro, e li arresta tutti. “U' seccu” finisce dentro di nuovo, si prende l'ergastolo e resta in carcere fino al '95, quando comincia a collaborare con la giustizia. Ammette la responsabilità di tutti gli omicidi di quella sanguinosa guerra di mafia, ma accusa alcuni magistrati e alcuni esponenti delle forze dell'ordine di essere d'accordo con la cosca avversaria, sostenuta direttamente dal boss catanese Nitto Santapaola, che li avrebbe usati per toglierlo di mezzo in maniera pulita. Tolto di mezzo Chiofalo, la situazione si normalizza. Molti dei suoi passano con lo schieramento vincente e arrivano gli appoggi della cosca di Santapaola. Il capo dell'ala militare, l'uomo forte di Barcellona, il referente di Nitto Santapaola, diventa un giovane di buona famiglia, Giuseppe Gullotti.
Ancora. Dal 25 maggio 1992 anche a Barcellona c'è il Tribunale e c'è un pm che sembra considerarlo una trincea per la lotta alla Mafia. Viene dal nord e ha bisogno di informazioni, così tra il sostituto procuratore Olindo Canali e Beppe Alfano, il giornalista bene informato, il segugio che sa fare il suo mestiere, il cane sciolto che non guarda in faccia a nessuno e si lancia contro tutti per rispettare il suo ideale di verità e di giustizia, tra il giornalista e il magistrato d'assalto si stabilisce da subito un rapporto molto stretto. Poi, succede qualcosa. Beppe Alfano vuole parlare con il magistrato. Ma non c'è tempo.
Prima della festa di San Sebastiano aveva detto. La festa di San Sebastiano si tiene il 20 gennaio. L'8, la sua macchina accosta in via Marconi. Alfano abbassa il finestrino. Un colpo alla mano che si copre il volto, uno in bocca, uno alla tempia destra e uno al torace. Calibro 22, un calibro piccolo, da professionisti, silenzioso e micidiale se saputo usare. Perché? Cosa ha scoperto quel giornalista? Quel “cane sciolto” che sa fare bene il suo mestiere?
In quel periodo Beppe Alfano aveva alcune fissazioni. Una è l'influenza economica di Nitto Santapaola a Barcellona, per esempio. E' anche convinto che il boss di Catania sia nascosto l^ e ha ragione. Lui non lo sa, perché morirà prima, ma il boss per un po' di tempo è stato nascosto proprio a Barcellona. In via Trento, a pochi metri da casa sua. Un'altra è l'AIAS, un'associazione che si occupa di assistenza agli spastici, ha sedi in tutta la Sicilia e la sede di Milazzo è la più ricca e meglio finanziata, con centinaia e centinaia di dipendenti, un ingentissimo patrimonio immobiliare e un giro di miliardi. Nei suoi articoli, Beppe Alfano scrive di acquisti gonfiati, di assunzioni facili, di interessi privati, provocando un'inchiesta che coinvolge Nino Mostaccio, presidente dell'AIAS. Altra fissazione, Beppe Alfano sembra convinto di aver scoperto una loggia massonica deviata a Barcellona. A Barcellona, però, non c'è una loggia massonica. C'è un circolo, un circolo culturale molto antico che si chiama Corda Fratres, di cui fanno parte molti nomi noti di Barcellona, esponenti di tutti i settori della società e di tutte le parti politiche. Della Corda Fratres fanno parte molte persone note e rispettate, ma c'è anche un personaggio molto particolare, che al momento della sua iscrizione non è ancora salito alla ribalta della cronaca e almeno ufficialmente è ancora un bravo ragazzo di Barcellona, figlio di una famiglia bene. Il boss Giuseppe Gullotti.
Le indagini sull'omicidio di Beppe Alfano si concludono in fretta. Il 18 novembre 1993 il giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Messina emette tre ordinanze di custodia cautelare in carcere. Una è per Nino Mostaccio, il presidente dell'AIAS, accusato di essere il mandante dell'omicidio Alfano. L'altra è per Giuseppe Gullotti, accusato di essere l'organizzatore dell'omicidio. La terza è per Nino Merlino, considerato uno dei Killer del clan di Gullotti. Ad accusarlo è un collaboratore di giustizia, Maurizio Bonaceto, che dice di essere passato per via Marconi la sera dell'omicidio e di aver visto che parlava con Alfano.
Il 15 maggio 1996, la Corte d'Assise di Messina condanna Nino Merlino a 21 anni e 6 mesi e assolve Nino Mostaccio e Giuseppe Gullotti. Bonaceto a ritrattato tutto e così anche un altro testimone chiamato in causa, Lelio Coppolino. Ricorso in appello da parte di pm e difesa di Merlino e nuovo processo.
Il 6 febbraio 1998 la Corte d'Appello conferma la condanna a Merlino e capovolge la sentenza per Gullotti, condannandolo a trent'anni. Mostaccio esce dal processo, completamente scagionato.
La Corte di Cassazione annulla la condanna di Merlino, per cui deve essere rifatto il processo e il 17 aprile 2002, la Corte d'Assise di Regio Calabria cambia ancora e assolve Nino Merlino. In carcere resta soltanto Giuseppe Gullotti, condannato a trent'anni per aver organizzato l'omicidio di Beppe Alfano.
Ma non finisce qui. C'è un collaboratore di giustizia, che si chiama Maurizio Avola. E' di Catania e fa parte della cosca di Nitto Santapaola. E' un uomo importante, che faceva parte del gruppo di fuoco che uccise un altro giornalista, Giuseppe Fava, a Catania, e quando collabora confessa almeno cinquanta omicidi. Parla anche di Alfano. Maurizio Avola dice che Alfano sarebbe stato ucciso su ordine di Cosa Nostra perché aveva scoperto che dietro il commercio degli agrumi si nascondevano gli interessi di Nitto Santapaola e di insospettabili imprenditori legati alla massoneria. Riciclaggio di denaro sporco attraverso i fondi della Comunità Europea, grosse quantità di denaro spariscono nel nulla. Un'attività che farebbe capo a Barcellona. Su questo argomento esiste un'indagine della Procura Distrettuale Antimafia di Messina, ancora in corso e di cui non si conoscono gli sviluppi. Il mistero, per adesso, resta ancora. Chi ha ucciso Beppe Alfano? E perché? (da il portoritrovato.net)
La verità non deve mai morire... il segno che uominicome Beppe hanno lasciato non deve eessere mai dimenticato, anzi deve essere comunicato agli altri... segnali importanti di correttezza legale, morale, civica. La mafia non solo può e deve essere sconfitta ma deve e può essere completamente debellata. Tuttavia non basta dire che la mafia fa schifo, serve prendere coscienza di tuto questo, serve un moto interiore che ci porti a denunciare l'illegalità sia nelle basse che nelle alte sfere della vita e del potere. Questa è una società civile, questa è la Sicilia che Beppe Alfano ci ha insegnato ad amare.

giovedì 23 ottobre 2008

Adolfo & Graziella: Per Non Dimenticare


L'estrema denuncia di Adolfo Parmaliana, feroce accusatore della connivenza tra cosche mafiose e amministrazione, che si è tolto la vita dopo l'ennesima sconfitta. In esclusiva, la lettera scritta prima di morire.

La Magistratura barcellonese/messinese vorrebbe mettermi alla gogna vorrebbe umiliarmi, delegittimarmi, mi sta dando la caccia perché ho osato fare il mio dovere di cittadino denunciando il malaffare, la mafia, le connivenze, le coperture e le complicità di rappresentanti dello Stato corrotti e deviati. Non posso consentire a questi soggetti di offendere la mia dignità di uomo, di padre, di marito di servitore dello Stato e docente universitario.Non posso consentire a questi soggetti di farsi gioco di me e di sporcare la mia immagine, non posso consentire che il mio nome appaia sul giornale alla stessa stregua di quello di un delinquente. Hanno deciso di schiacciarmi, di annientarmi.Non glielo consentirò, rivendico con forza la mia storia, il mio coraggio e la mia indipendenza. Sono un uomo libero che in maniera determinata si sottare al massacro ed agli agguati che il sistema sopraindicato vorrebbe tendergli.Chiedete all'Avv.to Mariella Cicero le ragioni del mio gesto, il dramma che ho vissuto nelle ultime settimane, chiedetelo al senatore Beppe Lumia chiedetelo al Maggiore Cristaldi, chiedetelo all'Avv.to Fabio Repici, chiedetelo a mio fratello Biagio. Loro hanno tutti gli elementi e tutti i documenti necessari per farvi conoscere questa storia: la genesi, le cause, gli accadimenti e le ritorsioni che sto subendo.Mi hanno tolto la serenità, la pace, la tranquillità, la forza fisica e mentale. Mi hanno tolto la gioia di vivere. Non riesco a pensare ad altro. Chiedo perdono a tutti per un gesto che non avrei pensato mai di dover compiere.Ai miei amati figli Gilda e Basilio, Gilduzza e Basy, luce ed orgoglio della mia vita, raccomando di essere uniti, forti, di non lasciarsi travolgere dai fatti negativi di non sconfortarsi, di studiare, di qualificarsi, di non arrendersi mai, di non essere troppo idealisti, di perdonarmi e di capire il mio stato d'animo: Vi guiderò con il pensiero, con tanto amore, pregherò per voi, gioirò e soffrirò con voi.Alla mia amatissima compagna di vita, alla mia Cettina, donna forte, coraggiosa, dolce, bella e comprensiva: ti chiedo di fare uno sforzo in più, di non piangere, di essere ancora più forte e di guidare i ns figli ancora con più amore, di essere più buona e più tenace di quanto non lo sia stato io.Ai miei fratelli, Biagio ed Emilio, chiedo di volersi sempre bene, di non dimenticarsi di me: vi ho voluto sempre bene, vi chiedo di assistere con cura e amore i ns genitori che ne hanno tanto bisogno. Alla mia bella mamma ed al mio straordinario papà: vi voglio tanto bene, vi mando un abbraccio forte, vi porto sempre nel mio cuore, siete una forza della natura, mi avete dato tanto di più di quanto meritavo. A tutti i miei parenti, ai miei cognati, ai miei zii, ai miei cugini, ai miei nipoti, a mia suocera: vi chiedo di stare vicini a Gilda, a Basilio ed a Cettina. Vi chiedo di sorreggerli.Ai miei amici sarò sempre grato per la loro vicinanza, per il loro affetto, per aver trascorso tante ore felici e spensierate. Alla mia università, ai miei studenti, ai miei collaboratori ed alle mie collaboratrici sarò sempre grato per la cura e la pazienza manifestatemi ogni giorno. Grazie. Quella era 1° mia vita. Ho trascorso 30 anni bellissimi dentro l'università innamorato ed entusiasta della mia attività di docente universitario e di ricercatore.I progetti di ricerca, la ricerca del nuovo, erano la mia vita. Quanti giovani studenti ho condotto alla laurea. Quanti bei ricordi.Ora un clan mi ha voluto togliere le cose più belle: la felicità, la gioia di vivere, la mia famiglia, la voglia di fare, la forza per guardare avanti.Mi sento un uomo finito, distrutto. Vi prego di ricordarmi con un sorriso, con una preghiera, con un gesto di affetto, con un fiore. Se a qualcuno ho fatto del male chiedo umilmente di volermi perdonare.Ho avuto tanto dalla vita. Poi, a 50 anni, ho perso la serenità per scelta di una magistratura che ha deciso di gambizzarmi moralmente. Questo sistema l'ho combattuto in tutte le sedi istituzionali. Ora sono esausto, non ho più energie per farlo e me ne vado in silenzio. Alcuni dovranno avere qualche rimorso, evidentemente il rimorso di aver ingannato un uomo che ha creduto ciecamente, sbagliando, nelle istituzioni.Un abbraccio forte, forte da un uomo che fino ad alcuni mesi addietro sorrideva alla vita. (da L'Espresso-Pino Amoruso Blog)
Adolfo Parmaliana

Il 12 dicembre del 1985 una diciassettenne di Saponara, impiegata in una tintoria, veniva uccisa dalla mafia per aver trovato in una camicia da lavare un documento che non avrebbe dovuto leggere. A un anno dalla condanna in primo grado degli esecutori, le motivazioni della sentenza ancora non sono state rese note.
Oggi Graziella avrebbe 37 anni. Forse un marito e dei bambini. Di sicuro una famiglia numerosa – i genitori, quattro sorelle e tre fratelli con i rispettivi coniugi e figli – cui dedicarsi. L’aveva sempre fatto, del resto: poco più che adolescente, era sempre attenta alle esigenze dei suoi cari; per la nipotina di tre mesi, poi, aveva un debole. Appena poteva, libera dal lavoro, si occupava di lei e le confezionava piccoli indumenti. Come quel maglioncino di lana che ancora oggi suo fratello Piero, padre di quella bambina oggi ventenne, conserva. È rimasto a metà, perché una sera che avrebbe dovuto essere come tante altre, trascorsa in famiglia a sferruzzare dopo una giornata di lavoro in tintoria, Graziella non fece più ritorno a casa.
La camicia dell’ingegnere.
Originaria di Saponara (Me), Graziella scomparve a Villafranca Tirrena, dopo essere uscita dal lavoro, la sera del 12 dicembre 1985. Il suo cadavere, barbaramente sfigurato da cinque colpi di fucile a canna mozza, sarebbe stato ritrovato due giorni dopo a Forte Campone, sui monti Peloritani, al confine tra Villafranca e Messina.Dopo anni di indagini depistate, processi aggiustati e disinteresse da parte dei grandi organi di informazione, l’11 dicembre 2004 (a diciannove anni dall’accaduto) la Corte di Assise di Messina ha finalmente emesso una sentenza contro i due esecutori dell’assassinio, Gerlando Alberti jr. e Giovanni Sutera (condannati all’ergastolo), e contro Agata Cannistrà e Franca Federico, rispettivamente collega e titolare della lavanderia presso cui Graziella lavorava (condannate a due anni per favoreggiamento). All’epoca dell’omicidio la lavanderia “La Regina” era frequentata da due palermitani presentatisi come l’ingegner Toni Cannata e il geometra Gianni Lombardo. In realtà si trattava, appunto, di Gerlando Alberti junior (nipote di Gerlando Alberti senior, detto “’u paccarè”, braccio destro di Pippo Calò) e Giovanni Sutera, due latitanti ricercati per associazione mafiosa e narcotraffico internazionale, da tre anni nascosti nei pressi di Villafranca. Secondo la ricostruzione degli inquirenti, Graziella è stata uccisa perché, il 9 dicembre, aveva trovato in una camicia, lasciata in tintoria a lavare, un documento dal quale si capiva che l’ingegner Cannata aveva un’altra identità. Di quel documento, strappatole dalle mani dalla collega Agata Cannistrà, a cui la ragazza l’aveva fatto vedere, non si è più avuta traccia.
Non tutto è chiarito.
«Quello che ci interessa è sì che siano condannati i colpevoli, ma soprattutto che si porti alla luce il fitto reticolo di connivenze a livello istituzionale che si nasconde dietro questo omicidio». A parlare è Nadia Furnari, presidente dell’associazione antimafia “Rita Atria”, che da dieci anni, in collaborazione con il Comitato per la pace e il disarmo unilaterale di Messina e grazie alla dedizione e alla tenacia dell’avvocato di parte civile Fabio Repici, sostiene la famiglia Campagna nella ricerca di giustizia.La vicenda di Graziella – sconcertante quando si pensa quale prezzo la mafia costringa a pagare persone anche del tutto estranee agli affari dell’organizzazione – presenta molti nodi irrisolti. Certo il suo omicidio avvenne in un periodo caldissimo della storia di Cosa Nostra, e poteva apparire marginale: erano gli anni delle stragi e degli omicidi eccellenti (proprio nell’estate del 1985 erano stati uccisi Montana e Cassarà, vedi «Narcomafie» 7-8/2005, nda.), e si era alla vigilia del maxiprocesso; Messina, poi, era da sempre considerata – a torto – periferia di mafia e non luogo strategico per i traffici di armi e droga e per il riciclaggio di denaro sporco. Ma la cronaca dei vent’anni in cui si è cercata la verità per l’omicidio Campagna rivela fatti di una gravità inaudita. A partire dagli ostacoli posti al fratello Piero, carabiniere all’epoca ventiduenne, mobilitatosi immediatamente per far luce sull’accaduto e redarguito dai suoi superiori per aver collaborato con i poliziotti della Squadra Mobile.
La verità era a un passo.
«Che ci fossero delle collusioni a livello istituzionale – ci racconta Piero – fu subito chiaro. Contrariamente alla prassi istituzionale in casi analoghi, la Magistratura tolse la conduzione delle indagini alla Polizia, giunta per prima sul luogo del delitto e che aveva denunciato Gerlando Alberti jr. e Giovanni Sutera già un mese dopo l’omicidio di mia sorella, e la delegò al Nucleo Operativo dei Carabinieri di Messina». Questi solo il 3 settembre del 1986, 8 mesi dopo rispetto alla Polizia, e dopo molte resistenze, tra cui un tentato depistaggio per omicidio passionale, arrivarono a redigere un rapporto contro Alberti e Sutera. Fino ad allora i due erano comparsi nei loro verbali solo a seguito di un fermo avvenuto quattro giorni prima dell’omicidio di Graziella: l’8 dicembre 1985 vennero infatti fermati a bordo di una Fiat Ritmo rubata a Milano e il Cannata-Alberti, consegnando i documenti (falsi), cercò insistentemente di tranquillizzare i militari dicendo di essere amico del loro superiore, il maresciallo Carmelo Giardina. Approfittando poi di una distrazione dei due Carabinieri, Alberti e Sutera fuggirono.
Infiltrati nell’Arma.
«Pochi giorni dopo l’omicidio di mia sorella – racconta ancora Piero Campagna –, fui invitato da alcuni poliziotti della Squadra mobile a fornire ulteriori dettagli. L’auto della Polizia su cui salii venne fermata dai Carabinieri e sorse una colluttazione giustificata con l’accusa di imprecisate ingerenze investigative. Fui poi convocato in caserma dal maresciallo Giardina e redarguito per aver fornito notizie alla Polizia, e in seguito mandato dal comandante del Reparto operativo, il maggiore Antonio Fortunato, che mi intimò di riferire ogni dettaglio a lui solo o al maresciallo Giardina. Nella stanza era presente anche un’altra persona, Giuseppe Donia, che mi venne presentata dal maggiore come proprio collega e che mi rassicurò sullo scrupolo che avrebbero adottato nelle indagini. Qualche giorno dopo, Donia mi confidò di essersi occupato personalmente della perizia balistica». Anni dopo Piero Campagna avrebbe incontrato Giuseppe Donia a Falcone, un paese in provincia di Messina, e avrebbe appreso dai Carabinieri del luogo che in realtà non era affatto un carabiniere, ma si spacciava come tale, e che era molto vicino a Gerlando Alberti.Il mandato di cattura, a seguito del rapporto dei Carabinieri del 3 settembre 1986, venne spiccato il 18 marzo dell’anno dopo dal giudice istruttore Pasquale Rossi, che rinviò a giudizio Alberti e Sutera il 1° marzo 1988. Ma il 13 febbraio 1990 il pm Giuseppe Gambino chiese e ottenne (28 marzo) dal giudice istruttore Marcello Mondello il “non doversi procedere” nei confronti dei due imputati per non aver commesso il fatto: il movente dell’agendina-documento (tirato fuori per la prima volta a un mese dall’omicidio dal barbiere di fiducia dell’Alberti – che vide sussultare il latitante quando si rese conto di aver dimenticato il documento nella camicia – e poi rinforzato dal ricordo della madre di Graziella depositato quasi quattro anni dopo, nel maggio del 1989, che raccontò che il 9 dicembre la figlia le disse: «Sai mamma che l’ingegner Cannata non è lui?») viene giudicato troppo debole.
Caso riaperto, grazie alla tv.
Da allora il silenzio, fino al 1996, quando in una puntata della trasmissione televisiva Chi l’ha visto? Indagine viene letta la richiesta di un’anonima professoressa di tornare a indagare sull’omicidio. Contemporaneamente, grandi e piccoli pentiti della mafia messinese iniziano a dire ciò che sanno sull’omicidio Campagna. Nove di loro fanno i nomi di Gerlando Alberti jr. e Giovanni Sutera, e spiegano l’agghiacciante contesto mafioso in cui era stato deciso l’assassinio. «Dal 1992 al 1996 – dice l’avvocato Repici – i collaboratori di giustizia interrogati a Messina erano stati un centinaio. A nessun magistrato era venuto in mente di chiedere cosa sapessero dell’assassinio di Graziella, che viste le modalità – cinque colpi di fucile a distanza ravvicinata – era chiaramente di stampo mafioso».Furono queste testimonianze dei pentiti a far sì che la Procura di Messina richiedesse il 24 settembre 1996 la revoca della sentenza di proscioglimento e la riapertura delle indagini preliminari. Il tribunale di Messina riaprì il caso a dicembre. In realtà il processo avrebbe potuto ricominciare due anni prima: già nel marzo del 1994 il pentito messinese Salvatore Giorgianni aveva riferito al pm di Reggio Calabria Francesco Mollace sia le responsabilità di Gerlando Alberti, sia l’intervento di Santo Sfameni, un grande boss messinese con contatti in ambienti massonici, per addomesticare l’esito del primo processo, che si concluse con il proscioglimento degli imputati.Ancora proroghe? Ma anche nella seconda metà degli anni Novanta molti elementi facevano intravedere la rete di complicità e protezioni che istituzioni dello Stato, imprenditori e politici avevano tessuto attorno all’omicidio. Sollecitato dall’accurato e indefesso lavoro dell’avvocato Repici, nel 2000 Nichi Vendola presentò un’interrogazione parlamentare. Nel 2001 Carlo Lucarelli, con una puntata dei suoi Misteri d’Italia, riportò i riflettori su un omicidio ingiustamente dimenticato.Oggi finalmente si è arrivati a una sentenza di primo grado che l’11 dicembre 2004 ha condannato gli imputati, ma le ombre sembrano non essere svanite del tutto: a un anno dal suo pronunciamento, non è stato ancora possibile averne le motivazioni (su queste «Narcomafie» tornerà appena saranno disponibili). «Il termine di 90 giorni per il deposito delle motivazioni, già prorogato una volta – spiega Fabio Repici – in realtà non è perentorio. Mi hanno inoltre informato che il giudice a latere incaricato della scrittura è sovraccarico di lavoro. Certo è curioso che del processo Dell’Utri-Cinà, la cui sentenza era stata pronunciata negli stessi giorni – e si trattava di un processo complicatissimo – le motivazioni si siano avute già a luglio».
«Mai arrendersi».
Lo scorso 12 dicembre a Forte Campone si sono ricordati i vent’anni dell’omicidio. Alla presenza di coloro che in questi anni si sono battuti per la ricerca della verità (in primis l’associazione antimafia “Rita Atria”, la cui presidente Nadia Furnari, proprio a seguito della trasmissione Chi l’ha visto? Indagine, contattò Piero Campagna offrendogli appoggio e ridando nuova forza alla soluzione del caso coinvolgendo l’avvocato Repici, all’epoca giovane praticante), è stata inaugurata una lapide voluta dai familiari di Graziella e da alcuni amici del fratello. Piero in questi vent’anni si è battuto strenuamente per portare giustizia all’omicidio della sorella. «Sono stati anni terribili, di abbandono e solitudine inimmaginabili. Nei primi 11 anni ho visto uccidere mia sorella due volte: dai suoi assassini e poi dalla Giustizia, che oggi sembra invece aver imboccato, con la sentenza di primo grado, una strada nuova. Continuare a fare il carabiniere in queste condizioni è stato durissimo, ma non ho mai voluto mollare, perché credo in questo mestiere svolto da tanta brava gente che sacrifica la propria vita. Le mele marce ci sono, ma non ci si può arrendere» (da narcomafie.it)
Adolfo Parmaliana e Graziella Campagna, due delle tante, troppe, vittime della mafia... due delle tante vittime innocenti... l'estrema testimonianza dell'elevato amor di stato per il primo, l'innocenza morale e spirituale della seconda... vittime di Cosa Nostra, vittime di uno Stato che poteva e doveva fare di più, che ha il diritto-dovere di non dimenticare nè loro nè le loro famiglie, che ha il dovere di scacciare dal proprio intestino ogni sorta di connivenza mafiosa, che ha il dovere di andarli a prendere, tutti, e portarli in carcere... ci auguriamo tutti che chi dovrebbe mantenere la giustizia e chi invece vi si sottrae non siano la stessa persona...
Grazie Adolfo, Grazie Graziella!!