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lunedì 30 novembre 2009

Concorso esterno in associazione... di stato

di Rita Pani

Devo ricordarlo ancora una volta, anche se potrebbe apparire come una tediosa litania. Era il 2005, Report propose una puntuale inchiesta sulla mafia. La mafia, nella persona di totò cuffaro protestò, e la RAI, televisione di stato alla quale siamo obbligati a versare una tangente, accettò di trasmettere una “trasmissione riparatrice”. Il succo della disputa era che in Report non vi era stato contradditorio. Cioè: Report aveva potuto mostrare i danni e le ruberie della mafia, senza che questa potesse difendersi pubblicamente. In Italia non scoppiò la rivoluzione; ci fu un po’ di sbigottimento, un po’ di divertita perplessità, ma poi venne la presa d’atto.

Nel 2008 cuffaro venne condannato a cinque anni di carcere per “favoreggiamento semplice” nel processo per mafia che lo vide protagonista, e anche in quel caso, è bene ricordare, finì in modo del tutto italiota, con la memorabile festa dei cannoli. Insomma, cinque anni di galera passò come una vittoria dei buoni contro i cattivi giudici comunisti: favoreggio la mafia, mica sono mafioso!

Di dell’utri non voglio nemmeno scrivere, sperando che ormai sia notoria la sua vicenda mafiosa e processuale, e che anche questa non si sia normalizzata, con la semplice presa d’atto.
Poi c’è il picciotto fresco, l’ultimo assunto agli onori della cronaca, cosentino, col suo soprannome che sembra uscito da un libro di Mario Puzo: “’O americano”. Per lui è stata emessa una richiesta d’arresto, respinta proprio questa mattina dalla giunta per le autorizzazioni a procedere del nostro parlamento mafioso.

Ma è di oggi anche la richiesta di rinvio a giudizio per totò cuffaro, per i fatti che già lo videro festeggiare per la condanna a cinque anni. Secondo l’accusa, la sua posizione si sarebbe aggravata. Ma in questo paese normalizzato, questa richiesta cadrà nel vuoto, perché per chi non lo sapesse, il condannato anziché essere allontanato dalla vita politica e dalla gestione della cosa pubblica, nel tempo è stato promosso: oggi è un onorevolissimo senatore della Repubblica delle banane marce.

Capite ora perché in Italia si faccia sempre più pressante una riforma della giustizia? Perché riunire il governo diverrebbe complicato se i suoi membri fossero sparsi nelle carceri di mezza Italia. Ma c’è anche di peggio a confermare l’antico detto che al peggio non c’è mai fine: il governo italiano, assillato dalla nefasta opera dell’antimafia eversiva e comunista, sta pensando a un codicillo libera tutti, con la cancellazione del reato di “associazione esterna ad organizzazione mafiosa.”

Lo faranno, e ovviamente lo faranno per noi. Perché questi giudici comunisti non possono pensare di sovvertire la volontà popolare, facendo sprecare il tempo dei governanti nel doversi difendere nei tribunali. Lo faranno per tutti i cittadini che hanno il diritto di essere governati dai mafiosi, piduisti, corruttori, che hanno scelto col loro voto. Lo faranno perché nessun giudice può processare coloro che i cittadini hanno scelto per essere governati.
Lo faranno e non scoppierà la rivoluzione. Perché, se uno che ha dato il suo voto a questa gente di merda, non sente queste affermazioni come uno sputo in faccia, come un’offesa, e soprattutto non si sente rimordere la coscienza, ha il governo che merita, e complice, è felice.

http://guevina.blog.espresso.repubblica.it/resistenza/

domenica 29 novembre 2009

Donne, vigliacchi e società (in)civile...

di Andrea Onori

Nel 2007 una prima grande indagine Istat, dedicata al fenomeno delle violenza fisica e sessuale contro le donne, ci riferiva che in quell’anno, circa 1 milione di donne avevano subito stupri o tentati stupri. Il 14,3% delle donne avevano subito almeno una violenza fisica o sessuale dal proprio partner. Oggi, quasi nulla è cambiato. Le violenze all’interno della famiglia, restano ancora senza denuncia. E’ ora di domandarsi in fretta il perché e agire di conseguenza.

Da un indagine effettuata nel periodo 2005-2007, è emerso che solo in Piemonte sono state presentate quasi 20mila denunce di violenza sulle donne. La maggior parte delle denunce (l’88 % del totale) riguardano minacce, lesioni e ingiurie.

Oggi, 25 novembre, è la giornata internazionale dedicata alla violenza contro le donne. Appare come una festa. Personalmente non credo alle singole giornate dimostrative. In quanto, sensibilizzano poco l’opinione pubblica. Si parla molto e a vuoto. Ci si muove politicamente per far proseliti. Per accaparrarsi i voti della gente. Nessuno sfiora mai il vero valore e l’essenza della donna in questa società.

Servirebbero progetti lunghi e duraturi volti a sensibilizzare tutta la società civile. Dovrebbe essere una battaglia quotidiana in televisione (con approfondimenti), ospedali, scuole, palestre. Bisogna lanciare messaggi diretti in ogni luogo di aggregazione. Per questo motivo simili giornate non servono a nulla.

Sono fuor di misura le donne che percorrono la loro vita in un inferno coniugale. A volte, il compagno – aggressore, è una persona insospettabile. Altre volte, la violenza, è sotto gli occhi di tutti, ma nessuno apre bocca per paura di ritorsioni. Indifferenza e paura fanno il loro sporco gioco. Mentre si parla nei talk show e ci si mostra indifferenti, la vittima, continua a trascorrere giorni a piangere e disperarsi, all’interno della propria abitazione in piena solitudine. Cercando di evadere da un’assurda e crudele realtà.

Non c’è tutela, non c’è solidarietà attiva. A parole non serve. Per questo, molte volte, numerose vittime preferiscono stare in silenzio e non denunciare. Intorno c’è il vuoto, la giustizia e a pezzi e se si prova a denunciare, la vittima, rischia di ritrovarsi l’aggressore sotto casa qualche giorno dopo.

Un periodo di carcere, a molti individui, crea solo odio verso la vittima. E, uscito dalla gabbia, continua la mattanza. E’ capitato molte volte, troppe. Nessun piano di riabilitazione, nessuna sicurezza per la vittima e il leone si sente libero di poterla sbranare ancora una volta. Allora, che funzione hanno le nostre carceri? Entri lupo ed esci leone. Vuol dire che qualcosa non funziona.

Bisognerebbe attivare un piano di riabilitazione serio per il detenuto e dare sicurezza alla vittima. Sicuramente, un periodo di volontariato in Sudan o a Gaza, in mezzo alle persone sfollate, scontata la pena, darebbe più senso alla riabilitazione. Ma si preferisce la strada della repressione. In carcere ti picchiano (i più forti) e il detenuto (il più debole), quando esce dalla cella, scarica la sua rabbia contro la persona più debole di lui.

Per questo motivo, chi abusa del corpo della propria partner, si fa forte della paura e della violenza psicologica che può subire subito dopo una denuncia. Continuano le vessazioni, violenze ed umiliazioni. La paura ti ammutolisce e spesso non si trova quella forza per spezzare le catene della prigione, se intorno non ci sono persone in carne ed ossa ad aiutarti.

Andare via, abbandonare tutto non è facile. Soprattutto se le istituzioni non ti sono vicine e gli occhi della gente ti punzecchiano in continuazione. Ma non è una questione solo femminile. E’ la solita lotta del più forte, contro il più debole. Una forza vigliacca che colpisce nei punti deboli delle persone. Donne apparentemente “provocanti”, omosessuali, transgender, anziani, bambini, minoranze culturali, clandestini. Sono tutti colpevoli di essere se stessi e di essere diversi dalla grande maggioranza che, forte numericamente, si permette di poter tormentare il più indifeso.

Il rispetto prima di tutto. Non perché è donna o omosessuale, ma perché è un essere umano degno di considerazione e carico di diritti. Fino a quando non impariamo cosa sia il rispetto reciproco, i più deboli subiranno le ingiurie dei più “potenti”. Il cambiamento deve venire dalla società civile e non da una legge. Dobbiamo essere noi, gente comune, a ribellarci, quando vediamo qualcosa che non va. Dobbiamo essere noi a denunciare quando vediamo qualcosa di storto. Abbiamo bisogno unire le forze ed essere solidali tra noi piccoli comuni mortali.

Tutti apriamo bocca e nessuno muove un dito in questa fottuta società. Dobbiamo aiutarci a vicenda e per farlo bisogna cambiare, tutti. Occorre iniziare dai bambini, coinvolgere i ragazzi delle scuole proprio per educare a questo tema le giovani generazioni. Farlo anche nelle televisioni. Perché uno stupro non può e non deve essere un Reality show da vedere nel piccolo schermo.

sabato 28 novembre 2009

3 INCONTRI PER INFORMARE, LOTTARE E NON DIMENTICARE: A SCIACCA

Le Associazioni "l'Altrasciacca", "Cafè Orquidea" e "Liceo Classico Tommaso Fazello" organizzano

"TRE INCONTRI PER INFORMARE, LOTTARE E NON DIMENTICARE".

Ospiti previsti: Marco Travaglio, Sonia Alfano, Salvatore Borsellino, Gioacchino Genchi, Benny Calasanzio, Pino Maniaci, Ignazio Cutrò.

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Sabato 12 Dicembre 2009, Ore 18:00
presso: Aula magna Liceo Classico Tommaso Fazello di Sciacca

Tema: "Giornalismo e antimafia: Il coraggio di denunciare e la voglia di lottare".

Ospiti:
BENNY CALASANZIO, giornalista e blogger, attivamente impegnato a contrastare la mafia e a promuovere la cultura della legalità;
PINO MANIACI, giornalista e direttore dell'emittente locale TELEJATO, vittima più volte di minacce per la sue denunce antimafiose;
IGNAZIO CUTRO', imprenditore di Bivona che ha coraggiosamente denunciato il racket subendone le violente ritorsioni.

modera: Calogero Parlapiano

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Mercoledì 16 Dicembre 2009, Ore 20:00
presso: Multisala Cine Campidoglio Sciacca

Tema: "La libertà di stampa in Italia: Le ingerenze politiche e le ingerenze mafiose".

Ospite:
MARCO TRAVAGLIO, giornalista e scrittore, impegnato da sempre nella difesa della libertà di stampa in Italia;

Modera: Alberto Montalbano.

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Venerdì 18 Dicembre 2009, Ore 20:00
presso: Aula magna Liceo Classico Tommaso Fazello di Sciacca

Tema: "Politica, mafia e corruzione. L'impegno delle Istituzioni per combatterne l'interazione".

Ospiti:
SALVATORE BORSELLINO, fratello di Paolo Borsellino, instancabile voce di denuncia contro la criminalità organizzata, il malgoverno e le collusioni tra politica e mafia;
GIOACCHINO GENCHI, consulente informatico che ha collaborato alle inchieste antimafia di molte procure e magistrati tra cui Giovanni Falcone e Luigi De Magistris;
SONIA ALFANO: europarlamentare di IDV, figlia di Beppe Alfano giornalista ucciso dalla mafia, esempio di impegno contro il malaffare mafioso.

Modera: Giandomenico Pumilia.

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Diretta streaming degli eventi sui siti:

www.laltrasciacca.it e www.sciaccacinema.it

venerdì 27 novembre 2009

Inquinamenti istituzionali e... Stragi

Nelle stragi di Capaci e di via D'Amelio sono stati disintegrati i due principali simboli della lotta alla mafia, Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, attraverso l'utilizzo di esplosivi bellici che hanno provocato un massacro barbaro e destabilizzato gli equilibri politici.

Cosa Nostra dopo l'inaffidabilita' 'contrattuale' evidenziata dai tradizionali referenti politici con il mancato aggiustamento del maxiprocesso in Cassazione ha mutato strategia politica. La tenacia e le capacita' del pool dei magistrati di Palermo ed il lavoro svolto da Falcone per togliere al Giudice Carnevale e ad i suoi amici il monopolio delle sentenze sul crimine organizzato, hanno sancito il fallimento del rapporto tra la corrente andreottiana, in particolare, e Cosa Nostra. L'omicidio dell'eurodeputato Salvo Lima segna la rottura definitiva del patto scellerato delle convergenze parallele tra pezzi della politica e la mafia. La strage di Capaci preclude il Quirinale a Giulio Andreotti (ritenuto mafioso con sentenza caduta in prescrizione). Le mafie, Cosa Nostra e 'ndrangheta in particolare, stanno consolidando sempre piu' una potenza economico-finanziaria soprattutto a seguito del controllo dei piu' imponenti traffici internazionali di droga. Non si vogliono piu' limitare ad avere singoli referenti politici che non sono piu' in grado di arginare magistratura e forze dell'ordine sempre piu' determinate nel contrasto al crimine organizzato.

E' il momento del salto di qualita'. La mafia decide di farsi Stato e lo fa con due strumenti tipici dei conflitti: bombe e dialogo, stragi e trattativa.

La strage di Capaci produce dirompenti effetti politici, mina le fondamenta della prima repubblica gia'Â colpita dagli albori di tangentopoli.

La mafia cambia strategia politica ed inizia i primi contatti strutturali con esponenti della politica e delle istituzioni.

Il comando del fronte antimafia viene, di fatto, preso da Paolo Borsellino, il quale indaga ed intravede il cuore del potere mafioso: i collegamenti con la politica, l'imprenditoria e le istituzioni (magistratura compresa). Non e' un caso che dopo la strage di Capaci, in un emozionante dibattito organizzato da micromega, sostiene che, nella magistratura, forse, vanno trovati taluni dei responsabili della morte del suo caro amico e collega Giovanni Falcone. Credo che Borsellino abbia anche potuto intuire della trattativa e del ruolo che stavano avendo in quelle settimane settori deviati delle istituzioni.

La strage di via D'Amelio e' una strage politica, si puo' ipotizzare che ambienti non organici a Cosa Nostra siano stati determinanti nel movente, nella dinamica e nell'occultamento delle prove della strage.

A questo punto la mafia ha inferto il colpo piu' duro che si potesse dare alla magistratura impegnata in prima linea, rassicurando i collusi e gettando nel panico tutti coloro i quali erano stati interlocutori politici di cosa nostra.

La trattativa entra nel vivo ed operano, con spregiudicatezza al limite dell'eversione, pezzi deviati delle istituzioni: all'interno dei servizi (il ruolo di Contrada al SISDE) ed esponenti di primo piano del ROS (trattativa infame, mancata perquisizione al covo di Riina e il favoreggiamento alla latitanza di Provenzano).

Cosa Nostra tratta attraverso il papello e continua con la strategia del terrore per mettere in ginocchio il Paese. Le condizioni per la pax mafiosa sono dure ed ecco le bombe di Roma, Firenze, Milano. Il Paese e' ad un bivio.

Chi conduce la trattativa? Uomini in divisa con autonome velleita' da nuovi piduisti, oppure braccia operative di ambienti politici che intendono aprire una nuova stagione nei rapporti con Cosa Nostra e favorirne la metamorfosi attraverso la mimetizzazione nello Stato e 'la confusione' nel bilancio dell'economia legale?

La trattativa va in porto. Cosa Nostra, dal 1993, interrompe il conflitto armato con le Istituzioni e comincia il suo fluido percorso di penetrazione nello Stato e nell'economia. La sua forza si consolida con il controllo della spesa pubblica e dei finanziamenti pubblici, con il condizionamento del mercato del lavoro ed il controllo del voto.

La nascita di Forza Italia si colloca nel periodo in cui termina la strategia militare ed inizia la penetrazione in tutte le articolazioni istituzionali e si consolida la sua presenza nei meandri dei circuiti economico-finanziari.

Il processo al Sen. Dell'Utri, ideologo di Forza Italia, con la sua condanna in primo grado a 9 anni per concorso in associazione mafiosa, e' uno spaccato illuminante del baratro in cui siamo piombati.

Il percorso della criminalita' organizzata che diviene Stato viene anche favorito da pezzi deviati delle istituzioni che dovrebbero rappresentarle. Da settori opachi della magistratura i quali hanno operato con analogie sorprendenti tra quegli anni? penso anche alla lucida analisi del dr. Alfonso Sabella sulle pagine de 'Il Fatto Quotidiano' a proposito delle prime indagini sulle stragi della Procura di Caltanissetta ed al ruolo ed alla contestuale e successiva carriera del dr. Giovanni Tinebra - e le volte che indagini molto delicate sono penetrate nel cuore del sistema mafioso: come le inchieste Why Not e Poseidone e le indagini della Procura di Salerno sulla cd. nuova P2). Dalle deviazioni di pezzi della polizia giudiziaria: dalle trattative di servizi piduisti (come nel caso Cirillo) a Bruno Contrada, sino al ruolo inquietante che sembra caratterizzare esponenti del ROS.

Denso di significati il racconto del giudice Sabella circa il ruolo 'determinante nell'affossamento di inchieste e nella distruzione di servitori dello Stato' del Consiglio Superiore della Magistratura, con una continuita' impressionante dal 1992 ad oggi simbolicamente rappresentata dalla presenza di Nicola Mancino.

Vi e' stato un ruolo criminale e scellerato di taluni esponenti delle forze dell'ordine mentre altre donne ed uomini della Polizia, dei Carabinieri e della Guardia di Finanza morivano e rischia(va)no la vita nel contrasto al crimine organizzato?

Ogni qual volta si e' indagato in questa direzione ambienti occulti e criminali hanno operato per evitare che si raggiungesse la verita'. Alcuni spunti. La trattativa che sarebbe stata condotta da uomini del ROS con Cosa Nostra mentre ancora si sentiva l'acre odore della cenere di magistrati e poliziotti assassinati. Le dichiarazioni di Giovanni Brusca su via D'Amelio. Le dichiarazioni di Giovanni Brusca su via D'Amelio. Le dichiarazioni del Colonnello dei Carabinieri Riccio nei processi in corso a Palermo sulla trattativa (dove si e' fatto anche il nome, a proposito dei rapporti tra magistrati e mafia, del dr. Dolcino Favi, il Procuratore Generale che avoco' l'inchiesta Why Not proprio mentre ricostruivo i rapporti tra criminalita' organizzata, massoneria deviata, pezzi della magistratura, della politica, dei servizi e delle istituzioni). La mancata perquisizione al covo di Riina ed il favoreggiamento alla latitanza di Provenzano. Il ruolo che sarebbe stato condotto da magistrati, politici e carabinieri per favorire la dissociazione dei boss con l'obiettivo di stroncare il pentitismo e rafforzarne la penetrazione di Cosa Nostra nel tessuto politico-istituzionale. I misteri che ruotano intorno alla morte del Maresciallo Lombardo. Le informative del ROS che ritrovai nell'inchiesta Poseidone - acquisite dalla Procura di Roma - che dovetti rivedere in profondita'Â in quanto marcatamente superficiali (vi erano nomi di politici molto importanti, ambienti massonici e dei servizi, criminalita' organizzata). L'indagine che un magistrato della Procura di Catanzaro - poi indagato e perquisito dalla Procura di Salerno per reati gravi - delegava al ROS (pur non essendoci alcun profilo di criminalita' organizzata) che mirava a coinvolgermi in vicende per le quali ero totalmente estraneo. La creazione ad arte di tracce di reato, ossia il metodo della calunnia e del depistaggio. La delega che il dr. Favi dava al ROS nelle indagini della Procura Generale di Catanzaro che avocando l'inchiesta Why Not ha prodotto una sua sostanziale disintegrazione. In questi giorni la Procura di Crotone indaga un ufficiale dei Carabinieri che doveva essere un mio collaboratore mentre pare abbia fatto altro, di penalmente rilevante. Le inchieste della Procura di Salerno, proprio li' la chiave di volta per mettere insieme, in un filo criminale, vecchi e nuovi piduisti. Per questo tanti magistrati dovevano saltare, assassinati professionalmente.
I legami con la politica: dal generale Mori consulente di Formigoni, ai figli del generale Subranni (tra Angelino Alfano e servizi).
Il piduismo sta operando, tra servizi deviati e massonerie, tra mafia e politica. Va alzata la vigilanza democratica confidando in quei magistrati che ancora non hanno piegato la schiena.
Noi non molleremo mai! (Il Fatto Quotidiano)

giovedì 26 novembre 2009

Stragi '93: i PM vogliono i documenti dei servizi segreti


Come riportato da Lirio Abbate su 'L'Espresso' i magistrati della procura antimafia di Caltanissetta e Palermo hanno chiesto, questa mattina, tramite un ordine di esibizione degli atti all'attuale direttore del DIS (Dipartimento Informazioni per la Sicurezza) Gianni De Gennaro, di poter accedere agli archivi dei servizi segreti per poter acquisire i documenti sulle stragi che hanno visto la morte dei giudici Falcone e Borsellino. La storia delle stragi italiane, da quelle brigatiste, passando per quelle 'nere', fino a Capaci e via D'Amelio, ha sempre visto la compartecipazione dei servizi segreti. Se non direttamente almeno indirettamente, coprendo il colpevoli o depistando le indagini.

L'ombra lunga dei servizi segreti, quindi dello Stato, si proietta in via D'Amelio, in quel del Castello Utveggio, punto di osservazione privilegiato, sul luogo della strage, dove, stando alle ricostruzioni di coloro che per primi indagarono vi fu impiantata una sede temporanea del SISDE di Bruno Contrada. Per non parlare di un episodio precedente, ovvero il fallito tentativo di attentato all'Addaura alla villa di Giovanni Falcone. Episodio a cui potrebbero essere connesse la scomparsa di Emanuele Piazza, giovane collaboratore del SISDE ucciso e poi sciolto nell'acido e di Nino Agostino, assassinato con la moglie nell'estate del 1989. Proprio su quest'ultimo, il pentito Giovan Battista Ferrante ebbe a dire "Se lo 'asciugarono' loro".

I punti oscuri delle vicende di Falcone e Borsellino rimangono molti. Episodi non completamente imputabili all'organizzazione di Cosa Nostra. Episodi che fanno pensare ad un coinvolgimento di apparati dello Stato, ben informati. Così, nell'ambito delle indagini avviate dalle procure di Caltanissetta e Palermo sui mandanti esterni a Cosa nostra delle stragi di Capaci e via D'Amelio, i capi degli uffici delle procure hanno deciso di inoltrare alla presidenza del Consiglio, da cui dipendono i servizi di intelligence, il provvedimento per l'acquisizione degli atti.

Da qui si cerca di riprendere la pista anche del famoso 'faccia da mostro', probabile agente dei servizi segreti, in contatto con la famiglia Ciancimino, utilizzato dalla mafia per commettere omicidi in Sicilia.

In attesa di osservare quanti omissis verranno messi in campo dai servizi segreti, oppure in attesa, finalmente, di uno squarcio di verità sul cielo grigio delle stragi? Certo è che la gente ha sete di conoscere. Come diceva lo stesso Falcone, "la mafia è un fatto umano e come tale può essere sconfitta. Si può vincere non pretendo l'eroismo da inermi cittadini, ma impegnando in questa battaglia tutte le forze migliori dello Stato.

Ma oggi questo, sarebbe un discorso da toga rossa, come tanti altri pronunciati da Paolo Borsellino e Giovanni Falcone, che tutto erano, meno che toghe rosse. Toghe Rosse e magistratura comunista iniziò a dichiararlo Totò Riina dopo la sua cattura nel corso del processo

mercoledì 25 novembre 2009

Ci rimane soltanto l'aria?

Cosa succede se la globalizzazione raggiunge il rubinetto di casa

Nessun uomo è tanto pazzo da vendere la terra su cui cammina. Così, stando alla leggenda, il grande capo indiano avrebbe risposto al negoziatore bianco che gli offriva la scelta tra la guerra di sterminio e l’acquisto delle terre ataviche della sua tribù. Che cosa direbbe oggi quel capo indiano di noi che, dopo aver fatto ovunque commercio della terra su cui camminiamo, ci apprestiamo a venderci anche l’acqua che beviamo?

Niente direbbe, il fiero guerriero, perché, al pari di ogni altro ostacolo locale, fu spazzato via dalla storia che, è bene non dimenticarlo, è stata sempre storia del processo unilaterale attraverso il quale l’Occidente, esplorando, conquistando e colonizzando, ha globalizzato la terra unificandola in un sistema mondo interamente governato dalla legge del capitalismo. Ora che quella grande impresa è compiuta, ora che la fase di espansione è terminata, ora che l’auto-narrazione in cui si racconta di come il pianeta Terra divenne una sfera interna alla logica del capitale è giunta alla fine, ora non rimane che lavorare sulle condizioni di vita all’interno della grande serra planetaria del capitalismo avanzato. Questa nuova frontiera interna che avanza senza soste ha un nome preciso: privatizzazione della vita.

Rientra in questo quadro epocale anche la notizia secondo la quale in Italia, remota provincia dell’impero, il governo sarebbe pronto ad appaltare a privati il servizio di erogazione dell’acqua, che smetterebbe così di fatto di essere un servizio pubblico, trasformando l’approvvigionamento idrico, cioè l’accesso a una fonte basilare della vita, in una qualsiasi merce. In linea concettuale, infatti, anche questo sarebbe un ampio passo verso la privatizzazione della vita: l’acqua smetterebbe di essere qualcosa cui tutti noi abbiamo diritto inalienabile per il semplice fatto di stare al mondo, una dotazione comune d’ingresso, come l’aria che respiriamo, e diverrebbe un bene voluttuario diversamente accessibile in base alla nostra individuale capacità di spesa. Ecco, dunque, un altro esempio della regola della deprivazione che sembra governare i destini degli uomini in questo nuovo scorcio di millennio: a ogni nuovo giro di giostra, man mano che il «pubblico» diventa «privato», ci viene sottratto ciò che è necessario per vivere o, almeno, ciò che fino a una generazione precedente era stato considerato un diritto naturale e inalienabile. La privatizzazione della vita agisce simultaneamente su due versanti, contigui e interconnessi come le due facce di un'unica moneta. Su un versante si procede a privatizzare la proprietà non più solo dei mezzi di produzione ma anche dei mezzi di sussistenza della vita della specie, sull’altro si mette in scena la riduzione della vita sociale a fatto privato.

Sul primo versante accade che, in un quadro globale di progressivo impoverimento delle risorse naturali, di cambiamenti climatici che rischiano di mettere fine al lussureggiare della vita planetaria e di fosche previsioni sull’aumento della popolazione mondiale, il controllo sui beni basali per l’esistenza, sulle condizioni di sopravvivenza, e finanche sulle matrici di riproduzione della vita biologica, viene via via affidato a soggetti d’impresa, cioè a privati mossi dalla logica del profitto e, spesso, da intenti speculativi. È il caso del controllo delle risorse idriche, delle biotecnologie in agricoltura, ma è anche il caso della privatizzazione della guerra subappaltata a contractors privati, della privatizzazione della ricerca medico-scientifica e, sopra ogni altro, è il caso della ricerca sul genoma umano condotto da privati. Il secondo versante, meno serio ma non meno preoccupante, è quello della trasformazione della politica in talk show, un osceno teatrino di faccende un tempo confinate nella vita privata che ha l’effetto di svilire, fino all’annichilimento, la nozione di «pubblico interesse». Il «pubblico», come ci ha insegnato Bauman, è così svuotato dei suoi contenuti, privato di un’agenda propria: è solo un agglomerato di guai, preoccupazioni e problemi privati. È l’eclissi della politica, un tempo intesa come possibilità di fare uso di mezzi collettivi per affrontare i problemi individuali. È anche la fine del sentimento di comunità. E, con esso, la fine del principio di un bene comune.

Da entrambi i lati dello schermo televisivo, la collettività scade ad aggregato di agenti individuali, le esistenze a questioni private. La lezione che si ricava da questa rappresentazione che rimodella la nostra capacità di pensare il mondo in comune è che ciascuno può solo lodare se stesso per i propri successi o, più probabilmente, incolpare se stesso per i propri fallimenti. Tutti gli individui assistono al grande talk show della vita privatizzata soli con i loro problemi e, quando lo spettacolo finisce, si ritrovano sprofondati nella loro solitudine, immersi nel buio di una stanza in subaffitto davanti a un televisore sintonizzato su di un canale morto.

Antonio Scurati
Fonte: http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=6637&ID_sezione=&sezione=

martedì 24 novembre 2009

Salviamo l'Acqua

Si allarga il fronte di coloro che non riescono più a bere le giustificazioni fumose della Girgenti Acque, società che gestisce l’approvvigionamento idrico in provincia di Agrigento.Troppi i disservizi, troppe le perdite idriche, troppi i giorni nei quali l’acqua non giunge in alcune zone delle città, troppi i dissesti che causano anche alle nostre strade ed all’asfalto.
In provincia di Agrigento però, non si ci muove ormai solamente “contro” la Girgenti Acque, ma “contro” la privatizzazione dell’acqua decisa con alcune leggi – vergogna dal governo nazionale.
Non sono mancate le mobilitazioni, le raccolte firme, le proteste da parte di tutti coloro che, ritenendo l’acqua un bene essenziale e di primaria importanza per il bene comune, non vogliono che venga mercificato e regolato dagli interessi di pochi.
A Sant’Angelo Muxaro prima, a San Biagio Platani poi ed infine a Menfi sono stati respinti in modo deciso ma pacifico i commissari regionali che avevano il compito di requisire le reti e consegnarle ala Girgenti Acque: sono infatti diversi i comuni che ancora non si sono consegnate alla società capendo subito l’andazzo che c’era. Noi a Sciacca naturalmente siamo stati i primi a dare tutto nonostante le immense risorse idriche del nostro territorio: insomma dovrebbero essere loro a pagare noi e non viceversa, invece ci troviamo nell’assurda situazione di dover pagare a caro prezzo la nostra acqua che, tra l’altro, “esportiamo” anche nei comuni limitrofi.
“Ricordiamo, scrive l’associazione L’AltraSciacca dalle pagine del proprio sito, quel 27 Maggio del 2008 a Sciacca quando le reti furono consegnate senza batter ciglio e, addirittura, col seguito di proclami entusiastici. Ribellarsi quando si ritiene che certe leggi non siano giuste e che non tutelino a sufficienza la collettività non significa essere “fuorilegge” ma significa “onorare il proprio mandato nei confronti dei propri cittadini”. Ma tant’è.
Nel frattempo a Menfi, il sindaco Michele Botta (Pdl) nei giorni scorsi ha indetto un importantissimo consiglio comunale aperto a tutti i cittadini e lo ha fatto svolgere all’aperto, ossia in piazza Vittorio Emanuele III. Hanno partecipato tantissimi sindaci dei comuni vicini tra cui quello di Sciacca, Vito Bono, che, lo scorso 7 novembre, aveva anche partecipato a Caltanissetta all’Assemblea Regionale del Coordinamento degli Enti Locali per l’Acqua Bene Comune segnando una svolta, seppur minima: il comune di Sciacca adesso si schiera apertamente al fianco degli altri 23 sindaci “ribelli” dei comuni più piccoli che vogliono la ripubblicizzazione dell’acqua.
E’ lecito attendersi molto di più in merito da Vito Bono poiché su questo tema si è incentrata la sua recente campagna elettorale, occorre prendere posizione, parlarne in consiglio comunale, coinvolgere cittadini ed associazioni e muoversi in maniera decisa all’interno dell’Ato.
Due sono i momenti più importanti che si avuti nelle ultime settimane. A Menfi durante la seduta del consiglio comunale aperto alcuni privati cittadini hanno riconsegnato al sindaco le proprie tessere elettorali al grido di: “se loro continueranno l’iter per la privatizzazione dell’acqua, noi non andremo più a votare”. La sortita è stata molto veemente ed il sindaco di Bivona Giovanni Panepinto, leader dei sindaci ribelli, non ha apprezzato molto il gesto facendo capire apertamente di non essere d’accordo.
L’altro episodio degno di rilievo sono le furiose dichiarazione del Presidente della Provincia di Agrigento nonché Presidente dell’Ato idrico Eugenio D’Orsi: “Entro un mese faremo quanto di nostra competenza per rescindere il contratto posto in essere con la Girgenti Acque. Adesso basta. Questi signori devono capire e sapere che, da oggi, l’atteggiamento del Presidente dell’Ato è cambiato. Basta con la comprensione, basta col dargli tempo. Devono rispettare il contratto se ne sono capaci. Se non lo sono che se ne vadano a casa.”
Dichiarazioni durissime. Certo appare improbabile smuovere la matassa della burocrazia contrattuale e legale in un mese ma se davvero si facessero seguire a queste parole i fatti nel giro di poco tempo potrebbe venire indetta una nuova gara d’appalto per la gestione delle risorse idriche provinciali. Ma sempre in regime di privatizzazione almeno per il momento. Anche perché da Roma il parlamento continua a legiferare in tal senso. Sulle leggi poste in essere in questi giorni ecco l’interessante opinione di Luigi Meconi, noto giurista. “L’attuale Governo sta ingannando i cittadini, facendogli credere di fare i loro interessi mentre di contro e per mezzo di un decreto legge ( art. 15 D.L. n. 135/2009 , spacciato per adeguamenti di carattere comunitario) , di fatto ci sta rubando il nostro diritto ad un bene indispensabile per la nostra vita come è l’acqua, regalandolo a pseudo Società per Azioni, conniventi e compiacenti, il cui ultimo fine è, e sarà, fare profitto sul cosidetto “OroBlu”, come viene oggi comunemente chiamata l’acqua . Nella stesura del D.L. 135/2009 hanno però commesso un errore che contrasta con il cosiddetto Federalismo fiscale, e uno stravolgimento dei dettami inseriti nella nostra Costituzione (articolo 117 del nuovo titolo V della Costituzione) a proposito delle competenze e funzioni dei Comuni nell’organizzazione dei servizi pubblici di interesse generale , come il servizio idrico. Espropriando, come di fatto hanno espropriato con norme che hanno sottratto a Comuni e Province funzioni fondamentali sui propri servizi di interesse generale, gli Enti di cui “è costituita” (art. 114 Cost.) la stessa Repubblica, si pensa non ci stia sincero democratico che non avrebbe motivo per cui allarmarsi per quello che sta succedendo con la privatizzazione, da parte dello Stato, dei servizi pubblici locali. Se tutte le forze politiche di centro destra e di centro sinistra hanno detto si perché si proceda in tema di Federalismo fiscale, di quale mai “federalismo” parlano se i Comuni e le Province, privati di funzioni fondamentali in tema di servizi pubblici di interesse generale, si troveranno ad essere, rispetto ai propri cittadini e imprese, mere ombre di se stessi davanti a multi utilities spa, magari quotate in borsa, magari con a finanziatori fondi pensione ballerini per gli incerti della finanza globale? Non posso concludere senza aggiungere che il DDL Calderoli, in tema di istituti di partecipazione del cittadino, è molto carente. E non si capisce perché non si raccorda con gli istituti partecipativi di cittadini e parti sociali contenuti nell’articolo 4 della legge 15/2009 e decreto legislativo di attuazione che ha avuto il via libero dal Consiglio dei Ministri in questi giorni.”
Non sarà facile salvare l’acqua. Di quello che in merito decidono a Roma nessun telegiornale mai ne parlerà. L’acqua non fa audience. In compenso fa e farà profitto. Quindi silenzio, anzi: acqua in bocca.

Calogero Parlapiano - tratto da "ControVoce"

lunedì 23 novembre 2009

Agricoltura: dalla Sicilia a Roma con i trattori

La crisi del mondo agricolo in generale e di quello siciliano in particolare negli ultimi mesi ha raggiunto picchi inimmaginabili. I lavoratori non riescono più a rientrare dalle spese. L’importazione di prodotti dagli altri paesi del Mediterraneo, Tunisia, Spagna, Grecia, Marocco, ha dato il colpo di grazia alle nostre culture. Ci si ritrova quindi nell’assurda e paradossale situazione per la quale il “Made in Italy” è vantato in tutto il mondo conosciuto tranne che in Italia. E questo è un dato di fatto. Gli agrumi, la vite, le olive, le pesche sono tutti prodotti della nostra terra che, proseguendo di questo passo, rischiano l’estinzione non perché la Natura ha deciso di privarcene ma perché l’uomo ha abbandonato questo tipo di attività (soprattutto nel nord Italia), perché non si riesce più ad ammortizzare i costi (non c’è più un guadagno e a volte nemmeno un pareggio tra le spese effettuate) e specie perché è molto più semplice e vantaggioso importare dall’estero. Diminuisce la qualità, non si sa cosa mangiamo e come vengono trattati quei prodotti ma si risparmia un bel po’. La crisi è generalizzata: il ministro al comparto agricolo Luca Zaia (Lega Nord), al momento, non sembra aver preso provvedimenti sufficienti a lenire questo problema. E la Sicilia e la stessa Sciacca ne risentono molto. L’assessore all’agricoltura Ignazio Piazza sta cercando di trovare le soluzioni migliori per risolvere la questione del mercato del contadino, del mercato ortofrutticolo e del mattatoio comunale ma non sarà semplice poiché, come ben sappiamo, di fondi ce ne sono pochissimi e parecchie cose potrebbero essere risolte solamente partendo dall’alto: dal Parlamento nazionale e regionale. Intanto un corteo di trattori è partito nei giorni scorsi da Caltanissetta ed è arrivato fino a Roma per dare maggiore risonanza alla protesta contro la grave crisi che ha messo in ginocchio il settore agricolo siciliano. La decisione è stata presa dal comitato spontaneo degli agricoltori della provincia di Caltanissetta, di cui è portavoce il consigliere comunale Michelangelo Lovetere, dopo un mese e mezzo di sit-in svolti a Pian del lago. Al corteo si sono uniti gli operatori del settore di tutta la Sicilia, anche da Sciacca, con l’appoggio del Comune che ha messo a disposizione pure un autobus. Una volta giunti in Calabria i trattori hanno proseguito verso Roma per portare al governo nazionale le dichiarazioni di stato di crisi già approvate dalle regioni meridionali. Gli agricoltori hanno chiesto che vengano stanziate nuove risorse. Nonostante erano fermi proprio davanti il Parlamento è stato quasi impossibile trovare loro immagini all’interno dei tg nazionali. Forse è passata la notizia ma nulla di più. La crisi non esiste soprattutto se non la faccio vedere. Nel giorno del vertice della Fao a Roma, gli agricoltori siciliani hanno percorso le principali strade della capitale e si sono poi radunati in Piazza San Giovanni in Laterano per protestare. “Non è possibile vendere il grano a 13 centesimi, un quintale d'uva a 10 euro e un litro di olio extravergine di oliva a 3 euro" ha urlato un manifestante. "Oltre ai prezzi - ha detto un altro agricoltore - chiediamo che venga dato un contributo statale non alla produzione ma ai terreni. Per il grano è stato già fatto, ora manca il vigneto. Siamo qui a manifestare nel giorno in cui si apre il Summit della Fao e se non basta andremo a Bruxelles. "I Governi nazionale e della Regione Siciliana hanno abbandonato il settore agricolo alle proprie difficoltà senza prevedere alcun intervento capace di contrastare la crisi del settore". Lo ha detto il segretario regionale del Partito Democratico Giuseppe Lupo. "La crisi del Governo Lombardo - aggiunge Lupo - e della maggioranza che lo sostiene paralizza la Sicilia e non consente di affrontare le urgenti difficoltà dei diversi settori produttivi, con conseguenze negative per le imprese, i lavoratori e le loro famiglie.” "Il nostro Paese - dice l'assessore regionale all'Agricoltura Michele Cimino - ha sempre agevolato con strumenti finanziari straordinari l'industria del nord, vedi caso auto e ammortizzatori sociali. E' arrivato il momento di pensare anche all'industria del Sud". Cimino si è recato più volte a Roma in questi giorni per partecipare ad alcuni incontri con i parlamentari nazionali. Nell’attesa e nella speranza, quella degli agricoltori, di trovare immediate risposte e soluzioni. Un mondo agricolo che risulta sempre più spaccato al suo interno tra movimenti, associazioni, sindacati e gruppetti vari. Forse una maggiore unità farebbe comodo agli stessi operatori del comparto agricolo anche perché per il governo è di certo cosa migliore poter trattare con un solo referente che rappresenti l’intero mondo agricolo rispetto a tanti capi, spesso senza truppe. Insomma una marcia su Roma pacifica ma doverosa ed un problema ancora ben lungi dall’essere risolto: non servono più palliativi momentanei adatti soltanto a dare un breve sollievo, urgono decisioni e provvedimenti importanti. E definitivi.

Calogero Parlapiano - tratto da "ControVoce"

domenica 22 novembre 2009

La Messina dimenticata... terremotati di serie Z


Bocciato in Senato l’emendamento che introduceva in finanziaria fondi da destinare alle vittime dell’alluvione di Messina. “Sono sconcertato ed offeso dall’atto irresponsabile che governo e maggioranza hanno consumato oggi” dice Gianpiero D’Alia, capogruppo dell’Udc al Senato. L’emendamento, firmato da Anna Finocchiaro e Costantino Garraffa del Pd, da esponenti dell’Idv e da Giovanni Pistorio per l’Mpa prevedeva lo stanziamento di 100 milioni di euro per la città di Messina e per Scaletta Zanclea per i primi interventi urgenti.

“Non ci sono parole – aggiunge – per stigmatizzare un comportamento così irrispettoso per il dolore e per i bisogni della nostra città. Nonostante le assicurazioni del governo, non si danno risorse per la tragedia di Messina ma si ingraziano società come la ‘Stretto di Messina’ chiamate solo a dilapidare risorse pubbliche non prioritarie per il mezzogiorno e per la Sicilia. E’ una vergogna senza fine”.

Gli fa eco il presidente dei senatori del Pd, Anna Finocchiaro. “Questo governo dimostra sempre più di essere il governo delle chiacchiere, purtroppo stavolta ai danni di cittadini che sono già stati duramente colpiti. Nonostante le ennesime promesse – continua la Finocchiaro – questa finanziaria non stanzia un euro per il recupero e il riassetto idrogeologico e la messa in sicurezza del territorio della Provincia di Messina. Non solo: governo e maggioranza hanno ritenuto di bocciare un nostro emendamento che stanziava 200 milioni di euro per la frana nel nisseno e ha poi rigettato anche altri tentativi di modifica che destinavano quantità di risorse più modeste. Si tratta – conclude – di un atteggiamento inaccettabile, sia nel metodo che nel merito”.


Fonte: http://www.livesicilia.it/2009/11/13/niente-soldi-per-messina/

sabato 21 novembre 2009

La lotta alla mafia tradita

Un tradimento, l’ennesimo di questo governo sulla strada della lotta alle mafie. L’emendamento della finanziaria votato a maggioranza dal Senato, che consente la vendita dei beni immobili confiscati alle mafie, è molto più grave di un segnale d’allarme. Mentre sulla Giustizia pende una legge discriminatoria pensata su misura dei guai giudiziari del premier, quando si attende ancora il passo indietro del sottosegretario Cosentino dinanzi alla richiesta di arresto per partecipazione esterna ai clan casalesi e a Fondi si rafforzano gli interessi criminali nonostante le reiterate richieste di scioglimento dell’amministrazione, si consuma un tradimento a più facce.
Come ha ricordato Don Luigi Ciotti, è tradito l’impegno assunto con il milione di cittadini che nel ’96 firmarono la proposta di legge sull’uso sociale dei beni confiscati alla mafia e la loro “restituzione alla collettività”. Se la Camera confermasse la decisione di vendere all’asta gli immobili confiscati, passati 90 giorni dalla confisca senza assegnazione, sarebbe enorme il rischio di restituirli alle stesse organizzazioni criminali. Le famiglie mafiose dispongono di un’enorme massa di denaro liquido, in via di ripulitura all’interno dell’economia legale, mentre sono in grado di fare intervenire un sistema di prestanome e di intermediari finanziari, che in parte già agiscono nei territori ad alta densità mafiosa. E’ evidente fra l’altro che il fortissimo radicamento sociale dei mafiosi renderebbe più agevole la loro capacità di vincere un’asta attraverso “amici”. Sono numerosi gli episodi già avvenuti in Sicilia, in Campania e in Calabria che attestano questa capacità dei clan. Vi sono comuni sciolti per mafia proprio per aver assegnato beni confiscati a prestanome dei mafiosi colpiti dalla confisca, come a Canicattì in provincia di Agrigento e a Nicotera in provincia di Vibo Valentia.
Per non parlare della debolezza prevista nell’emendamento per il meccanismo di vendita degli immobili, affidato a funzionari locali del Demanio che, per la loro oggettiva esposizione ambientale ( come è già avvenuto in alcuni casi ) non sono nella posizione migliore per resistere a condizionamenti anche indiretti.
Un secondo aspetto del tradimento riguarda il famoso “piano sicurezza” ostentato dal governo, dal premier fino al ministro Maroni, che innumerevoli volte hanno rivendicato contro le mafie non solo gli arresti da parte delle forze dell’ordine, ma l’entità dei beni sequestrati e il fatto che il bene da sequestrare venga perseguito in quanto tale, indipendentemente dalla posizione processuale del mafioso coinvolto. Bene, se fosse confermato questo emendamento sarebbero più di 3.200 gli immobili non ancora assegnati che verrebbero posti in vendita, esponendoli alla rivincita delle organizzazioni criminali, oltre ovviamente alle nuove confische che arriveranno…C’è davvero da chiedersi che fine abbiano fatto finora quei “fini sociali” che costituivano l’essenza della legge del ’96 e l’obiettivo di quel milione di firme, mentre ancora aspettiamo l’applicazione della legge finanziaria del 2006 che riproponeva l’uso sociale dei beni confiscati, anche attraverso l’istituzione di un’Agenzia nazionale.
Sono traditi infine e non possono non sentirsi tali, i giovani volontari che sotto le bandiere di Libera con le loro cooperative strappano frutti alle aspre terre confiscate, da Corleone e S.Giovanni Jato alla valle del Marro, dall’altopiano pugliese a Casal di Principe e Castelvolturno, dal basso Lazio alla periferia di Catania, trasformando in beni sociali per tutti il frutto di un crimine
di pochi intriso di morte, corruzione, paura. E con loro le associazioni di volontariato e del terzo settore, che attendono da anni solo di superare le paludi burocratiche per trasformare immobili sequestrati in centri sociali, di assistenza, di cultura. Questo sarebbe davvero il tradimento più imperdonabile. Se nella sua disastrata gestione dell’economia il governo ha bisogno di “fare cassa”, non intacchi quei pochi diritti essenziali finora conquistati per sostituire legalità e sviluppo al dominio del crimine.
C’è allora necessità assoluta di non fare ulteriori regali alle mafie, di non far passare alla Camera quel disastroso emendamento, rispondendo con la stessa forza e con l’ unità d’intenti e di organizzazione che fu messa in campo il 3 Ottobre per la difesa della libertà dell’informazione. E’ ormai un appuntamento che investe in ogni campo la responsabilità di tutti, non solo certo della società civile e non possiamo mancare.

venerdì 20 novembre 2009

I mandanti politici delle Stragi del '93

C’è una data a cui palazzo Chigi guarda con apprensione: quando la Corte d’Appello di Palermo sentirà il superpentito Gaspare Spatuzza nel processo al senatore Marcello Dell’Utri già condannato a 9 anni per concorso esterno in associazione mafiosa. E c’è anche una procura a cui sempre palazzo Chigi guarda con attenzione: quella di Firenze che ha riaperto l’inchiesta sui mandanti occulti e sul livello politico delle stragi di Cosa Nostra nel continente (10 morti, 106 feriti, nel 1993 tra Firenze, Roma, Milano). Un’inchiesta «riaperta» esattamente dal punto dove era stata archiviata il 16 novembre 1998 quando il gip Giuseppe Soresina scrisse che «è altamente plausibile che i soggetti protetti nel registro mod.21 con le denominazioni Autore 1 e Autore 2 abbiano concorso moralmente all’azione stragista del soggetto Cosa Nostra» ma che «non erano stati reperiti elementi validi per il dibattimento». Un’inchiesta, coordinata dal procuratore Giuseppe Quattrocchi e dai sostituti Giuseppe Nicolosi e Alessandro Crini, che adesso sembra aver completato quel quadro probatorio grazie, e non solo, alle dichiarazioni del pentito Gaspare Spatuzza. Viene definita «un’indagine semplice nel senso criminale del termine», che non va, cioè, «ad inseguire teoremi» e che «avrà tempi relativamente brevi».

«Il problema di Berlusconi non è nè Mills nè Mediaset, dicono i bene informati della maggioranza. Il problema è «Firenze», o Palermo, oppure Caltanissetta. Il problema riguarda un ipotetico coinvolgimento del Presidente del Consiglio, insieme con Marcello Dell’Utri nelle inchieste su Cosa Nostra e sulle sue connessioni politiche. Un problema, per cui si capisce meglio anche certa fretta nel Pdl per ripristinare l’immunità parlamentare.

La storia dell’inchiesta sui mandanti a volto coperto andrebbe raccontata dall’inizio, a cominciare dal pm, Gabriele Chelazzi (morto nel 2003) che con Vigna, allora procuratore, e Nicolosi cercò di dare ordine a una serie di «input investigativi» diventati ben presto «plausibile ipotesi investigativa». Occorre però partire dalla fine. Che sono le dichiarazioni, solo in piccola parte note, di Spatuzza, braccio destro dei fratelli Graviano, capi mandamento di Brancaccio, tra gli esecutori della strage di via D’Amelio e di quelle in continente. Spatuzza sedeva alla destra del padre, inteso come i fratelli Graviano a cui Riina e Provenzano avevano ordinato la strategia del terrore tra il ‘92 e il ‘93. Un ruolo che lo pone per forza di cose a conoscenza di tutti i segreti di Cosa Nostra, «in quel perido, tra la fine del ‘92 e i primi mesi del ‘94».

C’è un suo verbale raccolto dai pm fiorentini (titolari del collaboratore di giustizia) che dice chiaramente chi sono i referenti politici con cui la mafia avrebbe trattato e come. In un altro verbale rilasciato a Palermo il 6 ottobre si leggono i nomi di «Silvio Berlusconi, quello di Canale 5 e Marcello Dell’Utri». A Spatuzza ne parla Giuseppe Graviano, all’indomani della strage di Firenze (maggio 1993): «Si tratta di politica, c’è in atto una situazione che se va a buon fine ne avremo tutti i benefici, sia i carcerati che gli altri». E poi di nuovo a metà gennaio 1994, seduti al bar Doney di via Veneto: «Abbiamo il paese in mano» disse Graviano a Spatuzza, grazie all’interessamento «di persone di fiducia, Silvio Berlusconi e Marcello Dell’Utri» che da qualche mese stava organizzando la discesa in campo del Cavaliere con Forza Italia. Dopo pochi mesi i fratelli Graviano furono arrestati a Milano. Spatuzza molto dopo, nel 1997. Fatto sta che della strage allo Stadio Olimpico, ennesima e finale prova di forza per siglare la trattativa tra politica e Cosa Nostra e già saltata nel dicembre 1993 per un difetto nell’innesco, non se ne seppe più nulla.

Questo e molto altro («è un’indagine piena di riscontri») ha detto Spatuzza che si è pentito meno di un anno fa. Per gli investigatori fiorentini è l’anello mancante della vecchia indagine archiviata. Già allora avevano parlato, si legge nella richiesta di archiviazione del 1998, «Pietro Romeo che aveva quasi indicato il livello del concorso morale». E poi Ciaramitano, Pennino, Cancemi, per un totale di 23 collaboratori. Le cui dichiarazioni, tutte insieme, già nel 1998 dicevano: 1)«Cosa Nostra nell’intraprendere la campagna di strage ha agito di concerto con soggetti esterni»; 2)«Tra il soggetto politico-imprenditoriale di cui AutoreUno e AutoreDue, indicati come concorrenti del reato, e Cosa Nostra il rapporto è effettivamente sussistente e non episodicamente limitato»; 3)«La natura del rapporto era compatibile con l’accordo criminale». Quello che allora non fu del tutto possibile dimostrare è che «il soggetto politico imprenditoriale aveva sostenuto le aspettative di ordine politico (meno pressione giudiziaria sulla mafia, ndr) per il perseguimento delle quali la campagna di strage è stata deliberata e realizzata». Era la parte mancante. Adesso, forse, trovata. E riscontrata.

http://www.unita.it/news/italia/91246/i_mandanti_politici_delle_stragi_del_ecco_lindagine_che_agita_berlusconi

giovedì 19 novembre 2009

Il testo integrale del Ddl sui Processi Brevi & la richiesta di Saviano

SIGNOR Presidente del Consiglio, io non rappresento altro che me stesso, la mia parola, il mio mestiere di scrittore. Sono un cittadino. Firma anche tu!

Le chiedo: ritiri la legge sul "processo breve" e lo faccia in nome della salvaguardia del diritto. Il rischio è che il diritto in Italia possa distruggersi, diventando uno strumento solo per i potenti, a partire da lei.

Con il "processo breve" saranno prescritti di fatto reati gravissimi e in particolare quelli dei colletti bianchi. Il sogno di una giustizia veloce è condiviso da tutti. Ma l'unico modo per accorciare i tempi è mettere i giudici, i consulenti, i tribunali nelle condizioni di velocizzare tutto. Non fermare i processi e cancellare cosè anche la speranza di chi da anni attende giustizia.

Ritiri la legge sul processo breve. Non è una questione di destra o sinistra. Non è una questione politica. Non è una questione ideologica. E' una questione di diritto. Non permetta che questa legge definisca una volta per sempre privilegio il diritto in Italia, non permetta che i processi diventino una macchina vuota dove si afferma il potere mentre chi non ha altro che il diritto per difendersi non avrà più speranze di giustizia.

ROBERTO SAVIANO


Prescrizione dei processi in corso in primo grado per i reati inferiori nel massimo ai dieci anni di reclusione se sono trascorsi più di due anni a partire dalla richiesta di rinvio a giudizio del pm senza che sia stata emessa la sentenza. Questa la sostanza del disegno di legge sul processo breve presentato oggi in Senato da alcuni senatori della maggioranza. Il testo è composto di tre articoli e si richiama alla tutela del cittadino contro la durata indeterminata dei processi in attuazione della Costituzione e dell'articolo 6 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo.

Se sarà approvata dal Parlamento la nuova norma sul cosiddetto "processo breve", i processi milanesi in cui è imputato Silvio Berlusconi, quello sui diritti tv di Mediaset e quello sul 'caso' Mills, sarebbero finiti da tempo a causa della prescrizione. La richiesta di rinvio a giudizio per la vicenda Mediaset, in cui il premier è accusato di frode fiscale, risale al 22 aprile del 2005. Il processo sarebbe quindi, di fatto, morto da più di 2 anni e mezzo. La richiesta di processare Silvio Berlusconi per corruzione in atti giudiziari, è datata 10 marzo del 2006. Sono già passati quindi più di tre anni e mezzo e anche in questo caso calerebbe il sipario definitivo sulla vicenda.

SENATO DELLA REPUBBLICA XVI LEGISLATURA DISEGNO DI LEGGE d'iniziativa dei sen.GASPARRI, QUAGLIARIELLO, BRICOLO, TOFANI, CASOLI, BIANCONI, IZZO, CENTARO, LONGO, ALLEGRINI, BALBONI, BENEDETTI VALENTINI, DELOGU, GALLONE, MAZZATORTA, MUGNAI, VALENTINO Misure per la tutela del cittadino contro la durata indeterminata dei processi, in attuazione dell'articolo 111 della Costituzione e dell'articolo 6 della Convenzione europea sui diritti dell'uomo

La relazionetecnica [1]

Schema di disegno di legge contenente misure per la tutela del cittadino contro la durata indeterminata dei processi, in attuazione dell’articolo 111 della Costituzione e dell’articolo 6 della Convenzione europea sui diritti dell’uomo.

Articolo 1

(Modifiche alla legge 24 marzo 2001, n. 89)

1. All’articolo 2 della legge 24 marzo 2001, n. 89, sono apportate le seguenti modificazioni:

a) al comma 1, le parole “Chi ha subito” sono sostituite dalle seguenti: “In attuazione dell’articolo 111, secondo comma, della Costituzione, la parte che ha subito”;

b) al comma 3, la lettera b) è abrogata;

c) dopo il comma 3, sono aggiunti i seguenti:

«3-bis. Ai fini del computo del periodo di cui al comma 3, il processo si considera iniziato, in ciascun grado, alla data di deposito del ricorso introduttivo del giudizio o dell’udienza di comparizione indicata nell’atto di citazione, ovvero alla data del deposito dell’istanza di cui all’articolo 8 del decreto legislativo 17 gennaio 2003, n. 5, ove applicabile, e termina con la pubblicazione della decisione che definisce lo stesso grado. Il processo penale si considera iniziato alla data di assunzione della qualità di imputato. Non rilevano, agli stessi fini, i periodi conseguenti ai rinvii del procedimento richiesti o consentiti dalla parte, nel limite di 90 giorni ciascuno.

3-ter. Non sono considerati irragionevoli, nel computo di cui al comma 3, i periodi che non eccedono la durata di due anni per il primo grado, di due anni per il grado di appello e di ulteriori due anni per il giudizio di legittimità, nonché di un altro anno in ogni caso di giudizio di rinvio. Il giudice, in applicazione dei parametri di cui al comma

2, può aumentare fino alla metà i termini di cui al presente comma.

3-quater. Nella liquidazione dell’indennizzo, il giudice tiene conto del valore della domanda proposta o accolta nel procedimento nel quale si assume verificata la violazione di cui al comma 1. L’indennizzo è ridotto ad un quarto quando il procedimento cui la domanda di equa riparazione si riferisce è stato definito con il

rigetto delle richieste del ricorrente, ovvero quando ne è evidente l’infondatezza.

3-quinquies. In ordine alla domanda di equa riparazione di cui all’articolo 3, si considera priva di interesse, ai sensi dell’articolo 100 del codice di procedura civile, la parte che, nel giudizio in cui si assume essersi verificata la violazione di cui al comma 1, non ha presentato, nell’ultimo semestre anteriore alla scadenza dei termini di cui al primo periodo del comma 3-ter, una espressa richiesta al giudice procedente di sollecita definizione del giudizio entro i predetti termini, o comunque quanto prima, ai sensi e per gli effetti della presente legge. Se la richiesta è formulata dopo la scadenza dei termini di cui al comma 3-bis, l’interesse ad agire si considera sussistente limitatamente al periodo successivo alla sua presentazione. Nel processo davanti alle giurisdizioni

amministrativa e contabile è sufficiente il deposito di nuova istanza di fissazione dell'udienza, con espressa dichiarazione che essa è formulata ai sensi della presente legge. Negli altri casi, la richiesta è formulata con apposita istanza, depositata nella cancelleria o segreteria del giudice procedente.

3-sexies. Il giudice procedente e il capo dell’ufficio giudiziario sono avvisati senza ritardo del deposito dell’istanza di cui al comma 3-quinquies. A decorrere dalla data del deposito, il processo civile è trattato prioritariamente ai sensi degli articoli 81, secondo comma, e 83 delle disposizioni per l’attuazione del codice di procedura civile e disposizioni transitorie, di cui al regio decreto 18 dicembre 1941, n. 1368, con esclusione della deroga prevista dall’articolo 81, secondo comma, e di quella di cui all’articolo 115, secondo comma, delle medesime disposizioni di attuazione; nei processi penali si applica la disciplina dei procedimenti relativi agli imputati in stato di custodia cautelare; nei processi amministrativi e contabile l’udienza di discussione è

fissata entro novanta giorni. Salvo che nei processi penali, la motivazione della sentenza che definisce il giudizio è limitata ad una concisa esposizione dei motivi di fatto e di diritto su cui la decisione si fonda. Il capo dell’ufficio giudiziario vigila sull’effettivo rispetto di tutti i termini acceleratori fissati dalla legge»;

d) In sede di prima applicazione, nei giudizi pendenti in cui sono già decorsi i termini di cui all’articolo 2, comma 3-ter, della legge n. 89 del 2001, l’istanza di cui al comma 3-quinquies dello stesso articolo 2 è depositata entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge.».


Articolo 2

(Estinzione del processo per violazione dei termini di durata ragionevole)

«1. Nel codice di procedura penale, dopo l’articolo 346 è inserito il seguente: Art. 346-bis - (Non doversi procedere per estinzione del processo).

1. Il giudice nei processi per i quali la pena edittale determinata ai sensi dell’art. 157 del codice penale è inferiore nel massimo ai dieci anni di reclusione dichiara non doversi procedere per estinzione del processo quando:

a) dal provvedimento con cui il pubblico ministero esercita l’azione penale formulando l’imputazione ai sensi dell’articolo 405 sono decorsi più di due anni senza che sia stata emessa la sentenza che definisce il giudizio di primo grado;

b) dalla sentenza di cui alla lettera a) sono decorsi più di due anni senza che sia stata pronunciata la sentenza che definisce il giudizio di appello;

c) dalla sentenza di cui alla lettera b) sono decorsi più di due anni senza che sia stata pronunciata sentenza da parte della Corte di cassazione;

d) dalla sentenza con cui la Corte di cassazione ha annullato con rinvio il provvedimento oggetto del ricorso è decorso più di un anno senza che sia stata pronunciata sentenza irrevocabile.

2. Il corso dei termini indicati nel comma 1 è sospeso:

a) nei casi di autorizzazione a procedere, di deferimento della questione ad altro giudizio e in ogni altro caso in cui la sospensione del procedimento penale è imposta da una particolare disposizione di legge;

b) nell’udienza preliminare e nella fase del giudizio, durante il tempo in cui l’udienza o il dibattimento sono sospesi o rinviati per impedimento dell’imputato o del suo difensore, ovvero su richiesta dell’imputato o del suo difensore, sempre che la sospensione o il rinvio non siano stati disposti per assoluta necessità di acquisizione della prova;

c) per il tempo necessario a conseguire la presenza dell’imputato estradando.

518 in nessun caso i termini di cui al comma 1 possono essere aumentati complessivamente per più di tre mesi.

4. Alla sentenza irrevocabile di non doversi procedere per estinzione del processo si applica l’articolo 649.

5. Le disposizioni dei commi 1, 2, 3 e 4 non si applicano nei processi in cui l’imputato ha già riportato una precedente condanna a pena detentiva per delitto, anche se è intervenuta la riabilitazione, o è stato dichiarato delinquente o contravventore abituale o professionale, e nei processi relativi a uno dei seguenti delitti, consumati o tentati:

a) delitto di associazione per delinquere previsto dall’articolo 416 del codice penale;

b) delitto di incendio previsto dall’articolo 423 del codice penale;

c) delitti di pornografia minorile previsti dall’articolo 600-ter del codice penale;

d) delitto di sequestro di persona previsto dall’articolo 605 del codice penale;

e) delitto di atti persecutori previsto dall’articolo 612-bis del codice penale

f) delitto di furto quando ricorre la circostanza aggravante prevista dall’art.4 della legge 8 agosto 1977, n.533, o taluna delle circostanze aggravanti previste dall’articolo 625 del codice penale;

g) delitti di furto previsti dall’articolo 624-bis del codice penale;

h) delitto di circonvenzione di persone incapaci, previsto dall’articolo 643 del codice penale;

i) delitti previsti dall’articolo 51, commi 3-bis e 3-quater, del codice di procedura penale;

l) delitti previsti dall’articolo 407, comma 2, lettera a), del codice di procedura penale;

m) delitti commessi in violazione delle norme relative alla prevenzione degli infortuni e all’igiene sul lavoro e delle norme in materia di circolazione stradale;

n) reati previsti nel testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, di cui al decreto legislativo

25 luglio 1998, n.286;

o) delitti di attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti previsti dall’art. 260, commi 1 e 2, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n.152.

6. In caso di dichiarazione di estinzione del processo, ai sensi del comma 1, non si applica l’articolo 75 comma 3. Quando la parte civile trasferisce l’azione in sede civile, i termini a comparire di cui all’art. 163 bis del codice di procedura civile sono ridotti della metà, e il giudice fissa l’ordine di trattazione delle cause dando precedenza al processo relativo all’azione trasferita.

7. Le disposizioni del presente articolo non si applicano quando l’imputato dichiara di non volersi avvalere della estinzione del processo. La dichiarazione deve essere formulata personalmente in udienza ovvero è presentata dall’interessato personalmente o a mezzo di procuratore speciale. In quest’ultimo caso la sottoscrizione della richiesta deve essere autenticata nelle forme previste dall’articolo 583, comma 3.».

Articolo 3

(Entrata in vigore)

1. La presente legge entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale.

2. Le disposizioni dell’articolo 2 si applicano ai processi in corso alla data di entrata in vigore della presente legge, ad eccezione di quelli che sono pendenti avanti alla Corte d’appello o alla Corte di cassazione.».

http://comunistaquotidiano.blogspot.com/2009/11/il-testo-integrale-del-ddl-salva.html

mercoledì 18 novembre 2009

Coraggio e Salvataggio in Mare a largo di Lampedusa

Per Sciacca, ridente cittadina affacciata sul mare, parlare di porto, pesca, paranze, marinai sembra quasi normale, oserei dire naturale. Accade però qualche volta che il mare non sempre sia benevolo ma che, sospinto dai soffi di Eolo e dai moti della burrasca, metta in difficoltà tutti coloro che per vivere si imbarcano e sfidano le onde.
E’ quello che è successo ad alcuni marinai nella notte tra il 28 ed il 29 ottobre. Tutto avviene in poche ore, interminabili, nel canale di Sicilia e precisamente a 40 miglia a sud di Lampedusa.
Salvatore Bono, nostromo del peschereccio di Mazara del Vallo, Kleos ha rischiato di perdere la vita poiché è caduto in acqua sballottato dalla furia delle onde.
Il mare infatti era in tempesta, le condizioni erano avverse. Mare forza cinque si è stimato più tardi. Il capitano del Kleos, Angelo Randazzo, ha raccontato di attimi di autentico terrore e sconforto. Salvatore era ormai privo di forze, in acqua, e nessuno riusciva più a scorgerlo in quanto di notte la visibilità era molto approssimativa e certamente peggiorata dalla burrasca. “Lui gridava, chiedeva aiuto – racconta Randazzo - ma alla fine era ormai esausto e temevamo il peggio”.
Salvatore è caduto in mare perché si è sporto troppo e la forza di un’onda lo ha travolto. E’ stato recuperato grazie al coraggio di un suo compagno di lavoro, tunisino, che si è imbracato con una corda e si è gettato in mare sottraendolo a morte sicura. Nel frattempo naturalmente sono giunti sul posto anche gli uomini della Capitaneria di Porto di Lampedusa guidati dal tenente di vascello Antonio Morana, comandante della Guardia Costiera il quale ha coordinato in prima persona tutte le operazioni di soccorso, eseguite dalla motovedetta Cp 878 Sar.
Oltre agli uomini della Guardia Costiera, che erano tre, la motovedetta trasportava anche un medico ed un’infermiera.
A Salvatore Bono, una volta sottratto dalle onde, sono state praticate le prime operazioni di intervento medico dagli stessi compagni di lavoro ma il vero aiuto naturalmente è giunto con l’arrivo degli uomini della Capitaneria.
E’ stata una notte lunga ed agitata, basti pensare che la motovedetta per arrivare nel punto dell’incidente ha impiegato ben due ore tanto le condizioni erano avverse. Il malcapitato marinaio presentava seri problemi respiratori aggravati dal fatto che aveva bevuto tanta acqua riversatasi nei polmoni. A bordo le prime cure, i primi interventi di pronto soccorso e l’applicazione di ossigeno per aiutarne la respirazione.
Un altro momento molto difficile è stato quando gli uomini della motovedetta non riuscivano ad avvicinarsi al peschereccio in quanto la violenza delle onde non glielo permetteva. Questa circostanza poteva risultare molto pericolosa poiché il Bono aveva bisogno di cure urgenti ed i medici del Cisom non erano in grado di sbarcare a bordo del peschereccio se la motovedetta non si avvicinava abbastanza. Sono state fasi lunghe e concitate dove la paura, il terrore, la forza della natura hanno fatto il resto. Dopo momenti interminabili i ragazzi della Guardia Costiera, approfittando di un’onda favorevole, sono riusciti ad avvicinarsi quel tanto che è bastato per far scendere il medico e l’infermiera che si sono subito precipitati dal Bono.
Tutto questo è accaduto nei nostri mari, una notte che per molti di noi è trascorsa come tutte le altre, ma non per loro, non per i marinai, non per il Bono, non per i valorosi uomini della motovedetta Cp 878 Sar.
In fretta e furia Salvatore Bono è stato messo in sicurezza e trasportato d’urgenza presso il Poliambulatorio di Lampedusa, isola che è sprovvista di un vero e proprio ospedale.
Da lì con altrettanta celerità Bono è partito alla volta dell’ospedale di Palermo con un elicottero.
E’ stato tenuto sotto osservazione per un paio di giorni mentre adesso è a casa, a riposo e può raccontare a tutti i suoi amici e parenti le fasi drammatiche e spettacolari al contempo del suo salvataggio.
Questi sono gli scherzi, si fa per dire, che è in grado di mettere in scena il mare e la natura in generale. Purtroppo vicende di questo tipo sono accadute in passato e continueranno ad accadere. Tutti ci auguriamo però che abbiano sempre lo stesso lieto fine, quel lieto fine che ci permette a noi oggi di poterne parlare con più sollievo e di poter ringraziare sentitamente tutti coloro che si sono mossi affinchè Salvatore venisse salvato, dai suoi compagni di viaggio, agli uomini della Guardia Costiera di Lampedusa, dai medici del Cisom agli uomini dell’elicottero che ha trasferito d’urgenza il Bono a Palermo.
Nell’attesa e nella consapevolezza che presto il fortunato marinaio tornerà a lavoro, tornerà a sfidare quel mare che tutto gli dà ma che tutto rischiava di togliergli. Saprà sempre di aver potuto contare e di poter contare in futuro su dei ragazzi pronti a tutto per salvare una vita umana.

Calogero Parlapiano - tratto da "ControVoce"

martedì 17 novembre 2009

E' nato il Pdl Sicilia. Cosa accadrà adesso a Sciacca?

“Ebbene sì, ci siamo. Si è costituito all'Ars il Pdl-Sicilia. È davvero il passo decisivo, un passo verso la schiarita definitiva all'interno del partito siciliano, che oggi, più che un partito, è una torre di babele, dove leader e leaderotti parlano, ognuno, un linguaggio politico differente; dove regna l'incoerenza di coloro che sventolano la bandiera della semplificazione politica, ma non si preoccupano di attaccare a piè sospinto un governo dove siedono anche assessori di loro riferimento”. A sancire il definitivo strappo di Gianfranco Miccichè sono queste poche frasi scritte dal sottosegretario alla Presidenza del Consiglio sul suo sito.
“È da qui, cioè dalla coerenza dei comportamenti - scrive Miccichè sul sito- che deve cominciare quel processo, senza dubbio virtuoso, di semplificazione della politica ed è da qui, dalla nostra esigenza di coerenza, che nasce il gruppo del Pdl-Sicilia: perché la gente rischia di non capirci più nulla. A me interessa - prosegue - che la gente sappia che c'è una parte consistente, anzi maggioritaria, del Pdl siciliano che, pur mantenendosi fedele al progetto Berlusconi, sente il bisogno di distinguersi da una gestione del partito che è da definire ribelle, perchè assolutamente antitetica ai valori di coerenza, lealtà, libertà e capacità che Berlusconi portò con sè, quando decise di scendere in campo e fondare Forza Italia”. Parola fin troppo chiare che aprono uno squarcio profondo sia all’interno dello stesso partito che all’interno del governo regionale guidato da Lombardo. La situazione è molto instabile, più instabile di quanto percepiremo mai dalle dichiarazioni ufficiali. Per esempio all’ARS l'Udc è stato messo fuori dalla prima giunta ed ora è all'opposizione, mentre il Pdl, che era il primo gruppo con 32 deputati, si è diviso in due sottogruppi: quello dei 17 “lealisti” che fanno riferimento ai coordinatori siciliani Giuseppe Castiglione e Domenico Nania e quello formato dai deputati dell'asse Miccichè-Misuraca forte di 15 parlamentari, più la Adamo e gli ex di An vicini a Gianfranco Fini il quale ha definito qualche giorno fa il Pdl come una “caserma”, affermando contestualmente che a lui “e caserme non piacciono”. Questa spaccatura riguarda anche le due parlamentari del Pdl, ancora iscritte formalmente al gruppo misto: Giulia Adamo, fedelissima di Miccichè, e Marianna Caronia, vicina ai “lealisti”. Il governo Lombardo può dunque contare sicuramente sul sostegno all'Ars dei 15 deputati del Mpa e dei 16 ribelli del Pdl ma non in maniera scontata sui lealisti, che comunque esprimono due assessori in giunta e finora non hanno dichiarato il passaggio all'opposizione. Di conseguenza il governo Lombardo si è ritrovato ad essere all’improvviso un esecutivo di minoranza che dovrà concordare le scelte sui singoli provvedimenti, scendendo a compromessi persino con il Pd. Stranissima la posizione del Pd all’ARS: un anno fa era l'unico gruppo d'opposizione mentre adesso, almeno dal punto di vista numerico, diventa il primo gruppo all'Ars, con 29 deputati e in teoria potrebbe chiedere persino la poltrona di presidente dell'assemblea, ruolo ricoperto al momento da Francesco Cascio (Pdl) il quale non ha preso per nulla bene la nascita di questo gruppo con la motivazione che genera molta confusione, perfino nel simbolo proposto che è uguale a quello del partito, per così dire, nazionale: è stato sostituito solamente il nome “Berlusconi” con quello “Sicilia”.
Come riuscirà un esecutivo tanto instabile a proseguire nel mandato concessogli dagli elettori non è dato saperlo ma di certo, almeno per ora, il gruppo Pdl Sicilia continuerà ad appoggiare la maggioranza e quindi Lombardo.
“In questi anni - ha spiegato Miccichè - c'è stata una gestione schizzofrenica del Pdl regionale. Non si può pensare di essere parte di un governo e contemporaneamente non parte di una maggioranza che lo sostiene. I cosiddetti lealisti hanno due assessori e stanno all'opposizione che si manifesta anche disertando le commissioni e l'aula per bloccare l'azione del governo Lombardo”.
La nascita del Pdl Sicilia non rimarrà un caso isolato né un episodio che riguarderà solamente Palazzo dei Normanni. Ai coordinatori (lealisti) Castiglione e Nania è stata già formalizzata la richiesta di nominare dei coordinatori provinciali e comunali del Pdl.
Insomma il gruppo Pdl Sicilia nascerà sia all’interno della provincia di Agrigento sia all’interno del comune di Sciacca. A confermarlo nei giorni scorsi è stato anche l’assessore provinciale Sergio Indelicato. Nella nostra città i gruppi interni al civico consesso (Pdl e lista Forza Sciacca) dovrebbe rimanere “lealisti”, quindi continuare nel percorso comune al Pdl nazionale e seguire le orme di Giuseppe Marinello. Tutti tranne uno. Il consigliere di opposizione Silvio Caracappa ha infatti già dichiarato che una volta che verrà costituito il gruppo locale dei miccicheani aderirà al progetto Pdl Sicilia.
In realtà a Sciacca e in molti altri comuni che hanno avuto di recente una tornata elettorale la scissione interna al Popolo delle Libertà si era già intravista. A Sciacca basti ripensare al famigerato “Patto di San Michele” allor quando si erano messi d’accordo in un'unica coalizione Pd, Mpa, Udc corrente Mannino e Pdl di area Cimino – Miccichè. Insomma niente di nuovo sotto il sole. Anche quando poi questo Patto nei fatti non è andato in porto e l’area Cimino – Miccichè è rientrata nell’appoggio a Mario Turturici si è detto e scritto che questo era stato di più un appoggio di facciata ma non concreto, anzi forse qualcuno aveva lasciato anche intendere che avevano remato contro: voto disgiunto, sì ai consiglieri del Pdl, no a Mario Turturici. I numeri elettorali di Vito Bono tenderebbero a confermare questa ipotesi ed anche l’ex sindaco, velatamente e non ufficialmente, aveva ed ha fatto capire che qualcosa, all’interno della sua stessa coalizione, non è andata per il verso giusto.
La scissione comunale di giugno è ricomparsa a novembre con la costituzione definitiva di un secondo Pdl, un Pdl regionale. Cosa accadrà adesso? E’ possibile che questo nuovo gruppo determini altre conseguenze interne al nostro consiglio comunale? Ed ancora: è possibile che il Pdl Sicilia metta in difficoltà anche l’esecutivo D’Orsi dopo quello Lombardo? Dal Pd intanto gongolano: finalmente non si parlerà più soltanto ed unicamente delle correnti interne al loro partito ma anche di quelle presenti nel mondo berlusconiano.
Che si stia aprendo sin da adesso la corsa per raccogliere l’eredità dell’attuale premier? Staremo a vedere ma una cosa è certa: la caserma – Fini dixit – comincia a perdere pezzi.

Calogero Parlapiano - tratto da "ControVoce"

lunedì 16 novembre 2009

Mafia: il bluff del 41 bis

Buoni se servono a portare lustro, scomodi se dicono più del dovuto. Il Pdl propone una commissione all’assalto del collaboratori di giustizia. E si nasconde dietro il teatrino delle carceri speciali.

Ci risiamo. Quando servono per compiere un’operazione di polizia o la cattura di un latitante di cui fregiarsi nessuno osa dire nulla, quando invece le loro dichiarazioni si alzano di livello ecco scatenarsi la solita caccia alle streghe contro i collaboratori di giustizia, i cosiddetti pentiti. Con il pretesto che un numero esiguo di questi è ritornato a delinquere uscendo così dal programma di protezione si è sempre cercato di screditare l’intera categoria. Oggi quattro senatori del Pdl hanno persino proposto l’istituzione di una commissione apposita per verificare se, quando e come sono stati spesi i soldi con cui lo Stato ha ricompensato quei collaboratori di giustizia le cui dichiarazioni in seguito non hanno avuto riscontri. L’esempio più gettonato, da sempre, è quello di Balduccio Di Maggio il quale parlò del bacio tra Totò Riina e Giulio Andreotti e poi, una volta scappato in Sicilia, commise altri reati di mafia.
Come al solito si cerca di far passare l’idea che l’intero impianto accusatorio formulato dalla Procura di Palermo a carico del senatore Andreotti sia stato basato sulle uniche dichiarazioni di costui e che il processo sia finito con un’assoluzione piena, quando ormai è noto che sono intervenute una prescrizione “per i reati commessi” fino agli anni ’80 e un’assoluzione per mancanza di prove per il periodo successivo. Fa parte del gioco, così come è chiaro che questa ennesima boutade sia frutto della legittima preoccupazione dei berluscones per le nuove dichiarazioni di Gaspare Spatuzza sul senatore Marcello Dell’Utri. Proprio in questi giorni infatti la Corte che presiede il processo d’appello a carico dell’esponente politico ha sospeso la requisitoria del Pg Gatto, prossima alla conclusione, per poter sentire il neo collaboratore le cui ricostruzioni sono state considerate di notevole interesse.
Era ovvio aspettarsi una contromossa. D’altra parte la demolizione dei pentiti e delle loro dichiarazioni erano in testa anche alle richieste di intervento che Cosa Nostra pretese da parte dello Stato in cambio della cessazione delle stragi. Lo possiamo leggere tutti ormai nel famigerato “papello” che viene a confermare dopo anni quanto avevano già detto Salvatore Cancemi e Giovanni Brusca.
Quel Brusca macellaio e assassino senza il quale però non sapremmo nulla della strage di Capaci ne della trattativa tra mafia e stato che oggi è tornata alla ribalta con il racconto di Massimo Ciancimino. Il figlio di don Vito non è un pentito, ma un testimone diretto e che piaccia o non piaccia i suoi ricordi combaciano molto con quelli di boss di primo piano che hanno scelto di passare dalla parte dello Stato. Compreso Nino Giuffré grazie al quale la procura di Palermo ha letteralmente smantellato l’intera rete di protezione di Provenzano facendo giungere alla cattura non solo del capo di Cosa Nostra ma di un numero elevatissimo di fiancheggiatori, compresi l’ingegner Aiello, dominus della sanità siciliana, e persino infedeli servitori dello Stato. Ma quando il ministro Maroni snocciola i numeri del successo del governo contro l’ala militare di Cosa Nostra si dimentica sempre di sottolineare che senza i collaboratori di giustizia in questi anni si sarebbe potuto far bene poco. E assolutamente niente sul fronte delle indagini sulle stragi di mafia. Nemmeno Falcone e Borsellino avrebbero potuto infliggere a Cosa Nostra i colpi più duri della storia senza Buscetta, Contorno o Marino Mannoia.
Questo non significa ovviamente che non ve ne siano di falsi e corrotti. La recente vicenda di Scarantino, smentito proprio da Spatuzza è un esempio di come si possa tentare di depistare un’intera indagine con un falso collaboratore. Del resto lo sa bene anche il senatore Dell’ Utri che secondo la prima sentenza che lo ha condannato ha cercato di comprare la testimonianza di tale Chiofalo. Sta alla magistratura poi svolgere minuziosi controlli e stando alle statistiche, in rapporto ad altri stati come gli Usa, gli errori sono stati assai limitati.
E’ chiaro che a nessuno piace pensare, per esempio, che quei pochi spiragli di verità sulle stragi di cui siamo in possesso dopo 17 anni debbano venire dalla bocca di Cosa Nostra, tra pentiti e il figlio di un mafioso, ma se non fosse stato per loro non avremmo idea di quanto è accaduto tra il 1992 e il 1993, in quel biennio che ha cambiato il volto del nostro Paese. E’ il prezzo che paghiamo per aver tollerato, sottovalutato, minimizzato la capacità di evoluzione, crescita e infiltrazione del fenomeno mafioso che accompagna la storia d’Italia da 150 anni. Del resto hanno avuto più coraggio e dignità loro, seppur alcuni con la finalità di trarne qualche vantaggio, che molti dei politici, dei magistrati, degli imprenditori che sapevano e sanno e che hanno taciuto e tacciono, salvo farsi venire in mente qualche particolare dopo decenni.
Del resto chi ha qualcosa da nascondere questo lo sa benissimo, e invece di proporre commissioni che si concentrino sulle collusioni tra mafia, politica e imprenditoria si accaniscono ancor di più di quanto non sia già stato fatto su uno strumento tanto difficile da gestire quanto indispensabile per sconfiggere la mafia. Quello che assieme alle intercettazioni penetra più facilmente nel muro di omertà e segretezza che protegge i boss e le loro propaggini istituzionali.
E siccome alle intercettazioni ci hanno già pensato ora eccoli pronti a dare il colpo di grazia anche a pentiti e testimoni, tutti ben nascosti dietro il teatrino del 41 bis e della riapertura delle carceri di Pianosa e dell’Asinara.
Il governo dell’apparenza mostra i muscoli contro boss e gregari facendo credere all’opinione pubblica che la lotta alle mafie sia solo una questione di guardie e ladri, di picciotti arroganti che di tanto in tanto cercano di infastidire qualche politico con affari allettanti.
Niente di meglio per la propaganda. Usare un tema così importante come il ripristino dell’originario carcere duro, strumento comunque valido per la repressione mafiosa, per dimostrare di essere inflessibile con i “cattivi”, ma guai a chi tocca i “colletti bianchi” seduti nello scranno accanto.
Un bluff che si è sgonfiato subito. E’ bastata la protesta di qualche ambientalista e la scusa del turismo.
“Salvo un gioiello della natura”, ha esclamato il ministro Prestigiacomo, dopo l’istantanea e ridicola marcia indietro sulla riapertura del carcere di Pianosa. “Gioielli erano i nostri figli” le ha risposto Giovanna Maggiani Chelli, portavoce dei familiari delle vittime di via dei Georgofili, di quelle mamma e quei papà che hanno visto i loro figli massacrati dalla furia di Cosa Nostra sospinta da chi dialogava e trattava nell’ombra con i mafiosi.
Questo la dice lunga su quanto l’intero paese Italia sia ancora molto lontano da una presa di coscienza collettiva della pericolosità del fenomeno mafioso per l’intera democrazia. Mentre famiglie intere piangono ancora i loro cari vittime dell’ingiustizia, altre famiglie pensano ancora di poter vivere ignorando la questione, pensando che la lotta alla mafia riguardi solo magistratura e polizia e chi, sfortunato, ne è stato suo malgrado coinvolto.
Non è certo con il solo 41bis che si risolve la questione mafiosa. Il nodo da sciogliere infatti, come ricordava Borsellino, è politico. Ma la politica vive di consenso e se non è il popolo a pretendere, unito, giustizia per i propri caduti, tutti i suoi figli, dal nord al sud, ci sarà ben poco da fare. Altro che esercito, carceri speciali e latitanti catturati…

http://www.antimafiaduemila.com/content/view/21498/78/

domenica 15 novembre 2009

Via all'Amnistia di Massa...

Giustizia. L’accordo vergogna Fini-Berlusconi: il “processo breve” salva-Silvio

di Tommaso Vaccaro

Il ‘grande bluff’ del presidente della Camera che sigla il patto con il premier sull’ accorciamento dei tempi processuali. Una “prescrizione breve” camuffata. Di Pietro: “Un ddl criminale”

ROMA – Due ore di colloquio a Montecitorio per appianare le ruggini accumulatesi in questi mesi e per restituire il sonno a Silvio Berlusconi, in preda al panico per via di quel lodo Alfano la cui bocciatura decretata dalla Consulta lo rigetta in pasto ai processi di Milano.

Con “condanna sicura”, stando a quanto anticipa Giuliano Ferrara.

Dal faccia a faccia il premier esce sorridente liquidando i giornalisti con un semplice: “è andata bene”. Il segnale è chiaro: Fini si è reso disponibile a salvarlo dalle temibili “toghe rosse” milanesi.

Ed è il presidente della Camera, impegnato negli ultimi giorni a ripetere fino alla nausea la propria contrarietà all’accorciamento dei tempi di prescrizione perché “danneggerebbe i cittadini”, che si assume la responsabilità di spiegare con un’ intervista a Sky l’espediente politico-giudiziario oggetto dell’accordo di martedì.

Si scrive “processi brevi”, si legge “prescrizioni brevi”

Sentito dai microfoni di Sky Tg24, il numero uno di Palazzo Montecitorio tratteggia, con una buona dose di ambiguità, i contorni della “patto” sulla giustizia.

“Si è ragionato - ha spiegato Fini - sulla possibilità di presentare un ddl per definire tempi certi entro cui si deve svolgere il processo nei suoi 3 gradi. Nei prossimi giorni sarà presentato e sarà relativo alla definizione dei tempi del processo unicamente per gli incensurati” con un tempo massimo di “sei anni”, due per ogni grado di giudizio. Il presidente della Camera ha poi ribadito che la prescrizione breve “non è praticabile, perché danneggerebbe i cittadini”, riferendo il fatto che nemmeno il premier aveva intenzione di sostenere un provvedimento di legge con questa finalità.

Il ‘trucco’, stando all’annuncio di Fini, è tutto linguistico e può essere smascherato sottolineando le quattro paroline magiche pronunciate dal co-fondatore del Pdl: ‘unicamente per gli incensurati’. Una formula che svela le reali finalità del ddl pronto ad approdare in Parlamento.

Ciò che viene presentato come l’impegno ad accorciare i tempi processuali, fatto da cui trarrebbero giovamento tutti i cittadini e che ci impone la Corte europea, altro non è che una prescrizione breve camuffata, di cui beneficerebbero tra l’altro solo gli incensurati. Prescrizione che interverrebbe qualora i processi per reati con pene non superiori a 10 anni si protraessero per oltre sei anni.

Un’ipotesi, questa, che chiuderebbe definitivamente la partita giudiziaria sui diritti tv Mediaset e sul caso Mills. Guarda un po’ che coincidenza.

Non vi è traccia, dunque, di un intervento sui tempi – oggi davvero insostenibili – della giustizia italiana. Tranne la generica disponibilità di Fini e del presidente del Consiglio a dare qualche aiuto economico ai tribunali italiani. “Io e il premier – ha espresso infatti il presidente della Camera – siamo concordi nel dire che il primo dovere è mettere a disposizione degli operatori del diritto, magistrati, cancellieri, ecc. cospicue risorse finanziarie perché in molti casi la lentezza dei processi deriva dal forte disagio economico dei tribunali”. Ma nulla di più.

La prescrizione breve e incostituzionale

Con il ddl (ipotetico?) si introdurrebbe, al contrario, un nuovo gravissimo vulnus che intacca il principio fondamentale della Giustizia: l’uguaglianza di tutti i cittadini davanti la legge.

Stando alle parole di Fini, il diritto ad un processo breve (si legga prescrizione breve) sarebbe concesso infatti solo ai cittadini con la fedina penale pulita. Per coloro i quali hanno subito già una condanna, quel diritto – in realtà inalienabile – è sospeso. Sospeso per legge.

Cosa non si fa per salvare il Cavaliere.

Il grande bluff e le reazioni politiche. Di Pietro: “Un ddl criminale”

La bozza di legge su cui ci sarebbe l’accordo, prevede, inoltre, un ulteriore punto chiave. Si tratta della norma transitoria grazie alla quale la ‘tagliola’ della prescrizione sarà applicata anche ai processi in corso, ma limitatamente a quelli pendenti in primo grado. Quasi un calco della condizione processuale di Silvio Berlusconi.
Un ‘grande bluff’, dunque, stando almeno alle intenzioni pronunciate da Fini a margine dell’incontro odierno, che scatena le ire di una parte dell’opposizione.

Per Antonio Di Pietro, leader dell’Italia dei Valori, quello che sarebbe stato sottoscritto dal Presidente della Camera è un provvedimento “criminale che solo questo Parlamento può pensare di emanare”.

“Fino a quando non si risolvono i problemi strutturali che oggi impediscono ai giudici di portare a termine i processi in tempi brevi - continua l'ex pm - di fatto, con questa proposta, tutti rimarranno incensurati, giacché nessun processo si potrà concludere nei tempi previsti. Le norme proposte – spiega ancora il leader dell’Idv – trasformeranno in incensurati anche coloro che non meritano di essere considerati tali. E tutto questo per favorire un individuo formalmente incensurato, qual è Silvio Berlusconi”.

“Spiace – ha poi proseguito Di Pietro – che a questo gioco criminale si sia prestato, da ultimo, anche il presidente della Camera, Gianfranco Fini, che, a parole, fino a ieri, ha detto di non voler svendere il ruolo del Parlamento e che oggi per trenta denari politici, lo mette all'asta”.

Più cauta, invece, la reazione del Pd. Il neo-segretario democratico Pierluigi Bersani sintetizza: “Al di là delle tecnicalità, spero che la maggioranza, dopo tutti questi dialoghi, se ha intenzione di migliorare la giustizia presenti proposte concrete. Se sono per annullare i processi in corso noi – ha concluso Bersani - non ci siamo”. La sua compagna di partito, Donatella Ferranti capogruppo del Pd nella commissione Giustizia della Camera, osserva invece come “nel merito tutti gli imputati hanno diritto ad una ragionevole durata del processo, indipendentemente dalla loro fedina penale”.

Tutti i cittadini, salvo il famoso “primus super pares”. O meglio: “Silvius super pares”.

http://www.dazebao.org/news/index.php?option=com_content&view=article&id=7441:giustizia-laccordo-vergogna-fini-berlusconi-il-processo-breve-salva-silvio&catid=37:politica-interna&Itemid=154

sabato 14 novembre 2009

Solidarietà ad Ignazio Cutrò

Solidarietà ed umana vicinanza vengono espresse oggi all'imprenditore di Bivona Ignazio Cutrò, ripetutamente vittima di avvertimenti ed intimidazioni di stampo mafioso, da Vincenzo Marinello, deputato del Partito Democratico all’Assemblea Regionale Siciliana e membro della Commissione Antimafia.
“Ignazio Cutrò è l’emblema di quella Sicilia onesta che sicuramente rappresenta la maggioranza dei siciliani. Il suo impegno morale e civile deve essere preso da esempio affinchè la lotta alla mafia non riguardi solo pochi ma interessi la totalità delle persone che ancora credono nella legalità e nella giustizia.
Mi auguro che le Forze dell’Ordine possano presto risalire ai responsabili di questi vili atti intimidatori e che Cutrò possa, di conseguenza, avvertire sempre di più la vicinanza delle Istituzioni e della comunità agrigentina.”

Italiani... popolo di condonati... (solo i politici però)

di Gianni Barbacetto - 11 novembre 2009

Politici e colletti bianchi, liberi tutti. La legge che nascerà dall’accordo raggiunto ieri tra Silvio Berlusconi e Gianfranco Fini riuscirà a centrare l’obiettivo principale, e cioè liberare il presidente del Consiglio dai suoi processi.

Ma otterrà, come effetto collaterale, la salvezza di tanti imputati eccellenti e, in prospettiva, l’impunità permanente di uomini dei partiti, amministratori pubblici, imprenditori, finanzieri, banchieri. Le nuove norme stabiliranno infatti che, per gli incensurati, il tempo massimo del processo dovrà essere di sei anni, due per ognuno dei tre gradi di giudizio. Saranno esclusi i reati di mafia, terrorismo e di grave allarme sociale, come rapina, omicidio ed estorsione. In compenso, un codicillo renderà la norma applicabile ai processi iniziati, purché siano in primo grado. Così saranno azzerati i due processi in corso a Milano che hanno per imputato Berlusconi, sei volte prosciolto per prescrizione, ma ancora tecnicamente incensurato: quello sulla corruzione del testimone David Mills (il tempo scadrà il 13 marzo 2010) e quello sui diritti Mediaset (tempo scaduto tra pochi giorni, il 21 novembre 2009).

Per il resto, il risultato sarà comunque che la mannaia della prescrizione si abbatterà sulla gran parte dei processi complessi con molti imputati. A partire da quello per il crac Parmalat, con Calisto Tanzi principale imputato, fino a quello Why not iniziato a Catanzaro da Luigi De Magistris. A rischio tutti i processi sulla pubblica amministrazione. E anche quelli, sempre più frequenti, per fatti che avvengono all’estero (con la possibilità per la difesa di chiedere rogatorie anche durante il dibattimento), come quello dell’imprenditore della Cogim Leopoldo Braghieri, accusato a Milano di aver ottenuto appalti corrompendo un funzionario dell’Onu. Vittorio Emanuele, recentemente rinviato a giudizio, può tranquillamente aspettare la prescrizione, visto che la sola udienza preliminare è durata un anno. Già fuori tempo massimo il dibattimento di primo grado sulle tangenti Eni-Agip, nato dalle indagini di Henry Woodcock, che è in corso a Potenza da ben quattro anni. «Dicono di volere, con questa norma, abbreviare i processi», spiega un magistrato in servizio a Roma, «ma in realtà abbreviano solo i tempi di prescrizione, mentre i processi saranno allungati a dismisura dalla norma del nuovo codice di procedura che impedirà al giudice di rifiutare prove e testimoni manifestamente superflui. Così la durata del dibattimento sarà consegnata nelle mani dell’imputato». Nel di giustizia di Milano, un procuratore aggiunto formula l’ipotesi di un colletto bianco che abbia organizzato truffe, come capita, in diverse parti d’Italia: processato in tre o quattro sedi giudiziarie diverse, avrebbe la garanzia dell’impunità, perché in ognuna di esse risulterebbe incensurato. «Nascerà la nuova figura dell’incensurato a vita», dice un altro giudice, «perché l’imputato, grazie alla prescrizione, uscirebbe pulito dal primo processo e poi, via via, dagli eventuali processi successivi: sempre incensurato, dunque sempre prescritto, dunque sempre incensurato e così via...».

Le nuove norme («incostituzionali», secondo un altro procuratore aggiunto di Milano) inaugureranno la giustizia a due velocità, con processi rapidi e a prescrizione garantita per gli eterni incensurati, e processi invece lunghi, con probabile condanna finale, per gli imputati dei reati di strada, per i cosiddetti recidivi e delinquenti professionali o abituali. In realtà, però, anche qualcuno di questi potrà sperare di farla franca.

Racconta infatti un magistrato di Milano: «I casellari giudiziari dei tribunali vengono aggiornati in ritardo. E non esiste un sistema nazionale unificato per conoscere i carichi pendenti. Così già oggi concediamo la sospensione condizionale della pena a condannati che non la meriterebbero, perché già raggiunti da condanne non ancora registrate o registrate in sedi giudiziarie non prese in considerazione. Risultare incensurati, in Italia, non è poi così difficile».

Tratto da: Il Fatto Quotidiano