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venerdì 26 novembre 2010

Io vedo, io sento, io parlo. Il coraggio della denuncia. Il dovere di aiutare chi denuncia il pizzo

Ignazio Cutrò e Valeria Grasso: l’esempio di due imprenditori che hanno avuto il coraggio di denunciare e respingere il pizzo nonostante gli attentati intimidatori. Catanzaro: “Colpire i pochi che danneggiano i molti”. Occorre cambiare mentalità: no all’omertà, no alle tre scimmiotte, si alla denuncia

“Dopo tutti gli appelli lanciati a istituzioni e politici, visto l’aggravarsi della mia situazione economica ho deciso di vendere i miei organi, a partire dai miei reni”. Era scritta all’incirca così, nella sezione annunci di Ebay, la proposta di vendita avanzata dall'imprenditore bivonese Ignazio Cutrò per ripagare i debiti contratti in questi anni da quando fu tra i teste dell'operazione “Face Off”, condotta dai carabinieri della Compagnia di Cammarata.
La situazione, che non è per niente una provocazione, nel frattempo ha riscosso l’attenzione dei media nazionali e locali. Tv, giornali, radio, tutti a chiedersi pubblicamente come sia stato possibile. Come se, per accorgersi di una questione, si debba per forza suscitare clamore.
La richiesta, anzi l’offerta di organi, è stata rimossa da Ebay, ma la problematica dell’imprenditore edile non è cambiata molto. Ignazio Cutrò ha fondato l’associazione antiracket “Libere Terre” che fa opera di sensibilizzazione verso gli imprenditori affinché tutti denuncino il pizzo, da aiuto a quelle persone vittime di estorsioni e che intendono uscirne fuori ma ad oggi non ha ancora una sede ufficiale anche se tutti sanno che su Ignazio possono sempre contare nonostante le sue personali vicende. Delle sue richieste per la realizzazione di una assicurazione in sostegno degli imprenditori che denunciano il racket non è rimasto molto. Tanti quei politici che hanno mostrato iniziale interesse, forse di facciata, senza poi portare a nulla di concreto.
Adesso Ignazio Cutrò, che non gode più della sospensione prefettizia dal pagamento dei propri debiti, dovrà restituire alle banche 250 mila euro. Soldi che ad oggi l'imprenditore, che ha visto ridursi drammaticamente le proprie commissioni in questi anni, non possiede. Senza lavoro, con un’attività ormai ridotta sul lastrico, con una ventina di dipendenti anche loro in difficoltà è difficile parlare di legalità e coraggio. “Ho lanciato appelli di ogni tipo ad ogni livello, ha affermato Cutrò, anche solo per chiedere di poter riprendere a lavorare, ma nessuno mi ha mai risposto. Quasi come se attorno a me ci fosse un complotto per levarmi definitivamente di mezzo”.
Della sua storia si è occupato anche il giornalista Benny Calasanzio su “Il Fatto Quotidiano” attraverso un’intervista al pubblico ministero di Sciacca, Salvatore Vella, applicato dalla Dda di Palermo e titolare dell'inchiesta che portò al blitz “Face Off”.
“La storia di Ignazio Cutrò – ha detto Vella - la pagheremo per almeno ventanni. Quando, tra un paio di generazioni, qualche imprenditore vorrà denunciare la mafia gli ricorderanno la vicenda di quella che ormai è una sconfitta dello Stato, ovvero la triste storia di Ignazio Cutrò. La politica dovrebbe farsi carico di questo problema, si dovrebbero trovare tutti i modi possibili per fare lavorare Cutrò e la sua azienda. I cittadini di Bivona e del circondario – ha concluso Vella su “Il fatto” - dovrebbero mettersi una mano sulla coscienza: Ignazio costruiva case, tirava su muri, com’è possibile che nessun privato dal 2008 gli abbia commissionato lavori? In quel caso non si sarebbe arrivato a tanto”.
Parole forti, parole dure, parole che testimoniano quanto sia difficile per gli stessi uomini della magistratura aiutare chi decide di percorrere la strada più tortuosa: quella della denuncia. Eppure è proprio quella l’unica strada percorribile se vogliamo che qualcosa cambi anche per ognuno di noi.
Una questione purtroppo che non riguarda soltanto Cutrò ma anche altri imprenditori ed imprenditrici siciliane.
Valeria Grasso, un’imprenditrice palermitana che ha avuto il coraggio di far denunciare i suoi estorsori, ora sostiene di “essere stata abbandonata dalle istituzioni” e dal presidente di Confindustria Sicilia, Ivan Lo Bello. Grasso, titolare di due palestre a Palermo, ma non iscritta a Confindustria, lancia un duro atto d’accusa nei confronti del presidente degli industriali nell'isola. Lo Bello, ha detto “suggerisce agli imprenditori siciliani di denunciare e, qualora avessero paura, di rivolgersi a lui che si schiererà in prima fila contro la mafia al posto loro. Tutte parole che lasciano il tempo che trovano, perchè poi di fronte ai fatti la granitica presa di posizione di Lo Bello si riduce ad un’indifferenza che lascia esterrefatti”.
Io ho denunciato - dice ancora Valeria Grasso - e sono stata abbandonata da tutti. Quindi non accetto le parole di Lo Bello. Vorrei capire qual è l’aiuto che il presidente di Confidustria Sicilia offre ai siciliani, visto che io da lui sono stata del tutto ignorata”.
Come nel caso di Cutrò, numerosi sono gli atti intimidatori che la donna ha subito negli ultimi tempi ai danni delle sue due auto, della casa del padre e delle palestre che gestisce. Nei locali della palestra di Mondello per esempio ha trovato delle croci nere dipinte e le sono stati tagliati i cavi della luce. Per suoi numerosi appelli a Confindustria, a esponenti di Governo e al Presidente della Repubblica, a detta della donna, non ha mai ricevuto risposta. “Visto che sono stata del tutto ignorata, a quale categoria appartengo: ho paura o sono collusa?” Solidarietà all’imprenditrice è stata espressa dalla parlamentare europea di Idv, Sonia Alfano.
Persone che hanno avuto il coraggio di rinunciare alla sicula logica delle tre scimmiotte: nenti vitti, nenti n’tisi, nenti sacciu. Il contrario: io vedo, io sento, io parlo. Con dignità e onestà, con la consapevolezza di accedere alla via maggiormente complicata.
Si può lavorare onestamente in Sicilia e in provincia di Agrigento? Si può lavorare senza pagare il pizzo? Si può accedere agli appalti pubblici senza l’aiuto interno o esterno di “amici” fuori e dentro le mura di un Comune? Si possono costruire dei centri commerciali senza che ci siano ombre dietro? Se analizziamo le indagini con i risvolti che conosciamo partendo dal comune di Castrofilippo, la situazione non sembrerebbe delle migliori per avere risposte positive alle nostre domande. Castrofilippo, comune smontato dall’operazione “Family”, era una vera centrale politica della mafia. L’arresto del sindaco Salvatore Ippolito con l’accusa gravissima di associazione a delinquere di stampo mafioso, lo scioglimento per mafia dell’intero consiglio comunale, la presenza di “uffici” paralleli tra mafia e politica e il presunto coinvolgimento dell'onorevole Michele Cimino e di suo padre, i quali si dichiarano estranei ai fatti, sembrerebbero ancora una volta testimoniare la gravissima commistione tra criminalità e esercizio delle pubbliche funzioni.
Il presidente di Confindustria Agrigento, Giuseppe Catanzaro, a seguito di questa indagine pronunciò qualche settimana fa delle parole pesanti che forse sono passate fin troppo inosservate.
“Gli imprenditori normali che dovevano investire a Castrofilippo” - ha detto Catanzaro – “potevano competere in un contesto di mercato libero o erano chiamati a confrontarsi con uno spaccato guidato dalla mafia? Il contesto descritto dal questore Girolamo Di Fazio e dal dottor Teresi introduce interrogativi semplici che formuliamo per agevolare la comprensione degli effetti della devianza mafiosa che agevola pochi e danneggia tutti gli altri normali: un imprenditore per avere una concessione, un’autorizzazione, un pagamento poteva farlo nella normalità? Gli imprenditori mafiosi o vicini alla mafia erano agevolati nel perseguimento dei loro affari? I protocolli informatici che consentono di tracciare chi fa cosa dentro la pubblica amministrazione, se fossero stati applicati, avrebbero reso meno facile quello che si è verificato? Dobbiamo avere collettivamente una strategia per realmente cambiare pagina senza cercare come spesso avviene di delegare ad altri la cura di un contesto sociale nel quale tutti siamo chiamati a fare la nostra parte. La politica, che è fatta di tanta gente per bene, deve occuparsi del fenomeno dei pochi che danneggiano con il loro agire quanti si adoperano a servizio delle collettività a volte in contesti difficili. E’ proprio per valorizzare l’impegno di questi ultimi – ha concluso Catanzaro - che lanciamo l’invito ad agire con urgenza per impedire che le generazioni di oggi e quelle di domani debbano ancora confrontarsi con gli effetti nefasti delle mafie”.
I pochi che danneggiano i molti dunque. In un contesto però di sostanziale connivenza. Connivenza che non significa soltanto delinquere ma anche fare finta di nulla, voltarsi dall’altra parte, lasciare che mai nulla cambi. Alla società civile il compito di credere che un cambiamento possa essere possibile, alle forze dell’ordine e alla politica onesta il dovere, altrettanto difficile, di aiutare a metterlo in pratica.

Calogero Parlapiano - tratto da "Controvoce"

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