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giovedì 18 novembre 2010

Mafia, le mani sugli appalti pubblici

Continuano le indagini sulla rete di fiancheggiatori vicini all’ex latitante Gerlandino Messina. Si analizzano i pizzini rinvenuti nel covo che sembrerebbero confermare le rivelazioni del pentito Maurizio Di Gati: “La mafia punta sugli appalti pubblici”. Stessi ribassi, ditte compiacenti e “amici” nei Comuni: così Cosa Nostra domina la provincia

Un presunto esattore di tangenti, vicino al boss di Agrigento Gerlandino Messina, è stato fermato per estorsione. Maurizio Romeo, già condannato nel 2001 a 4 anni per associazione mafiosa, avrebbe chiesto 40 mila euro a un imprenditore che sta realizzando un residence alla periferia di Porto Empedocle. Le minacce si sarebbero intensificate in seguito all'arresto di Gerlandino Messina. L'imprenditore ha deciso di denunciare tutto ai Carabinieri che hanno fermato Romeo.
Continua dunque il lavoro degli inquirenti i quali stanno cercando di assicurare alla giustizia la grande mole di fiancheggiatori, picciotti, bravi e estorsori sui quali poteva contare l’ex boss latitante, numero uno di Cosa Nostra in provincia di Agrigento dopo l’arresto di Giuseppe Falsone avvenuto lo scorso 25 giugno a Marsiglia, in terra francese.
Adesso i riflettori della cronaca e delle tv si concentrano su quello che è considerato l’ultimo padrino: Matteo Messina Denaro per il quale, secondo il ministro dell’interno Roberto Maroni, il cerchio si starebbe stringendo e i suoi giorni di libertà potrebbero essere contati dopo decenni di latitanza.
“Il numero due di Cosa Nostra, Gerlandino Messina, è stato catturato. Ora manca solo il numero uno, ma il cerchio si sta stringendo attorno a lui”, ha detto il titolare del Viminale ribadendo gli straordinari risultati ottenuti dal governo sul fronte della lotta alla mafia: “una media di 8 mafiosi catturati ogni giorno compresi Natale e Capodanno, per 18 miliardi euro di patrimonio sottratto alla criminalità”.
Maroni si è anche soffermato sui 13 arresti effettuati in Brianza nell'ambito dell'operazione “Infinito” contro la 'ndrangheta in Lombardia: “E' la conferma della gravità del rischio della presenza e della capacità di infiltrazione della criminalità organizzata nei circuiti economici sani”.
Infine Maroni ha ribadito la sua priorità numero uno: “possiamo pensare in poco tempo di sconfiggere completamente la mafia, di degradarla al livello di mafia rurale e di farla regredire dai circuiri produttivi”. Sarà possibile?
Un obiettivo ambizioso ma reso possibile dal nuovo clima che si è instaurato in questi anni: “non stiamo facendo cose straordinarie - ha puntualizzato ancora Maroni - ma è cambiato il clima, e le forze dell'ordine lo percepiscono, ora c’è collaborazione straordinaria”.
Numerosi intanto gli oggetti trovati dai carabinieri nel nascondiglio favarese dove è stato catturato il latitante agrigentino. Il materiale sarà analizzato dal Ris di Messina in queste settimane.
Un vero e proprio arsenale e un’infinità di oggetti con decine di immagini sacre, lettere scritte dal figlio, chiavi, pen drive e sim card. E’ vasto il campionario del materiale trovato nell’ultimo covo del boss Gerlandino Messina, arrestato due settimane fa a Favara dai carabinieri. In un calendario il capomafia agrigentino avrebbe segnato addirittura il suo promemoria a partire dal 16 settembre con note per i giorni successivi fino al 28 ottobre. Fra i tanti oggetti rinvenuti nel covo più o meno rilevanti ce n’è uno che i carabinieri stanno cercando di analizzare e decifrare con maggiore interesse. Un mazzo, con relativo ciondolo di una nota agenzia favarese, contenente undici chiavi. Gli inquirenti vogliono scoprire cosa aprivano. Stanze segrete? Altri covi d’emergenza? Casseforti con documenti scottanti ed armi? Difficilmente il boss svelerà questi misteri. La strada del “pentimento” sarebbe ancora lunga e di difficile percorrenza.
Già a partire dall’udienza di convalida del suo arresto infatti il boss empedoclino si è avvalso della facoltà di non rispondere. Il capomafia ha negato di essere stato capo e vicecapo di Cosa Nostra ed è convinto che qualcuno l’abbia tradito. In siciliano stretto avrebbe confidato ai magistrati che lo interrogavano: “quaccunu si passau u piaceri”. Ma chi? E perché? A chi dava fastidio il boss rimasto solo alla guida del mandamento di Agrigento importante per il ruolo strategico che riveste nella geografia mafiosa?
E se Messina è stato davvero venduto, probabilmente è già pronto anche il nuovo capo?
A questa conclusione sarebbe giunto il Pm del tribunale di Palermo Antonio Ingroia: “la mafia agrigentina si sta riorganizzando attorno a nuove figure, a nuovi capi, mettendo ordine tra i diversi mandamenti e dunque non è stata ancora debellata seppur colpita duramente dallo Stato”. Questa in sintesi l’opinione del magistrato. Queste e altre domande, per il momento, sono destinate a rimanere senza risposta anche se i pizzini trovati nel covo di Favara potrebbero dare un grosso impulso alle indagini. I quattro i biglietti sono stati scritti con una macchina da scrivere, due erano destinati ai familiari, un altro invece conteneva l’indicazione di ditte teoricamente interessate a lavori da iniziare nell’agrigentino, anche se Messina ha negato che il destinatario fosse il capomafia trapanese Matteo Messina Denaro. Il quarto pizzo, quello trovato nella tasca dei jeans del boss, sarebbe il più compromettente perché indirizzato ad un imprenditore con tanto di nome e cognome e sarebbe quello che preoccupa maggiormente il padrino di Porto Empedocle.
Imprese da spremere col pizzo, altre da favorire con gli appalti pubblici: obbiettivo i megaprogetti da realizzare in provincia. Obbiettivo i piccioli insomma, come sempre.
Del resto le ultime dichiarazioni sulla spartizione degli appalti in provincia di Agrigento fatte dal pentito di mafia Maurizio Di Gati ai giudici sembrano inequivocabili: “Per la spartizione degli appalti” ha dichiarato l'ex killer di cosa nostra “si portavano molte buste con lo stesso ribasso per predeterminare i ribassi; c’era comunque sempre bisogno di un appoggio in Comune per l’eventualità che, nonostante il meccanismo di cui sopra, un’impresa non appartenente al giro nostro vincesse per caso la gara: in questa eventualità c’era sempre qualcuno in Comune che sospendeva la gara con una scusa oppure toglieva un documento dalla domanda di partecipazione all’appalto ed escludeva l’impresa dalla gara”. Ed ancora Di Gati parla di vicende che riguardano molti comuni, amministratori e funzionari in tutta la provincia. Le vicende narrate riguardano i comuni di Comitini, Grotte, Racalmuto, Palma di Montechiaro, Ioppolo Giancaxio, la Provincia regionale di Agrigento ed altri enti ancora. Adesso spetterà ai Pm della distrettuale antimafia fare luce su ogni aspetto narrato. Le indagini sono tuttora in corso.
E mentre le indagini proseguono a ritmo serrato, l’ex latitante è stato trasferito dal carcere Petrusa di Agrigento a quello di massima sicurezza di Tolmezzo, in provincia di Udine. Il capomafia, condannato all'ergastolo per l’omicidio del maresciallo dei Carabinieri Giuliano Guazzelli, nella casa circondariale friulana potrà scontare la pena, in regime di 41 bis. Massimo lo schieramento di uomini e mezzi della polizia penitenziaria di Agrigento che hanno eseguito il trasferimento: una lunga colonna di automezzi dei carabinieri e della Polizia penitenziaria in assetto operativo, ha attraversato la Strada statale 640, la Porto Empedocle-Caltanissetta in direzione delle autostrade che portano a Palermo e Catania. Dentro un mezzo blindato e guardato a vista, si trovava Gerlandino Messina, il quale terminate le incombenze giudiziarie agrigentine e sottoposto al 41 bis, è stato rinchiuso in un carcere più adeguato. Messina, porta con se un pesantissimo fardello di accuse, condanne e provvedimenti di cattura mai notificati. L’ultimo dei quali, in ordine di tempo, esaurite, gli è stato notificato in carcere personalmente dal maggiore dei carabinieri Salvo Leotta. Si tratta dell’inchiesta “Domino”. La casa circondariale di Tolmezzo, attualmente ospita 140 stranieri, e 40 detenuti in Alta Sicurezza, 18 col 41 bis.
Nella sua cella e in regime di carcere duro avrà tutto il tempo per riflettere su decenni di morti, pizzo e minacce in attesa, un giorno magari, di aprire il vaso di Pandora e aiutare gli inquirenti, non solo a risolvere numerosi casi ancora oggi avvolti nel mistero, ma a fare luce sulle contaminazioni tra politica e mafia, oggi più che mai vera chiave di volta di tutte le indagini antimafia.

Calogero Parlapiano - tratto da "Controvoce"

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