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sabato 6 novembre 2010

Gerlandino Messina: "a tutto c'è una fine". A tutto

La cattura del boss Gerlandino Messina segna un colpo durissimo per la lotta alla mafia in provincia di Agrigento ma non quello definitivo. Storia di un arresto. Pizzo, soldi, appalti, cemento, grossi lavori: dai pizzini emerge un controllo capillare su tutto. E mentre la folla a Favara inneggia al boss, Alfano ha già firmato il 41 bis che lo condanna al carcere duro. Matteo Messina Denaro adesso ha il comando assoluto

I carabinieri hanno arrestato a Favara Gerlandino Messina, capo della mafia di Agrigento, nella lista dei 30 latitanti piu' pericolosi. Il boss e' stato catturato dagli uomini del Gis (gruppo di intervento speciale) dei carabinieri in una palazzina a due piani, in una zona di campagna a Favara.
Gerlandino Messina aveva due pistole, con lui c'era un'altra persona. Il blitz dei carabinieri e' stato fulmineo, il capomafia non ha avuto il tempo di reagire.
Si nascondeva in un edificio di via Stati Uniti 79, alla periferia nord del paese.
Gerlandino Messina aveva preso il comando della Cosa nostra provinciale dopo la cattura, il 25 giugno a Marsiglia, di Giuseppe Falsone. Era ricercato dal 1999, sulle sue spalle diverse condanne per associazione mafiosa e omicidio. È accusato di essere il killer del maresciallo dei carabinieri Giuliano Guazzelli, assassinato a colpi di arma da fuoco il 4 aprile del 1992 mentre viaggiava su una Ritmo, lungo la statale di Agrigento. Il padre di Gerlandino Messina, Giuseppe, venne assassinato nella strage di Porto Empedocle del luglio del 1986.
Al blitz che ha permesso la cattura di Messina hanno partecipato almeno una ventina di carabinieri, tra militari del gis di Livorno, del Ros e del reparto operativo di Agrigento. Alcuni uomini delle teste di cuoio hanno sfondato la porta d'ingresso e contemporaneamente altri militari sono entrati da una finestra. Sono state utilizzate bombe accecanti. Il boss non ha avuto nemmeno il tempo di reagire e quando gli è stato chiesto se era effettivamente Gerlando Messina, non ha proferito parola. Ha confermato la propria identità soltanto alcune ore dopo, una volta portato in caserma.
Rispetto alle foto segnaletiche è molto ingrassato e non ha più capelli. Indossava un paio di pantaloni marroni e una blusa beige. Il boss aveva con sé due pistole.
Al momento dell’irruzione dei carabinieri, gli abitanti della zona di via Stati Uniti hanno sentito sparare un paio di colpi di pistola. Ma il particolare non è stato confermato ufficialmente. Un carabiniere con indosso il Mefisto gli ha urlato: “Finalmente ti abbiamo preso, tu hai ucciso il maresciallo Guazzelli.”
La sua scalata al vertice della mafia agrigentina inizia nel 1986, dopo l'uccisione del padre. La carriera all'interno dei ranghi di Cosa nostra, culminata nel 2003 con il comando su tutta la provincia di Agrigento, fu favorita anche dal beneplacito espresso verso la sua posizione di Bernardo Provenzano. Dal 2 febbraio 2001 erano state diramate le ricerche in capo internazionale. L'ascesa di Gerlandino Messina corrispose alla parallela caduta di Luigi Putrone, altro capomafia operativo in quella zona fino a quel momento, e costretto a lasciare Porto Empedocle nel 1998. Tra i maggiori latitanti adesso rimangono Matteo Messina Denaro, nato a Castelvetrano nel 1962, e considerato l’attuale vertice operativo dell’organizzazione. Ricercato dal 1993, è accusato di associazione mafiosa, omicidio, strage e devastazione. La sua influenza si estende fino ai paesi alle porte di Palermo. Dopo quello di Messina Denaro spicca il nome di Giovanni Motisi. Cinquantenne ricercato dal 1998, dopo la caduta dei Lo Piccolo, Motisi è ritenuto tra i maggiori esponenti di Cosa nostra nel capoluogo siciliano. Dal 1995 è presente nell’elenco anche Vito Badalamenti. Nato a Cinisi nel 1954, Vito è figlio di Tano Badalamenti col quale migrò negli Stati uniti nel corso della seconda guerra di mafia. Attualmente si ritiene possa gestire gli interessi della famiglia dall’estero, probabilmente dal Brasile o dall’Australia. Ricercato dal 93, infine, è Giovanni Arena latitante vicino alla cosca mafiosa Sciuto-Tigna.
Messina non si sarebbe dunque mai allontanato dalla zona di Favara. Proprio a Favara infatti la polizia, a fine novembre dell'anno scorso, aveva scoperto uno dei covi del superlatitante. In una palazzina, in via Juogoslavia nel centro della piccola cittadina, all'interno di un garage, i poliziotti avevano trovato una stanza nascosta, una specie di bunker attrezzato con tutti i confort; appesa al muro c'era una cartolina di Porto Empedocle e delle dediche. Per favoreggiamento aggravato era stato iscritto nel registro degli indagati, Antonio Russello di 25 anni, proprietario del garage. In quel covo Messina, nel 2009, avrebbe anche festeggiato il suo 37/o compleanno.
Naturalmente per la cattura del superboss è stata espressa soddisfazione e compiacimento bipartisan, da parte di tutti i politici e partiti regionali e nazionali. Da Berlusconi a Maroni, da Alfano a Lombardo: è qualcuno parla addirittura di “cancro” quasi definitivamente estirpato.
Gli investigatori considerano Gerlandino Messina, uno spietato killer: secondo alcuni pentiti va sempre in giro armato di tutto punto, mitra compreso, e guardato a vista da una scorta armata. Nel covo del superlatitante Gerlandino Messina, catturato nel pomeriggio poco dopo le 17, i carabinieri hanno trovato anche un libro sulla vita di Toto' Riina e, dai rilievi successivi, è saltata fuori anche un consolle x-box con all’interno il videogioco de “Il Padrino”.
I Ris di Messina nei giorni seguenti all’arresto si sono recati nella casa-covo alla ricerca di indizi, dettagli, prove, tutto quanto possa essere utile alle indagini. Secondo alcuni la casa potrebbe avere una sorta di stanza nascosta, segreta, dove il boss sarebbe dovuto andare a rifugiarsi in caso di accerchiamento oppure un luogo dove teneva lontano da occhi indiscreti documenti scottanti e armi. Staremo a vedere. Gustosi retroscena insomma. "La casa - ha spiegato il colonnello Mario Di Iulio, comandante provinciale dei carabinieri di Agrigento - sembrava abbandonata, giusto una camera da letto e una cucina. Abbiamo trovato pochi effetti personali". “I carabinieri, ha spiegato il colonnello Di Iulio, tenevano la palazzina sotto controllo da alcuni giorni. La presenza dei militari dell’Arma non ha insospettito i residenti in quanto in questi giorni a Favara è in corso una fiera. Solo nelle ultime 24 ore, però, i carabinieri hanno avuto la certezza che dentro quella palazzina si trovasse Gerlandino Messina, latitante da 11 anni, e ritenuto il killer del maresciallo Giuliano Guazzelli, ucciso nel ’92. È stato subito allertato il Gis, che aveva inviato i propri uomini che ora hanno catturato il capomafia.”
E’ chiaro che l’ex latitante è stato coperto e protetto da una fitta rete di fiancheggiatori che lo hanno aiutato non solo nell’ultima parte della sua latitanza ma in generale negli ultimi 11 anni nei quali si è dato alla macchia. Secondo il pentito Di Gati, Messina addirittura sarebbe stato curato anche recentemente da un’oculista e da un dentista di Favara. I nomi naturalmente sono “omissis”.
Per non parlare della reazione di familiari e parenti più o meno stretti i quali hanno inveito contro le forze dell’ordine e contro le troupe televisive presenti chiedendo le condizioni di salute del congiunto. E’ molto probabile che più di qualcuno sapeva dove si trovasse. E anche in rete, soprattutto su facebook, qualcuno ha continuato ad inneggiare al boss, una nipote in particolare lo ha definito su per giù “una persona adorabile, buona e che amo” mentre altri hanno definito i carabinieri “sbirri di merda”. Uno scenario ben diverso rispetto alle esultanze di giovani sotto le finestre della Questura dopo gli arresti di Raccuglia, Nicchi e Falsone.Gerlandino Messina è stato catturato seguendo i suoi vivandieri, due imprenditori già noti alle forze dell’ordine e vicini alla mafia la cui loro posizione al momento è al vaglio degli investigatori. Sono gli uomini che hanno fatto arrestare Messina, quelli che gli portavano da mangiare in una casa al secondo piano di via Stati Uniti disadorna ma ricca di vivande. Una vita da cani ma migliore di quella che narrano i pentiti quando la sua latitanza veniva trascorsa nelle campagne tra Realmonte, Siculiana e Porto Empedocle. Favara si dimostra capitale della latitanza. Prima Brusca, poi Di Gati, adesso Messina. Con Falsone che proprio a Favara ha trascorso un periodo di latitanza. Due stanze grandi 3 metri per 4; un computer, numerosi pennini per i collegamenti ad internet, una miriade di schede telefoniche. Anche Gerlandino Messina aveva il pallino dell’informatica e si collegava ad internet. Il computer è stato posto sotto sequestro così come i cellulari e adesso sono al vaglio dei periti informatici che avranno il compito di tirar fuori tutti i dati necessari ed utili per proseguire le indagini.
Ma non solo. Trovati anche diversi pizzini, alcuni importantissimi, uno indirizzato al capomafia trapanese latitante Matteo Messina Denaro. Nella lettera, in cui c'è esplicitamente il nome del padrino ricercato, Messina cerca accordi per la spartizione territoriale delle «messe a posto», suggerendo una sorta di suddivisione per aree della gestione del pizzo alle imprese. Il biglietto, ritrovato dagli investigatori, oltre a documentare i recenti rapporti tra i due capimafia, dimostra che Gerlandino Messina, contrariamente alla linea dettata dal suo predecessore alla guida delle cosche agrigentine, Giuseppe Falsone, grande nemico di Messina Denaro, cercava accordi con il padrino di Castelvetrano. Inoltre, addosso al boss agrigentino erano stati trovati anche quattro pizzini, scritti a macchina, con un elenco di imprese che si erano aggiudicate grossi appalti pubblici e alle quali, secondo gli inquirenti, Messina aveva intenzione di chiedere il pizzo.
Dato da non trascurare, l’importanza del lavoro svolto dai Servizi Segreti Italiani che hanno inviato al comando di Agrigento tutte le notizie in loro possesso circa Messina favorendone l’arresto così come era già successo con Falsone in Francia. Un arresto importantissimo nell’economia della lotta a Cosa Nostra: Falsone preso a giugno, Messina a ottobre. La mafia agrigentina, seppur potente e infiltrata dovunque, non ha avuto il tempo di riorganizzarsi. Un colpo durissimo ma non la fine di tutto. Tutt’altro. I tentacoli ci sono, esistono e si diramano anche verso le istituzioni, basti pensare all’operazione “Family” che ha portato all’arresto del sindaco di Castrofilippo e allo scioglimento del consiglio comunale per infiltrazioni mafiose.
Il ministro della giustizia Alfano ha già firmato il decreto di applicazione del carcere duro per Gerlandino Messina. Una decisione rapida ed importante. Un segnale preciso.
Secondo Beppe Lumia, deputato del Pd all’ARS e vittima di diverse minacce di stampo mafioso,''la magistratura e le forze dell'ordine come sempre hanno fatto la loro parte mentre il governo la smetta di fare propaganda e dia seguito con i fatti alle sue quotidiane dichiarazioni sulla lotta alla mafia, con provvedimenti concreti: garantisca l'applicazione severa del 41 bis, aumenti le pene per i reati di stampo mafioso, riapra le carceri di massima sicurezza di Pianosa e l'Asinara e dia piu' risorse e mezzi a chi si trova in prima linea nel contrasto alla criminalita' organizzata''.
Riconoscimento alle forze dell’ordine dunque i veri protagonisti di questa battaglia continua e serrata.
Nomi di ditte che si occupano di appalti pubblici ma anche altre indicazioni cifrate. C'era tutto questo nei quattro pizzini trovati in tasca a Gerlandino Messina. I magistrati della Dda stanno analizzando i bigliettini sui quali c'erano alcuni nomi di ditte che si stanno occupando o si occuperanno di grossi lavori pubblici come il raddoppio della statale 640, la Agrigento-Caltanissetta, e la realizzazione del rigassificatore di Porto Empedocle. Alcune imprese erano da spremere col pizzo, altre erano state spartite tra le famigghie della zona tramite l’accordo tra Messina e Messina Denaro, che dunque potrebbe trovarsi in Sicilia, nelle vicinanze, altre ancora invece probabilmente erano da “aiutare” nella corsa agli appalti, segnale che attesterebbe la “normalità” della cosa, una “normalità” che potrebbe sopravvivere a qualsiasi arresto se non si tiene alta la corda dei controlli a tutti i livelli.
Il procuratore di Palermo e capo della Direzione Distrettuale Antimafia Francesco Messineo ha dichiarato: “l’arresto del boss Gerlandino Messina non significa che i commercianti dell’agrigentino saranno tutelati dal pagamento del pizzo. Gli esattori del racket sono ancora liberi.Gli aguzzini continueranno a pressare gli esercenti – ha continuato il procuratore – ma è il momento giusto per ribellarsi e denunciarli per rendere finalmente Agrigento libera dal ricatto”.
Dopo l'ammissione dell'identità, il numero uno di cosa nostra agrigentina è stato trasferito in carcere. Messina avrebbe dichiarato, mentre si trovava presso la caserma di Villaseta: "a tutto c'è una fine" riferendosi alla propria latitanza. L'ex primula rossa avrebbe mantenuto un atteggiamento molto composto. Al momento dell'uscita i parenti si sono avvicinati alla gazzella sulla quale era trasportato Messina, battendo le mani sui vetri e lanciando baci e urla all'indirizzo del proprio congiunto.
A tutto c’è una fine. Anche a questi atteggiamenti. A tutto c’è una fine. Lo ha detto anche il boss. A tutto c’è una fine. Lo aveva detto anche Giovanni Falcone riferendosi alla mafia.

Calogero Parlapiano - tratto da "Controvoce"

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