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mercoledì 3 marzo 2010

Scacco Matto: Alta mafia...

Il gup di Palermo ha condannato undici persone a complessivi 120 anni di carcere al termine del processo denominato "Scacco matto", celebrato con il rito abbreviato. Tutti gli imputati rispondevano di associazione mafiosa perchè accusati dalla Dda di Palermo di far parte delle cosche mafiose di Sciacca, Ribera e del Belice. In particolare, 21 anni sono stati inflitti a Gino Guzzo, di Montevago, ritenuto il reggente della cosca del Belice, 13 anni e 8 mesi a Paolo Capizzi, di Ribera, 12 anni a Franco Capizzi, anche lui di Ribera, 11 anni e 4 mesi ciascuno a Accursio Dimino di Sciacca e a Salvatore Imbornone di Ribera, 10 anni a Antonio Pumilia e Antonino Gulotta, 9 anni e 8 mesi a Raffaele Sala, 8 anni e 8 mesi a Girolamo Sala e un anno e 7 mesi a Antonino Montalbano. Condannato a 4 anni e 8 mesi, infine, Calogero Rizzuto, arrestato nell'ambito dell'operazione e divenuto poi collaboratore di giustizia. Quando esplose l’operazione “Scacco matto” tre erano i magistrati impegnati nell’inchiesta: Gianfranco Scarfò, Rita Fulantelli e Salvatore Vella. Come tre sono stati gli anni di intercettazioni telefoniche e ambientali. Gestione capillare dei subappalti, pizzo e tanti, tanti soldi: l’acquedotto Favara di Burgio, diversi lavori stradali tra Sciacca e Menfi, il golf resort Verdura di sir Rocco Forte. La Piovra è dovunque ed il nuovo capo di Cosa Nostra Matteo Messina Denaro non è poi così lontano da noi. Castelvetrano, città natale del boss è a circa 30 chilometri da Sciacca mentre la provincia di Trapani, suo regno incontrastato, comincia appena dopo il fiume Belice. Intanto il lavoro delle forze dell’ordine continua e sono diverse le indagini ed i sequestri di beni portati avanti negli ultimi giorni. Gli uomini della Dia hanno posto i sigilli ai beni dei fratelli Diego ed Ignazio Agrò di Racalmuto frutto, secondo gli inquirenti, di anni di usura. I due fratelli erano stati già interessati dall'inchiesta antimafia “Domino” condotta dalla squadra mobile di Agrigento nel dicembre 2006 e condannati all'ergastolo. I fratelli Agrò sono stati condannati all'ergastolo per l'omicidio di Mariano Mancuso, avvenuto ad Aragona diciotto anni fa. La vittima li aveva denunciati perchè gli avrebbero prestato dei soldi a interessi da usurai. I fratelli, allora, avrebbero commissionato il suo omicidio a Salvatore Fragapane. Ad accusare i due sono stati i pentiti Ignazio Gagliardo, e i fratelli Maurizio e Beniamino Di Gati. Ma non solo questo. I carabinieri del Reparto operativo del Comando provinciale di Trapani hanno dato esecuzione al provvedimento di sequestro emesso dal Tribunale di Trapani a carico di Salvatore Tamburello, gia' reggente del mandamento di Mazara del Vallo, e del figlio Matteo, condannati per associazione di tipo mafioso. Sequestro per un valore stimato di circa 4 milioni di euro tra terreni, ville e società varie. Tra sequestri, indagini, processi e tangenti come non dimenticare gli omicidi anche se, per questo caso, ancora nulla di certo è stato definito. L’anno scorso ricorderete quello di Amedeo Tolentino, il cadavere del quale era stato rinvenuto completamente carbonizzato, nelle campagne di Sciacca. La vittima, 35enne, originaria di Siculiana, era stata ritrovata all’interno di una Mercedes, lungo l’ex strada provinciale che collega Sciacca con la frazione di Sant’Anna, in via Marco Polo. Tolentino, era pregiudicato, ma non aveva mai avuto condanne per criminalità organizzata. Secondo quanto ricostruito allora dai carabinieri della compagnia saccense, l’uomo sarebbe stato ucciso con alcuni colpi d’arma da fuoco e, successivamente dato alle fiamme all’interno della sua autovettura, seduto sul lato guida. Nessun dubbio sull’impronta mafiosa dell’omicidio. Una vera e propria esecuzione messa in atto con modalità classicamente utilizzate dalla mafia. Mafia che giunge quindi alle porte di Sciacca e, spesso, non rimane sull’uscio ma entra col suo solito fare, arrogante e deciso. A Sciacca, per esempio, il capomafia sarebbe stato Accursio Dimino, uno degli attuali condannati al termine del processo Scacco Matto. Dimino vanterebbe una vecchia e, forse diretta, collaborazione con Messina Denaro, latitante e ricercato da anni. Una persona che, l’attuale capo dei capi, avrebbe stimato e giudicato affidabile. Messina Denaro parla bene di Dimino per esempio in un “pizzino” trovato nel casolare di Montagna dei Cavalli dove venne catturato anni fa Bernardo Provenzano. A Dimino avrebbero pure offerto di fare il capo mandamento, offerta rifiutata e rispedita cortesemente al mittente. Al suo posto venne nominato Gino Guzzo, adesso condannato a 21 anni sempre nell’ambito del processo Scacco Matto, altro uomo vicino al boss Messina Denaro e soprannominato “Lu Dutturi” per via della sua laurea in Agraria. Tra i condannati anche Paolo e Franco Capizzi, appartenenti ad una famiglia che, sebbene sembrerebbe gravitare da generazioni nella cosca mafiosa agrigentina, non ha mai fatto grande carriera. Evidentemente, pur essendo rispettati e temuti, non tutti all’interno di Cosa Nostra si sarebbero piegati alla loro autorità. Per esempio negli anni ’80, allor quando doveva essere scelto il capomafia di Sciacca, la famigghia sarebbe convenuta sulla persona di Salvatore Di Gangi, non proprio espressione diretta del territorio ma nato e cresciuto nella zona delle Madonie. Capizzi scavalcati non solo dal Di Gangi ma anche da Salvatore Imbornone di Lucca Sicula il quale sarebbe asceso rapidamente nella gerarchia mafiosa del territorio fino ad avere la meglio proprio sui Capizzi. Su qualsiasi lavoro, progetto, appalto, colata di cemento del territorio la mafia c’è o comunque prova ad estendere i propri tentacoli, alla faccia di qualsivoglia protocollo della legalità. Nel cantiere dell’allora costruendo resort di Rocco Forte per esempio avrebbero lavorato senza problemi ed in subappalto Gino Smeraglia, colto da provvedimento di fermo, il quale aveva ricevuto un impianto industriale dal burgitano Mario Davilla, ed il riberese Nino Montalbano, parente, manco a dirlo, dei Capizzi. Faceva il guardiano. Per circa tre anni gli atti intimidatori in Contrada Verdura non sono mai mancati, anzi sono stati diversi e ripetuti.
Anche se ultimamente si spara e si uccide di meno, e per molti dei magistrati presenti in Sicilia questo non è un segnale positivo, Matteo Messina Denaro ha avuto ed ha tuttora il suo bel da fare per tenere calmi i diversi esponenti dei vari mandamenti, soprattutto quando si parla di riscuotere le tangenti. Tutto infatti è condito da un vortice capillare e reiterato di pizzo e soldi dove spesso era ed è complicato rispettare gli stessi confini tra i mandamenti mafiosi e per i quali non si guarda in faccia a nessuno. A costo di andarli a chiedere porta a porta.

Calogero Parlapiano - tratto da "Controvoce"

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