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sabato 22 gennaio 2011

Processo Face Off: 5 condannati e 1 assolto

Cinque condanne per complessivi 76 anni di carcere. Si chiude così il processo seguito all’operazione antimafia Face Off. Il Pm Vella e l’eurodeputato Sonia Alfano dalla parte di Ignazio Cutrò: “il suo contributo è stato decisivo per le indagini”. Unico assolto Vincenzo Ferranti

“Con le condanne ai Panepinto, a Parisi e Favata, si ha conferma dell’enorme contributo dato dall’imprenditore antiracket Ignazio Cutrò nella lotta alla mafia e al malaffare. Adesso lo Stato prenda atto dell’impegno di Ignazio e tuteli lui e la sua famiglia in modo serio e concreto, anche in virtù delle intimidazioni subite di recente”.
Lo ha detto Sonia Alfano, europarlamentare e responsabile nazionale del Dipartimento Antimafia di Italia dei Valori, commentando la sentenza con cui sono stati condannati al processo “Face Off”, a Sciacca, i boss Luigi, Marcello e Maurizio Panepinto (rispettivamente a 13, 10 e 14 anni e 6 mesi), Giovanni Favata (13 anni e 3 mesi) e Domenico Parisi (15 anni e 9 mesi).
“Senza le testimonianze di Cutrò questi criminali sarebbero ancora liberi e continuerebbero a spadroneggiare sul territorio. Per questo motivo tutti dobbiamo riconoscere il coraggio e l’onestà di questo preziosissimo testimone di giustizia, e dobbiamo spenderci per la sua incolumità e perchè possa riprendere a lavorare serenamente”.
Le richieste dei Pm erano queste: 20 anni di reclusione per Luigi Panepinto, 19 anni per Maurizio Panepinto, 10 anni per Marcello Panepinto, 19 anni per Giovanni Favata, 20 anni per Domenico Parisi e 10 anni per Vincenzo Ferranti.
Ignazio Cutrò dunque ha vinto scrive ancora la Alfano. Certo, direte voi, ha vinto anche lo Stato, la Giustizia e noi tutti, è vero. Una vittoria però è tale quando il “concorrente” ha messo in gioco tutto ciò che aveva. Quando ha rischiato senza pensare alle conseguenze. Quando ha fatto tutto ciò che era nelle proprie possibilità. E quello che più di tutti ha rischiato, in questa battaglia, è stato lui, quell’imprenditore grande e grosso dal cuore altrettanto grande, capace di emozionare una platea di 400 persone incitandole a non abbassare la testa di fronte a cosa nostra. Grazie alle sue denunce e alla sua testimonianza nel processo “Face Off”, i suoi aguzzini sono stati condannati ad oltre 50 anni di carcere. La conferma che la cosca mafiosa della Bassa Quisquina era gestita dalla famiglia Panepinto, che da vittime di mafia si erano trasformati in mafiosi.
E’ stata la vittoria della pubblica accusa, portata avanti con coraggio da Giuseppe Fici e Salvatore Vella. E’ stata la vittoria di tutte quelle persone che in questi anni sono state accanto ad Ignazio e alla sua famiglia, a sua moglie Giusy, a sua figlia Veronica e a suo figlio Giuseppe, che mai come ora hanno bisogno del nostro affetto. Dovrei sentirmi anch’io vincitrice, ma non ci riesco. Perchè se guardo indietro, a quando ho incontrato un Ignazio disperato e demotivato, e solo molto lentamente siamo riusciti insieme a risalire e ad attirare l’attenzione dell’Italia, se volto la testa a quei giorni vedo troppo dolore e troppa vergogna: non è normale che un uomo giusto come Cutrò debba fare tutto ciò solo per avere giustizia. Quel giorno che Ignazio venne nel mio ufficio per la prima volta non posso dimenticarlo. Aveva le banche alle calcagna che minacciavano di prendersi anche la sua abitazione, gli enti riscossori che pretendevano decine di migliaia di euro da un’impresa vessata dalla mafia ignorando pure la sospensione prefettizia. Era davvero l’ombra del Cutrò che oggi conosciamo. Non avevo la bacchetta magica e ho fatto quello che potevo, sollecitando giorno dopo giorno ogni organo istituzionale affinchè affrontassero tutti il caso Cutrò, l’imprenditore antiracket che lo Stato non vuole con sè. Un’intera segreteria politica ha lavorato per mesi affinchè il “caso” Cutrò diventasse il caso di tutti gli italiani onesti. Poi c’è stato il gesto estremo di Roma, quando lui e Valeria Grasso, altra imprenditrice coraggio che ha spinto in carcere parte del clan Madonia, si sono incatenati ai cancelli del Viminale per protestare contro una situazione umiliante, sotto il profilo economico e della sicurezza personale: erano soli contro la mafia e nessuno voleva aiutarli. Quel giorno ero a Roma per altri impegni che ho subito abbandonato per raggiungere quelle due persone per bene costrette a legarsi come animali per attirare l’attenzione di un Ministero sonnecchiante. Siamo stati un’intera giornata sotto la pioggia cercando di convincere i poliziotti che volevano tagliare le catene con le cesoie che quelli “sbagliati” non erano loro, che non potevano eseguire ordini ciecamente senza sapere che quelli che stavano “sgombrando” erano due testimoni di giustizia, non due pentiti di mafia.
E poi gli infiniti incontri, i molteplici faccia a faccia e le interminabili telefonate per aggiustare una storia storta, figlia di un’Italia imbarazzante che come al solito abbandona il meglio per difendere l’”estremamente peggio”. Ora questa sentenza può rappresentare un punto importante conclude Sonia Alfano. Può dimostrare che senza Cutrò quel territorio sarebbe ancora in mano alla famiglia mafiosa dei Panepinto. Che senza Cutrò gli appalti pubblici avrebbero continuato ad essere pilotati. Che senza Cutrò oggi Bivona non avrebbe un’anima. Sabato scorso ho voluto che Ignazio fosse presente alla commemorazione di mio padre, il momento più importante per me da 18 anni a questa parte. Ho voluto che partecipasse assieme agli altri relatori. E il boato che ha accolto le sue parole, quella sala stracolma che lo ha invocato, è stato uno dei momenti più toccanti di tutta la giornata. Voleva dire che avevamo vinto davvero, che Ignazio era arrivato ai cuori di tutti.
E ora? Ora bisogna smetterla di festeggiare. Bisogna ancora una volta spronare lo Stato italiano affinchè rilanci l’attività imprenditoriale di Ignazio. Affinchè torni ad aggiudicarsi appalti pubblici. Affinchè torni la normalità. Cutrò non vuole vivere da eroe, ma da cittadino comune che sostiene la sua famiglia. Non ha mai voluto soldi, nè facilitazioni, ma solo che gli fosse riconosciuta la sua dignità e la bontà delle sue dichiarazioni. Una sentenza ora lo ha fatto, ma ad aspettarlo però non ci sono certo solo uomini e donne che lo ammirano, ma anche persone che lo odiano. E la sua sicurezza oggi è la nostra priorità.
Fino a quando Ignazio non tornerà a lavorare e a vivere sereno e protetto io non avrò vinto.”
La Sentenza è arrivata nel pomeriggio con le condanne per tutti gli imputati tranne Vincenzo Ferranti che è stato assolto.
Adesso ancora di più cresce l’urgenza di stare dalla parte di chi denuncia perchè bisogna far capire che l’unica strada da seguire è questa e che bisogna lottare per ristabilire la Verità.
Dura la sentenza dunque pronunciata dal collegio giudicante della sezione penale del tribunale di Sciacca relativa al processo “Face off”. E pensare che nel 1995, nell'ambito dell'operazione Vespri siciliani, l'impresa dei fratelli Panepinto, ritenuti vittime delle estorsioni, era stata messa sotto tutela, con la presenza di militari 24 ore su 24. Questo perché nel maggio del 1994 il padre dei tre fratelli, Ignazio Panepinto, era stato ucciso in un agguato di stampo mafioso, mentre nel settembre dello stesso anno, in un altro agguato fu ucciso un loro zio, Calogero, che però nulla aveva a che fare con l'impresa edile dei nipoti. In quell’agguato venne anche ferito Davide Panepinto, figlio di Calogero, e ucciso un operaio, Francesco Maniscalco, che in quel momento si trovava con loro.
Storie di sangue, storie che difficilmente emergono dall’entroterra siciliano.
Adesso invece i tre fratelli erano imputati nel processo "Face off". Da vittime a carnefici, stando a quando ha stabilito il tribunale. In questo processo è stato condannato anche Giovanni Favata, di Alessandria della Rocca e Domenico Parisi, di Bivona. Assoluzione per Vincenzo Ferranti, di 76 anni, di Santo Stefano di Quisquina. Il collegio giudicante era presieduto da Andrea Genna e a latere da Michele Guarnotta e Carmen Bifano. I giudici hanno quindi confermato l'ipotesi accusatoria relativa alla composizione da parte degli imputati di un sodalizio criminale che, utilizzando i modi tipici delle organizzazioni mafiose, avrebbe operato sul territorio della bassa Quisquina, imponendo estorsioni ai danni di imprenditori che operano nel campo degli inerti, delle forniture edili, dei conglomerati cementizi e nel movimento terra.
L’operazione antimafia denominata”Face Off” è stata condotta nel luglio del 2008 dai carabinieri della Compagnia di Cammarata. Tutti gli imputati sono imprenditori edili, che, sempre secondo l'accusa, avrebbero controllato in maniera capillare gli appalti pubblici della zona della Bassa Quisquina. Il Tribunale ha anche stabilito il risarcimento dei danni alle parti civili che si sono costituite nel processo: gli imprenditori Francesco Leto, Massimo Leto, Giovanni Bonanno, Ignazio Cutro', Salvatore Cammarata Spataro e Salvatore Palermo. Ecco il dettaglio dei risarcimenti: il tribunale, inoltre, ha condannato al risarcimento danni alle parti civili nel seguente modo: Maurizio Panepinto e Domenico Parisi a € 20.000 per Francesco Leto ed a € 4.050 alla Igm Srl; Maurizio Panepinto, Giovanni Favata e Domenico Parisi a € 20.000 a Giovanni Bonanno, a € 30.500 a Ignazio Cutrò; tutti a € 60.000 alla Federazione delle Associazioni Antiracket e Antiusura.
Il tribunale ha anche ordinato la confisca dell'azienda di calcestruzzi Beton e altri titoli. L'operazione "face off" venne eseguita dai Carabinieri della compagnia di Cammarata e dagli agenti della Squadra mobile di Agrigento. I provvedimenti furono firmati dal giudice delle indagini preliminari del Tribunale di Palermo Puleo su richiesta dei pubblici ministeri della Direzione distrettuale antimafia Scarfò e Fici.
Soddisfatto naturalmente il Pm Salvatore Vella che ha seguito tutta la vicenda passo dopo passo che ha riconosciuto l’importanza di Cutrò nel processo e il valore di tutte le indagini ed intercettazioni seguite alle denunce. La mafia non è sconfitta. Ma sicuramente la provincia di Agrigento è un po’ più pulita.

Calogero Parlapiano - tratto da "Controvoce"

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