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giovedì 27 novembre 2008

Due Interviste che hanno fatto e faranno discutere...


Berlusconi accostato a Hitler. Veltroni «ingenuo». Il Pd giunto «alla resa dei conti tra lupi». E parole mai sentite su Tangentopoli. Come quelle che Antonio Di Pietro affida al suo intervistatore Gianni Barbacetto, nell'autobiografia Il guastafeste che Ponte alle Grazie pubblicherà giovedì, e che il Corriere ha letto in bozze: «Provo un grande rammarico per la vicenda di Raul Gardini, perché forse avrei potuto salvarlo... ma quello che ho fatto l'ho fatto per mantenere la parola data. È anche per questo che Gardini oggi non c'è più».
«Avrei potuto salvarlo»
Racconta Di Pietro: «Riesco a trovare le prove della responsabilità di Gardini nei pagamenti» delle tangenti Enimont, e «ottengo da Ghitti una misura cautelare. Il suo avvocato comincia con me una trattativa: Gardini vuole consegnarsi alla giustizia, ma senza andare in carcere». L'appuntamento è a Palazzo di Giustizia, alle 8 e 30 del 23 luglio 1993. «Do la mia parola all'avvocato: non andremo ad arrestarlo. Mi sarei riservato di decidere in base all'esito della deposizione. Se avesse parlato lui, sarebbe stata la caduta degli dei. Avrebbe raccontato dei soldi dati a tutti i partiti, compresa la valigia a Botteghe Oscure per il Pci». Il giorno prima, l'avvocato ribadisce le condizioni: «Gardini non dev'essere messo in manette. Lo porteremo in procura, però ci deve arrivare libero, con i suoi piedi». Di Pietro però non si fida. «Rispetto il patto, ma mi assicuro che non scappi. Il giorno prima faccio mettere sotto controllo la sua abitazione di Milano, l'abitazione di Ravenna, l'abitazione di Roma. A notte fonda, i carabinieri mi avvertono che Gardini sta arrivando nella sua casa di Milano, in piazza Belgioioso. "È in arrivo, dottore, lo prendiamo?". In quel momento, avrei potuto salvare Gardini. Se avessi detto: "Prendetelo"! Gardini sarebbe vivo. Ma avevo dato la mia parola. Così ho risposto: "Comandante, fermi tutti. No, non arrestatelo. Tenete discretamente sotto controllo la casa"».«Alle 8 del mattino dopo, Gardini telefona all'avvocato. So per certo che stava per venire da me. Poco dopo è successo l'irreparabile. Mi precipito a Palazzo Belgioioso, e vedo subito che tra i giornalisti accorsi e qualche carabiniere poco accorto sta già montando un giallo: "L'hanno ucciso!" sussurra qualcuno, e a riprova fa rilevare che la pistola è appoggiata sul comodino mentre Gardini è riverso nel letto. Io chiamo seduta stante il maggiordomo, e lui mi spiega che la pistola l'ha spostata lui, dopo aver trovato Gardini che l'aveva usata per uccidersi, nel tentativo di soccorrere il morente».
Mani pulite
«In procura ero snobbato, molto snobbato. Ero considerato un poliziotto, ero ricordato come il poliziotto che i miei colleghi avevano conosciuto. Fino a qualche mese prima avevo lavorato come commissario al IV distretto di polizia, e quasi quotidianamente avevo portato ai pm milanesi di turno gli arrestati del giorno e della notte precedente...». «È stata importante anche la mia esperienza di perito elettronico », e soprattutto un cambio di strategia: «Prima, nel reato di corruzione, si puntava a indagare sul corrotto, sul politico. Io mettevo con le spalle al muro i corruttori, gli imprenditori. Gli imprenditori non erano i più deboli, ma i più opportunisti: quelli che avevano più convenienza a parlare». Tra i paradisi fiscali, Di Pietro indica «anche la Città del Vaticano, con la sua banca Ior. Spiace dirlo, ma è la verità». Oggi «Tangentopoli c'è ancora, ed è più agguerrita di prima».
Gli ex comunisti
«L'ha detto Craxi, lo dice Berlusconi. Ma i primi a sostenere che Mani Pulite è stata un'operazione politica per eliminare alcuni partiti sono stati, incredibile a dirsi, quelli dell'allora Pds, non appena si accorsero che indagavamo anche sui loro cassieri, Pollini e Stefanini. È successo quando siamo andati a fare una perquisizione alle Botteghe Oscure. Dovevamo capire che fine aveva fatto un miliardo di lire: Cusani racconta che Gardini l'ha portato a Botteghe Oscure. Piaccia o non piaccia, quel miliardo lì è entrato, anche se non siamo mai riusciti a sapere a chi è arrivato. I segretari politici d'allora, Occhetto e D'Alema, io li ho chiamati, ho chiesto che fossero anche sentiti in aula, ma il presidente del tribunale ha deciso che non c'erano elementi nemmeno per sentirli come testimoni».
Versace e Ferrè
«Libero ha dedicato due pagine a Santo Versace, titolo: "Così ho sconfitto Di Pietro". Ma che sconfitto! L'indagine, su Versace come su tanti personaggi della moda, riguardava le tangenti alla finanza. Ricordo ancora quando Ferrè è venuto da me a spiegarmi, con la camicia fuori dai pantaloni: mi ha fatto impressione, lui che era un grande stilista. Ebbene: le tangenti sono state pagate, i finanzieri sono stati condannati. Versace è stato condannato in primo grado e in appello e alla fine, in Cassazione, ha convinto l'ultimo giudice di essere stato costretto a pagare».
I miei errori
Di Pietro nega di aver mai ricevuto una Mercedes: «Dopo averla tenuta in prova per qualche giorno, mi resi conto che consumava troppo. Perciò non la comprai ». Ammette di aver ricevuto un prestito da cento milioni, ma precisa di non averli restituiti «con banconote avvolte in carta di giornale. Li ho restituiti con assegni». Riconosce che fu «un errore». «Oggi andrei in banca piuttosto che da un amico a chiedere un prestito». «Ho conosciuto l'ambiente craxiano milanese, ma appena ho capito di che pasta fosse fatto, l'ho perseguito penalmente senza guardare in faccia nessuno, anche se avevo avuto rapporti di frequentazione con alcuni di quell'ambiente».
Berlusconi
«Il mio partito viene sempre più visto come la vera, unica opposizione al modello fascistoide di governo berlusconiano, fatto di furbizie, favoritismi, leggi ad hoc, manganelli e accenni di xenofobia». «I magistrati? Rappresentano per Berlusconi ciò che gli ebrei rappresentavano per Hitler: razza infame da eliminare, anzi dementi da mandare nei manicomi. Non lo dico io: l'ha affermato lui stesso! Non credo che bisognerà aspettare molto. La "soluzione finale" è vicina per i giudici». «I soldati nelle città? Neanche sotto il regime fascista si era tentato di infinocchiare l'opinione pubblica in tal modo. Neanche Mussolini, con le sue otto milioni di baionette, aveva osato tanto! ».
Le avances del Cavaliere
È il 1994. Berlusconi telefona dal Quirinale, dov'era salito per accettare l'incarico di formare il nuovo governo. «Mi dà un indirizzo: via Cicerone numero 40. Lì trovo scritto sul portone: Studio Cesare Previti ». L'offerta è di fare il ministro dell'Interno; «intanto La Russa aveva fatto la stessa operazione con Davigo: a lui viene proposto di fare il ministro della Giustizia». Borrelli li convince a rifiutare. Ma un anno dopo Berlusconi invita Di Pietro a casa. «Succede nel febbraio-marzo 1995. È la prima e ultima volta che entro nella villa di Arcore. Berlusconi mi propone di entrare nella squadra: vieni in Forza Italia, non siamo nemici, abbiamo le stesse idee liberali. Io ho risposto che non era il momento per me di fare scelte. Berlusconi adombra allora l'ipotesi di incarichi di prestigio nell'amministrazione dello Stato, al vertice della polizia o dei servizi di sicurezza. Tutti e due stiamo stati molto attenti a non scoprirci. Ci siamo annusati, e abbiamo capito che non era cosa».
Altre avances
«Franco Frattini mi chiamò quando era ministro della Funzione Pubblica nel governo Dini. Mi disse che voleva fare un partito con me, perché lui con Berlusconi non c'entrava nulla. Anche Buttiglione mi chiamò e mi invitò a casa sua: cercò in tutti i modi di convincermi a fare con lui un partito contro Berlusconi. Giovanardi mi scrisse una lettera in cui osannava me e Mani Pulite, e ora non perde occasione per attaccarmi. Non le dico poi le volte che sono stato circuito da Casini...».Giuliano Ferrara «Nel collegio del Mugello lo stracciai. Lui, che tanto se la tirava!».
Prodi
«Nel 2006 mi aveva offerto di fare il ministro delle Telecomunicazioni. Però non ero considerato molto affidabile per la pax politica bipartisan di controllo dell'informazione pubblica. Sia a destra, sia a sinistra c'è qualcuno che mi guarda con fastidio. Come ora dimostra il caso Orlando». «Poi Prodi mi chiese di andare ai Lavori pubblici, e mi disse che era stata un'idea di una sua nipote». L'indulto? «Romano l'ha subìto più che voluto». «Prodi è stato impallinato dalla sua stessa coalizione. Anche, a volte — per onestà intellettuale devo ammetterlo — dall'agrodolce dell'Italia dei Valori».
Il Pd
«Sono tornati i vecchi lupi d'apparato. In tutto il Paese, ormai, stiamo assistendo a un redde rationem da Ok Corral che non rende giustizia all'impegno di Veltroni. Il Pd mi sembra un'identità in cerca di autore. Con quale Pd avrei dovuto fare il gruppo unico?».
Veltroni
«Inizialmente ha abboccato all'amo berlusconiano. In modo genuino, ma anche un po' ingenuamente, si è dichiarato disponibile a dialogare con Berlusconi». «Su di noi ha detto bugie, ci ha rivolto un attacco tutto basato su falsità. La prima falsità è che avremmo violato il patto. La seconda, quella che Veltroni va ripetendo dappertutto, è che l'Idv sarebbe a favore del reato di immigrazione clandestina. Mi ha fatto arrabbiare, anche se ho dovuto reprimere la voglia di dirgliene quattro, per il bene dell'alleanza». «Ora mi pare che abbia capito il madornale errore». E con Berlusconi «ha cominciato a comportarsi proprio come me».
Bossi
«Potremmo dire che il mio partito sta al Pd come la Lega sta al Pdl. La Lega non è solo il dito medio di Bossi o la bandiera strappata, ma si regge sul lavoro di tanti amministratori locali. Noi siamo una Lega non del territorio, ma dei valori. Non è un caso che nei nostri manifesti, in Lombardia, abbiamo messo il disegno della gallina cui la politica romana ruba le uova: è lo stesso, identico simbolo usato a suo tempo dalla Lega».
In seminario
«Quando andavo a scuola non potevo giocare con i figli di quelli che non venivano in chiesa, con il figlio del muratore, perché era comunista. La mia era una famiglia cattolica, anzi direi ecclesiastica, piena di parenti preti e suore in giro per tutto il mondo, dalla Bolivia al Paraguay. Io stesso sono stato anni in seminario». (da corriere.it)

"A Milano si vive in una condizione di minorità rispetto a Salemi, a Milano sono dei terroni". Lo ha detto il critico d'arte e sindaco di Salemi, Vittorio Sgarbi, intervenendo a Palermo alla presentazione del suo ultimo libro. Seduto accanto al presidente della Regione Sicilia, Raffaele Lombardo, Sgarbi è stato molto critico nei confronti del primo cittadino di Milano, Letizia Moratti, di cui è stato fino a poco tempo fa l'assessore alla Cultura.
Il libro s'intitola "Clausura a Milano e non solo" e narra delle esperienze politiche di Sgarbi, prima in qualità di assessore alla cultura del Comune di Milano e poi come sindaco di Salemi. "Il paradosso è che Milano non solo non fa le cose che riesce a mettere in pratica Salemi, ma non è in grado nemmeno di concepirle", dichiara Sgarbi.
"Qui, a Salemi e in Sicilia, c'è da sempre la vera civiltà", aggiunge il sindaco di Salemi con il benestare del governatore della Sicilia Raffaele Lombardo. Infatti, nonostante le incomprensioni sulle questioni "Garibaldi" e "unità d'Italia", il governatore siciliano ha deciso di presentare il libro di Sgarbi a Palazzo D'Orleans, sede della presidenza della Regione.
La partnership politica di Sgarbi e Lombardo non si è concentrata soltanto contro il sindaco di Milano ma aveva già preso piede qualche settimana prima dell'uscita del libro. Infatti, la coppia si era trovata d'accordo su alcune dichiarazioni del governatore della Sicilia che contestavano le pale per la produzione di energia eolica. "Quando mi ha detto: 'quelle pale le dovrebbero buttare giù con le bombe', ho capito che Lombardo sarebbe diventato un mio grande amico" ha concluso il sindaco di Salemi. (da tgcom.it)
Due interviste che hanno fatto e faranno discutere... due personaggi pubblici, Di Pietro e Sgarbi, che continuano a lasciare una grossa eco ogni qualvolta lasciano delle dichiarazioni... soprattutto in questo contesto e momento sociale e politico... dichiarazioni forti e decise ma al tempo stesso dense di particolari e contestualizzate alla vita di tutti i giorni, anche i nostri, non solo i loro... un paese, L'Italia, ed una regione, la Sicilia, che debbono crescere e meritano di farlo, che debbono svincolarsi dalla logica del potere fine a sè stesso e dall'assoggettamento mafioso e culturale di tutta una generazione... guardiamo ai fatti... terre di grandi amore, cultura, orgoglio, fatte zimbello da tutta la stampa estera... lavoriamo tutti insieme, ognuno la nostra parte... per migliorare ciò che ci circonda, partendo anche dal nostro orticello ma non fermandoci ad esso.. perchè se non contribuiamo a far piovere acqua dal cielo anche la nostra piccola terra prima o poi morirà e del nostro egoismo non resterà nulla, nemmeno per noi.

2 commenti:

Ale ha detto...

appunto! se ognuno facesse la sua parte..ma c'è qualcuno che la fa? se sì..sicuramente non tutti..e allora chi non la fa?

il mondo non sarebbe così se fosse dominato da ideali di lealtà e di libertà..tenuti insieme dal buon senso

Calogero Parlapiano ha detto...

.. il buon senso spesso è inversamente proporzionale all'attaccamento alla poltrona.. anche il cittadino deve fare la sua parte in senso civico, in segnalazioni, in messa in pratica dei propri diritti..
a presto Ale..ciao