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martedì 9 settembre 2008

Qualcuno vuole darcela a bere e farcela pagare cara!

L'acqua potabile della Campania rischia diventare proprietà privata. Eni AcquaCampania, l'azienda che fornisce l'acqua nelle province di Napoli e Caserta, sta per essere acquistata da una triade societaria controllata dagli azionisti di minoranza: Caltagirone, la multinazionale Veolia e l'onnipresente Impregilo. L'azienda idrica è controllata dall'ente pubblico Eni attraverso una partecipazione pari al 50,5 %. Quote che stanno per essere cedute. In base ad accordi parasociali, le aziende private, per diritto di prelazione, acquisterebbero le quote Eni, determinando la privatizzazione delle sorgenti e dei pozzi potabili e della depurazione. L'acqua è un bene pubblico essenziale e non può essere gestito da soggetti con finalità commerciali o lucrative. Rischia di essere condizionata la vita di milioni di persone, determinando l'aumento delle tariffe, senza garanzie sulla qualità dell'acqua distribuita.È necessario fermare la privatizzazione dell'acqua della Campania. Per questo ti chiediamo di sostenere questa battaglia con la tua firma. Il nostro obiettivo è chiedere al Consiglio regionale a trasformare in legge il ddl n° 75 che giace in consiglio dal 18/01/2006, dando vita alla società interamente pubblica Campaniacque per gestire, con ampie garanzie per le popolazioni, tutti i grandi impianti, le sorgenti e l'acquedotto campano. Per scongiurare il rischio della privatizzazione dell'acqua campana e di Napoli bisogna fare una scelta chiara a difesa di un essenziale bene pubblico. Non lasciamo che i cittadini vengano espropriati di una risorsa vitale.


E' ripreso questa mattina il pompaggio dell'acqua dalla condotta che porta il prezioso liquido alle località che sono a secco da ben 12 giorni. Secondo la programmazione prevista dalla Girgenti Acque, nella mattinata verrà effettuata la fornitura per la zona Foggia e dal pomeriggio per la zona San Marco. Le oltre 500 famiglie residenti oggi sono in trepida attesa della ripresa dell'erogazione, mentree al autobotti private al costo di 40 euro alla volta, continuano a sfrecciare nella zone interessate. L'incontro di ieri pomeriggio tra il sindaco di Sciacca Mario Turturici ed il presidente della Girgenti Acque, Giuseppe Giuffrida, ha chiarito in parte i rapporti tra le due parti. Il nuove gestore della rete idrica provinciale ha ribadito di avere trovato una situazione catastrofica a Sciacca e che la normalità si può raggiungere lentamente. Ed ha rilevato che a Sciacca non c'è una mappa della rete idrica e ogni intervento di riparazione presenta grosse difficoltà.

"Nonostante il passaggio dall'Eas all'Ato, il servizio idrico in città non è affatto migliorato". E' quanto afferma il consigliere comunale Vito Bono in un'interrogazione al sindaco in ordine alla questione idrica ed in particolare alla crisi che affronta il quartiere San Marco. Bono chiede di sapere quali gravi motivazioni hanno determinato la mancata fornitura del prezioso liquido a San Marco ed afferma: "considerato che il servizio, nonostante il passaggio dall'Eas all'Ato Idrico di Agrigento, non è per niente migliorato, se si ritenga utile che il Comune gestisca direttamente l'approvvigionamento e la fornitura dell'acqua". (da agrigentonotizie.it)

L’acqua : da bene comune a merce
L’acqua è la base della vita sulla terra. E’ sempre stata al centro del benessere materiale e culturale della società di tutto il mondo. Ma oggi questo bene comune a tutta l’umanità (come l’aria, come il sole) questa risorsa preziosa è in pericolo. Benché il mondo sia costituito per due terzi di acqua, ci troviamo di fronte un’acuta scarsità idrica.
Ciò grazie alla devastazione ecologica della terra, all’inquinamento, alla deforestazione e conseguente desertificazione, allo sfruttamento dell’uomo, agli sprechi, alle privatizzazioni. Il numero di persone che vivono in paesi privi di una quantità adeguata di acqua salirà, secondo alcune previsioni, tra il 1990 e il 2025, da 131 milioni a 817 milioni. Vi è crisi idrica quando la quantità disponibile pro capite annua è inferiore a mille metri cubi. Sotto questa soglia lo sviluppo e la salute di un paese sono fortemente ostacolati. Mentre al di sotto di 500 metri cubi pro capite la sopravvivenza della popolazione è gravemente compromessa.
Grazie alla sopravvenuta scarsità, l’acqua da bene comune è così diventata un business. L’acqua è l’oro blu del futuro, l’acqua è quotata in borsa.
Come sottolinea Vandana Shiva, fisica ed economista indiana nel suo ultimo libro (Le guerre dell’acqua. Ed. Feltrinelli)” i conflitti per l’acqua sono destinati a dilagare, soprattutto a causa delle crescenti privatizzazioni e dei conseguenti giochi di potere che ruotano a ciò che, a torto o a ragione, è ritenuto invece un bene universale.”
In questa situazione difficile e degradata, organizzazioni non governative, personalità di spicco come Mario Soares, presidente del Contratto Mondiale dell’acqua, la stessa economista indiana Vandana Shiva, il missionario cambogiano Alex Zanotelli, Riccardo Petrella tra i fondatori dell’università internazionale dei Beni Comuni, si battono affinché l’acqua sia un diritto per tutti, un bene pubblico per eccellenza, e non una qualsiasi merce da quotare in borsa.
(da ares2000.net)

L’acqua è rimasto uno dei rari beni che costano poco in Italia. È comprensibile, allora, che i consumatori si preoccupino se si parla di liberalizzare il ramo «idro» nell’ambito del ddl Lanzillotta. Il settore sembra prossimo a una lotta politica ed economica che ne cambierà il volto, si spera in meglio dal punto di vista della gestione della risorsa ma con prezzi per le famiglie e le imprese che alla fine potrebbero risultare molto più alti degli attuali. Nel Belpaese il servizio idrico fattura ogni anno una cifra che fa gola a molti, 2,7 miliardi di euro, scontando ampie inefficienze - ad esempio perdite che lungo le tubature arrivano al 40% e superano persino il 60% in certe zone del Sud.
Rete vecchia
Gli analisti valutano addirittura in 50 miliardi di euro il fabbisogno di investimenti nel settore a livello nazionale, considerando non solo l’acqua potabile ma anche le fognature e la depurazione. Sono tanti soldi, che non si possono ammortizzare in tempi ragionevoli con un giro d’affari di 2,7 miliardi all’anno; ma secondo i calcoli di Federutility (l’associazione delle ex municipalizzate) ci sarebbe margine per ricavare di più dal business dell’acqua finanziando gli investimenti senza pesare oltremisura (per lo meno a giudizio delle imprese) sulle tasche degli utenti. I calcoli sono presto fatti: dei 40 miliardi di metri cubi d’acqua consumati ogni anno in Italia ce ne sono 9 destinati alle famiglie (il resto serve all’agricoltura, all’industria e a raffreddare le centrali termoelettriche); se quei 9 miliardi fossero remunerati con un euro al metro cubo - che è la tariffa media europea - anziché con circa 0,30 come ora in Italia, il fatturato del settore salirebbe a 9 miliardi di euro all’anno e così gli investimenti diventerebbero sostenibili. Ma per questo la tariffa media italiana dovrebbe triplicare.
Il timore di pagare di più
Spazziamo via ogni equivoco: qualunque tipo di liberalizzazione in questo settore non porterà a ridurre le tariffe ma ad aumentarle, migliorando in cambio (almeno si spera) il servizio. Ovviamente il problema è che spesso, in Italia, quando si liberalizza qualcosa i costi aumentano, e questo è tragicamente sicuro, però poi i servizi non migliorano, e basti pensare al caso scandaloso delle polizze Rc auto o a una cosa banale come il servizio telefonico 12, dove l’intervento dei privati non ha fatto altro che moltiplicare i costi per i clienti e i profitti per le compagnie.Quanto all’acqua, fino a una quindicina di anni fa erano attive nel settore solo le municipalizzate, poi con la legge Galli del 1994 gli enti locali hanno cominciato a creare società miste o a sviluppare forme giuridiche diverse; oggi c'è un rilevante numero di Spa. Fra le maggiori figurano la Smat di Torino (controllata dal Comune), la Mediterranea delle Acque (gruppo Iride, che fa capo ai Comuni di Torino e di Genova), la Società Acque Potabili (ex Italgas, ora parte di Smat e parte del Comune di Genova), l’Acea (51% del Comune di Roma) e l’Acquedotto pugliese (Regioni Puglia e Basilicata) senza contare l’Asm Brescia, la Hera di Bologna e molte altre ancora (i soggetti di Federutility sono addirittura 550). Complessivamente il settore impiega quasi 30.000 persone con impianti industriali, infrastrutture e reti che attraversano tutto il territorio. Il ddl Lanzillotta sulle liberalizzazioni nella sua versione originaria (ora si va verso uno scorporo del settore acqua e una moratoria delle gare, ma è inevitabile che il tema riaffiori) intendeva mettere le cose in movimento attirando capitali privati, così da gestire meglio e con tecnologie aggiornate le nostre risorse idriche sempre più scarse. Il governo, spinto dalle sue componenti più liberiste, ha deciso di provare a rendere più facile l’affidamento del servizio ai privati, tenendo ben distinta la proprietà dell’acqua come risorsa (che resta pubblica, lo dice il programma dell’Ulivo) dalla sua gestione, che può essere affidata ai privati (già adesso, ma con difficoltà). Però la distinzione è sottile e ha suscitato le proteste di Rifondazione, Comunisti italiani e Verdi; da qui il temporaneo stop. Del resto anche i Ds, bene insediati nelle municipalizzate, non sembrano entusiasti di cedere quote di potere e non si sono battuti allo stremo per liberalizzare. Invece il centrodestra (teoricamente) spinge per farlo, anche allo scopo di colpire alcune lobby locali che non gli sono amiche, ma il timore di trasferire ai privati qualcosa di fondamentale come l’acqua è diffuso (sotterraneamente) anche a destra e questo complica la partita di potere. Sul piano tecnico c’è chi obietta che è assurdo preoccuparsi che arrivi «troppo» privato nel settore, perché con l’acqua non si guadagna granché e quando nell’uno o nell’altro Comune si bandisce una gara questa va deserta per quanto riguarda i privati dell’idro e vede interessate concretamente solo le imprese a partecipazione pubblica; queste tirano avanti (e anche bene) senza aspettarsi grossi margini, tagliando i costi e realizzando economie di scala man mano che allargano la loro base territoriale. Ma allora quali sarebbero, in questo quadro, le ipotetiche prospettive di guadagno dei privati, cui toccherebbe partire da zero? Dovrebbero farsi avanti là dove viene bandita una gara e mettere sul piatto capitali e tecnologie per migliorare le reti e gli impianti, ottenendo in cambio tariffe più alte delle attuali. E chi è che dovrebbe riconoscere queste tariffe più alte? Non il mercato, che nell’acqua non esiste.
Novanta piccoli Garanti
A decidere sulle bollette di due terzi del territorio italiano è una novantina di Autorità di ambito, che sono altrettanti piccoli Garanti (un po’ come quello dell’energia a livello nazionale) costituiti in zone omogenee dal punto di vista idrografico ed economico; nel restante terzo d’Italia, dove non sono stati predisposti dei piani d’ambito, a fissare le tariffe continua a provvedere il Cipe, che le ha bloccate dal 2002 ed esercita una sorta di leadership morale anche sulle Autorità locali; questa circostanza per anni e anni ha tenuto fermi (o quasi) i prezzi dell’acqua in tutta Italia, bloccando di fatto le velleità dei privati. Come si fa allora a portare nel settore gli investimenti, le tecnologie, il know-how gestionale e la capacità manageriale che sono necessarie?
Quali margini per cambiare
Il presidente aggiunto di Federutility, Mauro D’Ascenzi, sostiene che «le ex municipalizzate sono già la perfetta sintesi tra pubblico e privato. Coniugano i criteri imprenditoriali con l’etica del servizio di pubblica utilità. Perché sforzarsi di creare soluzioni alternative quando, dove ci sono, le aziende locali gestiscono acqua da un secolo con piena soddisfazione dei cittadini?». Di tutt’altro avviso Confindustria: «Il nostro giudizio sul ddl Lanzillotta è sostanzialmente positivo, perché il ricorso al mercato nella gestione dei servizi pubblici locali viene assunto come “la" forma ordinaria di affidamento, mentre nella disciplina generale attualmente vigente esso viene posto alla pari dell’affidamento diretto». Per gli utenti il presidente di Federconsumatori, Rosario Trefiletti, dice che «il vero problema non è la proprietà pubblica o privata ma che si riduca il numero dei soggetti che operano nel settore dell’acqua. Quando fu introdotta la legge Galli erano 9000, adesso sono meno, però sono ancora troppi. Ce ne vorrebbe soltanto una decina in tutta Italia, per abbattere i costi con le economie di scala, e se poi questo non bastasse ancora a finanziare gli investimenti e fosse necessario aumentare un po’ le tariffe, va bene, non sarebbe un problema». Però Trefiletti dice «aumentare un po’»; se invece l’ipotesi è triplicare i prezzi, questo non rientra nella vocazione di Federconsumatori. (da lastampa.it)

Su La Stampa un articolo descriveva la guerra in atto per accaparrarsi, in Italia, il mega-affare dell'acqua potabile.
Apprezzabile la chiarezza con cui l'autore, Luigi Grassia, sgombra il campo da ogni equivoco: la liberalizzazione (fino a ieri gli acquedotti erano in mano ai Comuni o alle municipalizzate ad hoc) non porterà in questo settore (come ovunque nel mre magnum delle utilities) nessuna diminuzione di prezzo, anzi: si prevede che la bolletta arrivi a triplicarsi.
Grassia fa anche qualche conto: 9 miliardi di metri cubi sarebbero il consumo annuo di acqua potabile, su 40 complessivi, che comprendono agricoltura, industria e...raffreddamento delle centrali (ma in quel caso mi può spiegare l'autore come si consuma l'acqua?).
Poi però cita un'indagine (non riportata nella versione sul Web) della SMAT, la municipalizzata di Torino, che parla di un consumo medio pro capite in Italia di circa 200 litri al giorno. Che in un anno fanno 70 metri cubi, che moltiplicati per i 56 milioni di italiani fanno a stento 4 miliardi...chi è che sbaglia i conti?
Vabbé, torniamo alla liberalizzazione: in Italia si traduce immancabilmente in aumento di costi ("è tragicamente sicuro") però poi spesso i servizi non migliorano: vedi RC auto e servizio 12. Sarà anche così per un bene primario come l'acqua? Stiamo per assistere all'ennesima fregatura?
Questo non è un post di denuncia. L'unico intento è proporre un punto di domanda (bello grosso) che in questo momento ho in testa. Lo si potrebbe intitolare: "dove stiamo andando?". Che l'acqua sia un bene di tutti è un concetto che riempie la bocca e i proclami di tanti politici. Che sia necessario amministrarlo in maniera saggia: altrettanto. "Tutte le acque superficiali e sotterranee, ancorchè non estratte dal sottosuolo, sono pubbliche e costituiscono una risorsa che è salvaguardata ed utilizzata secondo criteri di solidarietà": sto citando il primo articolo della Legge 36/94, più nota come Legge Galli, che ha definitivamente sciolto ogni dubbio sulla pubblicità dell'acqua "senza se e senza ma". Eppure, proprio da quella legge è arrivato il concetto di autorità d'ambito (ATO), di società di gestione del ciclo idrico integrato, di privatizzazione del servizio legato all'erogazione - a tutti i cittadini - dell'acqua potabile. Concetti che hanno avuto col passare degli anni (ormai abbiamo già superato la dozzina!) delle correzioni e che, a macchia di leopardo, stanno portando in tutta Italia agli affidamenti del servizio a gestori o completamente privati, o controllati dal pubblico, o misti.
Quanto si parla, tra la gente, di questo argomento? A me sembra troppo poco. Mi piacerebbe fare un sondaggio tra gli italiani per sapere quanti sono a conoscenza di ciò che sta accadendo.
Ed allora, ecco i punti di domanda.
Banale: quanto pagheremo per l'acqua? Sicuramente, di più di quello che viene pagato oggi. In sostanza, i cittadini si troveranno in bolletta un aumento tariffario giustificato, nelle dichiarazioni pubbliche, dalla necessità di far fronte ai costi del servizio e delle nuove infrastrutture in programma. Però, da quanto sento dire, trapela l'idea che per l'acqua "oggi si paga ancora troppo poco", quasi a voler inculcare l'idea che l'acqua abbia un valore "di mercato", anziché parlare di costi reali di erogazione del servizio. Che si faccia conto più sulla "capacità di spesa media" dei cittadini inseguendo il modello delle utilities (energia elettrica, gas naturale, telecomunicazioni) già privatizzate. Faccio un esempio: se pago 12 centesimi per ogni messaggino che "sparo" col mio cellulare, è perché alla TIM (fatti tutti i conti, compresi i profitti) costa quello, o perché quella è una tariffa "soglia", valutata in base alla capacità di spesa dell'utente medio di cellulari? Finché si parla di servizi superflui, posso anche accettarlo: ma l'acqua E' indispensabile!
Meno banale: quanto pagheremo gli allacciamenti? Un caso a cui mi è capitato di assistere: un cittadino, proprio in questi giorni, avendo a suo tempo pagato al Comune gli oneri di urbanizzazione relativi ad una nuova edificazione in campagna, chiede di potersi allacciare ai pubblici servizi di acquedotto e fognatura. Ma, dato che è imminente l'affidamento al Gestore, viene invitato a rivolgersi al nuovo soggetto. Il quale esclude di poter realizzare gli allacciamenti richiesti perché "non previsti nel piano di infrastrutture in programma", coperto come detto sopra non già dagli oneri di urbanizzazione (i Comuni se li tengono ben stretti!) ma dall'aumento tariffario. Il cittadino in questione sarà costretto a farsi l'allacciamento a sue spese, pagandolo - in pratica - due volte.
Cruciale: non c'è solo l'utente "medio", ci sono anche gli utenti poveri. E se qualcuno quella bolletta proprio non ce la fa a pagarla, gli verrà "tagliata l'acqua" (come già avviene per gas e telefono)? Non so se sia possibile, e neanche se sia giusto, pensare a delle diversificazioni tariffarie in base al reddito. Però il sacrosanto principio che l'acqua è un diritto di tutti va in ogni caso salvaguardato.
Delicato: quale quota parte della nostra bolletta andrà a pagare i vari consigli di amministrazione? E' ancora vivo lo scalpore suscitato dalla puntata di Report dello scorso 19 novembre, in cui si denunciavano gli sprechi e gli stipendi d'oro pagati dalle amministrazioni locali a consulenti e consiglieri. Lo sappiamo molto bene: la poltrona in un consiglio di amministrazione ben pagato è merce di scambio da sempre utilizzata dai politici per i propri "fedelissimi". Per cui la paura che sia più quello che si "mangia" di quello che si beve, rimane.
Complesso: gestione privatistica significa utili. Chi stabilisce quale può essere l'utile? Su quali basi? Ma soprattutto: ha senso lucrare sull'acqua? (da imbrogli.splinder.com)

Altra succosa rassegna di notizie ed informazioni che spiegano in maniera esemplificativa ed esaustiva come l'acqua sia un bene comune mercificato, che muove milioni e milioni di euro, su cui sopra stanno grosse multinazionali che hanno deciso di darcela a bere e farcela pagare cara, con movimenti alquanto strani di capitali, con ombre malavitose dietro e alle spalle pronte ad inserirsi (o che già ci sono ben dentro)... dovunque questo problema sta assillando inermi cittadini, dovunque si chiede a gran voce che l'acqua torni ad essere un bene pubblico, che venga abrogata la sua privatizzazione... anche da noi a Sciacca scegliamo la vita, scegliamo un'acqua libera, di tutti e per tutti, risvegliamoci dal torpore, indigniamoci con chi ci ha condotto verso questo stato di cose, protestiamo adesso, non solamente quando arriveranno le salitissime bollette, che sembreranno un insulto a cospetto del servizio offerto (cioè ZERO).
Tornare alla gestione pubblica dell'acqua deve essere un preciso diritto e dovere a cui noi dobbiamo tendere lottando con la forza di chi ha ragione.

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