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mercoledì 30 settembre 2009

Acqua, Ministro Ambiente e Storie di Migranti...

Nel silenzio generale il governo privatizza l'acqua

Dal 2012, grazie alla legge 133/08 "recante disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria" approvata ad agosto dal Parlamento la gestione del servizio idrico integrato in Italia sarà privatizzato. Da diritto acquisito, l'acqua diventa merce, prodotto commerciale soggetto alle regole del mercato

L'articolo 23bis della legge 133 favorisce "il conferimento della gestione dei servizi pubblici locali, in via ordinaria, a favore di imprenditori o di società in qualunque forma costituite individuati mediante procedure competitive ad evidenza pubblica". Ciò al fine - afferma la legge - "di favorire la più ampia diffusione dei principi di concorrenza, di libertà di stabilimento e di libera prestazione dei servizi di tutti gli operatori economici interessati alla gestione di servizi di interesse generale in ambito locale". In altre parole si spalanca la via alla privatizzazione dell'acqua, infatti il servizio idrico è stato equiparato a qualunque servizio pubblico di rilevanza economica, costringendolo alle regole della concorrenza.

Da diritto acquisito, l'acqua diventa merce, prodotto commerciale soggetto alle regole del mercato. Lo stesso sistema che solo nell'ultimo anno si è dimostrato pronto a implodere su sé stesso, con fallimenti a catena di banche e assicurazioni.
Eppure, dopo un rapido sguardo alle esperienze cosiddette "pilota" in Italia, sorgono non pochi dubbi proprio sulle garanzie di accesso al servizio.
Basta leggere l'inchiesta pubblicata il 4 dicembre 2008 dal Corriere Magazine sull'acqua privata e sui costi delle bollette, per scoprire che in città come Arezzo ed Agrigento, comuni che ha sposato il progetto di privatizzazione dell'acqua già da diversi anni, si è assistito a un processo rapido e febbrile di innalzamento vertiginoso dei costi delle tariffe (+ 300%).

Personalmente ritengo che l'art. 23 bis del ddl 133 andato ben oltre le competenze statali e l'ordinamento comunitario. La categoria dei servizi pubblici di rilevanza economica, oggetto dell'affidamento secondo la norma, è una categoria oscura e non presente nell'ordinamento comunitario. Come è noto, l'ordinamento comunitario distingue tra servizi di interesse economico-generale e servizi di interesse generale, entrambi, seppur con caratteristiche differenti, servizi pubblici essenziali, ed in quanto tali, entrambi, in relazione al nostro ordinamento, riconducibili all'art. 43 della Costituzione. Cioè riconducibili a quella norma che non è una mera norma di carattere organizzativo-funzionale, ma è una norma che contribuisce alla caratterizzazione più profonda del modello di Stato sociale; una norma che continua a riconoscere, garantire e legittimare, proprietà e gestione pubblica dei servizi pubblici essenziali, anche, laddove necessario, in regime di monopolio.

Trasformare la nozione di servizio pubblico essenziale in servizio di rilevanza economica, significa violare l'art. 43, il modello di Costituzione economica e tutte le norme ad essa raccordate in primis gli artt. 2, 3, 5 della Costituzione; significa violare la peculiarità che l'ordinamento comunitario riconosce allo status di servizio di interesse economico-generale e servizio di interesse generale, peculiarità ancor più rafforzata dopo l'approvazione del Trattato di Lisbona ed i suoi protocolli.
La norma in oggetto in questi ambiti, in questi servizi, caratterizzati da condizioni oggettive di monopolio naturale, introduce un astratto principio di concorrenza per il mercato, che significa di fatto riconoscere e favorire l'insorgere di malcelati monopoli privati. La norma non sembra assolutamente percepire e assimilare le tipologie comunitarie dei servizi di interesse economico-generale, seppur con una serie di limiti, orientati al mercato, e dei servizi di interesse generale, decisamente al di fuori delle logiche mercantili.

Mi spiego meglio: questa nuova categoria dei servizi pubblici locali di rilevanza economica tout court rientra tra i servizi pubblici essenziali? È possibile immaginare servizi pubblici che non abbiano carattere generale? Sarei portato a ritenere che ciò debba escludersi. E allora se così è, tale categoria, così come configurata, presenta evidenti difformità rispetto al quadro comunitario e statale i quali, seppur con toni differenti, pongono in posizione rilevante il ruolo dei poteri pubblici e subordinano la regola della concorrenza al prius del perseguimento degli interessi generali e al soddisfacimento del servizio universale. Si delinea dunque una duplice violazione sia del dettato comunitario, che di quello interno.

Non è un caso che il Comune di Parigi ha deciso la ripubblicizzazione dei servizi idrici. Infatti dal 1 gennaio 2010 un Ente di diritto pubblico, nel cui comitato di gestione siederanno anche i rappresentanti dei lavoratori e degli utenti, gestirà l'intero ciclo dell'acqua della capitale francese. Nel 1985 le multinazionali Suez e Veolia si erano accaparrate la gestione delle acque parigine con la complicità di Chirac Sono stati vent'anni di abusi, prezzi "gonfiati" e casi talora clamorosi di corruzione. Per contro, non ci sono stati cambiamenti di rilievo sotto il profilo della qualità dei servizi.
Anche a Parigi, come da noi, la gestione privata ha portato con sé una serie di effetti collaterali dovuti alla mancanza di concorrenzialità. In Francia tre quarti della gestione delle acque è oggi in mano ai privati, ma la speranza è che, sul modello parigino, il ruolo pubblico torni ad essere prevalente anche nelle altre zone del Paese.

Nella primavera del 2007 più di quattrocentocinquantamila mila firme furono raccolte a sostegno della legge d'iniziativa popolare che vede come primo punto il riconoscimento dell'acqua come "diritto inalienabile ed inviolabile della persona". Ma la sensazione forte è che la straordinaria raccolta firme sia già stata oscurata. Con un semplice colpo di spugna. Seguendo il manuale del "buon governo" che approva leggi impopolari e antidemocratiche proprio quando imperversa l'afa estiva e l'attenzione della stampa è rivolta altrove.

Il 2010 si candida quindi ad essere l'anno della svolta, ed è incredibile pensare come la Francia e l'Italia prenderanno direzioni cosi diverse in merito ad un bene fondamentale come l'acqua. Da una parte abbandonando una lunga privatizzazione e dall'altro si inaugurando una stagione di privatizzazione diffusa, che già negli esperimenti locali si è dimostrata allo stato attuale fallimentare e onerosa per gli utenti.

E' necessario una forte opposizione sia istituzionale, a partire dai ricorsi di incostituzionalità che le Regioni e gli enti locali debbono presentare, sia sociale al dispositivo della legge 133, affinché in Italia si costruisca la strada della promozione di una società mirante alla garanzia dei principi di uguaglianza nei diritti, di giustizia sociale, di solidarietà e di un vivere insieme fondato sul rispetto e la salvaguardia dei beni comuni

http://www.aprileonline.info/notizia.php?id=12958





Migranti scacciati e schiacciati

di Luigi Nervo

Una dura accusa alla politica dei respingimenti adottata dall'Italia insieme alla Libia giunge dal rapporto "Scacciati e schiacciati" dell'associazione Human Rights Watch. "Nel maggio del 2009 - esordisce il dossier - per la prima volta dopo la Seconda Guerra Mondiale, uno stato europeo ha ordinato alla sua guardia costiera e alle sue navi militari di intercettare e ricacciare indietro con la forza le barche dei migranti in mare aperto senza fare un'analisi che potesse determinare se i passeggeri avessero bisogno di protezione o fossero particolarmente vulnerabili".

Questo documento vuole mostrare come vengono trattati i migranti che dalla Libia cercano di raggiungere l'Italia, prima respinti con la violenza e poi maltrattati in Libia. Le informazioni provengono da 91 interviste con migranti, richiedenti asilo e rifugiati in Italia e a Malta condotte principalmente nel maggio 2009. Secondo Bill Frelick, direttore delle politiche per rifugiati ad Human Rights Watch "la realtà è che l'Italia sta rimandando questi individui incontro ad abusi: i migranti che sono stati detenuti in Libia riferiscono, categoricamente, di trattamenti brutali, condizioni di sovraffollamento ed igiene precaria". Il rapporto punta il dito soprattutto contro la violazione del governo italiano del regolamento internazionale che vieta il refouling, cioè il rinvio di individui con la forza verso luoghi dove la loro vita o libertà è minacciata o dove rischierebbero la tortura o un trattamento inumano o degradante.

Inoltre, lo scopo del rapporto è anche quello di mostrare come i migranti rispediti in Libia siano veramente in pericolo e subiscano atroci torture e maltrattamenti. E nessuno vede o sente quanto accade poiché l'accesso a questi nuovi campi di concentramento è vietato e neanche gli uomini di Human Rights Watch sono riusciti ad ottenere i permessi. Tuttavia, nel rapporto sono presenti le testimonianze di chi è stato all'interno di questi luoghi, tra le quali quella di un nigeriano che per non essere riconosciuto si fa chiamare Pastor Paul. "Eravamo in una barca di legno e dei libici in uno Zodiac iniziarono a spararci - dichiara a HRW - Ci dissero di tornare a riva. Continuarono a spararci finché presero il nostro motore. Una persona fu colpita a morte. Non so chi ci sparò, ma erano civili, non in uniforme. In seguito arrivò una nave della Marina libica, ci raggiunsero e iniziarono a picchiarci. Si presero i nostri soldi e telefoni cellulari. Credo che quelli del gommone Zodiac lavorassero insieme alla Marina libica. La Marina libica ci riportò indietro con la loro grande nave e ci spedirono al campo di deportazione di Bin Gashir. Quando arrivammo lì iniziarono subito a picchiare sia me che gli altri. Alcuni dei ragazzi furono picchiati al punto da non poter più camminare". Questa e altre testimonianze molto crude disegnano il quadro di cosa attende questi migranti che con grande orgoglio di alcuni ministri vengono respinti nel paese di un crudele dittatore alleato dell'Italia.

Infine rimane un accorato appello di Frelick: "la clausola sui diritti umani nel prossimo accordo quadro tra Ue e Libia, così come qualunque altro accordo da esso derivante, dovrebbe includere un riferimento esplicito ai diritti dei richiedenti asilo e dei migranti come prerequisito per qualsiasi cooperazione nei piani di controllo sulla migrazione".

http://www.nuovasocieta.it/attualita/2406-ln.html

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