Quickribbon

giovedì 21 agosto 2008

Chi ha paura, muore due volte

Giovanni Falcone è il più noto tra i magistrati che hanno perso la vita nella guerra contro la mafia: Il Maratona dei giudici, secondo la definizione di un noto mafioso; un “servitore dello Stato,” secondo la definizione che Falcone dava di se stesso.
Un grande merito di Falcone è stato quello di saper sfruttate la disponibilità a collaborare con la giustizia di alcuni mafiosi (i cosiddetti pentiti). Infatti è stato grazie alle confessioni dei mafiosi pentiti che i giudici del pool antimafia (oltre a Falcone, Paolo Borsellino, Leonardo Guarnetta e Giuseppe Di Lello), guidati da Antonino Caponetto, sono riusciti a far processare ben 474 imputati.
Questo grande processo (noto appunto come maxi-processo) è iniziato il 10 febbraio del 1986 ed è terminato il 16 dicembre del 1987 con una sentenza che dava ragione ai giudici: gli imputati furono condannati complessivamente a 2665 anni di carcere, 19 ergastoli e 11 miliardi e mezzo di multa.
Si è trattato di una vittoria storica della giustizia perché dimostrava che lo Stato poteva sconfiggere Cosa Nostra; che anche i capi della mafia potevano essere arrestati e processati.
Per capire l’importanza di questo risultato dobbiamo ricordare che quando Buscetta decise di parlare non era la prima volta che la segretezza di Cosa Nostra veniva rotta.
Un caso clamoroso, per esempio, si era verificato nel 1973.
Il 30 marzo, Leonardo Vitale si era presentato alla questura di Palermo dichiarando di far parte di Cosa Nostra. Denunciò i mafiosi che conosceva e descrisse il funzionamento della “famiglia” di cui faceva parte. Venne dichiarato pazzo perché furono corrotti i giudici dalla stessa “famiglia” e rinchiuso in manicomio. Ne uscì nel 1984 per essere assassinato dal killer della mafia.
Il maxi-processo fu solo una prima vittoria. Negli anni successivi vennero altri arresti e altre condanne ma la reazione di Cosa Nostra è stata violentissima.
Lo stesso Falcone è rimasto vittima il 23 maggio 1992 di un attentato (strage di capaci): con una tremenda esplosione i mafiosi hanno fatto saltare un tratto dell’autostrada Palermo-Punta Raisi, causando la morte del giudice, di sua moglie e di tre agenti di scorta.
Pochi mesi più tardi, il 19 luglio un autobomba causò la morte di Paolo Borsellino, collega e amico di Falcone, e di cinque agenti di scorta.
Questi attentati non hanno fermato l’azione dello Stato che ha ottenuto altri importanti risultati. Meritano in particolare di essere ricordati:
- l’arresto di Totò Riina (15 gennaio 1993), il capo di Cosa Nostra che era ricercato da 23 anni;
- l’arresto di Giovanni Brusca (20 maggio 1996), un killer spietato accusato di aver partecipato all’assassinio di Falcone e Borsellino.

LO STATO E LA MAFIA:
La forza di Cosa Nostra è strettamente collegata alle debolezza con cui lo Stato fa valere la sua sovranità. E’ la debolezza dello Stato che ha consentito al mafioso di svolgere una specie di ruolo pubblico.
Ce ne parla Buscetta. Dalle sue parole emerge il ritratto di un mafioso a cui la gente si rivolge per ottenere la soluzione di problemi che non pensa possano essere risolti dall’autorità pubblica; di un mafioso temuto dalla gente, che tuttavia si piega perché non ha fiducia nell’azione di polizia dello Stato.
Ma perché la mafia è diventata così potente? Anche perché gli uomini di governo ne hanno sottovalutato la pericolosità e in qualche caso l’hanno utilizzata per i loro fini: magari per garantirsi la rielezione come racconta Calderone.
In effetti le indagini della magistratura hanno in qualche caso dimostrato l’esistenza di complicità tra rappresentanti dello Stato e Cosa Nostra. Un sospetto così grave è giunto a riguardare anche uno dei massimi rappresentanti della vita politica italiana: Giulio Andreotti.
Il 27 marzo 1993, infatti, la Procura di Palermo ha chiesto al Parlamento l’autorizzazione a procedere contro Andreotti, che era accusato da alcuni mafiosi di aver avuto rapporti con Cosa Nostra.
Andreotti si è proclamato innocente e ha chiesto di essere rapidamente giudicato. In realtà il processo si è trascinato per ben sette anni e si è concluso nel 2000 con il riconoscimento dell’innocenza di Andreotti.

BUSCETTA: Il mafioso come autorità pubblica
Fino all’inizio degli anni Sessanta eravamo vere e proprie autorità pubbliche. Facevamo rispettare i contratti e le leggi. Chi si riteneva danneggiato in un qualche suo interesse si rivolgeva a noi invece che alla polizia o ai tribunali.
L’uomo d’onore – si trattasse di un carico di merce non pagata, di un prestito non restituito, di un furto o di una truffa – risolveva una controversia nel giro di poche settimane invece che in parecchi anni – o addirittura mai -; e questo era dovuto al fatto di possedere, in primo luogo, le informazioni giuste. Se un soldato o il capodecina di una certa famiglia ricevevano l’incarico di rintracciare gli autori di un furto di un’automobile, sapevano già a chi rivolgersi. Conoscevano i ladri e i ricattatori di quel dato rione e si davano da fare per recuperare l’automobile.
Il mafioso non chiedeva un compenso, né tratteneva una percentuale sul valore dei beni recuperati.
L’individuo che aveva ricevuto il favore gli sarebbe rimasto grato e obbligato x il futuro. All’uomo d’onore non sarebbero mancate le occasioni di chiedere a sua volta un piacere alla persona beneficata.
Negli anni Ottanta il potere dell’uomo d’onore si è basato sulla forza. Ma all’epoca di cui stiamo parlando si fondava sulla sua capacità di servire la gente, sulla sua reputazione di persona capace di “aggiustare”le situazioni degli altri e di intercedere in loro favore anche presso i poteri pubblici. All’inizio degli anni Sessanta ero noto a Palermo come una persona alla cui porta si poteva bussare tranquillamente per chiedere aiuto nella soluzione di una lite, nella ricerca di un impegno, per ottenere la concessione di una licenza. A un certo punto per me era diventato quasi un problema uscire di casa la mattina: trovavo decine di persone ad aspettarmi fuori dall’uscio. C’è stato perfino qualche poliziotto che è venuto da me a chiedermi il piacere di fargli ottenere l’appartamento in una casa popolare.

FALCONE: Lo Stato contro la mafia
Le leggi non servono se non sono sorrette da una forte e precisa volontà politica, se non sono in grado di funzionare per carenza di strutture adeguate e soprattutto se le strutture non sono dotate di uomini professionalmente qualificati.
Solo il rigore professionale di magistrati e investigatori darà alla mafia la misura che la Sicilia non è più il cortile di casa sua e quindi servirà a smontare l’insolenze e l’arroganza del mafioso che non si inchina all’autorità dello Stato. Posso affermare che il maggior risultato raggiunto dalle indagini condotte a Palermo negli ultimi dieci anni consiste proprio in questo: avere privato la mafia della sua fama di impunità e di invincibilità. Anche quando i condannati al maxi-processo verranno rimessi in libertà, rimarrà comunque acquisito un risultato, che la mafia può essere trascinata in tribunale e che i suoi capi possono essere condannati. Noi del pool antimafia abbiamo vissuto come forzati: sveglia all’alba per studiare i dossier prima di andare in tribunale, ritorno a casa a tarda sera. Nel 1985 io e Paolo Borsellino siamo andati in “vacanza”in una prigione del maxi-processo. Professionalità nella lotta alla mafia significa anche avere la consapevolezza che le indagini non possono essere monopolio di un’unica persona, ma frutto di un lavoro di gruppo. L’eccesso di personalizzazione è il pericolo maggiore delle forze antimafia, dopo la sottovalutazione dei rischi.
Si muore generalmente perché si è soli o perché si è entrati in un gioco troppo grande. Si muore spesso perché non si dispone delle necessarie alleanze, perché si è privi di sostegno. In Sicilia la mafia colpisce i servitori dello Stato che lo Stato non è riuscito a proteggere.

CALDERONE: I politici
Al di sopra di Cosa Nostra non c’è nessuno. Non esiste un terzo livello che ci dà ordini. Sono sicuro di questo. Cosa Nostra è autonoma. Sono i mafiosi, semmai, che danno ordini agli uomini politici. Quando ero in Sicilia c’èrano tantissimi uomini politici coinvolti nella mafia. Deputati, assessori, consiglieri regionali che venivano aiutati dai mafiosi, che chiedevano favori impegnativi, pesanti, agli uomini d’onore.
Normalmente i mafiosi li facevano questi favori, ma potevano anche dire di no senza che succedesse niente. Ma quando erano i mafiosi a chiedere un favore agli uomini politici non c’èra scelta: loro dovevano fare quello che veniva chiesto. Non potevano dire di no, o trovare delle scuse.
Gli uomini politici sono sempre venuti a cercarci perché disponiamo di tanti, tantissimi voti. Per avere un’idea di quanto conti la mafia nelle elezioni basta pensare alla famiglia di Santa Maria del Gesù, una famiglia di 200 elementi validi: una forza d’urto terrificante, soprattutto se si tiene presente che ogni uomo d’onore, tra amici e parenti, può disporre di altre 40-50 persone. Gli uomini d’onore in provincia di Palermo sono tra i 1500 e 2000. moltiplicate per 50 e otterrete un bel pacco di 75-100.000 voti da orientare verso partiti e candidati amici.

Guardate, ascoltate, leggete con attenzione questi video: Paolo Borsellino.


2 commenti:

Luca Viscje Brasil ha detto...

Bravo Calogero, bello il post sulla mafia.
In generale bello tutto il blog. L'ho trovato "accogliente" con questa musica di pianoforte..

Un saluto.
Luca

Calogero Parlapiano ha detto...

Ciao Luca, grazie per i complimenti e per il commento.
La mafia non è morta, è appena assopita: teniamo tutti alta la guardia!
spero continuerai a seguirmi. buona serata.
Calogero.