La duplice finalità di questo progetto è:- dare il meritato spazio a tutti coloro che amano Sciacca e lo dimostrano attraverso i propri scatti fotografici e i video (anche se amatoriali, visto che trattasi di passione e non di professione) che altrimenti non avrebbero la giusta visibilità.- far conoscere ed apprezzare Sciacca attraverso la fotografia dilettantistica che possa stimolare la scoperta dei luoghi più caratteristici della nostra città attraverso la visita virtuale e reale seguendo la logica del riprodurre ciò che si è visto.
domenica 31 agosto 2008
Parte SCIACCAVISTADANOI - Non mancate
La duplice finalità di questo progetto è:- dare il meritato spazio a tutti coloro che amano Sciacca e lo dimostrano attraverso i propri scatti fotografici e i video (anche se amatoriali, visto che trattasi di passione e non di professione) che altrimenti non avrebbero la giusta visibilità.- far conoscere ed apprezzare Sciacca attraverso la fotografia dilettantistica che possa stimolare la scoperta dei luoghi più caratteristici della nostra città attraverso la visita virtuale e reale seguendo la logica del riprodurre ciò che si è visto.
sabato 30 agosto 2008
Ciò che abbiamo dentro ci renderà liberi.
Cosa significa per me? Cosa significa per voi?
Tempo fa un tale mi disse: "Non avere paura di quello che fai ma di quello che non fai"... Penso che le cose volendo potrebbero essere anche correlate... molte persone si rifiutano di esprimere le proprie emozioni, di esprimere le proprie qualità, pensano di dover rendere conto a qualcuno, pensano che il giudizio degli altri sia più importante del loro, temono gli altri, il loro sguardo, la loro opinione... ed io? e noi?
Riusciremo a far volare ciò che abbiamo dentro? Riusciremo a non rimanere troppo a terra?
Perchè non amare? Perchè temere? Perchè avere paura di dare sfogo alle proprie qualità?
Il tempo alle volte dà risposte che noi neanche pensavamo di poter ricevere, il tempo passa e noi preferiamo voltarci dall'altra parte, siamo così terrorizzati dal tempo che passa da non riuscire a vivere ogni istante intensamente, da non riuscire a credere nella vita, da non riuscire a vivere...
E alla fine dei conti poi cosa resta? Perchè privarsi della vita, del cuore, dell'anima in nome del comune modo di fare? In nome di una "morale" che si espande come una lebbra di corpo in corpo senza essere mai la nostra? Cosa rimane?
Dovremmo volare attraverso i nostri sogni, dovremmo crescere cullati dalle nostre emozioni mentre la vita di tutti i giorni ci fa il solletico e scorre senza ferirci... e invece? quanti pensieri? quanti scontri con i giorni di tutti i giorni... "e come tutte le più belle cose, vivesti solo un giorno come le rose..." cantava Fabrizio De Andrè nella "Canzone di Marinella"... pensate: come tutte le più belle cose... vivere davvero, anche solo per un giorno, ma vivere, essere ricordati, lasciare un segno del nostro passaggio, solo un giorno ma che spettacolo....
illusioni direte voi.... forse pazzia? forse speranza? forse consapevolezza di attribuire ad ogni cosa il giusto valore... forse consapevolezza che amare è la risposta, che amare rende liberi, che affannarsi a non-amare rende superbi, che fare finta di non-amare o di non-amare più rende soli e che ce ne facciamo di un viaggio se non abbiamo nessuno con cui condividerlo.... possiamo anche partire o tornare da soli ma il frammezzo deve essere vissuto insieme a qualcuno a cui dare qualcosa e da cui prendere qualcosa così da rimanere per sempre legati nell'eterna danza del tempo e della vita.... ma è questo a cui tendiamo? è questo che vogliamo davvero? O l'omologazione? Il vuoto? L'assenza di un sorriso poichè sognare non si può, amare nemmeno, nè credere in qualcuno? Prima il successo? prima la carriera? prima la laurea? prima essere come tu mi vuoi? prima essere uguale per non essere escluso?
Prima c'è la vita.... solo allora non avremo più paura di essere quello che siamo, di vivere secondo quello per il quale siamo nati, solo allora faremo volare ciò che abbiamo dentro e non resteremo troppo a terra, solo allora.... forse... guarderemo in tanti, troppi, dall'alto e saremo Vivi ma soli... e saremo vivi nell'attesa che qualcuno dispieghi finalmente le sue ali e ci raggiunga, accanto, insieme, nel blu.
venerdì 29 agosto 2008
Conclusione delle Olimpiadi di Pechino: tra sport e politica internazionale
Cammarelle Roberto Boxe91 kg + 24 Agosto
Pellegrini Federica Nuoto 200 stile libero 13 Agosto
Quintavalle Giulia Judo 57 kg 11 Agosto
Schwazer Alex Atletica 50 km. di marcia 22 Agosto
Tagliariol Matteo Scherma Spada 10 Agosto
Vezzali Valentina Scherma Fioretto 11 Agosto
Filippi Alessia Nuoto 800 stile libero 16 Agosto
Idem Josefa Canottaggio K1 500 23 Agosto
Italia Canottaggio Quattro di coppia 17 Agosto
Italia Tiro con l'arco Squadre 11 Agosto
Pellielo Giovanni Tiro a Volo Trap 10 Agosto
Rebellin David Ciclismo Strada 9 Agosto
Russo Clemente Pugilato 91 kg 23 Agosto
Sarmiento Mauro Taekwondo 80 kg. 22 Agosto
Sensini Alessandra VelaRS:X 20 Agosto
Granbassi Margherita Scherma Fioretto 11 Agosto
Guderzo Tatiana Ciclismo Strada 10 Agosto
Italia Scherma Spada a squadre 15 Agosto
Italia Scherma Fioretto a squadre 16 Agosto
Italia Scherma Sciabola a squadre 17 Agosto
Picardi Vincenzo Boxe Peso mosca 22 Agosto
Rigaudo Elisa Atletica 20 Km marcia 21 Agosto
Romero Diego Vela Laser 19 Agosto
Sanzo Salvatore Scherma Fioretto 13 Agosto
Quando si parla di diritti umani in Cina si fa riferimento sempre e solo alla cosiddetta questione tibetana. Con l'approssimarsi dell'appuntamento olimpico le testate giornalistiche di tutto il mondo, le televisioni, i siti web, hanno fatto a gara per informarci sull'intollerabile stato della libertà religiosa e politica della Provincia Autonoma del Tibet. Provincia Autonoma è uno spassoso esempio dell'involontario umorismo di ogni regime autoritario: Repubblica Democratica Tedesca, Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche, i centri di rieducazione, facciamo la guerra per fare la pace, vogliamo il benessere del popolo sovrano. Ci sarebbe da ridere, solo che c'è sempre qualche milioncino di morti a ricordarci che no, non sta proprio bene sogghignare.
La Provincia Autonoma del Tibet è una provincia dal 1949, da quando cioè le sgangherate truppe di Mao invasero quello che era uno stato sovrano. Sul momento i tibetani non furono poi così scontenti, visto che erano governati come un feudo medievale da una cricca di sanguisughe in abito monastico. Ma siccome, si sa, al peggio non c'è mai fine, con la Rivoluzione Culturale, Libretto Rosso in una mano e mitra nell'altra, i cinesi decisero che la libertà religiosa non era poi così importante, e con furia iconoclasta degna di miglior causa decisero di radere al suolo qualche migliaia di monasteri. Morale della favola: le magnifiche sorti e progressive del sol dell'avvenire maoista necessitavano di un controllo ferreo sui turbolenti tibetani. Un controllo che non è affatto scemato, in una regione che a Pechino considerano fondamentale ancor più dopo il 1962, anno della guerra di posizione tra Cina ed India. La questione è talmente importante per i cinesi ed il Partito Comunista che la stella dell'attuale Presidente Hu Jintao ha acquisito fulgidezza con la feroce repressione manu militari dell'ultima rivolta tibetana nel 1989.
Proprio ieri, 21 agosto, il Dalai Lama per mezzo di Le Monde ci ha informato che la repressione del dissenso in Tibet continua, con determinazione e ferocia. La polizia avrebbe sparato contro la folla inerme, causando 140 morti. Altro che riavvicinamento tra Pechino e Dharamsala, trattative per l'autonomia e sciocchezze varie propinate da Hu Jintao ai falsamente creduloni leader occidentali. La Cina continua nella sua politica, imperterrita e senza tentennamenti. L'obiettivo è quello di diluire a tal punto la cultura indigena, con una massiccia iniezione di cinesi Han, che tra qualche anno il problema sarà semplicente esaurito per un mero dato demografico.
Torniamo però al quesito di partenza. Davvero ci interessano i diritti umani in Cina? Oppure ci interessa solo la questione tibetana e la repressione della religiosità buddhista? I dirigenti di Pechino stanno compiendo la medesima operazione nello Xianyang, da qualche anno si stanno peritando di sradicare la setta Falun Gong e certo non si può dire che i cattolici abbiano vita semplice. E allora perché? Difficile trovare una risposta. Ad essere cinici si potrebbe dire che il buddhismo è molto cool, che ha fatto più bene Richard Gere alla causa tibetana di quanto bene abbia fatto il buddhismo a Richard Gere che non azzecca un film da Pretty Woman. Che il Dalai Lama fa molto Gandhi vestito meglio. Dei diritti dei musulmani non è che poi ci interessi tanto. E, anche se non è politically correct dirlo, dall'11 settembre ci stanno anche un pò anticipatici. Falun Gong è una setta talmente strana che al confronto Scientology pare un culto per persone assennate. I cattolici, poi, sono decisamente out: ma come, l'Occidente brama la spiritualità orientale e voi v'attaccate alle sottane di Benedetto XVI?
Insomma: libertà per il Tibet, ma anche libertà per la Cina. (da beijing2008.it)
giovedì 28 agosto 2008
Reparto di Oncologia di Sciacca: quale destino?
Il Dirigente e medico di ruolo dott. Franco Verderame, cui va la nostra più totale solidarietà ed ammirazione per le proprie capacità umane e mediche, opera in maniera egregia in questo contesto, ma coadiuvato da altri tre medici la cui condizione contrattuale non è per nulla stabile ed assistito da soli due infermieri, motivi per i quali si rischia presto il collasso.
La piccola struttura, messa in piedi dal dottore Verderame, in pochi anni è divenuta punto di riferimento essenziale nel territorio, è riuscita a soddisfare le esigenze di migliaia di malati, ma non ha mai finora potuto trasformarsi in un organizzazione operativa con dei posti letto propri, anche a causa della mancanza di sensibilità in merito della Regione Sicilia rimasta sorda e muta agli appelli del nostro dirigente.
In un territorio nel quale, purtroppo, la domanda per questo tipo di cure mediche è incessante, perdere il reparto di oncologia sarebbe un dramma tanto per i malati, già obbligati a recarsi a Palermo o Castelvetrano per ricevere le importanti somministrazioni chemioterapiche, quanto per le famiglie, costrette a vivere un dramma e ad affrontarlo di giorno in giorno senza notizie precise.
In questa situazione di incresciosa incertezza, si colloca anche la vicenda della cosiddetta “camera bianca”, ambiente necessario alla preparazione dei farmaci chemioterapici senza i quali le cure non possono avere luogo. La stanza è stata debitamente finanziata (circa quattro anni fa) ma i lavori non sono stati ancora ultimati, anzi si sono stranamente bloccati nonostante i nuovi finanziamenti. Del resto a Sciacca siamo abituati così: annunciare che una cosa è cominciata o si ha l’intenzione di cominciarla equivale a dire, erroneamente, che già c’è, esiste, è stata ultimata. In realtà molto spesso accade che dopo gli annunci festosi, giunge il tempo del silenzio, la questione scompare dalla bocca di tutti e, se non c’è una persona direttamente coinvolta che si interessa di seguire sino al termine il compimento dell’opera, quest’ultima non vedrà mai la luce.
Ad ogni modo, anche nell’ipotesi che la “camera bianca” dovesse essere completata, si ripresenterebbe il problema del personale, ossia della mancanza di addetti preposti alla realizzazione delle somministrazioni.
E’ una vicenda complessa da cui è difficile, ma obbligatorio uscire.
Del resto, ricordiamo bene la riunione del 13 Aprile 2007 che era stata indetta dal sindaco di Sciacca Mario Turturici per affrontare questo problema e alla quale avevano partecipato anche il Direttore dell’azienda ospedaliera Marano, diversi consiglieri comunali, oltre al medico-dirigente Verderame. A distanza di sedici mesi ci ritroviamo ancora qua a discutere della stessa vicenda, a parlare di quello che si potrebbe fare e non si può o non si vuole fare, ad elencare le promesse disattese, a discutere di quale sarà il destino che il futuro riserverà al nostro reparto di oncologia. Infine, oltre al danno la beffa, in quanto spesso a Sciacca determinate medicine non sono più reperibili e le famiglie dei nostri malati sono obbligate a recarsi a Ribera o addirittura ad Agrigento per potersele procurare. Altri viaggi, altri crudeli disagi.
(in collaborazione con Giuseppe Piazza, foto ed immagini Stefano Siracusa e Matteo Mangiacavallo)
mercoledì 27 agosto 2008
Saccensi Illustri: Cataldo Amodei
Cataldo Vito Amodei (o Amodeo) nacque a Sciacca da Gaspare ed Antonina, la data è alquanto incerta ma il suo battesimo è registrato per il 6 maggio 1649.
Fin da tenera età si accostò all’arte della musica, era cantore nelle chiese più in vista della città, suonava zufoli che lui stesso costruiva ed era conteso dai migliori salotti della nobiltà saccense.
Trasferitosi a Napoli ormai ventenne per poter affinarsi nell’arte musicale, si inserì bene nel frizzante mondo artistico e musicale partenopeo ma decise al contempo di prendere gli ordini religiosi presso i teatini.
La sua carriera è un crescendo di incarichi importanti: fu maestro di cappella a San Paolo dei teatini, poi dal 1681 al 1687 fu docente stimato e conosciuto presso il conservatorio di Sant’Onofrio ed, alla fine di quell’anno, fu nominato maestro di cappella presso il conservatorio di Santa Maria di Loreto.
Uno degli obblighi del maestro di cappella, oltre a quello di seguire ed istruire gli studenti, era quello di produrre brani didattici e musica sacra, soprattutto musica corale e mottetti, altrimenti la direzione del prestigioso conservatorio comminava multe salatissime per l’epoca. L’impegno in questo conservatorio era dunque alquanto gravoso e dopo due anni decise di licenziarsi anche perché, a causa della sua salute cagionevole, non riusciva a tenere questi ritmi didattico-artistici.
Morì nel 1695 e tutti nell’ambiente napoletano salutarono la scomparsa di un musicista capace, uno dei più importanti della città.
Cataldo Amodei lasciò una vasta produzione di musica, soprattutto sacra, mottetti, oratori, composizioni liturgiche, cantate ma anche cantate profane dove riesce a far aderire con maestria la musica al testo poetico.
Non tutte le sue opere vennero pubblicate, tra queste le più importanti sono la serenata “La sirena consolatrice” e le Cantate del 1685 (tredici brani) le quali presentano una particolarità: le partiture furono pubblicate a stampa, cosa assolutamente non abituale a quel tempo in quanto la trasmissione avveniva sempre attraverso il semplice manoscritto autografo dell’autore.
Le sue opere sono state interpretate da importanti musicisti e cantori, ulteriore testimonianza esemplificativa del fatto che Cataldo Amodei rappresenti di sicuro un altro dei grandi artisti a cui la nostra città di Sciacca ha dato i natali.
Calogero Parlapiano
Riferimenti bibliografici:
“Musiche rinascimentali siciliane, Cataldo Amodei: Cantate a voce sola 1685” – a cura di Giuseppe Collisani;
www.svil.radio.rai.it/filodiffusione/auditorium ;
http://www.cd.melon.com/ .
martedì 26 agosto 2008
NON LI AVETE UCCISI, LE LORO IDEE CAMMINANO SULLE NOSTRE GAMBE
LA FAMIGLIA MAFIOSA:
La famiglia è mediamente composta da una cinquantina di membri. Ma talora giunge a contarne 200/300; controlla un proprio territorio entro cui nulla può avvenire senza il consenso del capo.
I capofamiglia di una provincia eleggono il rappresentante provinciale, a Palermo le funzioni di coordinamento provinciale sono svolte dalla Commissione o Cupola, costituita da tutti i capimandamento (cioè i rappresentanti di tre famiglie). I rappresentanti provinciali e un delegato della Cupola compongono la Commissione Regionale.
L’OMERTA’:
I membri ci Cosa Nostra sono obbligati a rispettare la regola dell’omertà: essi cioè devono mantenere il silenzio su tutto ciò che sanno perché la segretezza è fondamentale per la sicurezza dell’organizzazione.
Naturalmente la regola dell’omertà va rispettata soprattutto nei confronti della polizia, a cui il mafioso non può rivolgersi in nessun caso. Ma vale addirittura, verso gli altri mafiosi, come emerge dal racconto di Buscetta.
I mafiosi così finiscono per parlare un linguaggio particolare, essenziale e ricco di allusioni, e il magistrato deve imparare ad interpretarlo, come ci spiega Falcone.
BUESCETTA: il linguaggio omertoso
Gli uomini d’onore molto difficilmente sono loquaci. Parlano una loro lingua, fatta di discorsi molto sintetici, di brevi espressioni che condensano lunghi discorsi. L’interlocutore, se è bravo o se è anche lui uomo d’onore, capisce esattamente cosa vuole dire l’altro. Il linguaggio omertoso si basa sull’essenza delle cose. I particolari, i dettagli non interessano, non piacciono all’uomo d’onore.
Ho insistito molto con il giudice Falcone su questo punto. Cosa Nostra è il regno dei discorsi incompleti. Nell’ambiente mafioso le domande non sono ben viste.
FALCONE: messaggi mafiosi
Quando nel 1986 interrogo Michele Greco, per prima cosa mi paragona a Maratona “invincibile sul campo, salvo quando gli fanno lo sgambetto,” per farmi capire che ha i mezzi per farmi eliminare.
Quindi mi dice di essere stato amico al procuratore generale di Palermo Emanuele Pili, un magistrato molto discusso per i metodi scorretti usati al tempo dell’uccisione del bandito Salvatore Giuliano. Che intende dire Michele Greco?
Secondo me: “Attento, sono un uomo potente, tratto con gente ad di sopra di te, ho buoni rapporti con il potere e tu, tu non sei nessuno..”
I messaggi di Cosa Nostra diretti al di fuori dell’organizzazione – informazioni, intimidazioni, avvertimenti – mutano stile in funzione del risultato che si vuole ottenere. Si va dalla bomba a sorrisetto ironico accompagnato dalla frase: “Lei lavora troppo, fa male alla salute, dovrebbe riposare,” oppure: “Lei fa un mestiere pericoloso; io al suo posto, la scorta me la porterei pure al gabinetto”
- due frasi che mi sono state rivolte direttamente. Le cartoline e lettere decorate con disegni di bare o con l’eventuale data di morte accanto a quella di nascita, e i pacchetti con proiettili sono riservati generalmente ai novelli, per sondare il terreno.
LA SERA CHE ENTRAI IN COSA NOSTRA:
Una sera mi portarono in un paesino alle falde dell’Etna.
In macchina c’erano mio fratello Pippo, un altro mio zio acquisito di Pippo,
Peppino Indelicato.
Ci fermammo nel cortile di una villetta. Il proprietario era un membro della famiglia mafiosa, ovviamente.
Dentro questa villetta incontrai molte persone che avevo già visto.
E c’eravamo poi noi ragazzi, otto in tutto.
A un certo punto usci lo zio Peppino Indelicato che ci ordinò:
“Voialtri ragazzi mettetevi là”indicandoci un lato del salone.
“Cari giovanotti siamo qui perché stasera vi dobbiamo fare un bel regalo. Stasera vi facciamo diventare... La conoscete voi la mafia?
Ma guardate che la mafia vera non è la stessa mafia di cui parlano gli altri. Questa è Cosa Nostra!.” Lo disse alzando la voce, come un annuncio ufficiale.
“Ora ci sono le regole. Per prima cosa dovunque si trovi un uomo d’onore latitante, egli deve ricordarsi che un altro uomo d’onore ha il dovere di ospitarlo e di tenerlo anche in casa se necessario.
Ma guai a chi guarda la figlia o la moglie di qualcuno. Se lo fa è un uomo morto.
“Secondo. Qualunque cosa possa accadere, non bisogna mai andare dagli sbirri, non bisogna mai fare denuncia.Perché chi lo fa deve essere ucciso.
“Terzo, è proibito rubare.”
A questo punto Natale Ercolano si alzò in piedi e gridò: “Alt! Fermate tutto! Io non ci sto! Non sono d’accordo!.”
Ercolano faceva il ladro. Rubava sempre. Altrimenti, poverino, come avrebbe fatto a campare?
Zio Peppino Indelicato sorrise divertito. “Siediti tu! Stai buono, che poi ti spiego com’è che non si ruba.” Lo zio Peppino proseguì con la spiegazione degli altri comandamenti. Occorreva evitare i litigi con gli altri uomini d’onore, mantenere il silenzio su Cosa Nostra con gli estranei, comportarsi con serietà evitando spacconate ed esibizioni, nonché evitare in modo tassativo di presentarsi da soli ad altri uomini d’onore.
Dopo la spiegazione delle regole, il rappresentate fece una pausa e disse: “Adesso sapete di cosa si tratta. Allora ci volete stare o no dentro questa Cosa Nostra? Se non ci volete stare siete ancora in tempo. Ve ne potete andare anche se ci avete conosciuti. Non vi succederà niente. Se decidete di entrare, dovete tenere bene in testa una cosa: col sangue si entra e col sangue si esce da Cosa Nostra! Non si può uscire, non ci sono dimissioni da Cosa Nostra. Lo vedrete da voi, tra poco come si entra col sangue. E se uscite, uscite col sangue perché vi ammazzano. Non potete andare via, non potete tradire Cosa Nostra, perché è al di sopra di tutto. Viene prima di vostro padre e di vostra madre. E di vostra moglie e dei vostri figli.”
Il discorso del rappresentante proseguì a lungo. Intervennero pure Pippo e gli altri uomini d’onore anziani che precisarono dei concetti, fecero esempi, chiarirono dei problemi.
“Natale, cerca di intendermi bene. Non è che tu non possa mai rubare. Certo, è meglio se tu non rubi, perché questa è una regola di Cosa Nostra. Ma bisogna saperle capire le regole. Insomma, tu devi vivere, e se devi rubare per vivere, allora lo puoi fare. Ma stai attento a chi rubi. Devi sempre sapere a chi stai andando a rubare. A un uomo d’onore non puoi rubare, e neppure ai suoi parenti. A tutti gli altri, sì.”
Lo zio Peppino continuò dicendo: “Adesso ciascuno di voi si scelga un padrino.” Come d’abitudine, il padrino che uno si sceglie e la persona che lo ha seguito, lo ha “curato” in vista dell’ingresso in Cosa Nostra. E’ un uomo d’onore che si è preso la responsabilità di presentare il candidato alla famiglia. Nel mio caso, era lo stesso zio Peppino che mi aveva “portato”, e quindi scelsi lui come padrino.
A questo punto lo zio Peppino prese un ago, uno spillone e mi chiese: “Con quale mano spari?”. “Con questa”risposi.
Mi bucò allora un dito, e fece sgorgare un po’ di sangue facendolo cadere sopra un’immaginetta sacra. La guardai. Era la madonna dell’Annunziata, la santa patrona di Cosa Nostra, la cui ricorrenza cade il 25 marzo.
Zio Peppino accese un fiammifero e accostò la fiamma a un angolo dell’immaginetta chiedendomi di prenderla in mano e di tenerla finché non fosse bruciata tutta.
Chiusi le mani a conca – ero proprio emozionato e sudavo – e vidi l’immaginetta trasformarsi in cenere. Nel frattempo lo zio Peppino mi chiese di ripetere con lui il giuramento. Secondo questa formula, se un affiliato dovesse tradire il comandamenti di Cosa Nostra, dovrebbe bruciare come il santino dell’Annunziata.
Finito il giuramento, tutti i presenti mi si avvicinarono per baciarmi. Ero diventato un uomo d’onore.
Da che parte sta lo Stato?
Il giuramento di un mafioso
lunedì 25 agosto 2008
No ACQUA? No party..NO ALLA PRIVATIZZAZIONE DELL'ACQUA
Il primo cittadino aveva avanzato prima la proposta di ottenere finanziamenti da Berlusconi per dotare il dissalatore di Porto Empedocle di un secondo modulo che renderebbe autonoma la città rispetto alle altre fonti di approvvigionamento ma contemporaneamente, a detta di Legambiente, farebbe lievitare le bollette a carico dell'utenza. Il sindaco propone adesso di emettere un'ordinanza che obblighi i condomini a dotarsi di vasche per la raccolta dell'acqua."L'acqua non viene considerata dal nostro primo cittadino come un bene essenziale bensì come un costosissimo privilegio – dice Claudia Casa del circolo Rabat di Legambiente -. La soluzione avanzata dal sindaco non solo non tiene conto della situazione logistica in cui versano parecchi condomini, che non hanno alcuna concreta possibilità di realizzare cisterne, ma per di più presuppone che il cittadino abbia risorse economiche tali da potersi permettere di affrontare una spesa non indifferente come quella di progettare e costruire ex novo queste vasche, che negli anni necessiteranno poi di opere di manutenzione strutturale ed igienica. E tutto questo mentre la rete idrica cittadina ha dato prova della sua fatiscenza ed inadeguatezza. Con gli attuali 222 litri/secondo che arrivano nei serbatoi comunali – continua Casa - ogni agrigentino giornalmente dovrebbe poter disporre di 355 litri di acqua corrente. Ma quello che in qualsiasi posto d'Italia è un dato di fatto che permette alle popolazioni di vivere civilmente, ad Agrigento con questa dotazione idrica il massimo si riesce a distribuire l'acqua, se va bene, ogni 10 giorni. Avversiamo decisamente le proposte di Marco Zambuto – conclude la portavoce di Legambiente - che servirebbero solo a fare arricchire qualcuno ed a mantenere nella disperazione una larghissima fetta di nostri concittadini: il problema dell'acqua non si risolve spaccando la collettività e continuando a creare disparità tra chi può e chi non può. Chiediamo quindi al sindaco di concentrare i suoi sforzi sull'unico provvedimento utile a porre fine a questo scandalo, e cioè il rifacimento della rete idrica cittadina”.
Continua la lotta contro i furti d'acqua lungo la linea idrica della dissalata di Gela. I carabinieri del comando di Licata e gli uomini del 12 Battaglione "Sicilia" apposita inviati dal Ministero dell'Interno, nella giornata di ieri hanno denunciato tre persone sorprese a sottrarre illegalmente acqua potabile dalla condotta idrica gestita dalla Siciliacque S.p.a..Ad essere denunciati sono stati D.G., imprenditore agricolo, di 47 anni, M.C., bracciante, di 52 anni, e C.S., imprenditore agricolo di 38 anni. I tre, dopo avere manomesso i pozzetti di ispezione della condotta lungo il tratto Gela–Licata all'altezza della contrada Cantagiglione, erano riusciti ad allacciarsi abusivamente alla rete, riempiendo due invasi di raccolta d'acqua di 14 mila mq e 9.500 mq. Gli invasi sono stati posti sotto sequestro su disposizione dell'autorità giudiziaria.Nei prossimi giorni i carabinieri effettueranno un monitoraggio con l'ausilio dei mezzi aerei per controllare gli invasi di raccolta d'acqua anche nelle zone più impervie
Nulla di fatto oggi al vertice sulla situazione idrica in programma al Comune di Sciacca. All''incontro, convocato dall'assessore comunale alla Sanità Gianluca Guardino, non si sono presentati i rappresentanti della Girgenti acque. L'amministratore comunale ha nuovamente stigmatizzato la difficoltà nei rapporti con il nuovo gestore della rete idrica e la necessità di un chiarimento per limitare al massimo le denunce dei cittadini.
Molte proteste a Sciacca per l'impossibilità a potere stipulare contratti di fornitura idrica. L'ex ufficio Eas, oggi ancora in funzione con personale ex Eas che collabora in questa fase con il nuovo gestore Girgenti acque, non può fare contratti e rinvia gli utenti a quando la società che si occupa della gestione della condotta organizzerà i propri uffici per espletare anche questo servizio. Il risultato è che ci sono decine e decine di famiglie di Sciacca che non possono avere fornitura idrica e da settimane sono invitati a tornare dopo la pausa estiva, quando la Girgenti acque sarà in grado di trasferire a Sciacca un proprio dipendente per definire le varie richieste. E' un altro dei gravi problemi che ci sono in questo momento a Sciacca e di cui gli utenti si lamentano. Una situazione difficile, un ulteriore elemento di discussione in vista di una conferenza di servizi in programma oggi, che si annuncia infuocata. (da agrigentonotizie.it)
I lupi e gli agnelli
L'acqua è già e lo sarà ancora di più nei prossimi anni uno dei problemi più gravi che l'umanità si trova a dover affrontare. Sempre più frequentemente sentiamo dire che le risorse idriche stanno diventando sempre più rare (ma spesso si enfatizza a bella posta l'allarme sulla penuria d'acqua come se fosse un dato ineluttabile) e sempre più di difficile accesso. Espressione come "l'oro blu del XXI secolo" valgono a indurre questa convinzione: l'acqua è un bene prezioso che costerà sempre di più e potrà essere causa di guerre. In effetti se si considera che la disponibilità minima per abitante è calcolata in 1.700 m3 all'anno, attualmente un miliardo e quattrocento milioni di persone non hanno accesso all'acqua nella misura minima pro-capite e secondo l'Undp (Programma delle Nazioni Unite per lo sviluppo) circa diecimila esseri umani muoiono ogni giorno per mancanza d'acqua. Si prevede che nel 2020 il numero delle persone che non avranno accesso all'acqua arriverà a quattro miliardi, cioè la metà della popolazione mondiale1. Ma va detto chiaramente che disponibilità di risorse idriche e accesso all'acqua non sono la stessa cosa né sono tra loro in relazione di causa ed effetto. Ci sono paesi con scarse disponibilità che sono alla testa nel consumo di acqua: per esempio negli Stati Uniti la California ha un consumo pro capite di 4.100 litri al giorno ma non ha grandi disponibilità; in Brasile l'acqua è abbondante, ma buona parte della popolazione non ha accesso all'acqua potabile. Non c'è neppure una relazione lineare tra aumento della popolazione mondiale e scarsità di acqua. Il maggiore consumo di acqua avviene nel Nord del mondo, in particolare nell'11% della popolazione più ricca. Infatti il 70% dei prelievi d'acqua è destinato all'agricoltura e avviene nei paesi occidentali, in particolare negli Stati Uniti, il 20% è utilizzato per uso industriale e il 10% per uso domestico, solo l'1% per bere (il minimo per uso domestico viene calcolato in 40 litri al giorno). La popolazione mondiale è aumentata nel corso del XX secolo di 4 miliardi e il maggiore incremento è stato nel Sud del mondo, mentre la popolazione dei paesi occidentali non ha fatto registrare aumenti significativi. Quindi il 90 per cento del consumo d'acqua, legato al fabbisogno dell'agricoltura e dell'industria, riguarda solo una porzione minima della popolazione mondiale. Per incrementare il rendimento dell'agricoltura si impiegano mezzi tecnologici che richiedono un forte impiego di risorse idriche e anche le coltivazioni agricole e l'allevamento di bestiame nel Sud del mondo rispondono più alle esigenze di consumo dei paesi ricchi che al fabbisogno interno2. Si aggiungano gli sprechi dovuti a eccessi di consumo o alle perdite delle reti idriche e si avrà chiaro il quadro: la scarsità più che un fatto naturale è spesso frutto di scelte economico-politiche che vengono fatte da chi ha in mano le leve di comando. Le politiche sull'acqua che si sono attuate negli ultimi anni sono imposte dalle società multinazionali e rispondono a logiche di mercificazione e di privatizzazione. L'acqua viene considerata non un bene pubblico ma una merce nelle mani di pochi grandi gruppi industriali che agiscono perseguendo la massimizzazione dei profitti. L'accesso all'acqua sarebbe un bisogno che ciascuno deve cercare di soddisfare come può, non un diritto che dev'essere garantito a tutti, in base a una considerazione che dovrebbe essere ovvia ma non lo è: l'acqua non è un bene economico qualsiasi ma una fonte di vita e la vita dev'essere assicurata a tutti, fa parte di quei diritti inalienabili e immercificabili che ognuno acquisisce nascendo. Invece nel mondo attuale il liberismo viene applicato a tutto e il soddisfacimento del "bisogno" d'acqua dipende dalla volontà dei "signori dell'acqua", i quali si comportano come il lupo e l'agnello della favola: chi sta in alto dispone a suo piacimento se fare bere o meno chi sta in basso e ogni pretesto è buono per negare o razionare l'accesso, manovrando la leva dei costi. Queste politiche che potremmo sinteticamente definire come "uso privato di risorse pubbliche" hanno precedenti storici, di cui forse l'esempio più significativo possiamo trovarlo in Sicilia.
Il controllo mafioso dell'acqua come esempio di uso privato di una risorsa pubblica
L'acqua è uno dei settori su cui i gruppi mafiosi hanno esercitato il loro dominio. La mafia siciliana non è solo un'organizzazione criminale ma qualcosa di più complesso: i gruppi criminali agiscono all'interno di un sistema di relazioni, hanno rapporti con il contesto sociale, con l'economia, la politica e le istituzioni, le attività delittuose sono intrecciate con attività legali e perseguono fini di arricchimento e di potere3. Nessuna sorpresa quindi se la mafia ha rivolto particolare attenzione a una risorsa fondamentale come l'acqua, approfittando delle opportunità offerte dal contesto politico-istituzionale. Con la costituzione dello Stato unitario non c'è stata in Italia una politica di pubblicizzazione e regolamentazione delle acque e in Sicilia, in particolare nelle campagne palermitane, si è imposta la pratica del controllo privato esercitato da guardiani, i "fontanieri", stipendiati dagli utenti. I guardiani erano nella maggioranza legati alla mafia, così pure i "giardinieri", cioè gli affittuari e gli intermediari. Il controllo sull'acqua ha causato contrasti che sono all'origine delle guerre di mafia. Nell'ottobre del 1874 viene ucciso a Monreale, il centro vicino Palermo sede del famoso duomo arabo-normanno, il fontaniere Felice Marchese. Il delitto si inserisce nel conflitto tra due organizzazioni mafiose rivali, i Giardinieri e gli Stoppaglieri, che è la prima guerra di mafia documentata4.Successivamente, nell'agosto del 1890, si avrà un altro omicidio. Questa volta a cadere è il guardiano dell'acqua dell'Istituto psichiatrico di Palermo, Baldassare La Mantia, che si era rifiutato più volte di favorire i fratelli Vitale, gabelloti (affittuari) e capimafia della frazione palermitana Altarello di Baida. Interessante l'analisi della situazione che a partire da questo omicidio fa il questore Ermanno Sangiorgi che in una serie di rapporti ricostruisce la mappa delle famiglie mafiose e dà un'immagine di essa (un'organizzazione diffusa sul territorio e strutturata centralmente) molto simile a quella che negli anni '80 del XX secolo sarà "scoperta" attraverso le dichiarazioni dei mafiosi collaboratori di giustizia: È noto come questa delle usurpazioni destinate all'irrigazione dei giardini rappresenti una delle fonti d'illecito guadagno della criminosa associazione, ed è facile intuire che la resistenza del La Mantia oltreché offesa all'autorità della mafia costituì grave minaccia agli interessi economici della setta, potendo fare scuola agli altri guardiani dell'acqua non affiliati all'associazione. Sicché non deve sembrare strano che per questo motivo, in apparenza ed in altro ambiente non abbastanza grave, i Vitale e consoci abbiano determinato, come fecero, di uccidere5. L'acqua è una risorsa essenziale per la coltivazione degli agrumi che negli anni successivi alla creazione dello Stato unitario vengono esportati sul mercato nazionale e internazionale, in particolare negli Stati Uniti, principale meta di emigrazione dopo la sconfitta della prima ondata del movimento contadino (i Fasci siciliani). Il controllo dell'acqua e del mercato agrumicolo è nelle mani di gruppi mafiosi che avviano i primi rapporti con gli emigrati in America, tra cui ci sono i fondatori dell'organizzazione mafiosa d'oltre Oceano. Il controllo mafioso dell'acqua continuerà anche dopo e i mafiosi non esiteranno a ricorrere all'omicidio se esso verrà messo in forse. Nel 1945, a Ficarazzi, nei pressi di Palermo, al centro della pianura coltivata ad agrumi, viene ucciso Agostino D'Alessandro, segretario della Camera del lavoro, che aveva cominciato una lotta contro la mafia dell'acqua. Era stato "invitato" a desistere ma aveva continuato la sua battaglia, all'interno della mobilitazione dei contadini che raccoglierà centinaia di migliaia di persone impegnate nella lotta per la riforma agraria e per la democrazia, scontrandosi duramente con la mafia6. I mafiosi fanno sentire tutto il peso del loro potere all'interno dei consorzi di irrigazione di nuova istituzione. L'esempio più noto è il consorzio dell'Alto e Medio Belice. Il consorzio istituto nel 1933, in pieno periodo fascista, abbracciava un comprensorio di circa 106.000 ettari ed era stato costituito per la realizzazione di una diga sul fiume Belice. Esso rimase inattivo fino al 1944, per l'opposizione della mafia, che temeva "che lo sviluppo dell'iniziativa poteva toglierle il monopolio dell'acqua e sovvertire l'ordine delle cose (campierato ed usura) fino ad allora sotto il suo diretto controllo"7. L'unica attività che il consorzio riesce a realizzare è la costruzione di strade che non è ostacolata dai mafiosi che organizzano la raccolta e la fornitura di pietre alle imprese di costruzione. Tra questi mafiosi c'è il giovane Luciano Liggio che costituisce una società di autotrasporti e non è contrario all'attività del consorzio intuendo che esso può offrire grandi opportunità. Infatti la costruzione di dighe sarà un ottimo affare per i mafiosi che sanno inserirsi accaparrandosi buona parte degli stanziamenti pubblici. Esemplare la vicenda della costruzione della diga Garcia sul Belice, chiesta a gran voce dai contadini e ottenuta dopo anni di lotte. Giuseppe Garda, definito "il boss di Monreale" nella sentenza per l'assassinio di Mario Francese, compra i terreni, ottiene finanziamenti per migliorare le coltivazioni e infine li rivende, a un prezzo di gran lunga superiore a quello d'acquisto, agli enti pubblici interessati alla costruzione della diga. Una speculazione studiata a tavolino pienamente riuscita grazie alle complicità delle istituzioni.
La sete di Palermo
La grande "sete di Palermo" del 1977-78 fu l'occasione per l'apertura di un'inchiesta sulle fonti di approvvigionamento idrico nell'agro palermitano. Tra le poche fonti informative esistenti c'era la Carta delle irrigazioni siciliane redatta nel 1940 dalla sezione di Palermo del Servizio idrografico del Ministero dei lavori pubblici, da cui risultava "un aggrovigliarsi di usi di acque delle più diverse provenienze" e individuava 114 sorgenti e 600 pozzi che prelevavano l'acqua dalla pingue falda freatica. Un documento più recente, del 1973, redatto dall'Ente sviluppo agricolo (Esa) rilevava l'esistenza di 1.469 pozzi che attingevano alla falda freatica nella fascia costiera. Queste acque sotterranee per la grande rilevanza che avevano per il soddisfacimento del fabbisogno idrico della città e delle campagne avrebbero dovuto essere inserite nell'elenco delle acque pubbliche, invece vengono lasciate sfruttare dai privati e in prima fila sono i più noti rappresentanti dell'associazione mafiosa. A dire del magistrato che condusse l'inchiesta, il pretore Giuseppe Di Lello, il criterio nella redazione degli elenchi delle acque pubbliche è il "rispetto" delle acque private. Nel Prga (Piano regolatore generale degli acquedotti) redatto dal Ministero dei lavori pubblici e approvato nel 1968 figuravano solo 13 pozzi, di cui due salini e quattro in via di esaurimento per impoverimento della falda, mentre non c'era traccia dei pozzi ricchissimi d'acqua gestiti dai Greco di Ciaculli, una delle dinastie mafiose più note, e da altre famiglie mafiose: i Buffa, i Motisi, i Marcenò, i Teresi. Ovviamente la falda freatica andava impoverendosi per il vero e proprio saccheggio perpetrato dai privati e in particolari dai mafiosi e in molti pozzi era già in stato avanzato l'intrusione di acqua marina che ne rendeva impossibile l'uso. L'acqua dovrebbe essere un bene pubblico, invece l'Azienda municipale acquedotto di Palermo (Amap) prende in affitto i pozzi dei privati e negli anni '70 il Comune di Palermo paga quella che dovrebbe essere la sua acqua circa 800 milioni l'anno. Particolare significativo: i privati per scavare i pozzi si servono dei mezzi dell'Esa, cioè di un ente pubblico, e con modica spesa realizzano affari consistenti. L'Amap, alla ricerca di nuove acque, trivella le zone povere d'acqua, lasciando le zone più ricche al monopolio dei privati. Le responsabilità di tale situazione sono state chiaramente individuate, ai vari livelli: dal Ministero dei lavori pubblici all'Assessorato regionale, al Provveditorato per le opere pubbliche, all'Ufficio del Genio civile e, ovviamente, all'Amap. Alcuni fatti costituivano reato e gli atti vennero inviati alla Procura della Repubblica ma l'inchiesta non ebbe seguito. Un'altra inchiesta condotta nel 1988 si concludeva con il rinvio a giudizio di vari mafiosi, di proprietari di pozzi e di alcuni tecnici, ma il processo si concluse con una serie di assoluzioni.
Le mani sulle opere pubbliche
In media ogni anno piovono in Sicilia 7 miliardi di metri cubi d'acqua, quasi il triplo del fabbisogno calcolato in 2 miliardi e 482 milioni di metri cubi (1 miliardo e 325 milioni per l'irrigazione dei campi, 727 milioni per dissetare i centri abitati, 430 milioni per il fabbisogno industriale). Eppure la Sicilia soffre la sete, e in alcune zone, per esempio nelle province di Agrigento, Caltanissetta, ed Enna, è emergenza permanente. Ci sono dighe che da vent'anni attendono di essere completate, o non sono state collaudate e possono contenere solo una parte della capienza. Ci sono le condotte colabrodo (si parla di perdite del 50 per cento). Questo non è solo il frutto del controllo mafioso sull'acqua ma più in generale di una politica delle opere pubbliche all'insegna dello spreco e del clientelismo. L'opera pubblica, a prescindere dai miglioramenti che può arrecare alle condizioni di vita della popolazione di un determinato territorio, viene utilizzata come occasione di speculazione e di accaparramento del denaro pubblico. Perciò i lavori devono durare pressoché all'infinito e il risultato finale non conta. Attorno all'opera pubblica si forma un grappolo di interessi che coinvolge imprenditori, amministratori, politici, mafiosi che controllano la spartizione degli appalti, praticano i pizzi sulle imprese, forniscono loro materiali e servizi, o sono impegnati direttamente nell'attività imprenditoriale. Questo groviglio di interessi è alla base di quel che ancora oggi accade in Sicilia. Nessuna delle dighe esistenti è autorizzata ad essere riempita completamente. Qualche caso, tra i più eclatanti. La diga Ancipa potrebbe raccogliere 34 milioni di metri cubi d'acqua, ne raccoglie solo 4 milioni. La diga presenta delle crepe, segnalate da più di trent'anni. La diga Disueri potrebbe contenere 23 milioni di metri cubi, ma deve fermarsi a 2 milioni e mezzo. La diga Furore, in provincia di Agrigento, completata nel 1992, non è mai entrata in funzione. Per altre dighe mancano gli allacciamenti. Spesso si dice che mancano i soldi, ma in più di un caso i soldi ci sono e non si spendono per inerzia delle amministrazioni che continuano a favorire l'approvvigionamento da parte di privati. Lo scorso mese di febbraio oltre sette milioni di metri cubi rischiavano di finire in mare, perché le dighe non erano in grado di contenere l'acqua caduta con le abbondanti piogge. In Sicilia si fanno processioni e cerimonie religiose per invocare la pioggia, ma quando c'è la pioggia bisogna svuotare le dighe. E questo non è solo mafia. E va ribadito che la mafia ha potuto operare, nel settore dell'acqua come in altri settori, perché ha goduto di un contesto favorevole e di complicità, omissive o attive, diffuse. Data la frammentazione della gestione, spesso riesce difficile individuare le responsabilità. In Sicilia si dovrebbero occupare di acqua 3 enti regionali, 3 aziende municipalizzate, 2 società miste, 19 società private, 11 consorzi di bonifica, 284 gestioni comunali, 400 consorzi fra utenti e altri 13 consorzi. All'ennesima emergenza idrica, si è pensato di risolvere il problema nominando commissario il presidente della Regione. Per il 2000 un'ordinanza di protezione civile stanziava 54 miliardi per opere urgenti da realizzare nel giro di nove mesi e disponeva poteri di approvazione rapida dei progetti per il presidente della Regione, ma le inadempienze della Regione hanno indotto il ministro dei lavori pubblici a nominare, nel febbraio del 2001, un commissario dello Stato, il generale dei carabinieri Roberto Jucci. Il commissario si è dato da fare andando in giro per l'isola, redigendo una mappa degli invasi e ha proposto l'istituzione di un'Authority, cioè di un organo unico che sovrintenda a tutta la questione dell'acqua in Sicilia, gestendo unitariamente le dighe, il sistema idrogeologico, le condotte di adduzione, gli impianti comunali. La proposta era stata già fatta dalla giunta regionale nel 1990 ma non si è mai realizzata. Pare che adesso qualcosa si smuova ma tra il commissario, nominato dal governo nazionale di centro-sinistra, e la giunta regionale nata dalla schiacciante vittoria del centro-destra alle elezioni del 24 giugno sono sorti problemi che rischiano di riportare la situazione al punto di prima.
Le multinazionali dell'acqua
L'esempio della Sicilia non è un caso isolato e irripetibile. Se negli ultimi anni a livello nazionale e mondiale sono sorti o si sono rafforzati gruppi criminali di tipo mafioso, cioè che hanno la complessità della mafia siciliana, sul problema dell'acqua, come accennavamo all'inizio, si sono imposte politiche di privatizzazione dovute all'emergere di grandi gruppi imprenditoriali. I "giganti dell'acqua" sono soprattutto due imprese francesi: la Vivendi, ex Générale des Eaux, e la Ondeo, ex Lyonnaise des Eaux. Vivendi è il più importante operatore nel settore dell'acqua ma opera anche in altri settori: ambiente, energia, nettezza urbana, trasporti, telecomunicazioni (ha acquistato recentemente l'americana Universal Picture e Canal +). Ha un fatturato annuo di più di 150 miliardi di franchi francesi e impiega più di 140.000 persone. La Ondeo mira a scalzare la consorella francese e ha un ruolo internazionale di tutto rispetto: è già presente in circa 20 paesi e nel 1997 gestiva il servizi idrico in 14 grandi città, tra cui Manila, Budapest, Cordoba, Casablanca, Giacarta, La Paz, Postdam, Indianapolis. In Gran Bretagna la privatizzazione dell'acqua è stata introdotta nel 1989 e le grandi imprese britanniche, in particolare la Seven-Trent e la Tames Water, operano anch'esse a livello internazionale. Il colosso elettrico tedesco, la RWE, opera come impresa multisettoriale e ha interessi anche nel settore dell'acqua. In Italia, in seguito alla legge Galli, aziende come la romana Acea, la milanese Amn e la torinese Amt si sono estese sul territorio nazionale e in altri paesi. In Francia, dove la privatizzazione si configura come delega della gestione di un servizio pubblico a un'impresa privata, si è avuto un aumento medio del prezzo dell'acqua del 50%, a Parigi del 154%; gli utili delle imprese sono lievitati al 60-70% degli utili totali. Si aggiunga la scarsa trasparenza delle concessioni con il relativo incremento delle occasioni di corruzione. Nel Regno Unito la privatizzazione prevede l'esproprio di un bene comune e le imprese hanno fatto registrare utili esorbitanti, per cui si è escogitata una tassa straordinaria8. In altri paesi i costi dell'acqua sono diminuiti per i ricchi e aumentati per i poveri: è il caso di Manila, capitale delle Filippine9.Questa invasione delle grandi imprese renderà sempre più difficile una politica pubblica delle risorse idriche e imporrà sempre di più un modello fondato sulla "petrolizzazione dell'acqua", cioè sulla dittatura del mercato anche sull'acqua. In questi ultimi anni si è parlato tanto di "fine delle ideologie" ma in realtà abbiamo assistito al trionfo del liberismo che è anch'esso un'ideologia. Sostenere che il mercato è il migliore, se non l'unico, meccanismo di regolazione, è una tesi ideologica che semplifica la complessità del reale riducendo tutto alla dimensione economica. L'acqua non è un bene di cui si possa fare a meno, che si può scegliere di consumare o meno, ma un bene comune indispensabile per vivere. Tutto questo viene ignorato e come si è fatto per il petrolio, che è servito per arricchire le grandi multinazionali e gli sceicchi, lasciando in miseria gran parte della popolazione dei paesi produttori, così ora si vuole fare pure per l'acqua.
L'affare delle dighe e l'acqua dei miracoli
Un business connesso con la politica dell'acqua è la costruzione di dighe. Abbiamo visto come vanno le cose in Sicilia ma nel resto del mondo la situazione non è migliore. Negli ultimi anni si sono costruite "grandi dighe" in molti paesi: se ne contano in tutto 45.000, di cui 35.000 costruite dal 1950 ad oggi. Il maggior numero di esse è in Cina, negli Stati Uniti, nell'ex Unione Sovietica, in Giappone e in India. La costruzione di queste opere gigantesche comporta l'allontanamento di un gran numero di persone (si parla di 30-60 milioni), danni irreversibili all'ambiente, grossi rischi come le inondazioni catastrofiche del 2000 in Cina, pochi vantaggi effettivi e grandi profitti per i costruttori. Nel quadro dei programmi delle Nazioni Unite di aiuto ai paesi sottosviluppati, i lavori delle grandi dighe vengono finanziati dalla Banca mondiale e dal Fondo monetario internazionale e sono affidati alle imprese multinazionali americane, europee e giapponesi che traggono profitti dalla costruzione, dalla gestione e dalla consulenza, con il risultato che le popolazioni locali spesso risultano più indebitate di prima10.La consapevolezza di questi rischi ha suscitato movimenti di opposizione alla costruzione di "grandi dighe", che sono riusciti ad ottenere risultati significativi. È il caso dell'India dove si è riusciti a bloccare la costruzione della diga di Narmada, finanziata dalla Banca mondiale. Uno dei prodotti più reclamizzati dalla stampa e dalla televisione è l'acqua minerale, presentata come la quintessenza della natura incontaminata, un rimedio per tutti i mali, una bevanda miracolosa, indispensabile per coloro che vogliono essere "puliti dentro e belli fuori", "attivi e vitali", come i non sempre in forma calciatori della Nazionale. In realtà l'acqua in bottiglia non sempre è migliore di quella del rubinetto e in ogni caso è il grande business di imprese multinazionali, con in testa la Nestlé e la Danone, che si presentano come produttori e distributori dell'"acqua della salute", dei veri e propri benefattori dell'umanità, beninteso di quella parte dell'umanità che può comprare le loro meraviglie. E in questa corsa all'acqua più pura, più benefica, più miracolosa, si dà ampio spazio a trovate pubblicitarie che spesso vanno a segno. L'anno scorso è stata messa in vendita l'aqua borealis ricavata dagli iceberg, "la più pura del mondo", a 10 dollari la bottiglia. La trovata dell'estate scorsa è stata la Cloud Water, l'acqua delle nuvole: in Francia veniva venduta a 35 franchi la bottiglia. L'anno venturo la moda sarà l'acqua benedetta? si chiedeva "Le Canard enchaîné" del 22 agosto.
Acqua e conflitti
Si parla sempre più spesso di "guerra dell'acqua" e si indica nella penuria d'acqua, cioè nella scarsità dell'offerta e nell'incremento della domanda, la ragione di questa guerra. Indubbiamente l'acqua gioca un ruolo importante nei conflitti in atto, per esempio nel Vicino e Medio Oriente e in Africa, ma questo non vuol dire che la guerra è causata unicamente dalla volontà di appropriazione di una risorsa come l'acqua. In realtà le guerre e i conflitti in corso nascono da cause più complesse, da problemi che non si sono voluti risolvere, come nel caso degli israeliani e dei palestinesi. L'uso dell'acqua del Giordano fa parte di uno scenario più ampio e non può, da solo, spiegare uno scontro che ancor'oggi non si riesce a sedare. Altrettanto si può dire per l'acqua dei bacini del Tigri e dell'Eufrate e per i conflitti tra Turchia, Iraq, Siria e Iran11.L'ex segretario della Nazioni Unite Boutros Boutros Ghali ebbe a dire che se dovesse esserci una terza guerra mondiale questa sarebbe legata al problema dell'acqua. In questi giorni, dopo gli attentati di New York e di Washington, stiamo vivendo una crisi drammatica che può portare a una guerra senza confini e senza limiti temporali. Ma non pare che ci sia dietro un problema collegato con l'uso dell'acqua. Questo non toglie che l'acqua sia un problema già grave e destinato ad aggravarsi, per tutta l'umanità. La sfida che abbiamo di fronte ci induce a riflettere su quale sia il modo migliore per affrontarlo.
Il Manifesto dell'acqua
Nel 1998 a Lisbona Organizzazioni non governative e altri soggetti hanno lanciato il "Manifesto dell'acqua", sostenendo che essa non è un bene economico ma un bene vitale patrimoniale comune mondiale e che bisogna stipulare un contratto mondiale dell'acqua, con due principali finalità: 1) assicurare l'accesso per ogni essere umano, per ogni comunità umana; l'accesso dev'essere riconosciuto come diritto politico, economico e sociale fondamentale individuale e collettivo inalienabile; 2) assicurare la gestione solidale e sostenibile integrata dell'acqua. Per realizzare la prima finalità si organizzeranno della campagne di mobilitazione allo scopo di promuovere una Convenzione mondiale dell'acqua, che introduca nella Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo il Diritto di accesso all'acqua, di modificare le leggi nazionali o fare approvare nuove leggi. Le comunità locali, su mandato della comunità mondiale, debbono essere i titolari del controllo, dell'esercizio e del godimento dei diritti-doveri individuali e collettivi relativi all'acqua e fissare le tariffe progressive dei servizi di distribuzione dell'acqua, in base ai principi di solidarietà e sostenibilità. Il contratto mondiale dell'acqua si propone quattro obiettivi prioritari: impedire che il numero dei non aventi accesso all'acqua aumenti, com'è nelle previsioni, secondo cui nel 2020-25 sarebbero più di quattro miliardi le persone senza accesso all'acqua potabile, e fare in modo che esso diminuisca; disarmare i conflitti per l'acqua, ridurre gli sprechi, assicurare l'accesso all'acqua degli abitanti delle 600 città che nel 2020 avranno più di un milione di abitanti. Gli attori sociali che debbono impegnarsi su questi obiettivi debbono essere i parlamenti, le associazioni della società civile, gli scienziati, gli intellettuali e i media, i sindacati. Si propone la costituzione di un collettivo mondiale "Acqua per l'Umanità" e già nel 1998 si è costituito un comitato promotore12.L'Italia non è stata fra i paesi più attivi per una politica mondiale dell'acqua, comunque anche nel nostro paese si è costituito un Comitato per il contratto mondiale dell'acqua e si è lanciato un Manifesto italiano. Anche in Sicilia si cerca di riprendere una battaglia che fu del movimento contadino sulla base di alcuni principi che si richiamano al Manifesto dell'acqua: opporsi alla privatizzazione e dichiarare tutto il patrimonio acquedottistico demanio pubblico inalienabile, creare un'unica grande struttura pubblica regionale e promuovere politiche di autogoverno del territorio13. Tutto ciò richiede la massima vigilanza nei confronti di qualsiasi ingerenza dei gruppi mafiosi interessati a perpetuare il loro controllo e forti del fatto che il modello di uso privatistico di una risorsa pubblica in questi anni invece di regredire ha fatto passi da gigante. (da centroimpastato.it)
Altre notizie ed importanti informazioni per ribadire che l'acqua deve necessariamente tornare pubblica, che non siamo disposti a pagare bollette salate e di ottenere servizi inutili o mediocri, per ribadire il NO alla privatizzazione di questo tesoro.. come letto è un problema datato e fondamentale, c'è un dietro un business anche mafioso gigantesco.. e siccome noi non abbiamo paura eccoci qua: ACQUA LIBERA, PUBBLICA, PER TUTTI, DI TUTTI
domenica 24 agosto 2008
"Fate battere i vostri cuori all'unisono con le mie parole"
sabato 23 agosto 2008
ACQUA LIBERA
Dalle 2 della notte scorsa è dunque senz'acqua Capri, spiegano alla Gori, società che gestisce la fornitura dell'acqua in tutta l'area, a eccezione dell'ospedale e del centro; la distribuzione ad Anacapri è stata regolare fino a mezzogiorno: subito dopo per il comune dell'isola è scattata l'emergenza. Sono completamente a secco, invece, Massa Lubrense e le zone alte di Meta e Piano di Sorrento, S. Agnello e Sorrento.Garantita l'erogazione dell'acquaL'erogazione dell'acqua potrà essere ripristinata fino a garantire l'80 per cento del servizio, entro martedì mattina. Lo garantisce il responsabile del servizio ciclo integrato delle acque della Regione Campania, Gaetano Imperatore, spiegando l'entità del guasto all'impianto."Si tratta di un danno molto serio, dal momento che sono andati bruciati ben due dei tre trasformatori che lo alimentano. Il guasto è sorto probabilmente a causa di un corto circuito: il gran caldo dei giorni scorsi e l'aumento della pressione può aver contribuito a quanto accaduto". All'origine del problema, secondo Imperatore, non ci sarebbe una carenza di manutenzione: "Si tratta di un impianto nuovo, in un edificio costruito venti anni fa, dove la manutenzione è praticamente quotidiana, poiché viene utilizzato 24 ore su 24"."Per fortuna - continua - nonostante le difficoltà dovute al periodo estivo, siamo adesso in possesso di un nuovo trasformatore e saremo in grado di garantire l'80% dell'erogazione". Al momento, spiega ancora il responsabile regionale, il servizio viene garantito al 50 per cento: "Stiamo erogando 150 litri al secondo, invece dei 3-400 erogati in genere". Assessore Napoli: "Il sistema fa acqua..." Bisogna "ripensare" la gestione idrica. L'assessore provinciale di Napoli alla Protezione Civile Francesco Emilio Borrelli mette sotto accusa la rete idrica: "Fa acqua da tutte le parti"."Rispetto alla scorsa stagione ci troviamo di fronte a un allarme idrico nel nostro territorio. Per fortuna, quest'anno non abbiamo avuto grossi incendi nella regione. Altrimenti le autobotti che abbiamo inviato nei comuni del Vesuviano, sarebbero state destinate ai vigili del fuoco". Borrelli ha tracciato un quadro della situazione: oltre alle riparazioni all'acquedotto del Serino che lasceranno senz'acqua fino a domenica otto comuni vesuviani, ci sono i guasti delle condotte nella zona di Mergellina, registrati lunedì e la scorsa settimana, e lo stop all'erogazione, da stanotte, a Capri e nella Penisola Sorrentina. (da tgcom.it)
E' quanto afferma Benedetto XVI nel messaggio inviato al cardinale Renato Martino, rappresentante della santa Sede all'Expo universale di Saragozza, in Spagna, in occasione della ''giornata della Santa Sede''; il Vaticano e' presente con un proprio padiglione dedicato al problema ambientale. (da beta.vita.it)
venerdì 22 agosto 2008
Basilica San Calogero: a quando i restauri?
Sono passati oramai alcuni mesi da quando noi de L’altraSciacca avevamo deciso di attenzionare il problema, informare la cittadinanza e segnalare la situazione agli enti competenti ma nulla, da quel momento ad oggi, è stato fatto. L’unica cosa, importante, che abbiamo ottenuto è che finalmente si parlasse della vicenda anche grazie agli ottimi servizi andati in onda, nel marzo scorso, sulle reti locali che hanno dato visibilità a quanto da noi fatto presente.
La Basilica di San Calogero è considerata il tetto di Sciacca, essa domina dall’alto su tutta la città, è meta turistica di pregio artistico, culturale, religioso e terapeutico grazie alla vicinanza con le famose stufe termali, nonché da quel sito si gode di un panorama unico in bellezza nel suo genere. San Calogero, inoltre, è patrono di Sciacca alla pari con la SS. Madonna del Soccorso.
Il vapore che fuoriesce dagli antri del monte Kronio genera parecchia umidità la quale, insieme al normale incedere del tempo, causa diversi problemi tanto alla Chiesa che è localizzata in quella zona quanto all’adiacente convento che, dimora dei frati rimasti ad operare nel territorio, avrebbe bisogno di numerosi interventi di restauro e manutenzione. All’interno della Basilica i dipinti sono stati quasi tutti già attaccati e danneggiati dall’umidità, i preziosi altarini laterali da poco tempo riportati alla luce andrebbero restaurati e messi in sicurezza onde evitare il loro progressivo sbriciolarsi, il tetto, l’altare, l’organo e il sagrato, simboli di un’arte di cui la città dovrebbe andare fiera, urgono di importanti lavori prima che anch’essi risultino fatalmente compromessi e soprattutto la posizione della statua di Santa Maria Maddalena che, collocata su un angolo della cinta muraria della Basilica, continua a versare in condizioni di potenziale pericolo poiché non è più, e ciò è visibile anche ad occhio nudo, ben aderente al muro e rischia di staccarsi presto definitivamente se non si interviene con decisione e prontezza.
Quanto la Basilica di San Calogero dovrà ancora attendere per ottenere i finanziamenti necessari a svolgere quantomeno gli interventi di prima necessità?
E’ possibile che questo sia l’amore rivolto dalle autorità competenti per uno dei tesori più importanti della nostra area comunale?
I progetti per la sistemazione della Chiesa sono pronti e sono stati consegnati da tempo a tutti gli enti preposti a fare qualcosa in merito: il Comune, la Sovrintendenza ai beni culturali di Agrigento, il governo e l’assessorato specifico sia della provincia sia della regione Sicilia.Nonostante le promesse, la risposta finora è stata sempre la stessa: siccome non ci sono i soldi conviene aspettare tempi migliori.
Aspettare? Ma cosa? E soprattutto quanto? E intanto da allora sono anche cambiati i governi provinciali e regionali e gli assessori di competenza ma non l’amara consapevolezza che qualcuno potrebbe fare qualcosa ma non la fa.
I deputati ed onorevoli saccensi neoeletti al governo nazionale, regionale e provinciale si ricorderanno della questione e faranno qualcosa di concreto in merito?
Finora gli unici ad interessarsi della vicenda sono stati anonimi fedeli e cittadini che, mossi dall’amore per il Santo, hanno contribuito in piccola parte con delle donazioni spontanee e l’aiuto di qualche banca privata.
Ma purtroppo è ancora poco e la Basilica urge di interventi mirati di restauro ogni giorno di più per salvaguardare un bene artistico e turistico assai prezioso per la nostra città.