Telecom vuole rinnovare la rete fissa. A carico nostro, suggerisce un rapporto commissionato dal governo a Caio. Ma forse una strada migliore per garantire gli investimenti necessari a rinnovarla c’è
Per anni si è parlato di innovazione in Italia. In tutte le salse e da parte di tutti gli schieramenti politici, associazioni sindacali e imprenditoriali: persino nelle campagne elettorali dei candidati sindaco per il comune di Quartuggiaro Inferiore (con i cui abitanti ci scusiamo se esiste davvero) ci sono imponenti accenni all’innovazione come strumento per uscire dalla crisi globale. E ça va sans dire che innovazione vuol dire anche e soprattutto fornire su tutto il territorio nazionale una rete di telecomunicazioni che permetta a tutti un accesso ad internet veloce e affidabile. E’ completamente inutile progettare campi da golf per manager in Sicilia se non c’è un wi-fi che funzioni, o spingere sulla promozione di prodotti alimentari locali se il sito dell’azienda agricola uno se lo deve far gestire in Germania.
IL RAPPORTO DI CAIO - Per questo motivo il governo italiano nel 2008 ha affidato ad uno dei massimi esperti del settore, Francesco Caio, già amministratore delegato della Omnitel, poi imprenditore in proprio con la Netscalibur, infine capo della britannica Cable & Wireless, la stesura di un rapporto che valuti lo stato delle rete internet italiana e gli investimenti necessari per portarla a livelli di eccellenza. Cosa dice questo rapporto? In sintesi, che siamo messi maluccio, se non peggio. Infatti è vero che la rete telefonica di rame sulla quale si può far passare l’ADSL copre il 95% della popolazione italiana, ma se iniziamo a togliere quei tratti dove, per vetustà delle infrastrutture, non è possibile erogare una banda superiore al megabyte arriviamo all’88%. Già per portare il 99% della popolazione ad almeno 2 megabyte occorrerebbero 2 anni e 1,3 miliardi di euro. E parliamo solo della rete ADSL, che probabilmente una volta completata arriverà al limite della saturazione e sarà già obsoleta. Se iniziamo a guardare veramente al futuro, continua il rapporto, sarebbe necessario pensare alla fibra ottica e qui i costi lievitano a dismisura: 10 miliardi in 5 anni per collegare 10 milioni di famiglie dice Caio, di più, almeno il doppio, se si vogliono collegare anche le aree rurali.
L’AIUTINO A TELECOM - Trovato il sintomo e la cura, rimane però da decidere chi debba essere il medico. Caio evidenzia come gli investimenti in nuove infrastrutture di rete da parte degli operatori di telecomunicazioni nazionali, Telecom in testa, non siano solo insufficienti ad oggi, ma addirittura in decrescita, non stimolati né dalla insufficiente concorrenza (l’ex incumbent e Fastweb hanno appena concluso un accordo per condividire la rete esistente), né dalla timida azione della Authority alla Concorrenza, a cui consiglia di pubblicare non solo le tariffe dei vari operatori, ma anche di rapportarle con le prestazioni offerte: insomma, “pubblicare la qualità del servizio erogato dai vari gestori e provider (banda, tempi di risposta, ecc..) anche per aiutare clienti e gestori a focalizzarsi non solo sul prezzo più basso ma anche sul rapporto prezzi/prestazioni“. Cose che qualsiasi ragazzino smanettone sa fare da sé, ma nella frase è chiaro l’intento di dare un “aiutino” a Telecom, rispetto alle “low cost” della banda larga. Ma l’aiutone arriva qualche riga dopo: chi dovrà costruire la nuova rete? Caio suggerisce di sceglierlo attraverso una gara. Ma una gara un po’ particolare, ovvero attraverso la suddivisione del territorio in aree per ognuna delle quali mettere a gara la copertura stabilendo un tetto massimo di finanziamento pubblico. “Vince la gara l’operatore o il consorzio che richiede l’ammontare minore di finanziamento pubblico“.
I DISASTRI DELLE PRIVATIZZAZIONI - Insomma, sembra uno di quei romanzi gialli in cui l’assassino è sempre il maggiordomo. Anche qui, pur con la consolazione del massimo ribasso, a mettere il liquido per gli investimenti delle compagnie telefoniche private, ci vuole il settore pubblico. Ovvero leggasi “i denari dei contribuenti“, che - a leggere quanto scritto da Caio - dovrebbero andare a beneficiare direttamente le aziende telefoniche, e soltanto indirettamente i cittadini. La rete serve, è vero; così come è vero che i soldi non ci sono. E se non ci sono un motivo c’è. Purtroppo oggi vengono a galla i disastri compiuti delle privatizzazioni fatte tramite “leveraged buyout” dagli anni 90 ad oggi. Telecom, come del resto Autostrade, hanno in questi anni “spremuto” i loro utenti non per fare utili da poi investire in parte nel miglioramento del servizio e nel rinnovamento delle infrastrutture, ma bensì per pagare i debiti che i loro nuovi proprietari avevano stipulato con le banche che gli avevano concesso i fidi per acquistare le aziende stesse. Un po’ come il tizio che compra l’appartamento col mutuo e per pagarne le rate lo affitta agli studenti fregandosene se crolla l’intonaco, i pavimenti sono dissestati e il lavandino perde acqua. Basti pensare a Tiscali che ha dovuto rinegoziare recentemente il suo debito con le banche perché l’azienda non era nemmeno in grado di pagarne gli interessi. Che investimenti può fare una azienda messa così?
LA STRADA PEGGIORE -Rimanendo perplessi riguardo ad una gara al ribasso nei costi di infrastrutture ad alta tecnologia, e che comunque alla fine quei soldi sarebbero comunque pubblici, ci si chiede ma perché dobbiamo continuare a finanziare aziende private? Forse non sarebbe meglio a questo punto pubblicizzare l’intera rete stante l’incapacità manifesta dei privati a garantirne il buon funzionamento? Pagando un equo indennizzo per l’esproprio, e per equo si deve intendere che siamo tutti coscienti del fatto che la rete è troppo obsoleta per valere tantissimo, e che soldi da investire bisognerà mettercene molti. Altrimenti, se proprio si vuole essere liberisti perché non una bella public company da quotare in Borsa che sia in grado, magari con la garanzia pubblica, di raccogliere capitali freschi? Delle quote paritarie potrebbero possederle le aziende telefoniche, che così avranno la possibilità di nominare persone nel consiglio di amministrazione e dire la loro, senza che ci sia un ex monopolista a “concedere” l’accesso, con tutto quel sovrappiù di competition by litigation che le compagnie fanno ogni due o tre mesi. Insomma, piuttosto che regalare soldi ai privati, le soluzioni alternative ci sono. Le strade sono tante, se si vuole. Ma ovviamente si sceglierà quella peggiore.
di Alessandro Guerani
postato alle 10:30 del 12 maggio 2009 in Economia (http://www.giornale ttismo.com/ archives/ 26110/un- impegno-concreto -espropriamo- la-rete-telefoni ca/)
Per anni si è parlato di innovazione in Italia. In tutte le salse e da parte di tutti gli schieramenti politici, associazioni sindacali e imprenditoriali: persino nelle campagne elettorali dei candidati sindaco per il comune di Quartuggiaro Inferiore (con i cui abitanti ci scusiamo se esiste davvero) ci sono imponenti accenni all’innovazione come strumento per uscire dalla crisi globale. E ça va sans dire che innovazione vuol dire anche e soprattutto fornire su tutto il territorio nazionale una rete di telecomunicazioni che permetta a tutti un accesso ad internet veloce e affidabile. E’ completamente inutile progettare campi da golf per manager in Sicilia se non c’è un wi-fi che funzioni, o spingere sulla promozione di prodotti alimentari locali se il sito dell’azienda agricola uno se lo deve far gestire in Germania.
IL RAPPORTO DI CAIO - Per questo motivo il governo italiano nel 2008 ha affidato ad uno dei massimi esperti del settore, Francesco Caio, già amministratore delegato della Omnitel, poi imprenditore in proprio con la Netscalibur, infine capo della britannica Cable & Wireless, la stesura di un rapporto che valuti lo stato delle rete internet italiana e gli investimenti necessari per portarla a livelli di eccellenza. Cosa dice questo rapporto? In sintesi, che siamo messi maluccio, se non peggio. Infatti è vero che la rete telefonica di rame sulla quale si può far passare l’ADSL copre il 95% della popolazione italiana, ma se iniziamo a togliere quei tratti dove, per vetustà delle infrastrutture, non è possibile erogare una banda superiore al megabyte arriviamo all’88%. Già per portare il 99% della popolazione ad almeno 2 megabyte occorrerebbero 2 anni e 1,3 miliardi di euro. E parliamo solo della rete ADSL, che probabilmente una volta completata arriverà al limite della saturazione e sarà già obsoleta. Se iniziamo a guardare veramente al futuro, continua il rapporto, sarebbe necessario pensare alla fibra ottica e qui i costi lievitano a dismisura: 10 miliardi in 5 anni per collegare 10 milioni di famiglie dice Caio, di più, almeno il doppio, se si vogliono collegare anche le aree rurali.
L’AIUTINO A TELECOM - Trovato il sintomo e la cura, rimane però da decidere chi debba essere il medico. Caio evidenzia come gli investimenti in nuove infrastrutture di rete da parte degli operatori di telecomunicazioni nazionali, Telecom in testa, non siano solo insufficienti ad oggi, ma addirittura in decrescita, non stimolati né dalla insufficiente concorrenza (l’ex incumbent e Fastweb hanno appena concluso un accordo per condividire la rete esistente), né dalla timida azione della Authority alla Concorrenza, a cui consiglia di pubblicare non solo le tariffe dei vari operatori, ma anche di rapportarle con le prestazioni offerte: insomma, “pubblicare la qualità del servizio erogato dai vari gestori e provider (banda, tempi di risposta, ecc..) anche per aiutare clienti e gestori a focalizzarsi non solo sul prezzo più basso ma anche sul rapporto prezzi/prestazioni“. Cose che qualsiasi ragazzino smanettone sa fare da sé, ma nella frase è chiaro l’intento di dare un “aiutino” a Telecom, rispetto alle “low cost” della banda larga. Ma l’aiutone arriva qualche riga dopo: chi dovrà costruire la nuova rete? Caio suggerisce di sceglierlo attraverso una gara. Ma una gara un po’ particolare, ovvero attraverso la suddivisione del territorio in aree per ognuna delle quali mettere a gara la copertura stabilendo un tetto massimo di finanziamento pubblico. “Vince la gara l’operatore o il consorzio che richiede l’ammontare minore di finanziamento pubblico“.
I DISASTRI DELLE PRIVATIZZAZIONI - Insomma, sembra uno di quei romanzi gialli in cui l’assassino è sempre il maggiordomo. Anche qui, pur con la consolazione del massimo ribasso, a mettere il liquido per gli investimenti delle compagnie telefoniche private, ci vuole il settore pubblico. Ovvero leggasi “i denari dei contribuenti“, che - a leggere quanto scritto da Caio - dovrebbero andare a beneficiare direttamente le aziende telefoniche, e soltanto indirettamente i cittadini. La rete serve, è vero; così come è vero che i soldi non ci sono. E se non ci sono un motivo c’è. Purtroppo oggi vengono a galla i disastri compiuti delle privatizzazioni fatte tramite “leveraged buyout” dagli anni 90 ad oggi. Telecom, come del resto Autostrade, hanno in questi anni “spremuto” i loro utenti non per fare utili da poi investire in parte nel miglioramento del servizio e nel rinnovamento delle infrastrutture, ma bensì per pagare i debiti che i loro nuovi proprietari avevano stipulato con le banche che gli avevano concesso i fidi per acquistare le aziende stesse. Un po’ come il tizio che compra l’appartamento col mutuo e per pagarne le rate lo affitta agli studenti fregandosene se crolla l’intonaco, i pavimenti sono dissestati e il lavandino perde acqua. Basti pensare a Tiscali che ha dovuto rinegoziare recentemente il suo debito con le banche perché l’azienda non era nemmeno in grado di pagarne gli interessi. Che investimenti può fare una azienda messa così?
LA STRADA PEGGIORE -Rimanendo perplessi riguardo ad una gara al ribasso nei costi di infrastrutture ad alta tecnologia, e che comunque alla fine quei soldi sarebbero comunque pubblici, ci si chiede ma perché dobbiamo continuare a finanziare aziende private? Forse non sarebbe meglio a questo punto pubblicizzare l’intera rete stante l’incapacità manifesta dei privati a garantirne il buon funzionamento? Pagando un equo indennizzo per l’esproprio, e per equo si deve intendere che siamo tutti coscienti del fatto che la rete è troppo obsoleta per valere tantissimo, e che soldi da investire bisognerà mettercene molti. Altrimenti, se proprio si vuole essere liberisti perché non una bella public company da quotare in Borsa che sia in grado, magari con la garanzia pubblica, di raccogliere capitali freschi? Delle quote paritarie potrebbero possederle le aziende telefoniche, che così avranno la possibilità di nominare persone nel consiglio di amministrazione e dire la loro, senza che ci sia un ex monopolista a “concedere” l’accesso, con tutto quel sovrappiù di competition by litigation che le compagnie fanno ogni due o tre mesi. Insomma, piuttosto che regalare soldi ai privati, le soluzioni alternative ci sono. Le strade sono tante, se si vuole. Ma ovviamente si sceglierà quella peggiore.
di Alessandro Guerani
postato alle 10:30 del 12 maggio 2009 in Economia (http://www.giornale ttismo.com/ archives/ 26110/un- impegno-concreto -espropriamo- la-rete-telefoni ca/)
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