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sabato 19 dicembre 2009

Tempo scaduto. Tutte le riforme ferme al palo

di Marco Damilano

Gli scontri con Fini. Il pressing della Lega. L'incubo dei processi. Le elezioni regionali alle porte. E le grandi riforme promesse tutte ferme al palo. Ora perfino nel Pdl si pensa già al dopo Berlusconi L'Italia, giurava, diventerà in breve come la Francia: una Repubblica presidenziale. «Il presidenzialismo è la migliore formula costituzionale », sosteneva. Aggiungendo: «È una riforma essenziale se vogliamo fare del nostro Paese una democrazia moderna». Era il 20 dicembre 2008, sotto le volte di Villa Madama, affrescate da Giulio Romano, Silvio Berlusconi dettava in diretta televisiva i prossimi appuntamenti in agenda nel suo governo: immediata approvazione del disegno di legge sulle intercettazioni, riforma della giustizia, riforma delle pensioni, riforma del fisco («Tutto ciò che recupereremo nella lotta all'evasione fiscale sarà utilizzato per abbattere le tasse») e soprattutto la Grande Riforma: il presidenzialismo. «Da fare dopo il federalismo», puntualizzava il portavoce Paolo Bonaiuti. Con l'obiettivo ultimo di consentire il trasloco del Cavaliere da palazzo Chigi al Quirinale. A furor di popolo.

Dodici mesi dopo quel proclama alla tradizionale conferenza stampa di fine anno il bottino è a dir poco misero. Perfino la legge per limitare le intercettazioni, che in quell'elenco di provvedimenti mirabolanti sembrava quasi una formalità, è finita impaludata in qualche commissione del Senato, della sua necessità per il Paese e i cittadini nessuno per fortuna parla più. La maggioranza Pdl più Lega, che appariva una testuggine compatta, è paralizzata dai veti incrociati. E il Cavaliere assomiglia sempre più ad un altro inquilino di palazzo Chigi che arrivato all'età di 73 anni, giusto gli anni del premier, fu costretto a lasciare la guida del governo. Niente di più lontano, in apparenza, del Caimano di Arcore dal Divo Giulio Andreotti. Fragoroso Berlusconi, in punta di piedi il sette volte presidente del Consiglio. Animato da ottimismo indistruttibile e fiducia in se stesso Silvio, scettico sul genere umano fino al cinismo Giulio. Eppure, in questa fine 2009, le due figure si sovrappongono. Tutti e due tirati in ballo dai pentiti di mafia: con la differenza, però, che Andreotti si è difeso nei processi, mentre Berlusconi si preoccupa di come evitarli. Entrambi in rotta con la Casa Bianca e a braccetto con Gheddafi. Entrambi alle prese con una maggioranza rissosa e divisa: ieri il pentapartito, oggi il triumvirato Berlusconi-Fini- Bossi. Tutti e due con l'imperativo di durare fino all'elezione del nuovo presidente della Repubblica, carica cui aspirava Andreotti, e sappiamo com'è finita, e che Berlusconi considera naturale per sé, e si vedrà. «Braccato dai tribunali, non può governare l'Italia», ha concluso intanto il "Financial Times". Di certo, l'uomo del fare, l'imprenditore che detestava le lentezze della politica si è trasformato in un fedele osservante del primo comandamento andreottiano. Il tirare a campare.


Altro che grande riforma. Basta vedere l'ultimo giro di tavolo in commissione Bilancio alla Camera sulla legge finanziaria. Concluso con un maxi-emendamento di 250 commi e un elenco di micro-finanziamenti, dal benemerito museo del tattile di Ancona alle associazioni combattenti, da far rimpiangere gli assalti alla diligenza stile prima Repubblica. Con il centrodestra costretto, per l'ennesima volta, al voto di fiducia per evitare ulteriori stravolgimenti nell'aula di Montecitorio. E di misure strutturali neppure l'ombra.

L'Architettto delle nuove istituzioni che dovevano portare l'Italia nella modernità si è trasformato in un più modesto arredatore di microprovvedimenti.

Sulla giustizia, naturalmente. Leggi ad personam che vengono lanciate nelle aule parlamentari come automobiline in pista. Al Senato c'è il processo breve: nessuno pensa che sarà davvero approvato, nel caso ci ha pensato il presidente della Camera Gianfranco Fini a depennare dalla lista dei reati esclusi dal provvedimento quelli legati all'immigrazione clandestina che stavano a cuore alla Lega. Giusto, deve aver pensato l'avvocato del premier Niccolò Ghedini, già che ci siamo fissiamo tempi contingentati anche per mafia e terrorismo: e così le eventuali esigenze del premier sono assicurate, quelle della sicurezza nazionale possono attendere. Alla Camera, invece, arriverà il lodo Costa-Brigandì sul legittimo impedimento, per garantire un semestre bianco di processi sospesi per premier, ministri, sottosegretari e parlamentari, una norma ponte in attesa del nuovo lodo Alfano, rafforzato con la copertura costituzionale.

Una girandola che intaserà i lavori parlamentari. Messe in corsia preferenziale, da licenziare a tempo di marcia, le riformette della giustizia fanno finire in coda altre proposte che lo stesso centrodestra aveva considerato urgenti, anzi, urgentissime. Il testamento biologico, per esempio: il governo Berlusconi voleva introdurlo per decreto, fu Giorgio Napolitano a rifiutarsi di firmarlo. Fu sostituito da un disegno di legge da approvare, si promise la tragica notte della fine di Eluana Englaro, al massimo in due settimane. Fatto? Macché: tutto bloccato alla Camera, e sono passati oltre dieci mesi.

Tutta colpa degli alleati infidi, ragiona Berlusconi. Come il co-fondatore del Pdl Fini che, in onda o fuorionda, non perde occasione per mollare qualche calcetto al premier. Ma l'immobilismo non dipende dal presidente della Camera. Nel Pdl c'è una scena che si ripete: auto blu a palazzo Grazioli, Berlusconi che si fa giurare all'unanimità dai vertici del partito che il Capo è lui, nessun altro all'infuori di lui, ma senza prendere decisioni su nulla. E in assenza di direttive l'intendenza si divide. Finiti i tempi dei kit dei candidati, le navi azzurre, i manifesti sei per tre, i provini di telegenia per gli aspiranti consiglieri regionali, le campagne elettorali pianificate con mesi di anticipo. Lontanissima anche la stagione in cui Berlusconi decideva da solo, senza neppure una telefonata, il nome del futuro governatore della Sardegna, tal Ugo Capellacci, detto Ugo-chi?: eppure non sono passati molti mesi. Le elezioni regionali del 29 marzo sono alle porte e tutto è in ritardo: lo schema di gioco e le squadre da schierare. Nicola Cosentino candidato presidente in Campania? «Mi ritiro dalla corsa se me lo chiede il premier», ha ripetuto il sottosegretario all'Economia sotto inchiesta per camorra. Mentre Berlusconi rimandava indietro la palla: «Spetta a lui decidere». La Lega reclama le presidenze di Veneto e Piemonte? «Troveremo una soluzione», ha ribadito il Cavaliere, senza avvicinarsi alla meta. Anche perché il partito di Bossi non ha mai fatto mistero di puntare al colpaccio, la presidenza della Lombardia. Risultato: la paralisi totale, dal Piemonte alla Calabria, che comunque lascerà sul campo morti e feriti. Come già avviene in Sicilia: nella regione crocevia di tutte le storie, anche le più drammatiche come quelle vagheggiate dal pentito Gaspare Spatuzza, nell'isola che nelle elezioni del 2001 regalò a Berlusconi uno storico cappotto (61parlamentari per la destra, zero per il centrosinistra) il dopo-Silvio sta già iniziando, nella confusione più totale.

Con il governatore Raffaele Lombardo che prova a spaccare il Pdl e fare una nuova giunta con chi ci sta: «Se si rivotasse subito Berlusconi avrebbe ancora la forza di schiacciarmi. Ma se resisto un altro anno sarò io a schiacciare lui». È il calcolo che fanno in tanti: amici, alleati, poteri forti, Chiesa. I molti soggetti che scrutano il tramonto del berlusconismo, che potrebbe anche rivelarsi molto lungo e sicuramente tempestoso. Gli unici a non aver ancora messo a fuoco una strategia per il dopo-Berlusconi sono i dirigenti del Pd: timorosi che il sistema finisca per crollare addosso a loro, come il Muro di Berlino. E non lo mette nel conto, ovviamente, il Cavaliere che ha affinato un'abilità straordinaria a fare leva sui guai per risalire: lo tirano in ballo nelle deposizioni su mafia e stragi e lui ne approfitta per ricompattare le truppe e giocare la carta preferita, il vittimismo. Il calendario di fine 2009- inizio 2010 è inzeppato di viaggi all'estero e prestazioni straordinarie, come il Natale tra i terremotati a Onna. Buone per far passare il tempo. Esorcismo necessario per il Cavaliere andreottizzato che tira a campare. In attesa della scadenza.

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