Passaparola di Marco Travaglio del 20 aprile 2009
La legge Mammì e Berlusconi
Che cosa succede l’8 gennaio 1994? Succede che il Cavalier Silvio Berlusconi in procinto, ma non ancora ufficialmente - l’aveva dichiarato - di entrare in politica, di “ scendere in campo”, come avrebbe detto lui alla fine del mese, sale le scale della sede de Il Giornale in Via Gaetano Negri a Milano, raggiunge la sala dove si stava per tenere l’assemblea dei redattori e arringa i giornalisti de Il Giornale in assenza e all’insaputa di Montanelli. Antefatto: Berlusconi non aveva mai messo piede nei piani alti de Il Giornale per una ragione molto semplice: che quando ne era diventato l’azionista e poi l’editore Montanelli non gli aveva mai permesso e lui non si era mai azzardato a mescolarsi con Il Giornale, si occupava ovviamente dell’amministrazione come fanno gli editori. Nel 90 aveva poi lasciato il suo ruolo di editore, cedendo le quote al fratello Paolo, come vi ho detto, per aggirare la legge Mammì. Non è una cosa da poco aggirare la legge Mammì, perché la legge Mammì, che pure è una barzelletta per quanto riguarda i criteri antitrust, è la legge che ha consentito a Berlusconi di continuare a possedere l’intero panorama della televisione commerciale in Italia, prevedeva e prevede delle sanzioni, ovvero la perdita immediata della concessione pubblica da parte di chi la violasse: sappiamo che Berlusconi l’ha violata almeno per due profili, da un lato perché continuava a essere il reale proprietario de Il Giornale, come dimostra quello che è accaduto l’8 gennaio del 1994, quindi avrebbe dovuto perdere la concessione per le televisioni e poi perché continuò a controllare ben più del 10% di Telepiù, la pay tv che aveva messo in piedi e che poi la Mammì lo costrinse a cedere nella quota eccedente il 10% e lui, ovviamente, la aggirò passando le quote a dei suoi amici e prestanomi che spesso lui stesso aiutava a comprarle, come poi è venuto fuori dai processi e naturalmente come poi le famose authorities non hanno voluto sanzionare perché fanno sempre finta di niente. Pensate soltanto alle authorities in questi giorni che cosa non stanno facendo rispetto alla violazione palese della legge Gasparri e della legge Frattini: sono due leggi che Berlusconi ha fatto nel 2004 e sono due leggi che Berlusconi viola; non so se avete sentito l’Avvocato Ghedini l’altro giorno a Annozero dire “ beh, ma Berlusconi l’ha fatto lui il Testo Unico dei beni culturali, mica potrà violarlo!”: non so se la regola valga anche per la Gasparri e per la Frattini, fatto sta che le sta violando tutte e due. La Gasparri stabilisce che i dirigenti della RAI li nomina il Consiglio di amministrazione, però il Consiglio di amministrazione, come sapete, non si riunisce a Palazzo Grazioli, ma si riunisce non so se al settimo o all’ottavo piano di Viale Mazzini 14, mentre invece le nomine si stanno facendo a casa di Berlusconi e lui ha anche annunciato “ guardate che vi siete sbagliati, perché i nomi che ho in mente non sono quelli che avete scritto, ma sono altri” e quindi ha confermato pienamente che se ne sta occupando lui, senza averne alcun titolo. In più c’è il fatto che se ne sta occupando un signore che è anche il proprietario della concorrenza e che, naturalmente, ha tutto l’interesse a piazzare dei dirigenti inadeguati alla RAI per guadagnare in ascolti e in pubblicità su Mediaset. E di dirigenti inadeguati nominati da Berlusconi alla RAI ce ne è una lunga tradizione, come evidentemente ricordate, ma i nomi che circolano in questi giorni ci dicono che in futuro avremo dirigenti se possibile ancora più inadeguati di quelli che aveva nominato le altre volte, perché Mediaset è molto in difficoltà e c’è bisogno proprio di una RAI diretta da un gruppo di paracarri e di piante grasse, di Ficus probabilmente. Passeremo dal genere animale al genere vegetale.
Ritornando a bomba, violò la legge Mammì e la violò perché andò a parlare con una redazione che non doveva avere nulla a che fare con lui e con cui lui non doveva avere nulla a che fare: perché ci andò? Perché da mesi aveva avvertito Montanelli della propria intenzione di scendere in campo politicamente, Montanelli gli aveva sconsigliato tutto ciò, Berlusconi se ne era infischiato e aveva ragione Berlusconi, perché nelle condizioni in cui era, come disse giustamente a Montanelli e a Biagi, “ se non entro in politica vado a finire in galera e fallisco per debiti”, quindi non poteva fare altrimenti: o la galera o il governo, scelse il governo e evitò la galera e i debiti. Però Montanelli gli aveva detto che mai e poi mai Il Giornale sarebbe diventato il suo organo di partito: Berlusconi fece un discorso molto chiaro, nelle riunioni che teneva il sabato a Arcore, con tutti i direttori dei giornali e dei telegiornali delle sue reti, Montanelli non ci andava, ci andava il condirettore Federico Orlando e Berlusconi aveva detto chiaramente “ dovremo diventare un’orchestra che suona uno spartito unico: il mio” e l’unico che disse esplicitamente di no fu Montanelli (Federico Orlando, ovviamente). Trovate tutto in un libro che si intitola “ Il Sabato andavamo a Arcore”, pubblicato da Federico Orlando per l’editore Larus, oppure nel libro “ Montanelli e il Cavaliere”.
A quel punto Berlusconi decide di sostituire Montanelli, perché già sa che Montanelli, simbolo dell’Italia liberaldemocratica, conservatrice gli dirà di no e gli dirà di no sul giornale edito da suo fratello, quindi praticamente sarà una critica, quella di Montanelli, che vale il triplo rispetto a quelle che partono da sinistra, perché nessuno potrà accusare Montanelli di essere diventato di sinistra. Avere un nemico dalla propria, dalla parte dei propri elettori, moderati, conservatori etc., sarebbe stato devastante e conseguentemente Berlusconi spera di riuscire a pensionare Montanelli dandogli un ruolo di padre nobile da accantonare e da mettere in un angolo, oppure addirittura da mandare via, non pensando che Montanelli a 85 avrebbe tirato fuori le energie per fondare un nuovo giornale. Quindi aspettava l’occasione per farlo fuori e intanto gli faceva massaggiare i nervi dai suoi sgherri, dai suoi killers, che in televisione sparavano a zero contro Montanelli un giorno sì e l’altro pure: erano i soliti Sgarbi e Fede, non sono cambiati i nomi. Leggerete che cosa sono riusciti a dire Sgarbi e Fede in quei mesi: cose di cui persino loro dovrebbero vergognarsi, il che è tutto dire.
Fede chiede le dimissioni di Montanelli
Ma Montanelli i nervi non se li lascia saltare e continua a non dimettersi: aspetta che qualcuno lo faccia fuori, tenete presente che Montanelli è il giornalista più importante, più famoso, più bravo secondo me d’Europa allora e anche dopo allora, conseguentemente a Berlusconi cominciare la sua avventura politica cacciando il più grande giornalista d’Europa probabilmente creava qualche problema. Allora sperava che se ne andasse Montanelli e Montanelli non si muoveva, finché a un certo punto Emilio Fede, il servo più servile, più zelante, il giorno dell’Epifania, il 6 gennaio del 94, quando mancano ormai tre settimane alla discesa in campo di Berlusconi, si presenta al Tg4 e chiede le dimissioni di Montanelli, il quale il giorno dopo gli dedica un controcorrente: vedete la differenza di stile che c’è tra Montanelli e questi poveretti che hanno preso il suo posto al giornale, che dedicano decine e decine di pagine a Santoro etc.. Montanelli, quando doveva polemizzare, lo faceva con un controcorrente di dieci righe, cinque righe: “ Giovedì sera annuncio a sorpresa di Emilio Fede nel suo Tg4: adesso - ha detto - voglio parlarvi di informazione: c’è sempre una prima volta!”, questo è come Montanelli ha sistemato Emilio Fede il giorno dopo, mentre tutti i giornali scrivevano “ Fede contro Montanelli: c’è dietro Berlusconi, lo cacceranno” etc. etc., dieci righe. Questo è il detonatore, perché? Perché tutti i giornali - all’epoca esistevano ancora dei giornali con dei direttori che sapevano difendere la libertà di stampa - intervennero dicendo che era una vergogna quello che succedeva, un giornalista - se possiamo chiamare Fede giornalista, diciamo un iscritto all’albo dei giornalisti - che chiede la cacciata del più grande giornalista italiano al suo padrone. Per esempio, su Il Messaggero uscì un editoriale dal titolo “ Va in onda la liberaldemocrazia”, durissimo contro Berlusconi; sentite: “ dal pulpito di rete 4 è stata impartita ieri sera una lezione di intolleranza, proprio mentre infuria la polemica su quanto sia favorito, rispetto ai concorrenti, un candidato alle elezioni che possiede tre reti televisive - all’epoca se ne parlava, pensate! - l’invito di Emilio Fede a cacciare Montanelli perché troppo autonomo è il primo esempio pratico del livello di indipendenza che potrebbe crearsi all’interno dell’impero di Berlusconi”. Questo episodio moltiplica l’inquietudine, perché lascia capire quanto potrebbe essere forzatamente massiccio e compatto il sostegno al Cavaliere degli organi di informazione del suo gruppo: “guai a chi si azzardasse a uscire, anche per un attimo, dal coro, la durezza dell’intervento, preannunciato proprio perché avesse maggiore risonanza, mostra lontane tentazioni da Min. Cul. Pop. (Ministero della Cultura Popolare di Mussolini) e lascia sbigottiti. E’ auspicabile che si tratti soltanto della mossa maldestra di un giornalista bravo ma troppo zelante, convinto di fare la cosa gradita al proprio editore: certo resta da vedere se Berlusconi presterà orecchio a questi consigli, speriamo che non lo faccia e si mostri del tutto estraneo all’iniziativa, anche perché condividerla sarebbe mossa improvvida per chi si presenta come un campione della liberaldemocrazia”.
Sapete chi era questo signore che si stracciava le vesti contro Berlusconi e Emilio Fede? Paolo Bonaiuti: non è un omonimo, è proprio lo stesso che oggi fa da portavoce a Berlusconi e trovate.. è quel signore che compare soprattutto la domenica, quando va in riposo Capezzone, anche Capezzone chiude per riposo settimanale come le pizzerie, in quel caso subentra Bonaiuti. E’ quel signore che vedete vestito in modi variopinti, che fa sempre così con la testa, come quei cagnolini che stanno sul retro delle macchine degli agricoltori, vicino al cappello di paglia. Ecco, quello è Bonaiuti: all’epoca era vicedirettore de Il Messaggero, era di sinistrissima naturalmente e sparava a zero, scrivendo delle cose anche condivisibili, nel senso che anche lui ha avuto un periodo in cui ragionava con la sua testa, poveretto, poi ha smesso!
Berlusconi irrompe in redazione
Per dirvi che questo era il clima nel quale Berlusconi decide di andare in redazione a Il Giornale per smentire questa cattiva stampa che gli sta venendo addosso e non si rende conto, in realtà, che sta semplicemente alimentando proprio l’interpretazione che ha dato persino Bonaiuti, ossia che siamo di fronte a un atto sommamente illiberale. Va alla redazione de Il Giornale, io quel giorno non c’ero, ero a Torino e un collega mi fece sentire al telefono gran parte dell’intervento di Berlusconi, che pure fu abbastanza breve e comunque trovate il testo nel libro; Berlusconi disse sostanzialmente che, se la redazione voleva combattere con armi adeguate - cioè a cannonate - contro i comunisti, non sarebbero mancati i mezzi per farlo: i mezzi erano quelli che da anni i giornalisti de Il Giornale chiedevano, almeno i computers, in quanto Il Giornale era l’unico quotidiano nazionale che aveva ancora le macchine per scrivere, non aveva ancora le tecnologie e poi c’erano stipendi da fame, completamente fuori mercato. Promise tecnologie e soldi, fece capire che sarebbero arrivate le tecnologie e i soldi se si fosse voluta combattere la battaglia sua, ossia quella di un anticomunismo completamente fuori tempo massimo, nel senso che il muro di Berlino era caduto da cinque anni, si combattevano i comunisti quando non c’erano più. Se invece si voleva attardarsi dietro la cosiddetta linea del fioretto, cioè Montanelli, che era considerato ormai un rammollito, uno che combatteva i comunisti con il fioretto anziché con il manganello e con la clava, beh, allora ciccia: questo fu il discorso ricattatorio di uno che non era più l’editore de Il Giornale ai giornalisti de Il Giornale in assenza del direttore. Capite che in sostanza Berlusconi invitava la redazione a sollevarsi contro il suo fondatore e direttore, il quale, ignaro di quello che stava succedendo, stava qualche piano sotto. Questo è lo scandalo, questa è la cosa che i berlusconiani non riescono a accettare: perché? Perché se ne rendono conto anche loro che, se accettassero che le cose sono andate così - e sono andate così! - il loro campione sarebbe semplicemente un dittatorello da quattro soldi che aveva rivelato di essere un dittatorello fin da prima di scendere in campo, quindi neanche che si sia guastato work in progress. Ecco perché in questi anni, approfittando del fatto che Montanelli non c’è più, hanno cominciato un’opera di negazionismo e di revisionismo sul divorzio tra Montanelli e Berlusconi e, proprio di questo, mi sono occupato in questa prefazione, in questa nuova introduzione del libro, citando le cose incredibili che si sono lette in questi anni su Il Giornale: su quel giornale dal quale era stato cacciato Montanelli, quel giornale che hanno accettato di dirigere prima Vittorio Feltri al posto di Montanelli, poi Mario Cervi al posto di Montanelli, poi Maurizio Belpietro, fino al poveretto che avete visto anche voi due settimane fa a Annozero e che non nomino per questioni di decenza.
Tutti questi signori hanno tentato, a poco a poco, una riappropriazione indebita di Montanelli - ripeto - cacciato dal giornale che aveva fondato, nell’indifferenza di tutti costoro che, naturalmente, hanno continuato a scriverci o hanno addirittura ricominciato a scriverci come Cervi, che era passato alla Voce insieme a noi e poi è tornato indietro con il biglietto di andata e ritorno, come se quello non fosse il giornale dal quale Montanelli era stato cacciato e sul quale Montanelli è stato insultato dal 94 al 2001, persino durante la direzione di Cervi. Tant’è che Montanelli, negli ultimi giorni della sua vita, manifestò molta amarezza e un’intervista a Diario, per esempio, a Pietro Cheli disse che da Cervi certe cose non se le sarebbe aspettate.
Comunque dopo morto hanno cominciato a dire che il divorzio non era dovuto a quell’irruzione di Berlusconi e anzi, che quella di Berlusconi non fu un’irruzione, che Berlusconi entrò in redazione con il consenso di Montanelli, che in realtà Montanelli non se ne era andato per dissensi politici sulla discesa in campo di Berlusconi, per il conflitto di interessi etc., se ne era andato così per una bizza umorale, per un’alzata di testa senile, oppure perché era geloso, come ha detto Berlusconi: “ Montanelli era geloso di me e avrebbe voluto diventare come me ma non c’era mai riuscito”, pensate la piccolezza di questo ominide!
Il problema è che Montanelli ha sempre raccontato il contrario, ossia che lui non sapeva che Berlusconi stava arringando la sua redazione e che tutto ciò avvenne a sua insaputa: lo disse in una famosa telefonata a Raggio Verde il 23 marzo 2001, dieci giorno dopo che io ero stato intervistato da Luttazzi al Satyricon, c’erano anche allora polemiche sulla RAI, c’erano già preannunci di epurazioni come ce ne sono oggi e conseguentemente Feltri era venuto a Raggio Verde da Santoro a dire che Montanelli anzi, era un voltagabbana, era uno che aveva tradito il suo benefattore, perché Berlusconi sarebbe un benefattore e allora intervenne telefonicamente Montanelli per dire testualmente “ intanto voglio ringraziare Travaglio, il quale ha detto l’assoluta e pura verità, assolutamente la versione che lui ha dato degli avvenimenti è quella esatta e debbo dire che devo manifestare una certa sorpresa per quello che ha detto Feltri, il quale senza dubbio sa come andarono le cose e queste cose le ripeto in sua presenza. Feltri dice che la mia condotta verso Berlusconi era stata ambigua e gli rispondo che ho conosciuto due Berlusconi, ossia il Berlusconi imprenditore privato che comprò Il Giornale e noi fummo felici di venderglielo, perché non sapevamo come andare avanti, su questo patto: tu, Berlusconi sei proprietario de Il Giornale e io, direttore, sono il padrone del giornale, nel senso che la linea politica dipende solo da me. Questo fu il punto tra noi due e quando Berlusconi mi annunziò che si buttava in politica, capii subito quello che stava per accadere: cercai di dissuaderlo, d’accordo con Confalonieri e con Gianni Letta, neanche loro volevano che il Cavaliere entrasse in politica, ma tutto fu inutile e dal momento in cui lo decise mi disse “ da oggi Il Giornale deve fare la politica della mia politica”. Io gli dissi “ non ci pensare neanche” e allora lui riunì la redazione a mia insaputa totale, come ha raccontato Travaglio e disse “ d’ora in poi Il Giornale farà la politica della mia politica” e a quel punto me ne andai, cosa dovevo fare? Questo Feltri lo sa, ma non lo può dire perché andò a prendere il posto di Montanelli cacciato in quel modo”, cosa che poi Montanelli scrisse anche due giorni dopo su Il Corriere della Sera il 25 marzo 2001: “ riunita a mia insaputa la redazione egli la avvertì (la redazione) in parole povere che, se volevano più quattrini anche nella busta paga, non avevano che da mettersi al servizio dei suoi interessi politici, ora che aveva deciso di scendere in lizza.” La risposta della redazione furono 35 lettere di dimissioni che poi diventarono 55, infatti furono 55 gli ex giornalisti de Il Giornale che andarono a lavorare alla Voce con Montanelli. Quello è il punto chiave, quello è l’inizio di tutto, quello è l’inizio del regime: l’inizio del regime è addirittura un po’ precedente rispetto al discorso della discesa in campo e alla nascita del primo governo Berlusconi, quando comunque Montanelli immediatamente fin dal 94 - tenete presente che stiamo parlando di quindici anni fa - per primo cominciò a avvertire sui pericoli di regime che l’Italia correva. E allora concludo con alcune cose che diceva Montanelli, a proposito del berlusconismo: “ il regime si realizzerà dopo la vittoria del Polo, la prima cosa che farà Berlusconi sarà spazzare via l’attuale dirigenza RAI per omologarne le tre reti a quelle sue”, sembra scritto oggi perché ogni volta Berlusconi fa le stesse cose, il problema è che c’è qualcuno che lo scrive e che lo vede e c’è qualcuno che fa finta di niente. Oggi quelli che fanno finta di niente sono la stragrande maggioranza, proprio anche perché su Il Corriere non c’è più Montanelli a scrivere, su La Stampa non ci sono più Galante e Garrone, Bobbio, non c’è più Silos Labini, non ci sono più i grandi vecchi che queste cose le dicevano e le sentivano.
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