La “questione acqua” sta diventando ormai una tematica nazionale, non solo per l’elevato costo delle bollette ma anche, se non soprattutto, per un concetto ideologico che prevede una gestione pubblica dell’acqua e non privatizzata per come ha deciso, nel silenzio e senza colpo ferire, l’attuale governo in una giornata vacanziera d’agosto. Molti sindaci, anche in alcuni Comuni del nord Italia, hanno consigliato ai propri cittadini di non pagare le bollette fino a quando non verrà fatta chiarezza sulla questione e soprattutto fino a quando non verranno recapitate bollette dal costo quadruplicato rispetto al recente passato. Ma sull’acqua non troverete mai nessuna prima pagina nei famosi quotidiani nazionali né mai alcun telegiornale dedicherà l’apertura a questa problematica. Sempre in silenzio e senza colpo ferire.
I dati emersi da una recentissima ricerca effettuata dall’Osservatorio nazionale di Cittadinanzattiva sono spietati.
“Il servizio idrico italiano è afflitto da una serie di criticità quali eccessiva frammentarietà, gravi perdite, pochi investimenti e mancanza di automaticità tra investimenti ed aumenti delle tariffe. La norma di riferimento continua ad essere la legge Galli del 1994 che poneva fra i suoi obiettivi l’esigenza che la gestione del servizio fosse attuata da soggetti gestori operanti in termini economici, efficaci ed efficienti all’interno di ambiti territoriali ottimali di adeguate dimensioni, con una tariffa in grado di coprire i costi di gestione e di investimento. In realtà, gli Ato di riferimento, 92 in tutto, coincidono nella maggioranza dei casi con le singole province italiane e all’interno degli Ato il servizio è affidato ad una pluralità di gestori (114 complessivamente).
A fronte di un livello qualitativo carente stiamo assistendo anno dopo anno ad una crescita costante
delle tariffe che dal 2000 ad oggi sono aumentate del 47% e alla presenza in bolletta di voci di costo
non giustificate. È ad esempio il caso del canone di depurazione presente anche nelle bollette degli
utenti che non usufruiscono del relativo servizio.”
L'acqua più cara si trova in Sicilia e Agrigento è la citta' dove costa maggiormente in Italia: 445 euro annui. Dal 2007 al 2008 l'incremento tariffario registrato nella regione e' stato del 2,4%, inferiore al 5,4% nazionale, ma aumenti molto superiori alla media nazionale si sono registrati a Messina (+9,5%), Caltanissetta (+7,7%) e Siracusa (+6,6%). Nell'Isola del Mediterraneo la spesa media per l'acqua per uso domestico è di 260 euro all'anno, a fronte dei 253 euro del dato nazionale. Nella graduatoria dei prezzi per regione, la Sicilia e' collocata dopo Toscana (330 euro) , Puglia (311 euro) , Umbria (308 euro), Emilia (304 euro ) e Marche (290 euro).
Questa ricerca è stata realizzata in tutti i capoluoghi, è relativa al 2008 e si riferisce a una famiglia tipo di tre persone con un consumo annuo di 192 metri cubi di acqua. Il dossier evidenzia inoltre che in Sicilia sono abissali le differenze di costo tra le diverse citta': a Messina si pagano 214 euro in meno che ad Agrigento, a Catania addirittura 258 euro in meno.
Scoraggianti anche i dati sugli investimenti realizzati: al 2008 l'Ato 6 di Caltanissetta ne aveva effettuati solo l'1%, l'Ato 5 di Enna il 12%, l’Ato di Agrigento… beh, lasciamo perdere.
Sempre secondo la stessa indagine dell'Osservatorio Prezzi e Tariffe di Cittadinanzattiva su costi e qualità del servizio idrico, in Italia, nell'ultimo anno, il costo dell'acqua ha registrato un incremento medio del 5,4% rispetto al 2007. La maglia nera degli aumenti se l'aggiudica la Campania: a Salerno l'acqua costa il 34,3% in più mentre a Benevento si parla di rincari vicini al 32%. Situazione negativa anche in Emilia Romagna: a Parma si registrano rincari per il 21,4% e del 10% a Ravenna. In generale, gli incrementi si sono registrati in ben 68 capoluoghi di provincia.
Inoltre, secondo dati Istat, da gennaio 2000 a luglio 2009 l'aumento è stato del 47%.
Insomma non solo Sicilia, non solo Agrigento, non solo Sciacca dove la situazione sta divenendo ogni giorno più imbarazzante: a fronte delle perdite idriche, a fronte degli incidenti stradali che accadono a causa di queste perdite, a fronte delle arterie stradali che franano per le infiltrazioni di acqua, a fronte di palesi e reiterati disservizi, a fronte di un ufficio che quasi non esiste, a fronte di pratiche di allaccio costosissime e spesso bloccate per mesi, i “nuovi padroni dell’acqua”, come qualcuno li ha definiti, continuano a minacciare in maniera vessatoria il distacco di un pubblico servizio per il quale, naturalmente, siamo in regime di monopolio, glielo abbiamo consegnato per 30 anni attraverso una stranissima gara d’appalto e siamo stati i primi, felici e contenti, a consegnare le nostre reti idriche cittadine. Col senno di poi siamo arrivati fino al punto di rimpiangere l’EAS, ente in fallimento, ente che deve al Comune di Sciacca ben 7 milioni di euro di transazione ed interessi maturati in questi anni, ma almeno l’acqua arrivava. Adesso si è giunti nella comica situazione che, in zone, come quella Cimitero, dove l’acqua è mancata per 20 giorni, arrivavano in contemporanea le minacce di distacco: ti stacco l’acqua che già non ti arriva. Incredibile. Da più parti si chiede la rescissione del contratto con Girgenti Acque per palesi inadempienze contrattuali ed addirittura alcuni comuni dell’agrigentino tra cui Sant’Angelo Muxaro non hanno ancora consegnato le loro reti idriche mentre il leader dei sindaci ribelli, Giovanni Panepinto, li invita a resistere, almeno fino a quando il CGA non si pronuncerà sulla regolarità o meno della gara d’appalto attraverso la quale Girgenti Acque si è aggiudicata il (dis)servzio.
Tornando all’indagine di Cittadinanzattiva, in tema di qualità delle acque destinate al consumo domestico, si parla pochissimo del ricorso alle deroghe, previste dal D.Lgs. 31/01 e concesse dal Ministero del Lavoro, della Salute e delle Politiche Sociali: negli ultimi 7 anni, ne hanno usufruito ben 13 regioni. Queste Regioni dovrebbero provvedere affinché la popolazione sia adeguatamente informata, ma in alcuni casi non si specificano nemmeno i nomi dei singoli comuni coinvolti.
La domanda, come diceva il grande Antonio Lubrano, sorge spontanea: la Sicilia quanto è coinvolta da queste deroghe? E Sciacca? Come stiamo messi in qualità delle acque ed in potabilità?
Si chiedono deroghe di solito per questi 7 parametri fuorilegge: arsenico, boro, cloriti, fluoro, selenio, trialometani e vanadio. Tutta salute! Allegria!
Ad ogni caso, ad oggi, il Lazio è la Regione con il maggior numero di amministrazioni comunali interessate da deroghe, ben 84 (nel 2006 erano 37) per 5 parametri, segue la Toscana con 21 comuni (ma nel 2008 erano 69 e nel 2005 addirittura 92) e tre parametri. Cosa succederà dal 2010 quando la richiesta di ulteriori deroghe per gli stessi parametri oggi "fuorilegge" andrà indirizzata direttamente alla Commissione Europea non è dato saperlo.
Al Sud non si investe, la rete è un colabrodo, e anche se i parametri di potabilità sono migliori che al Nord, le continue interruzioni del servizio in molti casi non favoriscono il consumo dell'acqua di rubinetto. In positivo invece, si distinguono Veneto e Liguria, dove a fronte di investimenti alti, le tariffe risultano inferiori alla media nazionale, la dispersione idrica è bassa e non vi sono deroghe. In negativo spicca la Puglia, che a fronte di un livello basso di investimenti realizzati e deroghe dal 2004 ad oggi, presenta le tariffe medie più alte dopo quelle registrate in Toscana, ed una percentuale di dispersione di sei punti percentuali superiore alla media nazionale.
“Sono state analizzate anche 71 Carte dei Servizi relative a 84 città. In caso di specifici disservizi, nel 18% delle Carte sono previsti indennizzi automatici, mentre la maggior parte (69%) li prevede solo su richiesta. Il modulo di reclamo è riportato nel 13% di esse, e solo nel 28% dei casi si fa riferimento alla possibilità di ricorrere alla conciliazione per la risoluzione delle controversie tra utente e gestore. E ancora: in poco più della metà delle Carte esaminate è stato riscontrato un numero verde di assistenza alla clientela, mentre nel 90% dei casi non si fa riferimento
ad agevolazioni tariffarie per le fasce deboli della popolazione.
Infine il coinvolgimento delle Associazioni dei consumatori nella stesura o sottoscrizione della Carta è stato riscontrato solo nell’8% dei casi: un dato assolutamente deficitario a due anni dall’introduzione della norma che ha reso obbligatorio il coinvolgimento dei cittadini nella verifica periodica dei servizi. Una disposizione, quella prevista dal comma 461 dell’art.2 della Legge Finanziaria 2008 che rischia di rimanere inattuata fintanto che non verranno introdotte sanzioni per chi non la rispetta”.
Sull’acqua c’è davvero tanto da scrivere. Per oggi ci fermiamo qui nella speranza che, nel frattempo non privatizzino l’unica acqua libera che ci rimane. Quella Piovana.
Calogero Parlapiano - tratto da "ControVoce"
martedì 27 ottobre 2009
Un buco nell'Acqua
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2 commenti:
Acqua pubblicaaaaaaaa
assolutamente d'accordo con te! ciao
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