Oltre il 70 per cento del territorio siciliano è ad alto rischio idrogeologico. E le aree più compromesse sono quelle della provincia di Messina nella quale 90 comuni su 108 presentano le più gravi criticità.
Si tratta di fenomeni conosciuti e descritti tra l'altro da uno studio del servizio regionale per la difesa del suolo che ha preparato 70 piani di assestamento idrogeologico (Pai). L'ultimo è stato ultimato e pubblicato nel febbraio 2007.
La mappa del rischio, preparata a partire dal 1999, ha messo in rilievo quella che i tecnici definiscono una "altissima dinamicità" del territorio. Basti dire che sono state censite 21mila e 500 aree a rischio (l'83 per cento solo in provincia di Messina) e 31mila e 800 frane oltre a tremila tra edifici e infrastrutture a rischio idraulico. Ciò vuol dire che, come a Giampilieri e a Scaletta, sono stati costruiti impianti, edifici e opere a ridosso degli alvei dei torrenti e nessuno si è posto il problema di evitare di ostruire il normale deflusso delle acque.
La Regione Sicilia per salvare il salvabile ha chiesto un miliardo per le opere prioritarie ma il Ministero ha tagliato i fondi mentre i fondi strutturali europei assegnano all'Italia solo 50 milioni di euro. Un'inezia rispetto alle esigenze di sicurezza e di fronte all'eccezionalità di quanto è accaduto a Messina. Sempre a proposito di soldi è di due mesi fa un accordo tra Regione e Protezione civile per la pianificazione nel settore del rischio idrogeologico.
I Dipartimenti Territorio e Ambiente della Regione Sicilia e della Protezione civile hanno siglato un accordo interdipartimentale con cinque linee di intervento per attuare la pianificazione nel settore del rischio idrogeologico e realizzare interventi infrastrutturali prioritari previsti nei PAI (Piani Assetto Idrogeologico) approvati e, nello stesso tempo, razionalizzare la spesa comunitaria. La previsione degli obiettivi di spesa nelle cinque linee di intervento sono stati quantificati in poco meno di 141 milioni di euro nell'ambito dell'Asse 2 del programma operativo regionale FESR 2007/2013.
E' necessario intervenire non solo sulle coscienze delle future generazioni ma anche e subito sul suolo, proprio quello che finora non è stato fatto.
Anche Legambiente aveva lanciato l’allarme con un dossier in chiaroscuro sul rischio idrogeologico in Sicilia. La maggioranza dei Comuni siciliani è dotata di un piano d’emergenza, l’organizzazione della Protezione Civile appare in netto miglioramento, ma quasi tutte le aree a rischio sono edificate e le attività di prevenzione idrogeologica risultano ancora troppo carenti.
Il pericolo di frane, alluvioni e altre calamità naturali interessa 272 Comuni dell’Isola (il 70% del totale), 90 dei quali sono situati in Provincia di Messina, 60 nel Palermitano e 26 in provincia di Catania ma anche la provincia di Agrigento è in "rimonta". Infatti la “maglia nera” spetta a Licata (Agrigento), il comune che in assoluto fa di meno in merito al rischio idrogeologico.
Il maggiore pericolo per la Sicilia è rappresentato da frane e smottamenti.
Circa il 60% dei centri siciliani è dotato di un piano di emergenza. Tuttavia, il 53% dei Comuni non è attivo nella manutenzione ordinaria dei corsi d’acqua, privandosi di una decisiva attività per la prevenzione di alluvioni e allagamenti.
Un altro dato inquietante riguarda l’abusivismo edilizio e l’urbanizzazione selvaggia, che minacciano l’ambiente e la sicurezza dei cittadini: il 90% dei Comuni analizzati nel rapporto annovera abitazioni nelle aree a rischio idrogeologico.
Anche a Sciacca la situazione non è migliore: ci sono diversi corsi d'acqua e torrenti ma sono monitorati? Sono ripuliti periodicamente da tutto ciò ne potrebbe ostruire il passaggio o aumentarne il volume in caso di forti pioggie? Anche a Sciacca, come accaduto la settimana scorsa, basta che piova un pò più del dovuto per creare avvallamenti, allagamenti, disagi al traffico ed alle abitazioni, frane e buche lungo la strada. Anche a Sciacca l'urbanizzazione selvaggia non è mai mancata, basti guardare ad alcuni edifici dello Stazzone costruiti in riva al mare o ad altri edificati lungo il torrente Cansalamone. Se a tutto questo aggiungiamo pure il fenomeno dell'erosione della costa il quadro diventa alquanto nero. La contrada San Giorgio, lo stesso quartiere dello Stazzone, la zona di Cammordino sono tutte aree a rischio dove all'erosione si sommano gli agenti atmosferici. Tanti i progetti in itinere per fare qualcosa, pochi, pochissimi i fatti fino a questo momento. A volte si ha l'impressione che tutto sia affidato al "cielo", inteso sia come dispensatore di pioggia più o meno abbondante che come protezione divina. Esistono piani d'emergenza nel caso di calamità naturali?
I tantissimi tombini della nostra città vengono regolarmente puliti per permettere all’acqua piovana di defluire liberamente e senza creare pericoli?
Fermare l’abusivismo e l’urbanizzazione delle aree a rischio, sviluppare interventi di messa in sicurezza e svolgere una costante manutenzione ordinaria dei corsi d’acqua è improrogabile per le amministrazioni locali.
Secondo Giuseppe Messina, segretario regionale di Legambiente, “le alluvioni e i continui allagamenti che quasi quotidianamente coinvolgono la nostra Regione sono la diretta conseguenza di scelte sciagurate compiute dall’uomo. Si tratta di pratiche non soltanto appartenenti al passato, ma ancora oggi tristemente attuali. Nei valloni e lungo i torrenti a rischio dei nostri Comuni sono presenti troppi quartieri abusivi, da Palermo a Canicattì ed oltre”.
Case dichiarate inagibili e nessun controllo. Scarsa manutenzione e fondi investiti male. Così, la tragedia di Messina passa sotto inchiesta e diventa disastro colposo.
Il rischio frane e alluvioni interessa praticamente tutto il territorio nazionale. Come ben documentato in "Ecosistema a rischio", edizione novembre 2008, l'indagine a cura di Legambiente e la Protezione civile sono ben 5.581 i comuni a rischio idrogeologico, il 70% del totale dei comuni italiani, di cui 1.700 a rischio frana, 1.285 a rischio di alluvione e 2.596 a rischio sia di frana che di alluvione.
Questi dati mettono in luce chiaramente la fragilità di un territorio in cui semplici temporali, provocano continui allagamenti e pericoli per la popolazione. Una situazione che deriva soprattutto dalla pesante urbanizzazione che ha subito l’Italia, in particolare lungo i corsi d’acqua.
Complessivamente sono ancora troppe le amministrazioni comunali italiane che tardano a svolgere un’efficace ed adeguata politica di prevenzione, informazione e pianificazione d’emergenza. Appena il 37% dei comuni svolge un lavoro positivo di mitigazione del rischio idrogeologico. Un comune su quattro non fa praticamente nulla per prevenire i danni derivanti da alluvioni e frane. Sono ben 787 le amministrazioni comunali che risultano svolgere un lavoro di prevenzione del rischio idrogeologico complessivamente negativo.
È in Valle D’Aosta la percentuale più alta di comuni che svolgono un positivo lavoro di mitigazione del rischio idrogeologico, e precisamente il 58%, subito seguita dalla Toscana.
Fanalino di coda i comuni della Sicilia, dove ben il 92% delle amministrazioni non svolge una positiva opera di mitigazione del rischio.
Avremmo voluto affermare che non è così, che si tratta di indagini sbagliate ma le vittime di Giampilieri e Scaletta sono lì, purtroppo, a testimoniarlo. Gli interventi promessi non leniranno mai quel dolore ma ne eviteranno altri. Di sofferenze ne abbiamo già viste abbastanza.
Calogero Parlapiano - tratto da "ControVoce"
martedì 13 ottobre 2009
Tragedie Annunciate?
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