Domenica 25 ottobre il Partito Democratico conoscerà buona parte del proprio futuro. Attraverso il meccanismo ormai consolidato delle primarie gli elettori e non del PD potranno scegliere tanto il segretario nazionale quanto quello regionale, entrambi chiamati ad un difficile compito: far tornare alla vittoria il centrosinistra dopo anni di sconfitte elettorali.
Bersani, Franceschini, Marino: tanto uguali, tanto diversi.
Per molti la scelta del nuovo segretario influirà in maniera determinante sullo sviluppo delle idee del partito, più orientato al centro ed ai moderati in caso di successo di Franceschini, più spostato a sinistra in caso di vittoria di Bersani, più aperto a tematiche importanti quali la bioetica e la laicità nel caso di clamorosa affermazione di Marino.
Sicuramente hanno fatto specie tra gli elettori alcune dichiarazioni di questi giorni rese pubbliche dai dirigenti del partito, per taluni nel caso vincesse Bersani “c’è il rischio che il partito si sposti eccessivamente a sinistra”, per altri la probabile vittoria dell’ex ministro del Governo Prodi “sancirebbe la fine delle Primarie”. Quindi queste affermazioni confermano due concetti già chiari da tempo: la sinistra in Italia è sparita da un pezzo, addirittura sorge la paura che possa ricomparire, il PD ha poco di sinistra e Bersani viene rappresentato come l’alter ego di Berlusconi, un’altra deriva democratica, ma stavolta interna agli oppositori di Berlusconi.
La verità, come spesso accade, sta nel mezzo.
Il meccanismo delle Primarie per come è inteso al momento è un’idea alquanto bizzarra, pensare che chiunque passi per strada possa andare a votare non solo è deleterio ma rischia di falsare le reali intenzioni del popolo del centro(sinistra).
E se i “berluscones” si recassero in massa a votare la mozione Marino? E se in generale gli elettori, guidati dai dirigenti, di un altro partito si recassero in massa a votare appositamente la mozione di un determinato candidato alla Regione Sicilia? Il risultato sarebbe falsato ma le alleanze (sottobanco) rinsaldate al grido di “sei lì grazie a me”.
Franceschini che ha raccolto l’eredità di Veltroni ha tenuto egregiamente in piedi la baracca ma non è riuscito a fermare, nonostante gli sforzi profusi, l’emorragia di voti non solo verso il Pdl ma anche verso l’Idv di Antonio Di Pietro, per molti l’unica e vera roccaforte del (centro)sinistra e dell’antiberlusconismo. Il problema maggiore sembra essere quello delle correnti interne al partito in quanto tra gli stessi capi del Partito Democratico, da quanto si evince, non sembra correre buon sangue: come potranno lavorare tutti insieme dopo la guerra intestina delle Primarie? Fassino con Franceschini, D’Alema con Bersani, Rutelli con… dimentivo per Rutelli “il partito democratico non morirà dopo le primarie per il fatto che non è mai nato”. Perfetto. Per molti dopo il 25 ottobre Rutelli prenderà armi e bagagli ed emigrerà verso altri lidi oppure si creerà un nuovo partito con gli esponenti più moderati e meno progressisti. Qualcosa di nuovo ma di simile all’Udc, sostengono alcuni. E Marino? Marino, ingiustamente, ha ricoperto il ruolo del terzo incomodo, di colui che ha “rotto le uova dal paniere” a qualcuno, eppure appare quello con le idee più nuove, fresche ed al tempo stesso capace di tenere vicine le diverse anime del partito. Per questo non vincerà.
Tornando in Sicilia è lotta aperta tra le mozioni Mattarella, Lumia, Lupo e Messina.
Tutte e quattro voci autorevoli del partito, tutte e quattro decisi a darsi battaglia fino all’ultimo voto.
Mattarella sta con Bersani, Lumia ha portato avanti una mozione autonomista ed è appoggiato dal deputato regionale Cracolici, Lupo sta con Franceschini e Messina sta con Marino.
Tutti divisi appassionatamente.
Anche a Sciacca ogni dirigente del partito ha fatto campagna elettorale per uno dei questi candidati così da avere: Mariolina Bono e Girasole con Lupo, Filippo Marciante con Franceschini, Vincenzo Marinello e Giuseppe Coco con Bersani e Mattarella, Nuccio Cusumano e Simone Di Paola con Lumia, Giandomenico Pumilia con Marino.
Insomma proprio una bella lotta. Sono tantissime infatti le liste, eredità delle correnti in seno al partito. Come andrà a finire in Sicilia ed a Sciacca?
La conta dei voti tra gli iscritti aveva sancito la momentanea affermazione di Mattarella ma, come già detto, domenica, con l’attuale meccanismo, potrebbe cambiare tutto.
Tutti i candidati parlano di una Sicilia più forte, che deve divincolarsi dall’illegalità e dal giogo mafioso, tutti i candidati puntano sul ruolo sociale e non solo delle famiglie, della sopravvivenza delle piccole imprese, del ripristino o del mantenimento dei principali servizi.
Tutti i candidati, pur partendo da punti in comune tra di loro com’è giusto che sia dato che sono tutti esponenti del partito democratico, hanno intrapreso una campagna elettorale in piena regola, piena di incontri, dibattiti, insomma non hanno lasciato nulla al caso.
Ormai siamo alle battute finali dopodiché sapranno e sapremo. E’ una curiosità non solo interna al partito ma anche da parte degli esponenti degli altri movimenti politici che da lunedì in poi conosceranno il loro nuovo (o vecchio) interlocutore e gioiranno (o avranno paura) di questo o di quel risultato.
Comunque vada a finire, gli elettori si augurano un partito che sappia prendere decisioni opportune e sappia fare, tanto in Sicilia quanto in Italia, una serena e costruttiva opposizione in quanto una opposizione in salute e coesa rende migliore e più libero un paese che suole definirsi democratico.
Calogero Parlapiano - tratto da "ControVoce"
lunedì 26 ottobre 2009
Quale futuro per il PD?
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