Il 13 dicembre Massimo Tartaglia taglia come il burro la scorta di Berlusconi e riesce a colpirlo non con un fucile di precisione dalla cima di un palazzo, ma da mezzo metro con un souvenir che tiene in mano.
Prima reazione di Di Pietro: “Sono contro la violenza, ma Berlusconi con il suo comportamento e il suo menefreghismo istiga alla violenza”.
Prima reazione di Maroni, ministro dell’interno, condannato in via definitiva per aver tentato di mordere un polpaccio ad un agente durante la perquisizione alla sede della Lega: “L’episodio gravissimo di ieri trae le sue cause nel clima di contrapposizione violenta e nelle parole dettate dalla dialettica politica”. Sarà.
Primo bollettino medico: frattura del setto nasale e ferita lacero-contusa che ha richiesto punti di sutura al labbro inferiore. “E' molto scosso, abbattuto e dispiaciuto”, dice il primario. Prognosi: venti giorni.
IL MIRACOLO
Poi, d’improvviso, succede qualcosa. Berlusconi, riporta l’Ansa il 13 dicembre, confessa a Emilio Fede: “Sono miracolato, un centimetro in più e avrei perso l’occhio”.
E il viavai al capezzale riunisce tutte le forze politiche. Condanna al gesto di violenza, "senza se e senza ma", dichiara Bersani all'uscita dall'ospedale. Solidarietà, incontri, auguri. Tartaglia viene intanto descritto come un inventore pazzo orientato nel suo gesto dalle parole contro il premier di precisi mandanti morali: giornalisti (Marco Travaglio) e politici (Di Pietro).
Ed è un clamoroso crescere di eventi. Le condizioni di Berlusconi si fanno più serie. La prognosi, riportano le cronache, passa da 20 a 90 giorni. Una prognosi, per essere chiari, gravissima: come quella di un sudamericano cui avevano tagliato un braccio con un machete a Treviso (22/6/08), come l’operaio che si era fratturato addirittura una vertebra cadendo da tre metri in un cantiere (4/8/09), come il rumeno salvato da un carabiniere mentre bruciava vivo in un’auto a Verona (7/8/09), come l’uomo che perse un occhio nel verbano a capodanno del 2007, come il ragazzo di Oristano preso a roncolate dal fratello e finito in ospedale con ferite e fratture a rotula e femore (29/6/05), come il macedone preso a pistolettate nel torinese che rischiava la paralisi (28/05/01), come il superstite di 62 anni caduto nientemeno che da un ultraleggero a Ravenna (16/10/08), come infine la donna di 87 anni investita da un’auto a Bologna con lesioni a torace, vertebre e invalidità permanente (10/2/2003). Novanta giorni, pesantissimo. E allora, fine delle critiche. Tutti muti.
A Natale, Berlusconi, alle agenzie: “Dopo quanto accaduto in piazza del Duomo il clima politico sembra cambiato in meglio: si è certamente rasserenato”. Vero. E quando esce col cerottone ben visibile sul volto e quando poi lo toglie dopo un solo mese e non c’è alcun segno sul suo viso, di fronte a novanta giorni di prognosi su un uomo di 74 anni, è difficile non gridare al “miracolo”. E’ come se il tizio con la vertebra fratturata facesse capriole dopo un mese o se, sempre dopo un mese, l’uomo caduto dall’ultraleggero si mettesse a saltare da mattina a sera. Il professor Nicolò Scuderi, chirurgo plastico de L’Università La Sapienza di Roma, impiega mezza pagina per spiegare ai lettori stupefatti di Oggi che il tutto può essere spiegato con una “coincidenza di fattori fortuiti (nella fattispecie: sede e tipologia del trauma) e del ricorso a una serie di tecniche chirurgiche all’avanguardia. Anche il tipo di pelle, bisogna dire, ha contribuito al recupero ottimale”.
Sarà di sicuro così. Ma martedì arriva il responso della perizia medico legale chiesta dalla Procura: prognosi da venti a quaranta giorni. Non quaranta d’acchito. Da venti a quaranta. Nella migliore delle ipotesi, meno della metà del previsto. Nella peggiore, venti giorni, meno di un quarto.
E nemmeno si può ipotizzare un complotto dei medici rossi, novelli Che Guevara in mano alla Procura, perché la prognosi è addirittura più generosa della prima fatta al San Raffaele. L'aggressore è appena stato rinviato a giudizio.
E la vicenda comincia a ritornare in un alveo di normalità. Anche se una parte, quella dei “mandanti”, poteva pure essere risparmiata fin dall'inizio: bastava leggere bene il blog di Tartaglia, che pure è stato visto (www.myspace.com/elisirmusicpicture, tornato recentemente attivo) e guardare tra le sue amicizie, per accorgersi che non c’era alcun riferimento politico o giornalistico tra queste, ma quasi esclusivamente artisti o aspiranti tali. Per vedere che Tartaglia, per il quale la difesa ha chiesto l' infermità mentale, era tutt’altro che un inventore pazzo facilmente orientabile. Visto che aveva tra i suoi partners ingegneri elettronici (si veda il suo sito, musicpicture.it) e che il suo sistema opto-audio-elettronico è tuttora tra le 17 opere in vetrina sul “marketing delle tecnologie” (marketingdelletecnologie.it), iniziativa portata avanti nientemeno che dalla Fondazione del Politecnico di Milano.
Invece, è stato montato un enorme dibattito politico sul clima d’odio, diventato presto d’amore. E un dibattito sulla più suggestiva miracolosa guarigione, per un episodio imprevedibile ma capitato solo grazie al fatto che un uomo insospettabile era riuscito a fra breccia nella scorta. E qui, arriva Genchi.
DAL PALCO DELL’IDV
Quando arriva al congresso dell'Idv è un assalto di baci e abbracci. Sale sul palco. E racconta ciò che ha già detto su Telelombardia, in miriadi di interviste e di incontri pubblici, filmati e mandati su Youtube. Basta rivederli per capire a cosa si riferisca: sono tutti uguali. Esprime cioè tutti i suoi dubbi sull’anomalia del comportamento della scorta, che secondo qualsiasi protocollo di sicurezza, non dovrebbe mai aprirsi. Ricorda anche, come ha sempre fatto, che la scorta il premier se l’è scelta lui. E che in passato, avvalendosi di collaboratori poco validi, Berlusconi, già montò un caso clamoroso partendo da un altro fortuito episodio: il ritrovamento di una microspia nel suo studio.
Era l’11 ottobre 1996. Dall’Ansa:
''E' stata trovata durante una bonifica fatta fare a una ditta specializzata; mi hanno spiegato che era perfettamente funzionante e che poteva trasmettere fino a 300 metri di distanza''. La microspia e' stata trovata mercoledi' mattina, ma Berlusconi ha spiegato di aver preferito aspettare che i controlli confermassero che quell' oggetto fosse una microspia attualmente funzionante. ''Voglio anche denunciare alla pubblica opinione una violazione della mia persona, della mia funzione di parlamentare e di leader di Forza Italia. Dico questo anche per tutti i cittadini che si sentono minacciati ogni giorno nei loro diritti''.
Immediate le reazioni. I titoli: Casini: “Polo nel mirino”. Fini: “Servizi deviati ipotesi verosimile”. Mastella: “Clima che debilita la democrazia”. Taradash: “E’ stato potere occulto”. Dalla latitanza si fece vivo pure Bettino Craxi: “Cercare i golpisti”. Solidarietà, allarmismi e preoccupazione. Durò sette mesi. Poi il caso venne archiviato: la pericolosa microspia trovata dalla ditta specializzata nelle bonifiche e "perfettamente funzionante" era “inidonea all’ascolto”. Non andava. Nessuna spy story. La Procura indagò anzi proprio la ditta incaricata dallo staff di Berlusconi della bonifica. Ma poi, alle cronache, non è noto più nulla. Il circo mediatico aperto dal nulla si spense.
6 FEBBRAIO
E allora Genchi, dal palco, definisce, come sempre ha fatto, "pantomima", tutto ciò che accade dopo il colpo di Tartaglia: il premier lasciato ben visibile in mezzo alla folla dolorante col "fazzolettone", che poi è una busta, il premier messo in macchina ma poi lasciato uscire dalla scorta in una maschera di sangue, senza sapere in quel momento se ci fossero o meno altri attentatori. Lui che sale su e giù dall’auto davanti alle telecamere. E tutto ciò che accadrà anche in seguito: il cerottone e la nascita del “partito dell’amore” che, in maniera “provvidenziale” manda in secondo piano tutte le accuse cui è chiamato in questo periodo. In sala, ovazioni. Passa a parlare del suo lavoro nel processo sulle talpe nella DDA di Palermo, terminato in appello con la condanna di Cuffaro. E tutti, dirigenti dell'Idv sul palco compresi, si alzano in piedi. Oltre un minuto di applausi. Ma lascia il congresso con una frase maledettamente profetica sulle "cattiverie che vedrete anche nei prossimi giorni". Sbaglia solo i tempi. E' questione di ore.
Scende, e va a sedersi nel posto che gli hanno riservato in seconda fila. Di fronte ha due sedie vuote, con i cartelli indicanti due nomi che non gli tornano, due persone che arriveranno poco dopo: Bersani. E Latorre, lo stesso Nicola Latorre che appare plurime volte nel suo lungo racconto che mi ha fatto nel libro "Il caso Genchi."
Capisce che qualcosa non funziona. Gli sussurrano che al congresso avrebbero appoggiato la candidatura di De Luca in accordo col Pd. Lo stesso De Luca per il quale nel 2005 l'allora pm di Salerno Gabriella Nuzzi aveva chiesto l'autorizzazione a procedere. La Nuzzi defenestrata per il noto decreto di sequestro e perquisizione fatto a Catanzaro.
Si alza. Saluta. Piglia un taxi. E se ne va.
Alle 11, 01. L'Agi:
CONGRESSO IDV: GENCHI, MIRACOLO QUELLA MADONNINA PER BERLUSCONI. (AGI) - Roma, 6 feb. - "Provvidenziale, quella statuetta della Madonnina. Il cui principale miracolo pare sia stato quello di salvare dalle dimissioni Silvio Berlusconi per quello che stava emergendo, dalle dichiarazioni della moglie, da qualche microfono lasciato aperto mentre Fini diceva delle verita'". Gioacchino Genchi offre alla platea congressuale Idv la sua lettura di uno degli episodi che hanno segnato la cronaca politica recente. Genchi rilancia i dubbi sulla dinamica dell'aggressione di Tartaglia richiamandosi "a quei tanti giovani che su Youtube la stanno analizzando perche' non poteva essere vera". Genchi parla (raccogliera' una vera e propria standing ovation quando rivendica il proprio impegno antimafia) e "da poliziotto che ha diretto servizi di ordine pubblico" allinea dubbi su quella serata in piazza Duomo, non senza toni molto coloriti come quando osserva che "nella protezione delle personalita' c'e' sempre un anello di protezione, come un preservativo, che non puo' essere rotto, tranne per chi ama i rapporti a rischio e tra questi i rapporti non protetti". Il funzionario di polizia critica "quella scorta fatta in casa, scelta da chi aveva un capomafia, un assassino, un trafficante come Mangano a vigilare sulla propria famiglia. Un capomafia fatto passare come stalliere e poi promosso, di fronte alle proteste della mafia, addirittura al rango di 'eroe'". Ancora ironie sulle scene del ferimento di Berlusconi: "Qualunque scorta porta via la personalita' dal luogo dell'aggressione, per evitare che sia uccisa, insieme alla scorta stessa e ad altri inermi. Invece gli hanno fatto fare quello che voleva, e abbiamo visto spuntare quel fazzoletto, nero, enorme. Perche' al nostro premier piacciono accessori di dimensioni inversamente proporzionali alla sua statura. Un fazzolettone enorme, dal quale sembrava dovesse uscire fuori il coniglio di Silvan. Enorme come il cerottone e come la macrospia che tiro' fuori anni fa per accusare le Procure". Ancora pesanti ironie su "quei bollettini medici da Papa morente, dopo il quale lo abbiamo visto tornare meglio di prima, se meglio si puo' dire parlando di Silvio Berlusconi". (AGI)
Ore 11,10, L'Apcom:
Berlusconi/ Genchi: Qualcosa di strano nell'attentato del Duomo Berlusconi/ Genchi: Qualcosa di strano nell'attentato del Duomo Statuetta provvidenziale gli ha evitato dimissioni Roma, 6 feb. (Apcom) - La statuetta che ha colpito Silvio Berlusconi in piazza Duomo lo ha salvato dalle dimissioni: lo ha detto, in un applauditissimo intervento di fronte alla platea del congresso dell'Italia dei Valori in corso a Roma, Gioacchino Genchi, il poliziotto consulente delle procure coinvolto nelle polemiche legate alla inchiesta Why not che ha portato alle dimissioni dalla magistratura di Luigi de Magistris, oggi eurodeputato dell'Idv. Fu "provvidenziale quella statuetta - ha sostenuto - miracolosa, ha salvato Silvio Berlusconi dalle dimissioni forse imminenti". Secondo Genchi "qualcosa non poteva essere vero" nei fatti di piazza Duomo. Basandosi sulla sua esperienza di funzionario di polizia, ha spiegato che "ogni servizio d'ordine ha un anello come un preservativo a protezione delle personalità", e se con Berlusconi non ha funzionato è perché "ama i rapporti a rischio" e ha "la scorta fatta in casa". In particolare, inverosimile appare al vicequestore palermitano il fatto "che non sia stato portato via" dopo il lancio della statuetta, "come si fa in qualunque servizio di scorta per evitare rischi ulteriori per la personalità e la stessa scorta. Gli hanno consentito di fare quello che voleva. E allora abbiamo visto il fazzolettone, sembrava quello di Silvan, pareva dovesse uscire un coniglio, un colombo...". Un fazzolettone, "perché al premier piace scegliere accessori inversamente proporzionali alla sua persona, come quando ha esibito la macrospia trovata nel suo ufficio accusando le procure rosse, io ne ho viste di microspie e non sono fatte così, poi si è capito - ha detto ancora Genchi - che l'aveva messa qualcuno dei suoi...".
E fin qui le agenzie raccontano della dinamica.
Ma alle 11,10, l'Ansa va oltre:
IDV:CONGRESSO; GENCHI, FINTA AGGRESSIONE TARTAGLIA A PREMIER HA SALVATO PREMIER DA DIMISSIONI CHE SAREBBERO ARRIVATE (ANSA) - ROMA, 6 FEB - ''Nel lancio della statuetta del duomo di Milano a Berlusconi non c'e' nulla di vero''.Lo sostiene Gioacchino Genchi, consulente informatico per diverse procure, nel suo intervento al congresso dell'Idv a Roma. Secondo Genchi ''dopo l'outing della moglie di Berlusconi e il fuorionda'' di Gianfranco Fini a Pescara ''provvidenziale e' arrivata quella statuetta che miracolosamente ha salvato Berlusconi dalle dimissioni che sarebbero state imminenti''. Genchi per sostenere la sua tesi cita: ''la mia esperienza in polizia'' e i ''video che tanti giovani propongono su Youtube per capire che nel lancio non c'e' nulla di vero''. L'ex consulente dell'ex pm di Catanzaro Luigi De Magistris punta il dito contro la scorta che ''e' come un anello o un preservativo che non puo' essere rotto,, e contro lo stesso Berlusconi che ''e' uscito da quell'anello''. Per parla di una ''pantomima coronata da quell'uscita di quel fazzoletto nero ed enorme che sembrava quello di Silvan dal quale mancava solo che uscisse un coniglio'' e ricorda anche la vicenda di diversi anni fa quando Berlusconi, all' epoca all' opposizione, mostro' ''un 'cimicione' enorme che ritrovo' nel suo studio accusando le procure rosse e che era chiaramente falsa''. Genchi, nel suo intervento, difende poi Di Pietro ''dagli schizzi di fango che stanno arrivano''. ''Temo - sostiene - che sia solo l'inizio perche' Di Pietro proprio alcuni giorni fa con sofferenza ha deciso di non far mancare l'appoggio ad una alleanza di centrosinistra per un freno al governo Berlusconi''.
Non serve commentare. Ecco il video integrale: http://www.radioradicale.it/scheda/296772/lalternativa-per-una-nuova-italia-congresso-nazionale-de-litalia-dei-valori-seconda-giornata
Lo vedrete per tre settimane e conviene scaricarlo. Perché poi Radio Radicale lo toglie dalla Rete.
Ore 11,26. L'Apcom batte un'altra agenzia:
Mafia/Genchi: Non un caso arresto Graviano dopo 'discesa in campo' Mafia/Genchi:Non un caso arresto Graviano dopo 'discesa in campo' "Latitanti vengono catturati quando non servono più" Roma, 6 feb. (Apcom) - C'è un legame fra l'arresto dei fratelli mafiosi Graviano nel 1994 e la 'discesa in campo', ovvero l'autocandidatura di Silvio Berlusconi alla presidenza del Consiglio. Lo ha detto il vicequestore Gioacchino Genchi, l'ex consulente delle Procure coinvolto a suo tempo nelle polemiche sull'inchiesta Why not che hanno portato alle dimissioni dalla magistratura di Luigi de Magistris, oggi deputato europeo dell'Idv. Intervenendo al congresso nazionale dell'Idv, Genchi ha offerto una sua personale ricostruzione degli ultimi vent'anni della storia d'Italia e del rapporto fra mafia e politica, di quella "trattativa di cui oggi ci sono evidenze", ha affermato. "Non è un caso che i fratelli Graviano vengono arrestati a Milano il 7 febbraio del '94, dopo la dichiarazione di Silvio Berlusconi del 6 febbraio che si sarebbe presentato alle elezioni (in realtà Berlusconi parlò il 26 gennaio, l'arresto dei Graviano avvenne il 27 gennaio, ndr)". "Non è un caso che i latitanti mafiosi e assassini vengano arrestati quando non servono più, vengano usati per quelle catture televisive che servono alle carriere di certi poliziotti, di certi magistrati, di certi politici", ha detto ancora Genchi polemizzando con lo scrittore anticamorra Roberto Saviano: "Non è un caso che un anno dopo la copertina di Panorama dedicata a me come 'scandalo' abbia avuto la dedica della copertina dopo aver parlato di Maroni come miglior ministro dell'Interno".
E alle 11,49 cominciano gli attacchi. Casoli. Rotondi. Ronzulli: "diffidiamo delle analisi sull`aggressione a Berlusconi dello spione telefonico Genchi".
A loro piace attribuire reati mai provati, "spione". Agli altri naturalmente. Quelli già confermati in Cassazione per gli esponenti del loro partito, quello è il solito complotto.
E allora sono reazioni evidenti.
Alle 13,30 arrivano al congresso Bersani e Latorre.
Poi, alle ore 15,12, passate le ovazioni, cominciano le reazioni anche dall'Idv. La prima, è di de Magistris. Alle 15,12, Adnkronos:
BERLUSCONI: DE MAGISTRIS, MAGISTRATURA APPROFONDISCA SU AGGRESSIONE TARTAGLIA Roma, 6 feb. - (Adnkronos) - "Non ho ascoltato cio' che ha detto Genchi. La magistratura deve fare approfondimenti seri, come dissi subito ci sono aspetti che non mi convincono, ma non credo sia utile aprire una polemica politica".
Lui, non ha ascoltato. Chi invece lo ha fatto è sicuramente Massimo Donadi, balzato sul palco subito dopo l'intervento. E' stato l'ultimo ad abbracciarlo. E a baciarlo. Tanto che Genchi aveva avuto il suo bel daffare per alzarsi sulla punta di piedi e raggiungerne guance.
E infatti, alle 15,42, l'Apcom batte la sua nota. Ma non è quella che ci si aspetta: “È grave che Genchi abbia fatto certe affermazioni al congresso di Idv, noi rinnoviamo la nostra ferma condanna del gesto di Tartaglia. Queste tesi fantascientifiche non appartengono alla cultura della giustizia e della legalità di Idv”.
Genchi, ormai già in Sicilia, diretto a Caltanissetta, legge l'agenzia. Chiama l'ufficio stampa di Donadi e chiede conto della nota. Pensa di essere in un film. Spiega che Donadi lo sa che lui non ha mai detto che l'aggressione era una finta e non comprende perchè abbia dichiarato queste cose.
Ma l'ufficio stampa dell'Idv non chiarisce le frasi accusatorie di Donadi. No, manda un comunicato con le precisazioni di Genchi. Cioè l'ufficio stampa dell'Idv non manda una sua nota, ma, molto premurosamente, ne invia una di Genchi.
Che esce alle 18,10.
Passano venticinque minuti. Prima reazione di Di Pietro: “La teoria del finto attentato mi pare inimmaginabile e fantasiosa. Purtroppo la statuetta in faccia al presidente del Consiglio c'è stata ed è stato un atto grave ed inaccettabile.” Eppure, anche lui lo sa che Genchi non ha detto che l'attentato è falso.
Ma non serve altro. E' uno stupendo fiorire di durissime dichiarazioni, come ai tempi della microspia. Reagiscono tutti. Sulle agenzie c'è una sola clamorosa assenza. Hanno reagito quelli del Pdl, ovviamente. Ha reagito Casini per l'Udc, ma questo è ancora più ovvio, leggendo la storia di Genchi e le montagne di condanne portate con le sue consulenze a numerosi politici dell'Udc, compresa proprio quella in appello per Cuffaro, sulla quale le ovazioni al congresso si sono sprecate.
Ha reagito l'Idv, che pure era lì ad ascoltarlo e ad applaudirlo. Mancano però, per la verità, sulle agenzie, le prese di posizione di un grosso partito. Non ce n'è proprio traccia.
Manca infatti all'appello "una parola una" detta da un esponente del Pd. Curioso.
Il giorno dopo, sul Corriere della Sera, Pierluigi Battista: Finalmente, il popolo dei complottisti esce dalla riserva indiana e conquista il palco della politica. Il mondo parallelo degli adepti del cospirazionismo, dopo aver celebrato i suoi fasti nella saga di Dan Brown, dopo essersi globalizzato nell'immensa arena del web, prende il centro della scena in un congresso di partito. Il suo profeta si chiama Gioacchino Genchi, il re dei tabulati telefonici, l'archivio vivente di misteriose «tracce» che riguardano centinaia di migliaia di connazionali, che ha scatenato la standing ovation dell’Idv e ha identificato nel souvenir del Duomo l'arma letale del Grande Complotto. La fantasia al potere, anche se forse non è la stessa di quella sognata dai sessantottini.
LE FOTO DI DI PIETRO CON CONTRADA
Già. C’è naturalmente complottismo e complottismo. A Battista piace più guardare quelli, presunti, degli altri. Un vizio ormai di tanti, guardare altrove. Perché improvvisamente Battista dimentica che non un anno ma solo una settimana addietro, sullo stesso Corriere della Sera di cui lui è vicedirettore e non l’usciere, erano state pubblicate le foto di Di Pietro con Contrada del dicembre 1992, nove giorni prima dell’arresto del numero tre del Sisde. Ed era stato facile giocare su quelle pagine e su quelle foto, alla dietrologia.
Anche se qualcuno le ha tirate fuori 18 anni più tardi, e non quando, ad esempio, Di Pietro aveva nel Paese una popolarità dell’80%. Non quando quelle foto, se fossero andate in mano al sultanato della Prima Repubblica, il CAF, avrebbero potuto dare col clima avvelenato, sospettoso e giacobino che c’era, un freno al viavai di arresti di Tangentopoli che portarono alla fine dei vecchi partiti.
Così come più d'uno tentò di fare con le decine e decine di accuse portate a Brescia, dal pm Fabio Salamone, tutte rigorosamente archiviate.
Sarebbero state utili per un violentissimo attacco al simbolo del pool.
Invece quelle foto non uscirono mai per salvare la Prima Repubblica.
Anche perché, di fronte al drappo dei carabinieri e alla caserma che appaiono nelle foto, si pensò probabilmente a porre un freno all'immaginazione.
Diciotto anni più tardi, con Contrada passato ormai alla storia come il funzionario infedele, giocando sulla memoria corta, è allora molto più facile, con quelle foto in mano, giocare al complottismo per il Corriere e per tutti gli altri giornali, a ruota. Dura un po’. Poi, a spegnere le fiammate, ci pensa, manco a dirlo sullo stesso Corriere, il 4 febbraio 2010, un diplomatico editoriale di Sergio Romano alla vigilia del congresso dell’Idv, dal titolo emblematico “L’ossessione del complotto”: “E’ accaduto che la fotografia di un uomo politico, scattata negli anni in cui era magistrato e apparsa ora sul Corriere, abbia generato l’ultimo complotto italiano. Ed era accaduto anche giorni prima per le ricostruzioni sulle rivelazioni di una famosa escort, apparse anch’esse sul Corriere. Nulla di nuovo. La storia degli ultimi decenni, dalla caduta del fascismo a oggi, è una lunga lista di complotti. Non c’è avvenimento, piccolo o grande, dietro il quale non sia stata immaginata la mano di un regista occulto, di un burattinaio, di un «grande vecchio».
E sì che alla fine, in mano, il Corriere della Sera aveva solo foto scattate in una caserma dei carabinieri tra un magistrato e un poliziotto. Un pm e un tutore della legge in una struttura dello Stato.
Ma appunto c’è complottismo e complottismo. Uno vero, azionato dalle foto del Corriere della Sera di Battista. E uno di cui Battista accusa Genchi, azionato dalle parole non dette da Genchi al congresso.
Interessante.
Ma il migliore, in materia, si presentò però proprio per la vicenda della microspia trovata nello studio di Berlusconi. Mentre tutti solidarizzavano con l'attuale premier e lanciavano allarmi e suonavano sirene, il solito complottista l'11 ottobre 1996 dichiarò all'Ansa: “Le microspie vengono usate solo nei film di James Bond. Secondo me la microspia nello studio di Berlusconi è stata messa o da Berlusconi stesso o da qualcuno dei suoi per fargli fare la figura della vittima”. No, non era Genchi a parlare. Si chiama Roberto Maroni, sempre lui, quello del polpaccio e delle critiche al “clima di contrapposizione violenta”. Oggi fa il ministro dell’interno del Governo Berlusconi.
Questione di destino. Quello di Genchi invece lo profetizza ora Panorama, ottimamente informato, che anticipa la sua possibile destituzione dalla polizia. E questa volta non per aver risposto su Facebook, ma per l'intervento sulla "finta aggressione". Quell'intervento travisato da chi lo aveva abbracciato poco prima, Donadi e Di Pietro, incoronando, poco dopo, De Luca a simbolo della nuova alleanza col Pd.
Edoardo Montolli (13 febbraio 2010)
venerdì 19 febbraio 2010
Genchi, l'IDV, i Complottisti, Tartaglia ed il Miracolato
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