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venerdì 17 dicembre 2010

La mafia dentro

Castrofilippo, Licata, Lampedusa, Racalmuto, Siciliana e Agrigento: viaggio in alcuni dei Comuni della provincia di Agrigento alle prese con inchieste ed indagini per presunte connivenze tra la cosa pubblica e il malaffare. Secondo il Censis 37 Comuni su 43 della nostra provincia sono a rischio mafia, un territorio con “la mafia dentro” scriverebbe oggi Rita Atria

La provincia di Agrigento è la più mafiosa d’Italia. 37 comuni su 43, pari all'86%, sono impregnati dalla presenza di Cosa nostra. E’ il triste record negativo che emerge dal rapporto del Censis (il Centro studi investimenti sociali) sul “condizionamento delle mafie sull'economia, la società e le istituzioni del Mezzogiorno” consegnato al presidente della Commissione antimafia, Giuseppe Pisanu. Nella “classifica mafiosa” del Censis, dopo Agrigento, c’è Napoli, provincia in cui il 79,3% dei comuni subisce una forte presenza della camorra e poi Caltanisetta, dove sono il 77,3% i comuni con un’indiscussa presenza mafiosa. Tra le regioni è la Sicilia ad avere la maggior quota di comuni coinvolti (195, pari al 50% del totale); seguita dalla Puglia, dove 97 comuni, pari al 37,6% del totale registra la presenza di organizzazioni criminali, dalla Campania (203 comuni, pari al 36,8%) e dalla Calabria (115 comuni, pari al 28,1%). Nelle regioni del Sud, soprattutto in Campania, Puglia, Calabria e Sicilia, 13 milioni di abitanti (il 22% della popolazione italiana e il 77% di quella che risiede nelle 4 regioni), vivono sotto l’ombra della mafia nei 610 comuni connotati per l’esistenza di organizzazioni criminali riconosciute, per la presenza di beni confiscati e per lo scioglimento di enti locali a causa di infiltrazioni mafiose. Ma nell’Agrigentino, si sa, le cosche mafiose abbondano. Molti sono i beni confiscati (anche se spesso rimangono inutilizzati) e vari i comuni sciolti per mafia. E poi fino a poche settimane fa c’erano i due boss Giuseppe Falsone e Gerlandino Messina, ritenuti rispettivamente, capo e vice capo della Cosa nostra Agrigentina, inseriti dal Viminale tra i 30 latitanti più pericolosi d’Italia, arrestati rispettivamente a Marsiglia e Favara. Ed ecco come Agrigento raggiunge, ancora una volta, il suo record negativo. Di Castrofilippo, dell’operazione Family, del consiglio comunale sciolto per infiltrazioni mafiose, delle indagini che riguardano l’ex sindaco ma anche Cimino padre e Cimino figlio, abbiamo più volte scritto. Adesso buttiamo l’occhio anche su alcuni degli altri comuni agrigentini interessati da indagini inerenti alla criminalità organizzata.
Guardiamo per esempio all'anomala situazione del comune di Licata, dove il sindaco, Angelo Graci, nello scorso novembre fu arrestato per aver intascato presunte tangenti da un imprenditore dello spettacolo. Graci, poco dopo l’arresto, è tornato in carica come sindaco grazie ad una legge regionale che glielo permette (è stato presentato, comunque, un disegno di legge regionale che dispone siano sospesi dalla carica anche gli amministratori ai quali la magistratura ha disposto, l’obbligo di dimora, i divieti di soggiorno, di espatrio o l’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria) ma ha l’obbligo di non mettere piede alcuno nel paese che amministra (divieto di dimora poi confermato anche dalla Cassazione). Graci di fatto amministra la sua città, ma a 50 chilometri di distanza. Ed ancora Graci è stato coinvolto nell’operazione denominata “Tre Sorgenti”. Secondo l’accusa, utilizzando il suo ruolo istituzionale, avrebbe permesso la stipula di un accordo tra l’Ato di Agrigento e una società idrica chiedendo a quest’ultima come contropartita l’assunzione dei suoi due figli. Secondo quanto si è appreso, nei suoi confronti la polizia di Stato avrebbe eseguito una perquisizione. Per questo reato è pendente un processo davanti alla terza sezione penale del Tribunale di Agrigento. Situazione alquanto strana che ha attirato l’attenzione anche di tv nazionali qualche giorno fa; in questo caso la mafia sembra c’entrare poco, ma la situazione rimane comunque stranissima.
Stessa sorte per l’attuale sindaco di Lampedusa, Bernardino De Rubeis, tornato in carica dopo l’arresto del 21 luglio 2009 per presunta concussione dopo delle indagini avviate in seguito alla denuncia di un imprenditore che raccontò di essere stato costretto a consegnare somme di denaro al sindaco, pena il ritardo nella riscossione di alcuni crediti vantati nei confronti del comune. Più esattamente De Rubeis fu accusato di aver preteso tangenti da tre imprenditori agrigentini: Sergio Vella, Massimo Cam¬pione e Pasquale De Francisci che operavano nell’isola per lavori di costruzioni e tutela ambientale. Secondo i loro racconti, avrebbero pagato soldi per accelerare la macchina burocratica del Comune. Accuse che De Rubeis ha sempre respinto ed è stato creduto dal Tribunale del riesame che ha annullato le relative ordinanze di custodia cautelare, sostenendo che quei soldi in realtà erano da considerare solo dei prestiti a titolo personale. In una recente udienza dello scorso 11 ottobre 2010 hanno chiesto di costituirsi parte civile Confindustria Agrigento, tramite il presidente Giuseppe Catanzaro che ha dato incarico di rappresentare l’associazione degli industriali all’avvocato Marzia Fragalà, Legambiente e il segretario cittadino di Lampedusa del PD, Peppino Palmeri. Ferma l’opposizione degli avvocati della difesa di De Rubeis.
Ed ancora a Racalmuto, città del compianto scrittore Leonardo Sciascia: il sindaco Salvatore Petrotto è indagato, in stato di libertà, per un presunto caso di tentativo di corruzione. Secondo l’accusa Petrotto, assieme al presidente del consorzio acquedotto Tre Sorgenti, l’avvocato Calogero Mattina, (agli arresti domiciliari), avrebbe chiesto all’amministratore delegato di Girgenti Acque, di versargli dei soldi per non danneggiarla con iniziative legali. Secondo la ricostruzione della Procura di Agrigento, grazie alle indagini della polizia di Stato, il reato non si sarebbe consumato per l’opposizione della vittima a queste richieste. Ma Petrotto sarebbe coinvolto direttamente anche nell’operazione antidroga: l’avvocato Calogero Mattina, presidente del consorzio idrico Tre Sorgenti, è accusato d’avergli ceduto cocaina, nel febbraio del 2009.
Nel maggio scorso Petrotto ammise pubblicamente d’aver fatto uso di droga, parlando di un “momento difficile” della sua vita. Petrotto ha chiesto “scusa” ai suoi concittadini.
Di fatto Petrotto è ancora in carica ma è corretto riportare anche la risposta alle accuse del primo cittadino di Racalmuto che attraverso un comunicato contesta le accuse. “E’ chiaro che si paga sempre un prezzo e nel mio caso salatissimo, per le battaglie che si conducono contro la privatizzazione dell´acqua” dichiara Petrotto. “E’ il mio caso specifico e di chi ha contrastato, in tutte le sedi giudiziarie, coloro i quali hanno avuto in gestione per 30 anni il sevizio idrico integrato in provincia di Agrigento. Chi tocca i fili, rischia sempre di morire. L’avere osteggiato politicamente chi attualmente gestisce il ciclo delle acque nell’agrigentino comporta anche questo, delle chiare calunnie per le quali ho dato mandato al mio legale, per tutelarmi in tutte le sedi. Sono amareggiato e sconfortato nel continuare a subire l’onta e l’umiliazione del continuo rovesciamento di inoppugnabili verità. Chi si batte per la collettività, chi difende gli interessi dei più deboli, purtroppo rischia di diventare bersaglio del primo potente di turno. Sono fiducioso che l’accertamento della verità, come mi è capitato già in passato, possa fare giustizia di alcune errate e false segnalazioni di chi ha il solo ed esclusivo intento di difendere i suoi ingenti interessi, alla luce anche delle recenti norme in materia di pubblicizzazione dell’acqua. E chi è stato condannato a risarcire alla collettività, qualche milione di euro, tenta una disperata difesa, offendendo e cercando di salvare il salvabile. Infatti l’attuale gestore, in provincia di Agrigento, a breve, dovrà, quasi sicuramente, mollare questo prezioso servizio, per via dell’entrata in vigore della nuova legge che sancisce il sacrosanto principio che l’acqua è un bene pubblico ed è un diritto di ogni cittadino, quello di averne la disponibilità così come l’aria che respiriamo. Se dovevo essere arrestato per avere difeso questi principi e questi valori, subendo le calunnie di qualcuno, ebbene sono fiero di aver condotto questa battaglia che, in provincia di Agrigento, è stata sostenuta da migliaia di persone e che a qualcuno è costata qualche milione di risarcimento destinato alla collettività. Questa è la verità. E per queste ragioni sono stato ignominiosamente tirato in ballo. Capisco che è difficile farsi sentire” conclude Petrotto, “quando vige uno strapotere che anche in mezzo all’acqua ha inteso mettere salde radici. Con grande gratitudine e fiducia nella Giustizia”.
E come dimenticare le vicende di Siculiana, comune sciolto per mafia qualche tempo fa. Cinque imprenditori che raccontarono di aver pagato il pizzo e essersi piegati al racket delle estorsioni e che grazie alle loro testimonianze condussero gli inquirenti all'iscrizione nel registro degli indagati dell'allora sindaco Giuseppe Sinaguglia e del comandante dei vigili urbani del paese Giuseppe Callea. Fra gli arrestati vi fu un consigliere comunale, tal Francesco Gucciardo. Quella inchiesta scaturì anche grazie al contributo delle dichiarazioni del collaboratore di giustizia Maurizio Di Gati. Fra gli imprenditori che ammisero di aver versato alla mafia agrigentina somme di denaro c’era anche il presidente di Confindustria di Agrigento, Giuseppe Catanzaro che fu costretto a pagare 75mila euro alla famiglia mafiosa di Siculiana per la protezione dei propri cantieri. Oggi Siculiana tenta il riscatto con il nuovo sindaco Mariella Bruno, insediatasi da qualche mese. La situazione sarà sicuramente difficile, ma serietà, onestà ed impegno se messe in atto, alla fine pagheranno.
Ad Agrigento città, invece, recentissime sono le tre richieste d’arresto (operazione denominata Tetris) per quattro dipendenti del Comune, tra cui il dirigente del settore Affari sociali. I coinvolti sembrano essere diciotto persone indagate a vario titolo, e sullo sfondo, un suicidio, due attentati, querele e controquerele e un presunto imbroglio legato ad un appalto di poco meno di un milione di euro che secondo l’accusa è stato affidato con sistemi non contemplati dalla legge e, soprattutto, con metodi ritenuti personalistici e proiettati a consegnare l’appalto ad una società “amica”. Una vicenda di malaffare che vede protagonista il bando gara rivolto all’affidamento del servizio sociale professionale e segretariato sociale ad equipe specialisti esterni. Gli indagati sono Giovanni Lattuca, dirigente del settore “Affari sociali” che comprende anche quello della solidarietà sociale, e il personale dipendente, Antonella Sciarrotta, Arturo Attanasio e Anna Maria Principato. Tutti sono accusati di aver avuto un ruolo nell’affidamento dell’appalto del servizio di assistenza domiciliare anziani, gara svoltasi nel marzo del 2009, ed aggiudicata dal Consorzio “Il Punto”, guidato da Maria Rita Borsellino (anch'essa indagata) a scapito del Consorzio Agrica, una associazione di cooperative. Adesso si attende la decisione del Gip Zammuto e sapremo se sospenderà dal servizio i quattro dipendenti comunali. Giovanni Lattuca, intanto, si è dimesso dall’incarico.
Situazioni squallide che fanno precipitare ulteriormente la fiducia dei cittadini nella politica ma che rinforzano quella per la Magistratura che, senza sconti, sta provando a debellare questi vili atti criminosi in una terra difficile come la nostra. E’ evidente il grado di corruzione che in provincia ha raggiunto livelli altissimi. E’ questa la politica del fare, dello sviluppo, del lavoro? Invitiamo i cittadini agrigentini e della provincia a schiaffeggiare metaforicamente il candidato che alle prossime elezioni promette posti, lavoro, sviluppo: mandatelo a quel paese, questa melma vuole solo attentare al futuro vostro e dei vostri figli. La gente a cui vogliamo credere è come quella di Falcone e Borsellino, uomini che hanno creduto nei valori della giustizia e della libertà, persone perbene come il giudice Rosario Livatino, modello di onestà e di trasparenza da seguire.
Tutti i cittadini della provincia però non devono pretendere onestà e trasparenza soltanto da chi governa la cosa pubblica a tutti i livelli ma anche da se stessi. Perché lo Stato siamo tutti noi, perché i primi a cambiare e a comportarci correttamente dobbiamo essere tutti noi. Come scriveva Rita Atria: “Prima di combattere la mafia devi farti un auto esame di coscienza. Poi, dopo aver sconfitto la mafia dentro di te, puoi combattere la mafia che c’è nel giro dei tuoi amici. La mafia siamo noi e il nostro modo sbagliato di comportarci.”

Calogero Parlapiano - tratto da "Controvoce"

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