Calogero Rizzuto, 49 anni, boss della famiglia mafiosa di Sambuca di Sicilia, arrestato durante l’operazione Scacco Matto l’8 luglio 2008, ora collaboratore di giustizia, continua a svelare i segreti delle estorsioni di Cosa Nostra gravanti sulle imprese della provincia di Agrigento. Chiarisce, poi, particolari relativi al rito della cosiddetta “punciuta” e, ancora, mandanti, autori e moventi di alcuni omicidi.
Stando alle sue deposizioni, alla rete del pizzo in provincia di Agrigento non sarebbe sfuggito proprio nessuno. Avrebbero pagato tutti, anche sir Rocco Forte, gli imprenditori della Sigenco che si stanno occupando della realizzazione delle bretelle stradali lungo la strada statale 115, la Fauci Laterizi e la ditta che sta realizzando l’acquedotto Favara di Burgio.
In particolare durante i lavori di realizzazione della struttura alberghiera costruita in contrada Verdura dal magnate inglese, gli uomini della mafia avrebbe imposto anche mezzi e uomini appartenenti o comunque assai vicini alle cosche.
Rizzuto, come sempre, è molto preciso, dettagliato e specifico durante le proprie dichiarazioni. Durante un interrogatorio ha rivelato che la riscossione del pizzo sul territorio di Sciacca sarebbe avvenuta nel bagno di uno dei bar collocati lungo la statale 115.
Uno dei giorni nei quali Rizzuto avrebbe dichiarato aspetti maggiormente interessanti sulle dinamiche delle cosche agrigentino è quello del 7 novembre 2009, quando ha deposto a Roma presso l’aula bunker del carcere di Rebibbia. Da lavoratore socialmente utile, Rizzuto era diventato il boss di Sambuca di Sicilia e intratteneva rapporti con il capo assoluto di Cosa Nostra agrigentina, Giuseppe Falsone, latitante dal 1999 e ricercato per omicidi, traffico di stupefacenti ed associazione mafiosa.
La storia mafiosa di Rizzuto viene alla luce pochi anni fa. Prima dell’arresto nessuno sospettava di lui. Una vita apparentemente tranquilla, un uomo che non dava nell’occhio. Il suo “carisma” da mafioso, dedito a controllare appalti e a pianificare estorsioni, lo aveva portato a diventare il numero due del mandamento del Belice, territorio comprendente anche grossi centri come Sciacca, Menfi, Montevago e Santa Margherita di Belice, capeggiato dall’agronomo Gino Guzzo.
Grazie alle intercettazioni ambientali fornite da alcune microspie, installate all’interno del garage di Antonino Gulotta, meccanico appartenente alla famiglia di Montevago, dove erano soliti riunirsi i componenti dell’organizzazione malavitosa, i carabinieri del comando provinciale di Agrigento, su richiesta della Dda di Palermo, avevano arrestato trentatrè tra presunti boss e affiliati a Cosa Nostra agrigentina, tra i quali Calogero Rizzuto. Questa operazione era stata denominata “scacco matto” ed era stata condotta con bravura dal magistrato mazarese Vella che, notizia di questi giorni, dopo un periodo di un anno e mezzo durante il quale ha lavorato a Palermo, è stato nuovamente assegnato alla Procura di Sciacca, anche per portare innanzi un lavoro che lo vede protagonista in prima persona.
Il sambucese nell’agosto del 2009 ha rivelato ai magistrati le intenzioni del clan riberese dei Capizzi e dello stesso boss latitante, Giuseppe Falsone, di sopprimerlo a causa di alcune iniziative personali di estorsione che Rizzuto aveva portato avanti. Fu proprio la crescente paura per la sua vita che, il 18 settembre 2009, lo portò a collaborare con la giustizia. La stessa notte la famiglia lasciò Sambuca e venne inserita nel programma di protezione, portata in una località lontana e segreta.
Il pentito ha spiegato, inoltre, come è entrato a far parte di Cosa Nostra, ossia tramite la cosiddetta “punciuta”, il rito della santina bruciata e il giuramento su un vero e proprio regolamento al quale gli appartenenti dell’organizzazione devono attenersi fino alla morte ma, in realtà, almeno nel suo caso, si tratta di un puro atto formale, per quanto simbolico, una designazione vera e propria di uomo d’onore poiché già da tempo il Rizzuto “lavorava” e si comportava da boss.
Il superlatitante Matteo Messina Denaro, secondo quanto dichiarato da Rizzuto, aveva deciso anche l’uccisione degli stessi uomini del clan Capizzi, a sua volta molto scissi al proprio interno, in quanto questi non avevano manifestato comportamenti consoni alle indicazioni degli esponenti di spicco di Cosa Nostra. Il pentito ha successivamente spiegato agli inquirenti le dinamiche di due omicidi, compiuti nel 2003 e nel 1996, a opera della mafia di Burgio e Lucca Sicula: quello di Filippo Riggio, noto mafioso locale, e quello del giovane Pinelli, freddato in auto e poi abbandonato nelle campagne di Villafranca Sicula, due omicidi per i quali i brancolava ancora nel buio nonostante fossero passati ormai un bel po’ di anni.
Rizzuto ha svelato movente, autori e mandanti degli omicidi persistendo su una linea di rivelazioni, grazie alla quale sta facendo piazza pulita dei suoi ex capi ed ex gregari. Ancora una volta vicende di mafia, sangue ed estorsioni scrivono la triste storia della provincia di Agrigento.
Tra le novità, non ultima la dichiarazione di Rizzuto secondo la quale la mafia a Sciacca si sarebbe organizzata attorno alla figura ed al nome di un nuovo boss sul quale naturalmente gli inquirenti stanno valutando e svolgendo tutte le opportune verifiche.
Questi movimenti dettati dall’illegalità assumono un quadro ancor più scoraggiante allor quando, secondo indagini e verifiche giudiziarie e sociologiche, emergono dati secondo i quali al sud un comune su tre (per la precisione il 37,9%) è permeato dalla presenza mafiosa. Su 1.068 Comuni, infatti, 610 hanno un clan o almeno un bene confiscato o, ancora, sono stati sciolti negli ultimi tre anni.
Il record negativo spetta, e non avevamo dubbi in proposito, alla provincia di Agrigento, dove 37 comuni, pari all'86% del totale, evidenziano almeno un elemento di criticità tra i tre presi in considerazione dal Censis (il Centro studi investimenti sociali) che ha consegnato nelle settimane scorse nelle mani del presidente della Commissione antimafia, Giuseppe Pisanu, il rapporto sul condizionamento delle mafie al Sud.
Proprio nella nostra provincia non si è ancora spenta l'eco per i "fraterni" saluti e la “solidarietà” spediti dal presidente dell'Akragas calcio, Gioacchino Sferrazza, al presunto boss Nicola Ribisi arrestato pochi giorni prima.
Tra le regioni è la Sicilia ad avere la maggior quota di comuni coinvolti (195, pari al 50% del totale); seguita dalla Puglia, dove 97 comuni, pari al 37,6% del totale registra la presenza di organizzazioni criminali, dalla Campania (203 comuni, pari al 36,8%) e dalla Calabria (115 comuni, pari al 28,1%).
Non solo numeri ed ipotesi. Fatti. Quasi venti gli uomini, sottoposti a Rizzuto, sarebbero stati pronti a sparare e spalmati tra Menfi, Montevago, Santa Margherita di Belice e Sciacca. Tre le persone invece che ufficialmente sarebbero state affiliate a Cosa Nostra direttamente dal boss sambucese, sempre con la presenza di Guzzo che conosceva i dettagli del rito della punciutina. Diverse le ditte che si rivolgevano al Rizzuto preventivamente, ossia solo per non avere problemi e sentirsi tranquilli e protetti. Soldi su soldi suddivisi tra le varie cosche e che spesso creavano dissidi tra i diversi uomini d’onore.
Tutto questo intorno a noi, in mezzo a noi, tante volte sopra di noi. In provincia di Agrigento dove, si diceva, che la mafia non esistesse.
mercoledì 20 gennaio 2010
Sotto scacco della mafia
Calogero Parlapiano - tratto da "ControVoce"
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