Rientra in Italia il boss siciliano catturato a Marsiglia. Sarà detenuto a Sanremo dove gli inquirenti proveranno a farlo “cantare” sugli ultimi 30 anni di mafia e di rapporti tra criminalità, imprenditoria e politica.
È stato estradato in Italia Giuseppe Falsone, il boss agrigentino, arrestato lo scorso 10 giugno a Marsiglia. L'ex latitante eccellente della mafia agrigentina è stato consegnato alle autoritá di Polizia italiane dalla Gendarmeria francese, subito dopo aver oltrepassato la frontiera di Ventimiglia; ad attenderlo un carcere di massima sicurezza italiano. Giuseppe Falsone, detto «Ling Ling», latitante dal '99 al giugno del 2010 e inserito nell' elenco del ministero dell'Interno dei 30 ricercati più pericolosi, rappresenta un personaggio di spicco della criminalità organizzata, non solo per quanto è testimoniato dal suo giá corposo dossier ricco di precedenti penali tra i quali una condanna all'ergastolo, ma anche per le dichiarazione di numerosi collaboratori di giustizia. Le indagini di polizia hanno accertato come Falsone sia l'attuale reggente di cosa nostra della provincia di Agrigento, nonchè capo della famiglia mafiosa di Campobello di Licata. L'11 aprile del 2006, in occasione della cattura di Bernardo Provenzano, nel covo di «Montagna dei Cavalli» furono rinvenute delle lettere che, per stile e contenuto, sono state chiaramente attribuite a Falsone. L'ascesa criminale di Falsone fu irrimediabilmente segnata dall'uccisione del padre e del fratello maggiore, caduti a colpi di fucile, nella contesa tra mafiosi e stiddari che insanguinò, negli anni 90, il territorio dell'agrigentino e del nisseno. Proprio per l'omicidio-vendetta di un appartenente ad una famiglia di «stiddari», gli Ingaglio, a sua volta responsabile dell'omicidio del padre e del fratello di Falsone, «Ling Ling» è stato condannato all'ergastolo, in contumacia, nel 2004. Decine le operazioni di polizia nel corso delle quali Falsone è risultato destinatario di provvedimenti di cattura, tra queste le operazioni «Cocktail» ed «Akragas» che hanno disarticolato le cosche dell'agrigentino, delineandone il pieno assetto ed organigramma. La famiglia Falsone è stata, infine, destinataria di provvedimenti di sequestri di beni mobili ed immobili per svariati milioni di euro. In Francia unn'è ca si ponnu fari 'sti cosi". "Sti cosi chi?" chiede il poliziotto. "Sti fotografii, 'sti cosi". A dialogare con un poliziotto è Giuseppe Falsone, l'ex "primula rossa" di Campobello di Licata. E' seduto in una stanza del Settore polizia di frontiera di Ventimiglia, in provincia di Imperia. E' circondato e guardato a vista da poliziotti italiani e francesi, tutti rigorosamente con pistola alla mano.
Un agente, appartenente alla polizia scientifica, lo inquadra con la telecamera e lui guarda fisso l'obiettivo. Poi si gira verso il poliziotto e gli fa notare che in Francia non si possono fare riprese di questo tipo. E' come se Marsiglia per l'ex boss rappresentasse una vera e propria tana. Dove, magari secondo lui, era difficile essere notati.
La sua tranquillità, tipica del fare mafioso, è sconvolgente. Proprio come fece il numero uno di cosa nostra siciliana, Bernardo Provenzano che, subito dopo il blitz della polizia si congratulò con gli agenti: "Bravi, siete stati bravi". Ormai Giuseppe Falsone è cosciente del fatto che per lui è finita. Se prima cercava di negare la sua identità, parlando in francese e dicendo che non era il vero Falsone, adesso si sofferma sulla telecamera e parla in perfetto siciliano. "Sono pronto a firmare immediamente il provvedimento per il 41 bis per Giuseppe Falsone. Lo ritengo un provvedimento doveroso per impedire che il boss possa comunicare e dare ordini all'esterno. Ordini che generalmente sono di genere criminale". Lo ha detto il ministro della Giustizia, Angelino Alfano, che in questura ad Agrigento si e' complimentato con gli uomini della Squadra Mobile per la cattura del boss mafioso Giuseppe Falsone, capo provinciale di Cosa Nostra arrestato nel giugno scorso a Marsiglia dopo una lunga latitanza ed estradato dalla Francia. Intanto solamente giunto in Italia, a Ventimiglia e poi nel carcere di Sanremo, Falsone ha ammesso di essere Falsone. Prima di allora insisteva nel dichiarare agli inquirenti di aver preso un abbaglio e che lui era Giuseppe Frittola, originario di Catania. Adesso la svolta. Anche se dubbi non ce ne sono mai stati grazie alle prove fornite dal DNA e dalle impronte digitali. Ma chi è il boss Falsone? E’ figlio di Falsone Vincenzo, nato a Campobello di Licata il 28 novembre 1930, capo mafia di Campobello di Licata, ove venne ucciso in data 24 giugno 1991, unitamente al fratello Angelo, durante la “c.d. guerra di mafia” scatenatasi nell’agrigentino negli anni 90, ad opera di appartenenti alla “STIDDA”, fazione contarpposta a “COSA NOSTRA”.
Sin dalla giovane età ha seguito le orme del padre; dopo l’uccisione di quest’ultimo venne condannato per traffico internazionale di sostanze stupefacenti, per porto e detenzione abusiva di armi da fuoco e per omicidio.
Successivamente la sua pericolosità sociale venne narrata da alcuni collaboratori di giustizia, tra i quali Ingaglio Giuseppe nato a Campobello di Licata il 10 febbraio 1962, in atto sottoposto al regime di protezione e FALZONE Salvatore da Porto Empedocle. Quest’ultimo lo ha indicato come uno degli esecutori materiali dell’omicidio dello “stiddaro” INGAGLIO Salvatore ucciso il 18 aprile 1994 in Campobello di Licata.
Il gruppo facente capo a Falsone si contrapponeva a quello riconducibile all’altro ex latitante Maurizio Di Gati, che in data 14 luglio 2002 stava per essere eletto formalmente dai capi di alcuni mandamenti della Provincia di Agrigento quale rappresentante provinciale di “COSA NOSTRA”, su indicazione del noto Antonino Giuffrè, oggi collaboratore di giustizia, il quale si era dovuto adoperare in prima persona per convincere, con l’inganno, il noto super latitante Bernardo Provenzano. A seguito dell’arresto e del pentimento di Antonino Giuffrè, principale artefice della candidatura ed ascesa a rappresentante provinciale del Di Gati, anche alla luce della progressiva ma inesorabile uscita di scena dei fedelissimi di quest’ultimo, l’ala facente capo a Falsone Giuseppe prese il sopravvento.Reggente di “cosa nostra” nella Provincia di Agrigento, nonché capo della famiglia mafiosa operante in Campobello Di Licata (AG), negli anni più recenti ha esercitato il suo comando e controllo nei settori delle estorsioni, del movimento terra, degli appalti pubblici. Numerosi collaboratori di Giustizia, la cui attendibilità è stata positivamente valutata in sede giudiziaria e nel corso di più procedimenti penali, lo hanno indicato come un importante “uomo d’onore” e quale riferimento di “cosa nostra” nell’area agrigentina.
Lo spessore criminale emerge chiaramente poi dai provvedimenti cautelari emessi nei suoi confronti, nonché dalle sentenze di condanna a suo carico. La sua cattura, estesa in ambito Schengen già a far data 2001, si basa principalmente su un ordine di carcerazionee emesso dalla Procura Generale della Repubblica di Palermo in data 26.10.2004 alla pena principale dell’ergastolo, con isolamento diurno per anni 1 e mesi 6, ed un ulteriore ordine di carcerazione emesso, sempre dalla Procura Generale della Repubblica di Palermo il 02.10.2007, alla pena di anni 11 e mesi 9. Provvedimenti che comportano l’inserimento di Falsone Giuseppe nella c.d. lista dei “30” latitanti più pericolosi.
La serrata attività di indagine volta alla sua cattura, è tuttavia riuscita pian piano a scalfire ed indebolire l’ organizzazione facente capo al soggetto, e soprattutto a far venir meno l’appoggio di alcuni suoi più importanti favoreggiatori e prestanomi. La scoperta in ultimo di due suoi covi, prima a Naro (Ag) e poi ancora a Palazzo Adriano, a distanza di solo qualche mese (2008), hanno costretto evidentemente Falsone ad allontanarsi per qualche tempo dalla provincia di appartenenza, pur continuando a mantenere i contatti con i soggetti più rappresentativi dell’organizzazione.
Proprio alcune importanti tracce rinvenute all’interno dei due utlimi suoi covi, in particolare in quello di Palazzo Adriano, hanno consentito agli investigatori ed agli inquirenti di stringere il cerchio intorno al latitante, fino a giungere alla sua definitiva cattura, avvenuta lo scorso 25 giugno in territorio francese.
L’attività svolta da personale in servizio presso le Squadre Mobili di Palermo ed Agrigento unitamente a personale appartenente al Servizio per la Cooperazione Internazionale di Polizia, grazie anche al supporto informativo dell’Aisi, ha permesso di individuare la città di Marsiglia come il luogo ove, con elevata probabilità, il latitante aveva trovato rifugio negli ultimi mesi.
Nel giugno 2010, gli investigatori raggiungevano Marsiglia con l’intento di portare definitivamente a termine le attività di ricerca già avviate - anche nell’ambito di specifiche istanze rogatoriali presentate dai competenti magistrati di Palermo - al fine di catturare il boss Falsone Giuseppe.
Avviati opportuni contatti con la Polizia Giudiziaria della Brigata Criminale della Polizia Nazionale Marsigliese, attraverso continui scambi di informazioni e partecipando a numerosi servizi di osservazione sul territorio, sono andati raccogliendosi importanti tracce, anche documentali, lasciate da Falsone Giuseppe, seppure sotto falso nome.
I numerosi accertamenti e servizi di osservazione relativi a diversi domicili marsigliesi riconducibili, in qualche modo, al latitante, ovvero dallo stesso occupati sotto il falso nome di Sanfilippo Frittola Giuseppe, nonché gli accertamenti bancari su alcuni conti dallo stesso aperti fornendo le false generalità, e sulle utenze dallo stesso attivate per l’accesso ad internet, consentivano al gruppo investigativo composto dagli investigatori francesi e quelli italiani di individuare, alle ore 17.30 circa deI 25.6.20 10, un uomo che stava per varcare il portone di accesso all’indirizzo di Boulevard Nòtre Dame n. 43, le cui fattezze erano simili a quelle di una fotografia apposta su di una patente nautica intestata al citato Sanfilippo FrittolaGiuseppe.L’uomo veniva immediatamente fermato e ammanettato; richiesto se fosse il latitante Falsone, in lingua francese, ma con una chiara inflessione italiana, negava decisamente, asserendo di essere Sanfilippo Frittola Giuseppe, cittadino italiano domiciliato a Marsiglia da circa 10 anni: al confronto dattiloscopico, il cui risultato è pervenuto alle ore 21.30 di quel 25 giugno 2010, le impronte della persona fermata coincidevano perfettamente con quelle del latitante Falsone Giuseppe.
Nel corso della perquisizione effettuata nel suo ultimo covo d’oltralpe, veniva rinvenuta numerosa documentazione cartacea, documenti d’identità falsi, diversi apparecchi telefonici mobili e supporti informatici (a riprova del fatto che il Falsone continuava a mantenere i contatti con il suo territorio, in particolare con i soggetti che ne continuavano ad assicurare il pieno controllo).
Adesso Falsone fa rientro in Italia, ad esito della procedura di estradizione. Gli verranno notificati i principali atti restrittivi, per poi essere condotto in un carcere di massima sicurezza in attesa dei primi colloqui con gli inquirenti italiani.
Calogero Parlapiano - tratto da "Controvoce"
mercoledì 18 agosto 2010
Falsone è rientrato in Italia
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