Dopo una breve, ma significativa e fallimentare, esperienza di privatizzazione della gestione dell’acqua, la Sicilia torna sui suoi passi. La finanziaria regionale, approvata dopo una maratona all’Assemblea Regionale Siciliana, contiene anche un emendamento del Pd, votato anche dal Pdl Sicilia, che azzera la precedente gestione privata o semiprivata.
Aboliti gli Ato Idrico, si dovrà adesso tornare a legiferare sulla materia. Il precedente sistema, quello delle società d’Ambito Territoriale Ottimale (Ato) aveva dato risultati molto diversi da provincia a provincia ma, sostanzialmente, anche dove la privatizzazione era passata in maniera più compiuta non si erano fatti passi avanti nella qualità del servizio.
Ora, invece, si rimette la palla al centro e si riafferma che il bene pubblico dell’acqua deve avere una gestione pubblica. Tutto questo per via legislativa e non referendaria: il Pd, che ha proposto l’emendamento nella finanziaria siciliana, in tutta Italia non aderisce alla campagna per i tre referendum contro la privatizzazione della gestione dell’acqua.
Intanto come ormai saprete e come avrete potuto notare anche nella città di Sciacca, il fine settimana del 24 e 25 aprile è iniziata in tutta Italia la raccolta firme per i referendum per la ripubblicizzazione dell'acqua. In centinaia di piazze italiane sono stati allestiti i banchetti che hanno raccolto, in 8 giorni, 250mila firme. Anche il fine settimana del Primo maggio è stata ovunque una festa a base di acqua e di democrazia. La raccolta continua fino alla prima settimana di luglio. Obiettivo minimo 750mila firme.
I tre quesiti vogliono abrogare la legge approvata dall’attuale governo nel novembre 2009 e le norme approvate da altri governi in passato che andavano nella stessa direzione, quella di considerare l’acqua una merce e la sua gestione finalizzata a produrre profitti. Dal punto di vista normativo, l’approvazione dei tre quesiti rimanderà, per l’affidamento del servizio idrico integrato, al vigente art. 114 del Decreto Legislativo n. 267/2000.
Tale articolo prevede il ricorso alle aziende speciali o, in ogni caso, ad enti di diritto pubblico che qualificano il servizio idrico come strutturalmente e funzionalmente “privo di rilevanza economica”, servizio di interesse generale e privo di profitti nella sua erogazione.
Verrebbero poste le premesse migliori per l’approvazione della legge d’iniziativa popolare, già consegnata al Parlamento nel 2007 dal Forum italiano dei movimenti per l’acqua, corredata da oltre 400.000 firme di cittadini. E si riaprirebbe sui territori la discussione e il confronto sulla rifondazione di un nuovo modello di pubblico, che può definirsi tale solo se costruito sulla democrazia partecipativa, il controllo democratico e la partecipazione diretta dei lavoratori, dei cittadini e delle comunità locali.
Sulla questione “Acqua” ormai la presa di coscienza è non solo territoriale ma mondiale. Le Nazioni Unite hanno stabilito che entro il 2015 si dovrà per forza di cose dimezzare il numero di persone che non possono permettersi acqua potabile e strutture igieniche adeguate nonché cercherà di evitare di tagliare fuori dall’accesso alle risorse idriche centinaia di milioni di poveri. E’ risaputo infatti che la richiesta di acqua dolce e potabile sta crescendo mentre le risorse, di contro, vanno scarseggiando. Tutto questo perché la popolazione mondiale si è triplicata nel corso dell’ultimo secolo e il consumo di acqua quindi è aumentato in modo consistente. Se non cambiamo in fretta le nostre abitudine in materia di utilizzo dell’acqua, denuncia l’ONU, nel 2030 la domanda supererà del 40% la disponibilità. Oltre ai consumi esponenziali, un altro dei problemi riguarda l’inquinamento delle acque superficiali. La mano dell’uomo, le attività industriali, gli incidenti per mare e per terra non fanno altro che incrementare questo problema. E la questione riguarda anche l’eccessiva desertificazione di intere zone del nostro pianeta. C’è ancora tanto da fare in materia sotto tutti i punti di vista se consideriamo il fatto che 1,5 miliardi di persone nel mondo non hanno accesso all’acqua e che altre 2,6 miliardi non conoscano servizi igienico sanitari degni di questo nome. Per molti, soprattutto negli Stati più poveri, è già cominciata da tempo la guerra dell’acqua. Invece di essere considerata la principale fonte di vita e quindi veicolo di pace, l’acqua è oggi vissuta come un elemento di conflitto tra paesi: il rivale è colui che sta dall’altra parte del fiume. L’acqua del resto non è inesauribile e per questo è indispensabile ridurre soprattutto gli sprechi.
Ma il grande dibattito contemporaneo in Italia, in Sicilia e nel mondo è sulla questione acqua come patrimonio comune dell’umanità o acqua come merce. Come sostiene l’avvocato Jim Olson, la privatizzazione è incompatibile con la sua natura di bene comune e quindi con i diritti inalienabili dell’uomo. Purtroppo il business dell’acqua è diventato un affaire multimilionario controllato da corporations con grandissimi interessi e margini di profitto. Negli ultimi anni, non a caso, alcuni Stati, non alcuni consigli comunali, hanno inserito nella propria Costituzione un articolo che definisce l’acqua come diritto umano fondamentale. E’ un dato di fatto infatti che da quando l’acqua è stata mercificata e la gestione dei servizi idrici privatizzata, l’accesso all’acqua è stato sottomesso al principio del potere d’acquisto.
Non paghi? Non puoi bere. Ed in tempo di crisi e recessione economica, non si può scegliere se bere o se mangiare.
Calogero Parlapiano - tratto da "Controvoce"
giovedì 13 maggio 2010
Acqua di Tutti...
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