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giovedì 27 marzo 2008

Molecola n°5: La voce a te dovuta.


Il modo tuo d'amare

è lasciare che io ti ami.

Il sì con cui ti abbandoni

è il silenzio.

I tuoi baci sono offrirmi le labbra

perchè io le baci.

Mai parole o abbracci mi diranno che esistevi

e mi hai amato: mai.

Me lo dicono fogli bianchi, mappe, telefoni, presagi:

tu, no.

E sto abbracciato a te

senza chiederti nulla,

per timore che non sia vero

che tu vivi e mi ami.

E sto abbracciato a te

senza guardare e senza toccarti.

Non debba mai scoprire

con domande, con carezze,

quella solitudine immensa d'amarti solo io.


Pedro Salinas



Parole che sanno d'eterno, che esprimono molte cose e nessuna... già, nessuna, perchè cosa farsene di una "solitudine immensa"? Di un "amarti solo io"?... Restano sussurri, respiri che volano nell'aria, frasi che emozionano ma che vagano lì, sospese...

La condivisione, invece, le altera, le fa diventare come i tasti consecutivi di un pianoforte, producono un suono bello e melodioso solo se vengono intrecciati... suonarli uno dietro l'altro non dà lo stesso effetto, non dice più nulla....

E' così anche per una poesia, Neruda scriveva che la poesia non è di chi la scrive ma di chi la legge, di chi la fa sua, di chi la trova partecipe delle proprie emozioni... e il poeta scompare, non c'è più... solo i suoi versi...

E così anche tu divieni poeta, poeta della tua vita, dei tuoi sogni e non importa se tutto è cominciato da altre parole, da altre voci, da altri cuori, adesso è tuo il potere di parlare, di esprimere le tue emozioni... potrai spiegare tutto di te e attraverso te ma non potrai convincere nessuno... ognuno la farà propria a suo modo, gli darà significati diversi, personali e da quelli partirà mentre tu volevi far capire sicuramente cose del tutto diverse...

Questa è la magia della poesia: ci distingue uno ad uno all'interno della folla del mondo e costruisce moltitudini partendo dalle nostre solitudini.


Si può perdonare un bambino quando ha paura del buio, la vera tragedia è quando gli uomini hanno paura della luce (Platone)



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