Quickribbon

venerdì 1 aprile 2011

Sequestrati beni spagnoli ad Agrò

La DIA sequestra in Spagna altri 3 milioni di euro a Diego Agrò, già colpito l’anno scorso da un altro sequestro per un ammontare di 53 milioni di euro. Intanto dal punto di vista legislativo lo Stato Italiano sembra ancora carente in merito ai beni dei mafiosi sequestrati all’estero

Grazie ad una operazione della Direzione Investigativa Antimafia di Palermo sono stati sequestrati in Spagna beni per 3 milioni all'imprenditore alimentare Agrò già detenuto per una condanna all'ergastolo e che è ritenuto vicino ad alcuni boss mafiosi dell’agrigentino.
Si tratta di tre società per la produzione ed il commercio di olio alimentare, latticini ed altri prodotti che hanno sede in Spagna, in Andalusia, paese verso il quale è stata avanzata una rogatoria internazionale alla competente autorità giudiziaria.
L’imprenditore colpito dal provvedimento di sequestro è Diego Agrò, di 64 anni, originario di Racalmuto, noto da tempo alle forze dell’ordine. Agrò viene indicato dagli investigatori come vicino ai capimafia agrigentini Salvatore Fragapane, Giuseppe Fanara e Maurizio Di Gati. Nel 2009 è stato condannato all’ergastolo per l’omicidio di Mariano Mancuso, ucciso a Aragona nel ’92. L’operazione relativa al sequestro delle tre aziende del settore oleario impiantate dall’imprenditore siciliano in Spagna è stata coordinata dalla Dia di Palermo, diretta dal capo centro colonnello Giuseppe D’Agata.
Precisamente per quanto riguarda questi sequestri, sono stati effettuati nella provincia di Jaén, città spagnola con una forte attività agricola basata sulla monocultura dell’olivo e la produzione di olio. Sono la: “Industria siciliana oleicola y alimentaria sl”, con sede a Martos (Jaèn), “Aceites San Francesco Sl”, con sede ad Alcalà La Real (Jaèn); “Cosmoliva sl”, con sede ad Alcalà La Real (Jaèn).
A Diego Agrò lo scorso anno, sempre la Direzione investigativa antimafia di Palermo, aveva già sequestrato beni per 53 milioni di euro.
Il Tribunale di Agrigento, a giugno 2010, aveva trasmesso richiesta di rogatoria internazionale al ministero di Giustizia spagnolo per l’esecuzione del sequestro. Diego Agrò è stato arrestato nel 2007, insieme al fratello Ignazio, anch’egli imprenditore nel settore alimentare, nell’ambito dell’operazione antimafia “Domino 2” della Dda di Palermo, a seguito delle dichiarazioni del collaboratore di giustizia Maurizio Di Gati, già capo di Cosa nostra agrigentina, e condannato alla pena dell’ergastolo, nel 2009, dalla Corte d’Assise di Agrigento, per l’omicidio di Mariano Mancuso, avvenuto ad Aragona nel 1992.
In sede processuale è stata dimostrata la valenza criminale dei fratelli Agrò, nonché i loro stretti rapporti con i capi mafia della provincia agrigentina Salvatore Fragapane, Giuseppe Fanara e Maurizio Di Gati, ai quali gli imprenditori si rivolgevano per dirimere le controversie susseguenti alla loro attività di “usurai”, fino a spingersi ad ottenere l’uccisione di Mancuso che si era rifiutato di restituire il denaro avuto in prestito. Lo stesso Fragapane aveva investito denaro di Cosa nostra nell’attività degli Agrò che, grazie all’appoggio incondizionato dell’organizzazione, erano così riusciti ad incrementare il patrimonio personale.
Questa operazione però potrebbe rivelarsi inutile perché il Governo italiano non segue la Ue nella lotta ai capitali sporchi.
Quindi, ammesso e non concesso che questi beni vengano poi definitivamente sequestrati, lo Stato italiano non incasserà mai un centesimo che continueranno dunque a rimanere ai legittimi proprietari.
Perché? Perché l’Italia non ha mai approvato con legge la decisione quadro 2006/783 del consiglio europeo, in materia di confisca e condanna.
Proprio questo è il passo che manca all’Italia e che rende impossibile – in base al principio di reciprocità che prevede che entrambi i Paesi recepiscano la normativa europea – la confisca dei beni.
Il Governo non si è attivato per evitare la mancata attuazione della decisione quadro e per il momento non ha inserito alcuna disposizione nell’ambito della legge comunitaria 2011 (disegno di legge n. 2322).
Oltre alla Germania hanno recepito la decisione quadro anche la Francia e proprio la Spagna, quest’ultima nazione dove gli investimenti delle mafie italiane sono numerosi, come dimostra l’attivismo della Procura distrettuale antimafia di Napoli e Palermo. L’Italia non ha recepito in sede di discussione della Comunitaria l’emendamento che avrebbe dovuto sanare questa situazione al Senato e, tutto lascia pensare, che non lo farà neppure alla Camera. Motivo per il quale il Pd sta pensdando di presentare autonomamente un progetto di legge. Addirittura l’attuale procuratore generale della Repubblica di Ancona, Enzo Macrì, per una vita sostituto procuratore nazionale antimafia, è salito a Bruxelles e in Commissione, tra le tante doglianze sulla mancata armonizzazione delle legislazioni europee in materia antimafia, ha ricordato anche questa.

Calogero Parlapiano - tratto da "Controvoce"

Nessun commento: