Dopo gli arresti di Falsone e Messina, il boss Messina Denaro conquista la provincia di Agrigento ed elegge nuovi fedelissimi a Sambuca e Sciacca. Intanto a Palermo con l’operazione “Addiopizzo 5” decine di imprenditori denunciano i propri aguzzini e fanno arrestare 63 persone. Perché le tasse si pagano allo Stato, e non alla mafia
Una nuova famiglia mafiosa, molto potente e vicina al superlatitante Matteo Messina Denaro.
Sarebbe questo l’identikit della famigghia indicata dallo stesso boss castelvetranese per mettere ordine all’interno del mandamento agrigentino, allo stato attuale decisamente allo sbando, dopo gli arresti degli ex capomafia Giuseppe Falsone e Gerlandino Messina.
Il superlatitante sta cercando di serrare le fila dei fedelissimi e, com’era ipotizzabile, ha preso il comando del territorio agrigentino, soprattutto della parte occidentale, quello per intenderci, compreso tra Sciacca, Sambuca e la bassa Quisquina.
La famiglia saccense indicata da Messina Denaro avrebbe accresciuto il proprio potere economico e non solo nel corso degli ultimi tempi, in un periodo relativamente recente e potrebbe riordinarsi attorno alla figura di un vecchio capomafia, attualmente in carcere.
Matteo Messina Denaro ha approfittato della debolezza dei clan della zona per imporre anche in provincia di Agrigento la propria egemonia ed estendere oltremodo la fitta rete di affari che lo coinvolge: edilizia, grossi appalti pubblici, centri commerciali, supermercati, pizzo, droga, business dei rifiuti e traffico di armi. Insomma dovunque ci sia la possibilità di far soldi.
Il nuovo capomafia della provincia indicato dal superlatitante invece sarebbe un boss sessantenne di Sambuca di Sicilia, il quale non vedrebbe di buon occhio i Capizzi di Ribera. Una precisa scelta strategica per spostare l’asse mafioso dalla parte orientale a quella occidentale della provincia, quella per intenderci più vicina a Castelvetrano.
Del resto, dopo la cattura di Gerlandino Messina, la zona tra Porto Empedocle e Favara è diventata un’autentica polveriera che nessuno al momento riesce a controllare.
Il rischio concreto è quello che scoppi una faida tra Messina Denaro e i Capizzi per il controllo di parte del territorio. In Sicilia però stanno per arrivare grossi finanziamenti e solo questo allo stato attuale sta evitando una guerra di mafia. Come era solito affermare Bernardo Provenzano nei vari summit tra le cosche mafiose, agli appalti pubblici si arriva con gli accordi, col silenzio, con la pace. Intanto non si fermano le indagini degli inquirenti, estese su tutto il territorio isolano. Obiettivo: scompaginare la rete tremendamente fitta del racket.
A Natale i pizzini di Salvatore e Sandro Lo Piccolo, già tratti in arresto da alcuni anni, portano in dono alla Sicilia onesta l’arresto di 63 fedelissimi del boss e di suo figlio. Sono finiti in carcere con accuse che vanno dall’associazione per delinquere di stampo mafioso, all’estorsione, all’associazione finalizzata al traffico di droga, detenzione di armi da fuoco e intestazione fittizia di beni. L’operazione ha interessato le famiglie palermitane di Tommaso Natale, Partanna Mondello, Carini, Cinisi e Terrasini. Insomma fiancheggiatori dei due boss che avevano continuato a restare tali, seguendo gli affari per la famiglia.
L’operazione della squadra mobile di Palermo è stata possibile grazie al lungo e mai interrotto lavoro di analisi effettuato sui pizzini ritrovati nel covo di Giardinello, dove il capomafia fu arrestato il 5 novembre 2007, che finora ha portato alla cattura complessiva di 184 persone, all'individuazione dei responsabili di 87 estorsioni e al sequestro di 15 società con fatturati milionari.
Dalla decifrazione dei pizzini, gli investigatori, con questo quinto e ultimo filone dell’inchiesta denominata “Addiopizzo”, sono riusciti a risalire ai responsabili delle estorsioni, del traffico di stupefacenti e a delineare lo scenario estorsivo palermitano. Sono stati così identificati i soggetti ritenuti responsabili di estorsioni o traffico di stupefacenti. La polizia scientifica è riuscita a ricostruire alcune trame mafiose dei Lo Piccolo estrapolando i dati contenuti nel nastro di una macchina per scrivere, reso apparentemente inservibile e buttato tra i rifiuti.
Secondo quanto è emerso dalle indagini a pagare il pizzo sono stati, tra gli altri, anche alcuni imprenditori che hanno eseguito i lavori di ristrutturazione dell’aeroporto “Falcone e Borsellino”, quelli che hanno realizzato una caserma militare e un asilo materno. La polizia ha fatto luce anche sul progetto dei Lo Piccolo di monopolizzare il mercato palermitano della droga, invadendolo con la cocaina proveniente dal Sud America attraverso i porti olandesi.
“Sul fronte del contrasto al racket del pizzo le operazioni “AddioPizzo” hanno avuto un ruolo strategico nel rompere il muro di omertà dei commercianti. Palermo costituisce l’avanguardia nella lotta al racket del pizzo nel territorio siciliano, rispetto ad alcune zone della provincia che sotto questo profilo restano ancora arretrate”. Dichiarazioni importanti quelle del pm Antonino Ingroia. Le vittime dunque hanno collaborato e denunciato. Un passo avanti per rendere questa terra più pulita e più libera dal malaffare. “La Sicilia - ha aggiunto - è cambiata rispetto ad anni fa. Gli imprenditori si mostrano sempre più collaborativi. E questo è un dato di primaria importanza per il nostro lavoro”.
L'inchiesta “Addiopizzo” si è dunque conclusa ed è tempo di primi bilanci. Il capo della Procura di Palermo Francesco Messineo ha usato molta prudenza. “Siamo di fronte ad una crepa nel muro di omertà dietro al quale si trincerano normalmente le vittime del racket”, ha detto. “Quando i commercianti potranno gestire le proprie attività, preoccupandosi solo del mercato e non vivendo il timore del racket – ha proseguito Messineo – Palermo e in generale la Sicilia saranno terre normali. Soprattutto adesso, in prossimità delle vacanze di Natale, l’appello che rinnovo ai commercianti vittime del racket è di trovare la forza di denunciare i propri estorsori”.
Il presidente di Confindustria Sicilia Ivan Lo Bello ha sottolineato l’importanza della collaborazione degli operatori economici vessati assistiti da Addiopizzo ma soprattutto ha sottolineato che “sono ancora tanti gli operatori economici che continuano a pagare il pizzo, non comprendendo il danno che arrecano al tessuto economico e civile e alla nuova stagione che è in corso nella nostra regione”.
A sottolineare l’importanza e la conclusione dell’operazione anche l’intervento espresso dal governatore Raffaele Lombardo. “L’odierna operazione di Polizia libera una vasta area della città di Palermo dai tentacoli del racket del pizzo, assestando un colpo decisivo a una delle cosche mafiose più pericolose. Esprimo il plauso e la gratitudine dell'intero governo della Regione alla magistratura e alla Squadra mobile della Polizia per l’ennesimo grande risultato nella lotta di liberazione della Sicilia dalla mafia. Da questa operazione emerge uno spaccato significativo di quello che è oggi la mafia, in Sicilia: un’organizzazione ancora pericolosamente capace di infiltrare e inquinare il sistema economico, ma contro la quale, finalmente, un numero sempre maggiore di imprenditori si ribella e denuncia, grazie anche al preziosissimo e coraggioso lavoro delle associazioni antiracket che operano nel territorio, realtà che, con l’impegno culturale e di denuncia civile, affiancano l’attività investigativa di forze dell’ordine e magistrati”.
Buoni auspici per il 2011: che sempre maggiori imprenditori e negozianti si coalizzino nella denuncia e nel rifiuto dell’assoggettamento al racket. Le tasse si pagano allo Stato e non alla mafia.
Calogero Parlapiano - tratto da "Controvoce"
lunedì 3 gennaio 2011
Nuovi "padrini", vecchi affari...
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