
(da agrigentonotizie.it)
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ROMA (28 dicembre) - Le 5,20 del 28 dicembre 1908: “fu in quel momento che dalle viscere della terra salì un rombo. Inizialmente simile a un gorgogliare profondo, come se qualcosa ribollisse nella pancia buia del pianeta, per poi risalire potente e veloce, fino a esplodere in un boato che spaccava timpani e anime, che trasformava la vita in qualcosa di oscuro e di sconosciuto. Che spazzava via dagli occhi il presente senza sostituirlo con nient’altro. Il mondo dopo non sarebbe stato più lo stesso”. E’ il terremoto di Messina che irrompe sulla scena nel romanzo di Mario Falcone (L’Alba nera, Fazi, 2008, pp.452, 18 E.) ma lo fa solo a pagina 383, un’entrata improvvisa e violenta sulla scena di un romanzo storico le cui vicende iniziano, tra intrighi e relativi delitti, nel giorno di ferragosto.Una scelta efficace che ricorda come il terremoto acquista significato solo nel devastante incontro con la vita minuta di tutti i giorni. La potenza di simili eventi catastrofici si può, dunque, comprendere immedesimandosi nelle mille trame che s’interrompono o cambiano percorso. Il sisma che in 37 secondi distrusse Reggio Calabria e Messina (ma nella città siciliana si registrò la più alta percentuale di vittime) rappresenta il più grave disastro naturale occorso nella nostra penisola e con i suoi 100.000 morti (manca una stima precisa comunque solo a Messina furono circa 80.000) è considerato il quarto evento catastrofico, a livello planetario, di tutto il XX secolo. Non a caso l’eco del disastro fu tale che “per la prima volta gli aiuti si organizzarono in ogni parte del mondo e i principali giornali nei vari continenti se ne occuparono a lungo” (Giovanna Motta, a cura, La città ferita. Il terremoto dello Stretto e la comunità internazionale, Angeli, 2008, pp.199, 23E.). Un’apocalisse tale da diventare rapidamente simbolo di qualcosa che va ben oltre l’evento in sé. L’enormità del dramma infatti non poteva non incidere anche sui simboli dell’immaginario collettivo nazionale. Se la grave impreparazione dell’apparato statale non fu una sorpresa, qualcosa d’imprevisto nacque invece nel sentimento di identità nazionale, come ci ricorda John Dickie (Una catastrofe patriottica. 1908: il terremoto di Messina, Laterza, 2008, pp. 240, 18 E.). Il sisma, infatti, mise in moto una forte tensione morale, fomentò angosce e timori che travalicarono l’emergenza locale, trasformando il dramma in un momento di autocoscienza nazionale. Se invece del terremoto – si domandarono molti commentatori – fosse scoppiata una guerra? Altri lo considerarono rivelatore della vera natura degli italiani. “E’ la razza – scrive Claudio Treves – che si manifesta negli individui in tutta la genuinità della sua natura una volta rotte le convenzioni della società”. Per Luigi Barzini, “in questi momenti di crisi suprema un popolo dà in poche ore tutto il bene e tutto il male che ha in sé: crudeltà, cupidigia, egoismo, devozione, eroismo escono all’aperto”. Quello che è certo, però, è che la catastrofe diede il via ad un movimento di solidarietà senza precedenti e più in generale, rappresentò un formidabile cortocircuito in cui le emozioni divennero strumenti per ampliare l’immaginario dell’idea di nazione. La narrazione catastrofista, che amplificava i pericoli e cercava i capri espiatori (sciacalli, speculatori, burocrati) si intersecò con quella dell’eroismo (la Regina Elena con le sue “imprese infermieristiche” o il deputato cattolico Micheli, in grado di edificare in poco tempo una città di baracche ribattezzata “Michelopoli”) facendo emergere il ruolo decisivo della stampa. Quasi tutti i giornali per un mese “aprirono” con notizie sulla zona, in cui, accanto ai fatti si trovavano emozioni (il lutto, l’odore, il cibo, la nudità dei corpi, la vergogna dignitosa) che, fuoriuscendo dai confini dell’intimità, amplificarono la gamma delle sensazioni con cui il nazionalismo poteva rappresentarsi. Il terremoto si rivelò, quindi, nel complesso, “un prodigioso generatore di metafore”, motore del nuovo patriottismo italiano che, tra le macerie di quel disastro, rafforzò il proprio ambiguo profilo manifestando un sentimento di solidarietà dalle venature anti-istituzionali. (da ilmessaggero.it)
In molti casi sono proprio loro. Le baracche originali, quelle di 100 e 40 anni fa.
Nei quartieri messinesi dell'Annunziata, di Maregrosso, Giostra, Camaro, Fondo Fucile, Arcobaleno, Bisconte, Macello vecchio, S.Lucia tutto si è fermato a 100 anni fa. C'è gente, gli eredi dei terremotati, che vive ancora nelle baracche, in strutture fatiscenti, in casette piene di umidità e prive delle minime strutture igieniche e sanitarie... 100 anni, 100 anni per assegnare delle nuove abitazioni, per dare delle case popolari, per assistere donne, anziani malati, bambini costretti a vivere ancora in queste aree degradate, abbandonate e memori della secolare tragedia.. baracche ancora in piedi a testimonianza della vergogna, dell'apatia, del malcostume, dell'assoggettamento alla regola del bisogno perpetrata da generazioni di classi dirigienti regionali e nazionali... sì, devono rimanere ancora in piedi quelle baracche maleodoranti..che facciano ancora da prova, testimonianza, certezza, dell'inconcludenza della politica di qualsivoglia schieramento e delle parole...
proprio in quelle città, Messina e Reggio Calabria, funestate dal maremoto, si progetta un fantasmagorico ponte (e il rischio sismico?) quando invece ancora sono vive e presenti in mezzo a noi lo scandalo della baraccopoli. E se per Messina 100 anni di promesse disattese non sono ancora bastate, non oso immaginare quanto tempo ci vorrà ancora per la ricostruzione completa delle cittadine colpite nella Valle del Belice nel 1968.. lì in fondo sono passati "solo" 40 anni..quindi possono ancora aspettare e vivere in molte delle baracche ancora in piedi anche lì.
VERGOGNA
scusa se questo che ti lascio non è un kommento ma ci tengo ad avvisare tutti i miei blogger amici. Il mio blog ha raggiunto Pagerank 2 ripasserò domani se ce la faccio per lasciare un commento attinente a quello che hai scritto.
RispondiEliminadistinti saluti
Adriano Smaldone
un saluto anche ate..
RispondiEliminabuona serata..ciaooooooo!
E' scandaloso!!!E loro intanto pensano al ponte sullo stretto...
RispondiElimina..è scandaloso sì..sono passati decenni e secoli ma ancora le baracche fanno bella mostra di sè...
RispondiEliminaciao Pino!
favorevole alla riesumazione delle salme per lo studio del DNA, a patto ovviamente che ci sia il rispetto per i morti. Riguardo alle baracche tutt'ora esistenti è veramente scandaloso, e come dice Pino Amoruso loro pensano al ponte sullo stretto. Di queste baracche ce ne sono tante? Gli occupanti non possono fare manifestazioni, protestare?
RispondiElimina100 e 40 anni di proteste non sono bastati..la scandalo è sotto gli occhi di tutti..infatti, è facile chiuderli e far finta di nulla...
RispondiEliminaciao ale!